Racconti Buonisti - Marco Fogliani 2 стр.


Gli antipasti arrivarono senza che li avessi ordinati. Bello, pensai; ma poi, aprendo il menù per scegliere il seguito, mi impressionai un poco. Valutai che quella sera avrei speso decisamente parecchio. Respinsi subito con fermezza l'idea, balenatami in mente, di tentare di far mettere in conto la mia cena alla Silvestrini: anch'io, come lei, ero una donna autonoma, indipendente e soprattutto onesta, e per fortuna avevo con me la mia carta di credito. In fondo la bella serata meritava un piccolo sacrificio.

Così ragionavo mentre assaggiavo i vari stuzzichini, quando il cameriere venne portando sul mio tavolo un mazzo di rose non indifferente.

"Queste ve li manda quel signore là in fondo con la cravatta rossa."

Perbacco: pensavo che cose del genere accadessero solo nei film! Ma proprio perché sapevo come si sviluppano nei film certe situazioni fui molto brava nel contenere tutto il mio entusiasmo e la mia curiosità, simulando assai bene una certa indifferenza. Il signore dalla cravatta rossa, elegante e maturo, mi fece un cenno per farsi notare, ma io lo degnai soltanto di uno sguardo con la coda dell'occhio, continuando a mangiare con apparente tranquillità. Vincendo il mio istinto, rinunciai ad avvicinarmi all'omaggio floreale per annusarlo intensamente nonché per cercare e leggere il bigliettino che sicuramente l'accompagnava. Se non fosse accaduto nulla nel frattempo avrei fatto sicuramente tutto questo alla fine della cena: tanto quei fiori ormai erano miei, e nessuno me li avrebbe portati via.

Ed infatti non passò molto che il signore in cravatta rossa si presentò al mio tavolo:

Spero che siano di suo gradimento

Oh, sì sì. Tutto molto buono. Può fare i complimenti al cuoco da parte mia!, risposi con entusiasmo burlandomi di lui.

Intendevo le rose, naturalmente.

Si, belle anche loro, davvero, ripresi proseguendo a mangiare. Ma credo che sia impossibile che una donna non gradisca un bel mazzo di fiori, a meno che non ne sia allergica. Tuttavia non vorrei incoraggiarla o illuderla in qualunque modo: anche perché, incidentalmente, credo di non aver mai avuto il piacere di fare la sua conoscenza.

Non è la prima volta che mi dice qualcosa del genere. Potrei credere che lei si sia dimenticata di me, della mia faccia; ma non certo di quella famosa festa sul mio yacht, a Ischia, diciamo perlomeno un po movimentata.

Uno yacht? Accidenti, questo deve avere una barca di soldi, pensai. Chissà se ci avevo combinato qualcosa, voglio dire la Silvestrini. Comunque era chiaro che lo avevo in pugno. Dovevo solo fare la difficile e stuzzicarlo un altro po, e sicuramente mi sarei aggiudicata, oltre al mazzo di fiori, la cena e forse anche qualcosa di più.

Si vede proprio che non mi conosce bene. Altrimenti saprebbe che, vivendo molto intensamente il presente e proiettata nel futuro, tendo a dimenticarmi molto facilmente del passato, soprattutto di chi si crede un mio vecchio amico e delle persone che pensano che io debba loro eterna riconoscenza.

Se vive molto intensamente il presente ed il futuro, allora dimenticherò anchio il passato per progettare un presente ed una serata effervescente insieme a lei, sul genere di quella sul mio yacht di cui ahimè si è dimenticata. Se non la conosco male, qualcosa del genere potrebbe piacerle.

Se lei davvero mi conoscesse, saprebbe che sono già impegnata. Cè scritto anche sullo Specchio Magico.

Mi dispiace ma non sono solito leggere riviste di pettegolezzi. E comunque mi permetta di dubitarne, dal momento che, così bella e attraente, la vedo andare in giro di sera sola soletta: perciò il suo uomo o non la merita o non esiste. E se anche esistesse, vista la sua assenza, questo non mi sembra un valido impedimento per desiderare la sua compagnia.

Nonostante la sua eleganza, era evidentemente uno di quei molesti e appiccicosi importuni di cui una bella ragazza riesce a disfarsi con molta difficoltà; e tenete presente che io non avevo l'esperienza in questo campo che una ragazza affascinante si costruisce nel corso degli anni. Decisi per il momento di continuare a mangiare di gusto e lasciarlo parlare senza intervenire. E lui parlava come un torrente in piena.

