Il ritratto del diavolo - Anton Barrili 4 стр.


Per contro, se i pittori della scuola di Giotto davano ancora troppo nello smilzo, avevano già la cura lodevole del finito; laonde se i corpi delle loro figure, asciutti come sono, accusano la povertà degli studi anatomici, la espressione dei volti e diligenza nel disegnare le estremità, ci appalesano quel sentimento profondo della verità, che doveva rifare di sana pianta le arti figurative e non far rimpiangere al mondo la perdita dei capolavori di Apelle e di Zeusi.

Ho detto, e ritorno a Spinello Spinelli. Il quale, vedendo operare mastro Jacopo di Casentino, si accese del desiderio di dipingere a fresco, che era in quei tempi il sommo dell'arte. Ma tacque il suo pensiero, che gli pareva troppo audace, anzi temerario senz'altro, e si restrinse ad osservare il modo con cui mastro Jacopo preparava i cartoni, ringrandendo a vaste proporzioni i suoi disegni, e qualche volta, ad ottenere i giusti effetti di luce e d'ombra, facendo modelli di creta, i quali disposti in una data azione tra loro, lasciavano vedere gli sbattimenti, i rilievi, e tutte l'altre particolarità di cui si vantaggia la prospettiva d'un quadro.

Tre mesi erano scorsi dacchè Spinello viveva al fianco di mastro Jacopo, e il giovinotto, a mala pena ventenne, aiutava già il principale negli affreschi del Duomo Vecchio, di quel Duomo in cui per la prima volta aveva veduto madonna Fiordalisa. S'intende che Spinello tratteggiava sull'intonaco i disegni del maestro, e sotto gli occhi di lui ci metteva il colore.

Immaginate voi come si struggessero di rabbia i compagni di Spinello. Escludiamo, per altro, il povero Parri della Quercia, modesto e buon giovane, il quale non si sentiva nato per la grand'arte dell'affresco e si contentava di lavorare a tempera certi trittici, e pale d'altare, che erano commesse a mastro Jacopo da qualche pieve, o da qualche oratorio del contado. L'affresco voleva ardimento d'ingegno, franchezza di mano, sicurezza di giudizio. e tante altre belle qualità, che non erano nell'indole di Parri. Ma gli altri discepoli di mastro Jacopo, assai meno valenti di Parri della Quercia, erano anche assai meno modesti di lui, e si rodevano di vedere quel nuovo venuto, che si spingeva in brev'ora tanto innanzi nel magistero dell'arte, e, quel ch'era peggio, nelle grazie del maestro.

Un giorno, essendo Spinello a lavorare sulle impalcature del Duomo, in compagnia di mastro Jacopo, questi gli disse di punto in bianco:

Ragazzo mio, è tempo che tu voli da te.

Volare da me!esclamò il giovine levando gli occhi dal muro, per guardare il maestro.Che intendete di dire?

Mi sembra di parlar chiaro;ripigliò mastro Jacopo.Il tuo ingegno ha messe le penne maestre; puoi volare senza aiuto di chicchessia.

Spinello si fece rosso, chinò la fronte e rispose:

Maestro, al fianco vostro ho un cuor da leone. Ma da solo! Ci pensate voi! Non mi avverrà egli dì fare come quell'Icaro di Creta, che perse le penne e andò a sommergersi in mare?

Vedete la modestia, che è andata a stare ad uscio e bottega coi giovani!gridò mastro Jacopo, ridendo.Ma sia pur giusto il paragone che tu fai delle tue ali con quelle d'Icaro. Nessuno ti dice che tu abbia a discostarti dal tuo maestro, dal tuo secondo padre. Lavorerai sotto i miei occhi, se Dio vuole, e baderai sempre ai miei consigli. Hai risolutezza di mano e buon giudizio per fare da te. Vuoi? C'è da dipingere, nella cappella qui presso, un Miracolo di san Donato. L'opera è di grande rilievo, perchè il santo è qui in casa sua; ma ho fede che te la caverai con onore.

Maestro, e se mi fallisse la prova? Vorranno poi i massari della chiesa commettere a me un'opera di tanta importanza?

Non lo sapranno che poi;rispose mastro Jacopo, dando un'alzata di spalle.E noi cancelleremo il dipinto, se non riescirà secondo le speranze che io ho concepite di te.

Spinello tuttavia esitava.

Bell'ardire!esclamò mastro Jacopo,Così ami tu Fiordalisa?

