Due. Dispari - Federico Montuschi



Federico Montuschi


Due. Dispari

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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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Milano, due anni prima

And the big wheel keep on turning,

Neon burning, up above.

(Dire Straits)

Dal Corriere della Sera, mercoledì 3 Aprile 2013. Pagina di cronaca nera.

Milano si è risvegliata ieri mattina con un duplice omicidio, nella zona di piazzale Loreto.

Una giovane donna, Malika Rubessa, che stava attendendo lautobus per recarsi al lavoro, è stata colpita a morte poco prima delle sette di mattina da un proiettile sparato da un appartamento poco distante, nel quale la polizia ha rinvenuto il cadavere di Paolo Ficini, trentenne collega della donna uccisa.

Dalle prime indagini risulterebbe che Ficini abbia sparato alla collega, prima di essere a sua volta colpito da uno sparo esploso a bruciapelo da un ignoto, dileguatosi dopo lomicidio.

Sulla porta dingresso non risultano segni di effrazione, ma nellappartamento, dal quale è stata sottratta una cassaforte, gli inquirenti avrebbero trovato chiare evidenze di una violenta colluttazione. Il caso risulta complesso, ma la polizia sta valutando tutte le piste per rintracciare lassassino []

13 Dicembre 2013

trovando il Diesis fra il MI e il FA.

Laereo decollò da Milano nel primo pomeriggio.

Duke, con il suo posto di prima classe, biglietto di sola andata, si godeva il volo intercontinentale con la gentilezza di plastica delle hostess, sorseggiando un Daiquiri e ammirando, da dietro i suoi Ray-Ban comprati in aeroporto, la luce del sole sopra le nuvole.

Ripensò per un solo attimo al viaggio in Croazia di qualche mese prima.

Quel week end, nato in modo quasi casuale, gli aveva cambiato la vita. Un nuovo passaporto, una nuova identità, un portafogli pieno. Anche le cure intensive della clinica privata milanese avevano già avuto leffetto sperato e le zone dombra nella sua memoria sembravano davvero dissolte.

Un sorriso gli comparve sul volto disteso e, girandosi verso la hostess bionda, chiese un altro Daiquiri.

Costarica, Primavera 2015

Head full of dreams unclear

Make the days seem twice as long.

(Ben Harper)

La primavera del 2015 fu, per il villaggio di Burgos e per tutto il Costarica, particolarmente fredda.

Alle canoniche piogge torrenziali che dal mese di Aprile accompagnano i pomeriggi dei ticos costaricani, quellanno si era affiancato un abbassamento inaspettato delle temperature, che aveva portato alla maggior parte degli abitanti del villaggio le tipiche malattie della stagione fredda.

Lispettore Castillo non aveva fatto eccezione.

Aveva da poco superato i cinquantanni e, a memoria, lultima volta che aveva avuto la febbre alta frequentava la quarta elementare.

Al tempo era un bimbo esile, con presunti problemi di crescita (pesava poco più di venti chili e non superava il metro e venticinque di altezza); ora era un uomo massiccio (nessuno si poteva permettere di dargli del grasso!), si avvicinava al metro e ottanta e pesava quasi un quintale.

Due baffoni neri gli si stagliavano sul viso olivastro, dando risalto agli zigomi alti e ben pronunciati; la signora Conchita non smetteva di ricordargli che, da giovane, assomigliava a Clark Gable e che avrebbe fatto meglio a intraprendere la carriera cinematografica piuttosto di quella investigativa, visti i risultati ottenuti.

In quelle circostanze, Castillo lasciava parlare la moglie, alzando impercettibilmente il sopracciglio sinistro, e si ficcava in bocca il sigaro tagliato che teneva sempre in tasca.

Non lo fumava da ormai dieci anni - tanto era il tempo passato dallinfarto ma succhiarlo di tanto in tanto gli stimolava la concentrazione e soprattutto, in condizioni di stress, gli dava sollievo, riappacificandolo momentaneamente col mondo.

Da dieci giorni non riusciva ad alzarsi dal letto, la febbre che non scendeva sotto i trentanove gradi gli impediva di reggersi sulle gambe - già di per sé non particolarmente forti, considerato che da tempo non praticava alcun tipo di sport - e la tosse ancora secca non poteva che peggiorare nei giorni successivi.

Tutto sommato, essendo un uomo molto pragmatico e tendenzialmente ottimista, Castillo riusciva ad apprezzare i lati positivi che la situazione presentava: in quei giorni di malattia, la signora Conchita, per esempio, gli serviva colazione, pranzo e cena a letto e addirittura lo assecondava quando lui la chiamava per cambiare i canali del vecchio televisore Saba, costruito quando ancora i telecomandi non esistevano e sopravvissuto chissà come per più di trentanni agli inevitabili acciacchi di unormai veneranda età, oltre che ai maltrattamenti di Castillo nei suoi rari momenti dira domestica.

