Racconti Buonisti - Marco Fogliani 3 стр.


"Sorridi e tieniti stretta a lui con fiducia. Pensa che ne sei innamorata", mi raccomandarono prima delle riprese che durarono parecchi minuti ma, come dissero forse solo per tranquillizzarmi, sarebbero risultati solo pochi secondi nel prodotto finale.

"Più rilassata. Stai tranquilla, e cerca di sentirti più a tuo agio. Non sei mica sotto la minaccia di una pistola", mi sentii dire diverse volte, con leggere varianti, durante i numerosi ciak delle scene con Alfonso.

Poi invece la scena in cui partivo da sola col motorino andò molto meglio, anche perché da copione dovevo essere nervosa e preoccupata. Ma di queste riprese non ricordo gran che, se non alla fine l'aiuto regista che mi disse:

"Bene, abbiamo finito. Lascia ad Alvaro il tuo nominativo, se non l'hai già fatto, e con il foglio che ti darà presentati all'amministrazione per il compenso non prima di una settimana. Ora riprendi pure le tue cose. Mi raccomando, lasciaci tutti i vestiti e gli accessori di scena. Se non vuoi tornare a Cinecittà, puoi cambiarti sul furgone."

Seguii alla lettera le sue istruzioni. Quando alla fine uscii dal furgone mi accorsi che tutti stavano aspettando me, come una diva ma solo per potersene andare. O almeno, tutti tranne Alfonso, che mi porse nuovamente il casco.

"Posso avere il piacere di accompagnarti a casa?", mi chiese. "Tanto la mia moto e la mia guida le conosci, sai che ti puoi fidare".

Io ero sfinita, accaldata e per giunta affamata. Sicuramente tornare a casa in moto sarebbe stato più veloce e piacevole che non coi mezzi pubblici.

"Con piacere", gli risposi, "basta che non vai troppo forte."

"D'accordo", mi rispose lui. E partimmo.

Ero convinta che di solito un uomo, portando dietro di sé una donna in moto, cerchi sempre inconsciamente di spaventarla con la velocità, in modo da far si che lei si stringa a lui e lo abbracci forte. Un contatto fisico ed un senso di potenza e protezione che, pensavo, fanno sempre piacere anche a lei, ma soprattutto a lui. Ebbene quel giorno dubitai di questa mia convinzione.

"Più rilassata. Stai tranquilla. Cerca di sentirti più a tuo agio", mi disse in un paio di occasioni, scimmiottando i precedenti consigli dell'aiuto regista. Non pensai ad una sua burla perché certamente, così senza pensarci, lo stavo stringendo troppo: ebbi persino il dubbio di fargli male. Fatto sta che allentai la presa. Lui andò veramente piano ed io mi sentii davvero piacevolmente a mio agio. Tanto mi stavo rilassando che avrei rischiato di addormentarmi in quella posizione, pensai lungo il tragitto. Notai che non stava facendo la strada più breve, ma una specie di giro panoramico della città. Però non dissi niente: anzi, mi piacque molto, e quando mi resi conto che stavamo arrivando a casa ne ero quasi dispiaciuta.

Una volta arrivati, scesi dalla moto, mi tolsi il casco e lo ringraziai.

"Posso darti un bacio?", mi chiese lui a bruciapelo.

"Si", risposi io a bruciapelo, "ma sulla guancia, oppure sulla fronte, se preferisci." Non mi sentivo più coraggiosa come una ventenne, come la Silvestrini, tanto da cominciare una nuova avventura sentimentale, e per giunta proprio sotto il portone di casa mia.

Alfonso mi diede un bacio sulla guancia, ed uno sulla fronte; e ciò bastò per farmi avvampare. "Si capisce subito che non sei un'attrice, e che non potresti neanche mai diventarlo", mi disse sorridendo prima di ripartire in moto.

Probabilmente aveva ragione, e non mi dispiaceva affatto. Attori e attrici divorziano spesso, creando e distruggendo fragili famiglie, riflettei pensando con nostalgia alla mia cara famigliola. Mi toccai la fede sul mio dito, tanto per verificare che fosse ancora lì: fu allora che mi venne in mente che non l'avevo tolta durante le riprese, e nessuno se l'era ricordato. Chissà, magari avevo rovinato tutta la scena.