All'udire quelle parole, Spinello si scosse e il cuore gli diede un balzo nel petto. Figuratevi! Era la prima volta che mastro Jacopo gli parlava di sua figlia. E per la prima volta ne diceva abbastanza, non vi pare?

Ah maestro! maestro, che dite voi mai?gridò il giovine, turbato.Ho io bene inteso?

Mastro Jacopo sorrise, come sanno sorridere i babbi, quando non hanno nulla da rifiutarvi, o giovinotti innamorati.

Se ho bene inteso io, fin dal primo giorno che sei entrato a bottega,rispose allora il vecchio pittore,sì certamente, tu mi hai bene inteso quest'oggi.

Spinello Spinelli rimase lì, pallido dalla commozione, ansante, con gli occhi imbambolati. Non poteva credere alla propria felicità. Guardava il maestro, come se volesse leggere nel volto di lui la conferma delle parole udite; poi guardava in aria, come se cercasse un'immagine cara, che doveva trovarsi là, pronta alle sue invocazioni amorose.

Orbene, che hai?disse mastro Jacopo.Non sei contento?

Spinello si abbandonò sui gradini del trespolo che serviva a mastro Jacopo per accostarsi alla vòlta, e diede in uno scoppio di pianto.

Animo, via! Che cos'è questa ragazzata!borbottò mastro Jacopo.Se ti sentono di laggiù!

Ah, lasciatemi piangere, maestro, padre mio, lasciatemi piangere. Avere amato tanto tempo senza speranza! Essere entrato da voi, temendo che non mi accettaste come vostro scolaro! Poi, essere vissuto così, accanto a voi, disperando di potervi dire un giorno. di potervi confessare. E sempre con la paura di sentirmi annunziare da voi, o da altri di bottega, che madonna Fiordalisa era sposa. Oh, maestro, maestro, vorrei che ci foste stato voi, nel mio caso!

Eh, non dubitare, ci sono stato anch'io, in diebus illis;rispose mastro Jacopo.Ci si passa tutti, o presto o tardi, per queste benedette ansietà. Ma, come vedi, non era il caso di tremare. Si pensava a te, mentre tu ti guastavi il sangue coi sospetti e con le paure. E c'è voluto che la fortuna venisse a cercarti lei; che il babbo fosse il primo a parlare.

Oh, padre mio, non dite ciò, ve ne prego! Sapete pure che non ardivo!

Già, tu non ardisci mai. Ma bada, ragazzo mio, la tua fortuna è a questo patto. Tu farai il Miracolo di san Donato, e sarà davvero.

Un miracolo;interruppe Spinello.Ve lo prometto.

Ci fo assegnamento. Ed ora, andiamo a casa, che qui s'è fatto abbastanza, per oggi.

No, maestro, lasciatemi qui. Voglio pensare al mio soggetto.

Qui? a cinquanta palmi da terra?

Che importa? La mia testa è più alta di mille miglia. Non sono io al settimo cielo? Poi vedete, maestro, qui siamo nel Duomo vecchio. Laggiùcontinuò Spinello, accennando in basso, attraverso le commessure del ponte,laggiù, presso la quarta colonna di destra, ho veduto per la prima volta madonna Fiordaliso. Non sapevo chi fosse; ma ne rimasi colpito. Andai quel giorno a nascondermi là, dietro quel pilastro della navata di destra, per poterla vedere di profilo, senza che ella si accorgesse di nulla. Che allegrezza fu quella, per i miei occhi! E ogni festa, sapete, ogni festa, io la vedevo così. Eravamo nel giugno dell'anno scorso. Benedetto mese, che ne ha tante di feste! Gli altri ne hanno meno, o non lo valgono. L'aspettavo all'ingresso, avendo l'aria di guardare tutt'altro; poi me ne venivo laggiù; anzi, ricordo che fu quello un gran dolore per me.

Sentiamo quest'altra!esclamò mastro Jacopo, ridendo.

Sì,riprese Spinello,perchè tutti i giovani d'Arezzo la conoscevano come la bellissima tra le belle. Ahimè, pensai, quanti non si augureranno di piacerle al pari di me! E quanti non avranno ragione a sperare di essere più fortunati! Temevo, e il soverchio della paura fa quello che mi diede le forze per muovere incontro a voi. Tremavo come una foglia, ve ne ricordate? E quando poi, nella furia, commisi l'errore di portarvi tutti i miei disegni, senza pensare li per li che ce n'era uno.

