Nessun tick nervoso.
Il tassista aveva aspirato una profonda boccata da quel che rimaneva del mozzicone di sigaretta e aveva atteso, tamburellando le dita sullappoggia braccio della sua Citroen Picasso blu.
La pioggia insisteva sul parabrezza e sul lunotto posteriore con martellante monotonia, ma questo non sembrava scomporre il passeggero.
Il tassista si era sentito nellobbligo di rompere quel silenzio che lo stava mettendo in uno strano imbarazzo:
«Non le voglio mettere fretta, ma per correttezza le dico che il tassametro è già partito».
«La ringrazio. Parta pure».
«E dove vado? Le ho detto che a San Josè non esiste una comunità italiana, mi spiace».
«Parta per favore. Faremo un giro nella zona circostante alla città. Le dirò io quando fermarsi, non si preoccupi».
Il ragazzo sembrava gentile.
Il tassista non era abituato ad avere passeggeri che utilizzassero frequentemente forme quali «la ringrazio», «per favore» o «non si preoccupi».
Aveva ingranato la prima ed era partito, accelerando poco a poco, cercando di staccare il meno possibile lo sguardo dallo specchietto retrovisore.
Quel ragazzo da un lato lo intrigava, ma al tempo stesso lo spaventava, o qualcosa di simile.
Aveva uno sguardo furtivo e innaturalmente rapido e non smetteva di accarezzare impercettibilmente la sua valigia, che non aveva voluto riporre nel bagagliaio, quasi in trance.
«Ha fatto un lungo viaggio?» aveva chiesto il tassista, più per prassi che per reale interesse.
Era la domanda più banale da rivolgere a un passeggero in arrivo da un volo intercontinentale.
«Sì. È la prima volta che prendo laereo. A dire il vero è anche la prima volta che esco dallEuropa».
«Lei è italiano?».
«Sì» aveva risposto il ragazzo quasi sovrappensiero, salvo poi correggersi subito « cioè no. Sono slavo, ma ho sempre vissuto in Italia. Manco lo parlo, lo slavo, ho vissuto in Jugoslavia fino a quattro anni, poi è scoppiata la guerra civile e i miei genitori sono scappati in Italia. Ho imparato litaliano e ho dimenticato lo slavo».
«È scoppiata una guerra civile in Jugoslavia?».
Il tassista si era vergognato della propria ignoranza nellistante stesso in cui aveva terminato di porre la domanda, ma ormai era tardi e la risposta del ragazzo non si era fatta attendere.
«Già, è scoppiata una guerra, anzi, sono scoppiate diverse guerre e che guerre! La federazione si è fatta letteralmente a pezzi, negli anni novanta. Prima la Slovenia, poi la Serbia, la Croazia, il Montenegro e tutte le altre regioni a ruota, una dopo laltra, guerre interne massacranti, con la comunità internazionale che stava a guardare. Meglio non commentare, davvero».
Il tassista, pentito di aver posto quella domanda così sconveniente per reggere il dialogo con uno sconosciuto, aveva deciso di lasciare per qualche istante un silenzio denso di pensieri per entrambi.
Era stato il ragazzo a riprendere la conversazione.
«Qui da voi invece le cose sono più tranquille, vero?».
«Beh, noi siamo la Svizzera del Centro America, non lo sapeva?».
«Francamente, no».
«Noi, dopo la guerra civile del 1948, abbiamo dismesso lesercito. A cosa serve un esercito in un paese come il nostro? Il governo ha destinato le risorse militari allistruzione e alla cultura. Ne siamo molto fieri. I nostri ragazzi studiano, invece di combattere. Pura vida, signore, pura vida».
Gli occhi del tassista si erano illuminati.
Era infinitamente orgoglioso della propria nazionalità e non perdeva occasione, durante ogni viaggio dallaeroporto verso la città, di decantare ai propri passeggeri le lodi del Costarica, terra unica, costellata di ricchezze naturali e di un patrimonio culturale, oltre che umano, inimitabile.