Tra questi pensieri salii a casa di Enrica, misi qualcosa sotto i denti ed esausta mi buttai sul primo letto che trovai, e mi addormentai.

Mi risvegliai con la suoneria di un cellulare. Che strano sogno ho fatto, pensavo mentre cercavo prima di localizzare la fonte di quel suono e poi, una volta cessato, di orientarmi per capire dove mi trovassi.

Poi suonò il campanello, ed io, realizzato dove mi trovavo e perché, andai ad aprire. Era Enrica, tornata quella di sempre.

"Bene, vedo che anche tu non hai usato la lacca e sei tornata in te. Per fortuna, altrimenti i tuoi figli sarebbero rimasti qualche ora senza mamma."

Mi guardai allo specchio e constatai, con un certo sollievo, che quello che diceva era vero.

"Io sono uscita che loro dormivano. Se ti chiedessero perché per buttare la spazzatura. E adesso vai, se no potrebbero preoccuparsi o insospettirsi."

Ci scambiammo nuovamente le chiavi e il telefonino. Io presi anche la spazzatura, e uscii di casa a buttarla.

Era domenica mattina presto e, nonostante avessi dormito per un sacco di tempo, mi sentivo ancora assonnata. Rientrai a casa, stavolta la mia, e senza far rumore mi svestii, mi infilai nel mio letto e mi rimisi a dormire.

IL CAMPIONE E LO STUDENTE

Ha capito la domanda? Giovanotto: mi sta a sentire si o no?

Riccardo sembrava assente, del tutto indifferente a quanto gli stava dicendo il professore al cui cospetto si trovava seduto per affrontare un esame universitario.

Ehi, ragazzo: dico a te.

Il tono di voce stava salendo, segno che il docente stava perdendo la pazienza; ma la giovane assistente intervenne in difesa dello studente.

La prego, non alzi troppo la voce, professore. Una volta ho avuto a che fare con una ragazza che soffriva di una forma leggera di epilessia. Anche lei aveva dei momenti in cui la mente era come assente. Dicono che in questi casi la cosa migliore sia aspettare che tornino in loro. Gli lasci cinque minuti per riprendersi. Lo conosco bene, ha frequentato tutte le esercitazioni e mi pare un ragazzo molto preparato: non può non conoscere questo argomento basilare.

Va bene. Se ha qualche problema di salute, veniamogli incontro; ma non la passerà liscia se scopro che si prende gioco di me. Comunque non abbiamo tempo da perdere. Gli esaminandi sono tanti. Passo ad un altro ragazzo, poi quando ho finito vediamo come si sente.

Lassistente rimase seduta vicino a Riccardo chiamandolo dolcemente per cognome, e poi anche per nome, e poco dopo riuscì ad avere la sua attenzione.

Ci sei? Ti senti bene adesso?

Si, direi di si. Perché? Cosa è successo?

Sembravi altrove. Il professore parlava e tu non gli davi retta.

Ho avuto limpressione come di essere in volo. Mi sentivo leggero e strano.

Hai qualche problema di salute? Che so io, ti è già capitato di avere qualche piccola amnesia temporanea?

No, non che mi ricordi. Anche se ultimamente ho fatto un sogno strano. Sognavo che

Allora, giovanotto: si sente meglio adesso?, intervenne il professore che, vedendolo parlare, si era avvicinato.

Si, mi sento meglio.

Se la sente di iniziare lesame? Dei suoi sogni, se vuole, ne parla dopo con qualcun altro.

Si professore, sono pronto.

Linterrogazione andò molto bene.

Le metto trenta, se però mi promette di tenere docchio la sua salute, gli propose l'esaminatore.

Riccardo annuì.

Il professore si era già allontanato, mentre lassistente procedeva alla verbalizzazione.

Se può esserti utile, posso darti il nome di un mio amico, docente a medicina e specialista in problemi neurologici. E molto bravo, ed opera sia in strutture pubbliche che private. Riccardo fece nuovamente cenno di si con il capo.