Lavorava nel mondo del cinema. Si dava arie di essere un produttore cinematografico, ma doveva esserlo di assai basso livello, dal momento che non avevo mai sentito nominare nessuno dei suoi film e relativi attori. O forse non era affatto un produttore e ambiva a diventarlo. Chiaramente voleva il lustro di un nome più famoso nel cast di un film di cui si occupava, ed io sarei stata perfetta nella parte. Aveva già una copia del contratto pronta da firmare: me l'aveva poggiata lì, di fianco alla scaloppina ai funghi. Fui tentata di firmarla, ma col mio vero nome; oppure di prenderla e portarmela a casa per ricordo. Mi trattenni, per evitare futuri guai a me e alla Silvestrini, e mi limitai a rispondergli:

"Vedremo. Anche perché adesso per certe decisioni devo consultare la mia metà."

Terminato il dessert, lui stava ancora parlando.

"Il conto, per favore", chiesi al cameriere. Ma quello mi rispose cordialmente, accennando al signore al mio fianco, che qualcuno aveva già provveduto a pagarmi la cena.

Dal momento che si ostina a non mollarmi e a migliorarmi la vita, perché allora non si rende utile e mi accompagna alla Mela Avvelenata? Stasera avevo in programma di ballare.

Era un locale famoso perché frequentato per lo più da ragazzine, ed io proprio la ragazzina volevo fare quella sera. Speravo che un signore di mezza età in cravatta rossa si sarebbe trovato poco a suo agio in quellambiente.

"Ogni suo desiderio è un ordine per me", mi rispose lui cordiale e senza obiezioni. Con galanteria mi aiutò ad alzarmi e a rivestirmi. Prima di andarsene lasciò una lauta mancia sul tavolo, riprese il mio - anzi il suo - contratto e me lo porse: "Si sta dimenticando questo."

Io in quel momento stavo osservando con un certo dispiacere quel bel mazzo di rose che, ahi me, così bello ma ingombrante, non mi sarei potuto portare via neanche volendo fare la sfacciata. Ma almeno un fiore per ricordo ero decisa a prendermelo. "Hai ragione, e mi stavo dimenticando anche questi." Scelsi con cura alcune delle rose più belle, anche se in realtà sembravano proprio tutte uguali. A quel punto: "Purtroppo ho le mani impegnate. Sarebbe tanto gentile da ?"

Il contratto lo riprese lui. Mi fece strada alla sua macchina, una di quelle grosse e scure che hanno i personaggi ricchi e importanti; ma non fu lui bensì il suo autista, che poco prima avevo notato mangiare da solo nel nostro ristorante, ad aprirmi la portiera posteriore. Il mio cavaliere venne poi a sedersi al mio fianco.

"Alla Mela Avvelenata, Alfredo".

Mentre l'autista armeggiava con certi aggeggi elettronici, evidentemente per capire la strada da fare, il mio accompagnatore, come avevo previsto, propose una meta alternativa.

"Certo non è che sia un locale proprio adatto ad una persona di classe come te. C'è di molto meglio. L'Assassino. Il passero solitario. A mente te ne potrei elencare almeno una decina di locali migliori. Ti assicuro che persino a casa mia troveresti una musica ed un'atmosfera più accogliente."

Immaginavo che sarebbe arrivato a propormi di andare a casa sua, e non fosse stato per l'autista avrei anche temuto che mi ci portasse contro la mia volontà.

"Ho detto Mela Avvelenata, Alfredo: altrimenti sarò costretta a prendere un taxi".

Alla Mela Avvelenata mi scatenai come una pazza. Mi divertii in quella bolgia di ragazzini a farmi vedere più scalmanata ed esplosiva di loro. Ballai tutta la notte sul cubo quasi senza interruzioni, se non ogni tanto per dissetarmi un po'. Chissà - con tutto quello che si dice sulle droghe che girano in discoteca - forse proprio quelle bevande energetiche mi dettero una carica particolare. Fatto sta che, dopo non so quante ore che ballavo, mi resi conto che nella discoteca cominciava ad esserci sempre meno gente. Non c'era più neanche il mio accompagnatore dalla cravatta rossa, che pure era rimasto con pazienza ad aspettarmi tanto tempo: non sapevo neanche io se esserne contenta oppure delusa. Alla fine rimanemmo praticamente soli io ed il DJ.