«E lo sa, signore, che il Costarica ha lindice medio di felicità più alto del mondo?» aveva proseguito, entusiasta.
Il ragazzo aveva risposto senza troppa enfasi.
«E cosa sarebbe, questo indice medio di felicità?».
«Semplice,» aveva ripreso il tassista «si tratta di una statistica elaborata a livello mondiale su centoquarantanove paesi, basata su un questionario che prevede ununica domanda: in una scala da zero a dieci, quanto si sente soddisfatto, complessivamente, della sua vita?».
«Interessante; e quali sono i risultati?».
«Beh, il Costarica è primo in classifica. Indice medio di felicità superiore a nove punti. Pura vida, eh?».
«Già» aveva concluso il passeggero laconicamente, quasi in contrapposizione allentusiasmo del tassista, continuando ad accarezzare la valigia.
Non aveva dato seguito alla discussione, distratto dallarrivo di un temporale e di un lampo che, inatteso, aveva squarciato il cielo scuro.
Al tassista sarebbe piaciuto continuare a tessere lodi della sua amata terra, dalla quale non si era mai allontanato in trentanni di vita, ma, nonostante gli sforzi, non aveva trovato alcuno spunto interessante per riempire il momento di silenzio che si era creato, inondato unicamente dal ticchettio della pioggia pesante sui vetri del taxi.
Lauto si era fermata a un semaforo.
Il tassista si era girato per un attimo verso il ragazzo, lo aveva guardato di sfuggita e il suo ghigno indecifrabile gli aveva provocato un disagio che si sarebbe risparmiato volentieri.
Era ripartito premendo a fondo il piede sullacceleratore, come se volesse fuggire dalla situazione che si era creata e, seguendo una strada quasi deserta immersa nelloscurità, aveva raggiunto in breve tempo le campagne circostanti laeroporto.
Il ragazzo non aveva smesso di guardarsi attorno e sembrava apprezzare quel vagabondaggio senza meta.
«Dove siamo?» aveva chiesto dopo qualche minuto di silenzio.
«Siamo nei pressi di Burgos, signore».
Il passeggero aveva scrutato lorizzonte fuori dal finestrino del taxi scorgendo, in lontananza, un paesino abbarbicato alle basse montagne del Costarica centrale.
Il buio ovattava i pochi rumori che provenivano da fuori.
Il temporale aveva lasciato spazio a un meraviglioso cielo stellato e a un intenso odore di zolfo, che aveva ricordato al ragazzo la sua infanzia in montagna.
Memoria olfattiva, la più radicata nei sensi delluomo.
«Burgos, ha detto? Perfetto. Mi lasci qui, per favore. Mi piace».
Il tassista aveva raggiunto in breve tempo il centro del paese, nel quale la locanda Hermosa contendeva da anni alla chiesa di San Isidro il dominio architettonico su piazza Allende.
Aveva accostato nei pressi dellingresso e, senza spegnere il motore, era sceso per aprire la porta al ragazzo.
«Sono trentacinquemila colon, signore» aveva detto senza guardarlo negli occhi, quasi vergognandosi con se stesso per la disonestà di quel prezzo.
Il ragazzo non aveva battuto ciglio, affondando la mano nella tasca laterale dei pantaloni ed estraendo un portafogli gonfio da sembrare sul punto di esplodere.
Apertolo, aveva fatto scivolare nelle mani del tassista quattro banconote da diecimila colon.
Prima che lo richiudesse, il tassista era riuscito a fissare per un attimo quel portafogli.
Non aveva mai visto così tanto contante fra le mani di una persona.
Ma non aveva avuto il tempo per farsi domande strane, perché il ragazzo lo aveva congedato nel migliore dei modi possibili, dal suo punto di vista.
«Tenga pure il resto. La ringrazio. Buon rientro, buona notte».
***
In una comunità ristretta come quella di Burgos non era facile ricoprire lincarico dispettore privato, soprattutto per uno come Castillo che aveva deciso di rifiutare, a prescindere, qualsiasi tipo di indagine legata a possibili infedeltà coniugali.