Sentiamo quest'altra!esclamò mastro Jacopo, ridendo.

Sì,riprese Spinello,perchè tutti i giovani d'Arezzo la conoscevano come la bellissima tra le belle. Ahimè, pensai, quanti non si augureranno di piacerle al pari di me! E quanti non avranno ragione a sperare di essere più fortunati! Temevo, e il soverchio della paura fa quello che mi diede le forze per muovere incontro a voi. Tremavo come una foglia, ve ne ricordate? E quando poi, nella furia, commisi l'errore di portarvi tutti i miei disegni, senza pensare li per li che ce n'era uno.

Già, il ritratto della mia figliuola;disse mastro Jacopo.Oh, l'ho veduto e riconosciuto alla bella prima, non dubitare. Come avrei capito il resto, se non avessi indovinato il principio? Per altro, bada, ragazzo mio; lasciando passare la faccenda del ritratto, io mi ero proposto una certa cosa.

Quale?

Se questo ragazzo mi si svia,continuò mastro Jacopo,se non mi diventa un gran pittore, lo mando diritto a quel paese. Fortuna, per te, che ti sei conservato un buon figliuolo ed hai risposto alla mia fede. Dunque, siamo intesi, il miracolo sarà fatto!

Non temete, sarà fatto. Lasciatemi qui, nel Duomo, a prendere inspirazioni dal luogo. Mi sento una forza da leone. Ma ditemi, maestro, il Miracolo di san Donato non è di aver fatto morire un serpente che infestava il paese?

Già, è una semplice benedizione.

Andate dunque, maestro; io penso al soggetto, e spero che, prima di escire dal Duomo, mi sarà venuta un'idea.

Mastro Jacopo sorrise una seconda volta, fece a Spinello un cenno amorevole con la mano e se ne andò giù per la scala a piuoli.

Rimasto solo sull'impalcatura, Spinello Spinelli prese il lapis rosso di Lamagna e incominciò a segnare alcuni tratti sul cartone. Ma subito dopo si fermò. Aveva il cervello in volta; pensava a madonna Fiordalisa e alla possibilità, che per la prima volta gli arrideva, di far sua quella divina creatura.

Sarebbe stato meglio andar subito a casa,pensò egli,e poi mettermi a lavorare; mi sarei ispirato.

Ma fatto appena quel ragionamento, trovò che era sbagliato di pianta.

No,soggiunse egli,bisogna anzitutto aver meritato di vederla. Se mi vien fatto un bel partito, sarà segno che l'avrò meritato.

Così dicendo, si avanzò verso l'orlo dell'impalcatura e volse un'occhiata a quel punto della navata in cui per la prima volta aveva veduto madonna Fiordalisa, gittò un bacio laggiù, sulla punta delle dita, e col bacio una ardente preghiera, una giaculatoria mentale. Era la prima, di sicuro, che facesse nella casa di Dio il giuoco di scendere, anzi che di salire.

Quindi, invasato dall'estro, si pose a lavoro con ansia quasi febbrile. L'idea e la forma gli escivano insieme, nello stesso tocco dal disegnatoio, che scorreva veloce sulla carta.

Spinello immaginò il Santo nell'atto in cui muovendo incontro al serpente, lo fulmina col gesto della mano destra, levata in alto, mentre con l'altra sembra infonder coraggio ad una turba di cittadini spaventati, quali già volti in fuga, quali inginocchiati per invocare il soccorso del cielo. Il Santo si vedeva ritto, in aria di persona commossa, ma non vinta da timore, e la fralezza delle membra e la soavità dell'aspetto in quella che facevano contrapposto all'orrida fierezza del mostro, sembravano raffigurare l'alto concetto della retta coscienza che sta salda innanzi ai maggiori pericoli, o della fede in Dio che vince animosa ogni ostacolo. Il serpente, nella forma delle zampe, delle fauci e dello scaglie ond'era protetto il suo dorso, arieggiava i coccodrilli egiziani, nelle ali i favolosi dragoni, che erano tanto in voga a quei tempi, per la leggenda popolare di San Giorgio di Cappadocia. La mala bestia guardava tuttavia il suo poco temibile avversario, e con le fauci aperte pareva volesse ingoiarlo; ma già il corpo si piegava, gli anelli del ventre si contorcevano, le zampe spaventosamente unghiate si stendevano nello spasimo e graffiavano l'aria. Era alcun che di terribile, a contrasto col tranquillo atteggiamento dell'uomo miracoloso, dalla cui mano levata intendevate essersi allora allora sprigionata la virtù fulminatrice.