Alla Mela Avvelenata mi scatenai come una pazza. Mi divertii in quella bolgia di ragazzini a farmi vedere più scalmanata ed esplosiva di loro. Ballai tutta la notte sul cubo quasi senza interruzioni, se non ogni tanto per dissetarmi un po'. Chissà - con tutto quello che si dice sulle droghe che girano in discoteca - forse proprio quelle bevande energetiche mi dettero una carica particolare. Fatto sta che, dopo non so quante ore che ballavo, mi resi conto che nella discoteca cominciava ad esserci sempre meno gente. Non c'era più neanche il mio accompagnatore dalla cravatta rossa, che pure era rimasto con pazienza ad aspettarmi tanto tempo: non sapevo neanche io se esserne contenta oppure delusa. Alla fine rimanemmo praticamente soli io ed il DJ.

"Scusami, bella: sei stata davvero grande, la più brava di tutte. Io però adesso devo andare. La serata può dirsi ormai finita da un pezzo: tra neanche un'ora sorge il sole. Io ho un impegno importante più tardi, e prima mi devo riposare un poco. Ma se vuoi ci rivediamo qui stasera."

In effetti erano quasi le sette. Vado un po' a casa a riposarmi, pensai, anche se non mi sentivo affatto stanca. Avevo voglia di fare ancora mille altre cose emozionanti e divertenti, non certo di dormire. Prima però mi ci voleva una bella doccia.

Con questa intenzione tornai a casa con la metropolitana, che aveva già ripreso servizio.

Ero quasi arrivata, praticamente sotto casa mia, quando vidi uscire dal portone i miei due figlioli con la loro madre che dico, sono io la loro madre: con la loro baby sitter che proprio sembrava me.

Mi meravigliai perché era più presto del solito, e li seguii. Già: mi venne in mente che Enrica non aveva la patente (e neppure possedeva un'automobile), e quindi quel giorno li avrebbe accompagnati a piedi. Si rivelò scrupolosa e previdente, perché alla fine riuscì comunque a farli arrivare a scuola per l'ora prefissata.

Li seguii da lontano fino a scuola, ed attesi che Enrica ne riuscisse da sola per parlarle.

"Allora, Enrica, tutto a posto? Come ti stai trovando nel ruolo di mamma?". La presi di sorpresa: sicuramente non mi avrebbe riconosciuto se non le avessi parlato.

"Non male, direi. Ho promesso loro che, se fossero stati buoni, nel pomeriggio li avrei portati al Luna Park, perché so che gli piacerebbe tanto e che non ci sono mai stati. Anche tuo marito è d'accordo. E così sono stati due angioletti."

"Ottima idea", condivisi. "E se ti servisse l'aiuto di una baby sitter, non esitare a chiamarmi." Accostai alla mia guancia il mio pugno come un immaginario telefono.

"Già, una baby sitter. Magari per stasera, se ho voglia di passare qualche oretta da sola con il mio maritino. Caso mai ti chiamo. Ora vado, che ho un po' di sfizietti da levarmi con questa mia nuova faccia, e ah, mi raccomando, tieni nota dei miei straordinari!"

Andava davvero di fretta e non feci in tempo a risponderle. Ma poi risponderle cosa? Le sue parole mi lasciarono dapprima interdetta ma, soprattutto, preoccupata e stizzita. Lei non era sposata, e quindi, a meno di un suo fidanzato a me ignoto, il maritino di cui parlava era in realtà il mio maritino. E cosa voleva farci sola soletta per qualche ora? E che sfizietti voleva levarsi con la mia faccia? Forse qualcuno se l'era già tolto con mio marito. Quanto ai suoi straordinari, forse non aveva poi tutti i torti, anche se molte di quelle ore da mamma le aveva trascorse dormendo. Magari, pensai, se e quando tutta questa strana storia finirà discuteremo insieme di tutto ciò.

Ora però avevo anch'io alcuni sfizietti da togliermi con la mia nuova faccia. Tornai a casa, mi feci una bella doccia, mi cambiai e mi preparai per nuove emozioni.

Il guardaroba di Enrica era, a mio parere, veramente spropositato per una ragazza della sua età. Nondimeno ne fui molto contenta: passai almeno un quarto d'ora a provarmi ed a guardarmi addosso i suoi vestiti, come se fossi in un negozio. Alla fine uscii di casa che ero davvero molto simile alla Silvestrini come compariva a pagina 24 dell'ultimo numero dello Specchio Magico.