Linterrogazione andò molto bene.

Le metto trenta, se però mi promette di tenere docchio la sua salute, gli propose l'esaminatore.

Riccardo annuì.

Il professore si era già allontanato, mentre lassistente procedeva alla verbalizzazione.

Se può esserti utile, posso darti il nome di un mio amico, docente a medicina e specialista in problemi neurologici. E molto bravo, ed opera sia in strutture pubbliche che private. Riccardo fece nuovamente cenno di si con il capo.

Non sottovalutare questo problema: potrebbe avere brutte conseguenze anche sul tuo iter scolastico. Hai unottima media, e sono convinto che, se non fosse stata per la tua falsa partenza, avresti avuto la lode anche oggi. Sei molto brillante, hai le carte in regola per ambire a qualcosa in campo universitario: borse di studio, dottorato, specializzazioni. A proposito, se vuoi già cominciare ad approfondire questa materia in ottica tesi, vieni pure a trovarmi quando vuoi: in questo dipartimento si lavora bene, e sappiamo apprezzare chi lavora bene.

Riccardo archiviò anche quellesame con soddisfazione, preparandosi come sua abitudine a qualche giorno di riposo e spensieratezza; tuttavia le parole dellassistente lo fecero pensare.

Rifletté non tanto sulla necessità di farsi visitare ( magari se mi succede ancora; ma un professore di grosso calibro chissà quanto vuole, pensò), quanto sullopportunità di iniziare già a interessarsi alla tesi e ad un futuro nelluniversità. Ma soprattutto doveva informarsi sulle possibilità di borse di studio: sapeva che per papà era un vero sacrificio farlo studiare.

La domenica successiva era già pianificato che sarebbe andato allo stadio in compagnia. Non ci andava mai perché gli sembrava che costasse troppo e perché non era poi così tifoso della squadra cittadina come i suoi amici; ma stavolta la sua comitiva disponeva di un biglietto in più. Lavevano avuto a poco prezzo gli avevano detto - da un ragazzo che non poteva venire. Se avesse approfondito largomento, Riccardo avrebbe scoperto che era un modo carino per festeggiarlo senza ferire il suo orgoglio (perché difficilmente avrebbe accettato di venire senza pagare), e al tempo stesso realizzare il suo desiderio di vedere dal vivo Raul Francisco, astro nascente del calcio brasiliano.

Peccato che Raul Francisco non giochi nella nostra squadra, ma contro. Guai a te se fai il tifo per la squadra sbagliata, gli dicevano i suoi amici prendendolo in giro.

Ma perché - vi starete chiedendo - tanta curiosità di vedere allopera quel giocatore? Semplice: perché tutti dicevano che Riccardo gli somigliava tantissimo. Gli era persino capitato che qualcuno lo fermasse per strada e gli chiedesse un autografo, o che gli dicesse: Bravo, sei forte!.

Erano addirittura nati nello stesso anno, anche se in continenti diversi.

E come avrei potuto diventare io, con un po di fortuna, pensava alle volte Riccardo. Forse avrebbe anche potuto odiarlo; e invece, vai a capire la mente umana, divenne il suo idolo. Da quando laveva scoperto raccoglieva tutte le sue foto, tutte le notizie che trovava su di lui.

Andando allo stadio sapeva in cuor suo che avrebbe tifato per dodici dei giocatori in campo, e per uno più degli altri; e anche i suoi amici lo sapevano.

La notte prima della partita fece un altro strano sogno. Ne ricordò qualcosa, ma non lo raccontò a nessuno: Mi prenderebbero in giro, pensò; sarà solo linteriorizzazione dellemozione di vedere il grande Raul.

Si ricordava di essere stato in aereo, con la sua borsa sportiva e la tuta gialla e blu come quella di tutti gli altri passeggeri. Poi si era visto sulla spiaggia impegnato in una interminabile partita di pallone, bella ma stancante, durante la quale più di una volta aveva anche segnato ed aveva ricevuto complimenti sia dai compagni che dagli avversari. Ma quello che ricordava di più era la stanchezza; tanto che quando si svegliò al mattino gli pareva di sentire ancora i polpacci e le cosce dolenti.