In più, terminata la colazione, le figlie Mar e Carmen - ventidue e ventanni di età - gli portavano il quotidiano nazionale e quello locale, appena sfornati dalledicola in fondo alla strada, e per due ore Castillo si godeva la lettura integrale dei giornali, un privilegio che, da sano, neanche la domenica riusciva a garantirsi.

Un paio di volte al giorno chiamava in ufficio, per verificare se fosse tutto a posto.

Rispondeva immancabilmente lo Slavo - e chi sennò? - il suo unico dipendente, potendo definire dipendente qualcuno che, senza avere paga fissa, risponde al telefono, sbriga le commissioni burocratiche dellufficio, pulisce le scrivanie una volta a settimana e fa anche da autista nelle uscite di lavoro in giro per il paese.

Per fortuna, almeno dal punto di vista della salute, quel ragazzo sembrava indistruttibile.

In quei giorni di malattia, in assenza di eventi o dinformazioni di particolare rilevanza (non che in quel paesino ci fosse mai troppo lavoro per un ispettore privato, a dire il vero) quelle telefonate fra Castillo e lo Slavo si risolvevano inesorabilmente in un rispettoso scambio di convenevoli, con auguri finali di pronta guarigione da parte dello Slavo nei confronti del suo capo.

Quella mattina non fece eccezione.

«Pronto, ciao, sono io, Castillo».

«Ah, buongiorno, ispettore, tutto bene?».

«Decisamente no, Slavo, ho ancora la febbre e la tosse non passa. Quando ero ragazzo con un freddo come questo andavo in giro a torso nudo! Ora mi è bastato camminare dieci minuti con un alito di vento fresco per ammalarmi».

«Mi dispiace, signor Castillo».

«Tutto bene in ufficio? Sono arrivate le bollette di Marzo? Devo controllare se mi hanno tolto il canone del modem».

«Sì, sì, sono arrivate, gliele ho lasciate nel primo cassetto».

«Aprile subito e controlla se mi fanno pagare ancora il modem».

«Aspetti un attimo che le vado a prendere».

Lo Slavo lasciò la cornetta sul tavolo - lufficio dellispettore non era dotato di cordless, troppo costoso per lutilizzo che ne faceva - e a passo svelto raggiunse la scrivania di Castillo, aprì il primo cassetto, estrasse la bolletta e tornò al telefono. «Eccomi. Allora, aspetti un attimo che verifico».

«Dai, che fra un po devo fare il sonnellino del mattino, sennò come faccio a guarire?».

A Castillo parve di vedere il mezzo sorriso che comparve sulle labbra dello Slavo.

«Mmm direi di sì, ci stanno ancora addebitando il canone del modem. Seicento novanta colon, capo».

«Ma come? Non avevi disdetto il contratto il mese scorso? Già siamo in un bel periodo di vacche magre, se poi spendiamo per cose che non ci servono dove finiremo? Maledetti quelli di Telefonica!».

«Sì, sì, capo, avevo disdetto, avevo disdetto, stia calmo. Più tardi sento io Telefonica, vedrà che sistemo tutto. E poi, capo, il fatto che nel 2015 Internet non ci serva secondo me è tutto da dimostrare».

«Facile a dirsi, per te che non paghi» ringhiò Castillo, interrompendo bruscamente lo Slavo, che sembrò non farci caso.

Conosceva lispettore e la sua indole bonaria da quasi un anno e mezzo, ormai, e cioè da quando una tiepida mattina di Gennaio, poche settimane dopo essere arrivato a Burgos ed essersi installato nella Locanda Hermosa, sbirciando di passaggio linterno dellufficio di Castillo e trovandolo particolarmente in disordine, si propose allispettore per dargli una mano nelle faccende operative.

Altro non sapeva fare, lo Slavo, ma aveva voglia di ricominciare la sua vita in quella nuova realtà, anche partendo dal basso.

Castillo aveva accettato, specificando che non gli avrebbe dato un salario fisso, considerate le ristrettezze economiche in cui versava; lo Slavo aveva accettato senza lamentarsi, visto che era arrivato dallItalia con un imponente carico di contanti, figli della sua vita precedente, che da una stima grossolana gli sarebbero comunque bastati per almeno cinquantanni di vita in Costarica.

Lo Slavo riprese con tranquillità la conversazione telefonica interrotta dal burbero intervento dellispettore.

«Piuttosto, ispettore, le volevo dire che questa mattina è passato un signore chiedendo di lei. Diceva che gli avrebbe fatto piacere conoscerla».

«E chi era?».

«Non lo so. È rimasto fuori dalla porta, aveva una sciarpa che gli copriva la bocca e gli occhiali scuri. In testa mi sembra portasse una specie di basco, o qualcosa di simile. È stata veramente una questione di attimi, appena gli ho detto che lei aveva la febbre ha girato i tacchi ed è sparito, dopo avermi squadrato da capo a piedi. Non mi ha messo molto a mio agio, sinceramente».