Già sulla metropolitana più d'uno mi guardò in modo strano, e due ragazze mi si fecero incontro per chiedermi se ero la Silvestrini. Io negai, quasi istintivamente, ma in realtà un attimo dopo mi ero quasi pentita di averlo fatto. Così, quando arrivai a Cinecittà ed alcuni ragazzi - che aspettavano là fuori chissà cosa o chissà chi - mi chiesero un autografo, non mi tirai indietro. Però che firma fare? Alla fine tirai fuori uno sgorbio tale, che sfido chiunque a capire cosa ci fosse scritto.

Di autografi ne firmai forse dieci o venti, prima di riuscire ad arrivare alla guardiola della portineria facendomi largo tra quella folla di giovani in attesa.

"Venga, venga, signorina. Ma la prossima volta farebbe meglio ad entrare dall'altro ingresso. E magari arrivare un po' prima: lei sa com'è, quando ci sono i provini."

"Mi scusi, dovrei andare nello studio dove stanno registrando quella fiction non mi ricordo come si chiama: quella con la Silvestrini".

"Oh, ma che mi sta prendendo in giro? Ma non è lei la signorina Silvestrini?"

"Beh, veramente "

"Ah, ho capito. Tu devi essere la controfigura, quella che stavano cercando da tanto tempo. Beh, in effetti ci somigli parecchio: credo che saranno molto contenti di vederti. Lo studio è il numero 3, in fondo a sinistra." Lo ringraziai, e mi incamminai nella direzione che mi aveva indicato.

Quando mi affacciai timidamente nel capannone all'apparenza vuoto e addormentato dello studio 3, il mio arrivo portò una certa agitazione nell'unica persona là presente, un certo Alvaro.

"Signorina Silvestrini, è arrivata! Pensavamo che non sarebbe venuta, che fosse ancora ammalata. Chiamo subito il regista, ne sarà contento."

"Non sono la signorina Silvestini", mi affrettai a precisare, "ma ho sentito dire che cercavate una controfigura per lei."

"Benissimo. Mi sembri perfetta. Li avviso subito."

Per telefono Alvaro non riuscì a contattare il regista, ma parlò con qualcun altro che gli disse di non farmi andare via, e che dopo pochi minuti si presentò lì.

"Ci sono ancora da fare tutte le scene su moto e motorini", mi disse. "Purtroppo la Silvestrini ha una gran paura delle moto, e sembra che non ci sia proprio verso di fargliela passare. Le prende proprio il panico. Ma quelle scene bisognerebbe comunque girarle. A proposito, lei sa guidare una moto?"

"Io veramente ". Mi sentivo imbarazzata. Sì, occasionalmente da giovane ero salita in sella dietro a qualche ragazzo, anche su moto potenti. Ma guidarle proprio non mi pareva di averlo mai fatto.

"Non si preoccupi, signorina. Non è che serva fare chissà cosa. In teoria potrebbe anche non avere la patente, se ci arrangiamo a girare in qualche zona privata. Adesso sentiamo il regista. Io direi di iniziare da quelle in cui lei sta dietro e guida Alfonso, se riusciamo a trovarlo in tempi decenti. Intanto vedo se riesco a procurarmi una di quelle moto elettriche che volendo saprebbe guidare anche un bambino. Sempre che sappia andare almeno in bicicletta."

"Si, si, quello si."

Alfonso prima delle undici non poteva arrivare. Così ebbi parecchio tempo per fare pratica con la moto elettrica. Davvero non proprio come una bicicletta: un vero stress, devo dire. Però tutti i presenti si mostrarono davvero molto pazienti e disponibili ad insegnarmi e ad aiutarmi.

Alla fine con la moto elettrica me la cavavo bene, e ci fu il tempo per farmi provare anche un motorino normale.

Quando finalmente arrivò Alfonso Cardinale (una faccia nota, protagonista di una serie di spot pubblicitari molto conosciuti su un dentifricio), mi fecero cambiare vestiti e mi diedero una sistemata secondo le esigenze del copione. Per le riprese uscimmo in moto per le strade della città, col casco, Alfonso alla guida ed io seduta dietro a lui; ci seguivano un furgoncino e un'altra moto con la troupe e gli operatori.

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