E dire che Riccardo non giocava quasi mai a pallone, decisamente non ne era molto capace.

La domenica pomeriggio si ritrovò in curva coi suoi amici e altri tifosi che facevano un fracasso continuo ed inimmaginabile. Dopo un quarto d'ora di gioco il risultato non era cambiato. Era chiaro però che il migliore, a metà campo, era proprio Raul Francisco. Riccardo avrebbe voluto incitarlo e gioire per le sue prodezze, ma trovandosi circondato da tifosi biancorossocrociati, ossia della squadra di casa, si doveva trattenere. In più, per prendersi gioco di lui, i suoi amici inveivano regolarmente contro il campione brasiliano ogni qual volta toccava palla, ed incitavano i difensori a commettere interventi cattivi contro Raul.

Ad un tratto ce ne fu uno più violento degli altri nei confronti della caviglia di Francisco. "Bene, bene così. Più deciso la prossima volta", gridò uno dei suoi amici sperando che il campione dovesse lasciare il campo.

Il brasiliano rimase a terra dolorante. Sebbene l'autore del fallo fosse stato ammonito, la reazione della curva a quell'intervento fu di unanime esultanza. Ci fu qualcuno che cominciò a far scoppiare dei petardi, in una specie di scarica. Alla fine ce ne fu uno, isolato, che a Riccardo sembrò molto più forte ma in realtà era solo più vicino. Ne rimase stordito; dopo un attimo di sordità completa gli si annebbiò la vista, tanto che sentì il bisogno di chiudere gli occhi e di coprirseli con le mani.

Li riaprì quasi subito, riprendendo pieno possesso di tutti i suoi sensi. Incredulo, si rese conto di provare una fitta di dolore terribile alla caviglia. Il dolore si attenuava mentre un signore in tuta gialla e blu gliela fasciava stretta stretta.

"Adesso ti passa tutto. Puoi riprendere a giocare, non è niente", gli disse mentre Riccardo, stupito, constatava di indossare calzoncini corti e scarpini da calcio, e di essere seduto in mezzo al campo di gioco, percependo distintamente l'umidità del prato ed il solletico dei fili d'erba sulla pelle delle gambe.

"Dai, su: prova ad alzarti", e mentre si rimetteva in piedi scoprendo che effettivamente il dolore si era trasformato in un minimo fastidio, sentì la folla dello stadio fischiare e gridare a gran voce: "Ra-ul, Ra-ul"

Guardò in alto, e vide centinaia, forse migliaia di persone che acclamavano a lui, anzi a Raul, o forse era la stessa cosa.

"Sì", pensò, "magari poi ci andrò dallo specialista: ma adesso proprio non posso deluderli".

Cominciò a muoversi e a correre. "Forse è un sogno come stanotte", pensò. Ricevette subito un passaggio, ma perse palla malamente. Qualcuno fischiò. No, non era esattamente come nel sogno della notte prima. Ricevette un'altra palla e non riuscì neanche a controllarla; stavolta i fischi furono molto sonori. Gli altri sì che sapevano giocare, pensò. Si rese conto che non poteva rimanere in mezzo al campo. Fu preso da un tale sconforto, una tale disperazione, che il dolore alla caviglia gli parve riacutizzarsi. Si lasciò cadere per terra, pensando: "Se è un brutto sogno, forse mi sveglierò". Ed invece non si svegliò. Rimase per terra, con le mani a coprirsi gli occhi, più per la vergogna che per il dolore, finché alla prima pausa di gioco non tornò il signore di prima in tuta gialla e blu.

"Che hai, che ti ha preso?", gli chiese quello.

"No, non posso continuare a giocare. Mi deve far sostituire, assolutamente. E' l'unica cosa da fare."

Poi, fingendo di zoppicare e sorretto da quello che evidentemente era il medico della squadra, si portò oltre la linea laterale del campo, a ridosso della panchina. Nonostante il disappunto dell'allenatore, con gran sollievo di Riccardo entrò poco dopo il suo sostituto; e Riccardo (Raul per tutto il resto del mondo), dopo qualche ulteriore controllo da parte del medico, prese posto in panchina.

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