«Beh, se dovesse tornare digli che mi può chiamare a casa, senza problemi. Vuoi mai che ci sia finalmente qualcuno che ha bisogno di noi per risolvere un caso serio, invece delle solite baggianate. E ora metti giù e precipitati da Telefonica, chiarisci la questione del modem e fatti stornare laddebito in fattura, ok?».

«Sì, capo, ok, tranquillo, ci penso io. Buona giornata, ci sentiamo domani!».

Ma lo Slavo sapeva che la telefonata non poteva terminare in quel modo.

Effettivamente Castillo non gli diede il tempo di riattaccare.

«Dove credi di andare, furfante?».

Lo Slavo sbuffò, non prima di aver allontanato la cornetta dalla bocca. La voce dellispettore arrivò puntuale:

Relax, said the night man,

We are programmed to receive! You can check out any time you like... but you can never leave!

«Facile, capo Hotel California, Eagles».

«Anno?».

«1976».

«Bravo ragazzo. Ti trovo sempre ben preparato, mi fa piacere».

«Già. Grazie capo. A domani, si rimetta in fretta, mi raccomando».

Click.

Click.

A Castillo piaceva mettere alla prova lo Slavo sul rock.

Per lui era un segno di affetto (era una passione condivisa) e, in più, lo faceva sentire ancora giovane, illusione quotidianamente cancellata dallo specchio nel momento più impietoso della giornata, quello del primo mattino, col suo corredo di barba ispida e occhi pesti.

Lo Slavo stava al gioco, a volte divertito, a volte rassegnato.

In fin dei conti, lispettore era per lui il primo punto di riferimento importante, in quella terra straniera.

Castillo riattaccò il telefono, stanco come se avesse corso la maratona di San José, e si abbandonò a un profondo sonno ristoratore, cullato dal morbido materasso e avvolto nella coperta fino al mento, proprio come quando era bambino.

***

Lo Slavo era atterrato allaeroporto Juan Santamaria di San José, Costarica, una sera di Dicembre del 2013.

Aveva da poco superato i trentanni e proveniva da Milano, dove si era lasciato alle spalle un omicidio, una malattia mentale vinta grazie a cure costose e unidentità balorda, tutti elementi superati grazie a un nuovo passaporto (falso) e, soprattutto, a un nuovo portafogli (pieno).

Viaggiava carico di soldi provenienti da un traffico darmi nato in Croazia, qualche mese prima, al quale aveva partecipato quasi per caso, ma che gli aveva fruttato un bel gruzzolo di contanti, tenuti ben nascosti nel doppio fondo del bagaglio imbarcato sul volo intercontinentale Milano - San José.

Sapeva di rischiare, alla dogana, con quel carico di soldi nascosti, ma aveva confidato - non senza brividi - nelle maglie larghe dei controlli a campione svolti dalla polizia costaricana sui bagagli in ingresso.

Gli era toccata la sorte di non avere la valigia ispezionata e, superato anche il controllo dei documenti, aveva tirato un sospiro di sollievo, rendendosi conto proprio in quel momento che la fuga dal proprio torbido passato si era realmente concretizzata.

Fuori pioveva, una pioggia fine ma costante, fastidiosa, che gli penetrava prima nellanima che nelle ossa.

Uscendo dallaeroporto, si era infilato nel primo taxi disponibile e, in uno spagnolo un po stentato, ma comunque dignitoso, aveva chiesto al tassista di portarlo al quartiere italiano.

Il tassista, un tipo basso e sudato, con un mozzicone di sigaretta appeso alle labbra, lo aveva guardato strano.

Quel ragazzone biondo, alto, muscoloso, con la camicia a quadri e i Ray-Ban appoggiati alla fronte, nonostante fuori il buio avesse già abbracciato le stradine mal illuminate nella zona circostante laeroporto, gli ricordava il personaggio di un videogioco che lo aveva accompagnato anni addietro, ai tempi della scuola superiore.

Duke Nukem, se non ricordava male.

Il ragazzo viaggiava con un solo bagaglio e non smetteva di guardarsi in giro con occhi da furetto, che si spostavano con incredibile rapidità da destra a sinistra, mentre il capo si manteneva immobile.

«Non esiste un quartiere italiano a San José, signore» aveva sentenziato il tassista, senza girarsi.

Dal sedile posteriore non era giunto alcun commento.

Incerto sul da farsi, il tassista era rimasto a osservare nello specchietto retrovisore la reazione del ragazzo.

Nulla.

Nessun movimento di muscoli facciali, nessuna reazione emotiva.

Nessun tick nervoso.

Il tassista aveva aspirato una profonda boccata da quel che rimaneva del mozzicone di sigaretta e aveva atteso, tamburellando le dita sullappoggia braccio della sua Citroen Picasso blu.

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