Ah, finalmente!gridò Spinello, appena gittati sulla carta i contorni della sua composizione.Non lo cancelleremo, questo quadro, non lo cancelleremo!

Poco stante, data l'ultima mano al disegno, ne fece un rotolo e discese dal ponte.

Così tardi escite da lavoro?gli chiese il sagrestano del Duomo, vedendolo attraversare la navata di mezzo.Ma che c'è? Avete l'aria di un uomo che ha ricevuta una lieta novella.

Lieta, sicuramente;rispose il giovane pittore.Quantunque, a voi forse non parrebbe tale.

Se potrò rallegrarmene per voi, perchè non mi parrà lieta? Ditela su!

Spinello si avvicinò al prete, accostò le labbra alla guancia di lui e gli bisbigliò all'orecchio:

Prendo moglie.

Il sagrestano si trasse indietro per guardare in volto Spinello; indi battè le labbra, come un uomo che s'aspettasse tutt'altro, e che ad ogni modo non vedesse una grande felicità nel settimo sacramento.

Prendete moglie, Spinello?esclamò.Siate felice. Per altro, avrei creduto che, per voi, la moglie dell'artista dovesse esser qui.

E col dito accennava la testa, dove abita madonna fantasia.

No, v'ingannate;rispose prontamente Spinello.La moglie dell'artista è qui.

Ed accennò il cuore, dove sta di casa la passione.

Avrete ragione;disse il sagrestano, inchinandosi.Purchè non si soffra, lì dentro. Nel qual caso, addio arte!

Spinello pensò che il povero prete non era fatto per intendere certe cose, e, datagli una di quelle occhiate patetiche, le quali sembrano dire tante cose, forse perchè non ne dicono alcuna, infilò la porta del Duomo. Affrettava il passo, perchè quel giorno era invitato a desinare dal maestro, e l'ora, come si è detto, era tarda.

Fra pochi istanti avrebbe veduta madonna Fiordalisa. Ma come avrebbe osato posar gli occhi su lei, dopo quel doloroso discorso di mastro Jacopo? Fortunatamente, dalla tranquilla accoglienza che Fiordalisa fece al futuro Apelle, gli fu agevole intendere che mastro Jacopo non aveva creduto opportuno di dir nulla alla sua bella figliuola. E Spinello gliene fu grato, perchè, libero da ogni soggezione, avrebbe potuto guardare in volto Fiordalisa, contemplarla a sua posta, e pensare tra sè con gioia infantile:tu non sai, bambina, tu non sai quel che so io; sarai mia, bella creatura, sarai mia; il pegno della vittoria è là, in quel rotolo di carta, che io ho riposto su quel canterano di noce.

Mastro Jacopo, prima di mettersi e tavola, tirò in disparte il prediletto discepolo e gli disse:

Orbene, t'è venuta l'idea?

Sì, maestro, è venuta.

E ne sei contento?

Spinello fece un cenno del capo, che voleva dire: così così; ma le sue labbra si atteggiavano ad un malizioso sorriso.

Ah, briccone!esclamò il vecchio pittore. Tu sei contento e non vuoi confessarlo. Fammi vedere il disegno.

No, maestro, non ora. Se permettete, sarà per domani. Non sono ancora ben sicuro del mio concetto. Nell'ebbrezza del comporre, mi è parso bello; ma ora, pensando alla grandezza del premio,e così dicendo Spinello volgeva gli occhi a Fiordalisa, il cui elegante profilo si disegnava sul fondo luminoso della mensa apparecchiata,ho una gran paura di aver fatto un pasticcio. Aspettate domani. Intanto, ci dormirò su e poi vedrò di ritoccarlo.

Sia come tu vuoi;disse mastro Jacopo.Andiamo a tavola. Io non mi nutro con gli occhi, come te, ed ho una fame assaettata.

La mattina seguente Spinello ritornò sull'opera sua. Gli pareva manchevole, e certamente era, come tutte le cose tirate giù in fretta. Ma delle cose fatte in fretta aveva anche i pregi, cioè a dire, insieme con qualche ridondanza facilmente correggibile, unità di concetto e franchezza di esecuzione. Rimutò qualche parte, rifece il disegno, accrebbe con alcuni tocchi l'espressione dei volti, e finalmente come gli parve di aver migliorato il suo lavoro, si arrischiò a metterlo sotto gli occhi del maestro.

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