Per questo, in nome della propria coscienza deontologica, o, che dir si voglia, dellamor proprio che sempre lo aveva guidato nei momenti di decisione, negli ultimi mesi non aveva trovato neanche un incarico, eccezion fatta per unindagine su una truffa ai danni di una nonnina che si era vista sparire dalla notte alla mattina i risparmi di una vita dal conto corrente.
Una bazzecola, per uno come lui.
Aveva risolto il caso in meno di tre giorni, grazie anche ai propri amici di San José, vecchi compagni del comando di polizia nazionale, che, tramite analisi incrociate sui movimenti bancari dei parenti della signora, avevano individuato facilmente la mela marcia della famiglia, un nipote dal curriculum apparentemente immacolato ma noto alle forze dellordine locali per il consumo smodato di droghe sintetiche.
Non era la prima volta che la polizia gli passava delle indagini; succedeva soprattutto quando, come nel caso della nonnina, il comando di San José era impegnato su operazioni ben più importanti - quella volta si era trattato di narcotraffico internazionale - non sapendo che farsene di banalità di quel tipo.
In quelle circostanze la polizia si rivolgeva a lui, con una sorta di subappalto, sapendo di andare sempre a colpo sicuro.
Incarico consulenziale, con clausola di pagamento ex post, a caso risolto; il tutto senza alcuna formalizzazione, fra persone di fiducia ci si intende così e lui, dopotutto, era un ex collega che, dopo anni di onorato servizio, si era messo in proprio, ma aveva mantenuto tutti i contatti importanti che si era creato soprattutto nei tre anni in cui aveva ricoperto il ruolo di capo della polizia nazionale.
Era stato un periodo duro, con quel ruolo così importante, di unintensità mai provata prima: tre anni di sfide professionali da responsabile della polizia della capitale.
Un sogno, da bambino.
Ma poi la signora Conchita era stata malamente investita sulle strisce pedonali di un incrocio a San José da un povero ubriaco che cercava nella bottiglia unimprobabile consolazione alle proprie pene damore, e i dottori avevano detto a Castillo che la moglie, operata durgenza, sarebbe dovuta rimanere a riposo per almeno sei mesi.
E Castillo aveva avuto loccasione per rivalutare a freddo la propria situazione, riconsiderandola alla luce della nuova emergenza.
Pura vida era stato il tema ispiratore nei momenti chiave della sua esistenza.
Era unespressione la cui semplicità era inversamente proporzionale alla rilevanza del messaggio che trasmetteva.
Si era reso conto che, in quel particolare momento, pura vida significava poter lavorare a cinque minuti da casa, poter affiancare anche tutti i giorni, se necessario, la signora Conchita nella faticosa riabilitazione, poter seguire da vicino la crescita delle figlie, al tempo in piena adolescenza.
Pura vida.
La decisione fu presto assunta: il poliziotto Castillo, capo del comando di polizia nazionale a San José, riconsegnò la stella argentata al responsabile dellufficio del personale, accompagnata da una lettera di dimissioni irrevocabili per motivi familiari; affittò un bilocale sfitto nel centro di Burgos, proprio di fianco alla locanda Hermosa, e vi attaccò allingresso una vecchia placca dorata recuperata nel solaio di casa, regalo di qualche Natale precedente dei colleghi del comando per la risoluzione di un intricato caso di sfruttamento della prostituzione minorile, sulla quale con un punteruolo dacciaio cancellò, con lavoro certosino, la parola «Grazie», sovrascrivendola con «Isp.».
Gli sarebbe piaciuto completare lopera, scrivendo per intero «Ispettore», ma la fatica esagerata che gli era costata incidere le prime tre lettere lo fece desistere.
«Isp. Castillo», recitava la nuova targa.
Artigianale, ma efficace.
Lui si sentì rinascere.
Il paese di Burgos aveva finalmente un ispettore privato e lui, ancora una volta, aveva seguito il suo cuore per una decisione importante.
Pura vida.
Una festa
The walls started shaking,
The earth was quaking,
My mind was aching.
(ACDC)
Carmen non stava nella pelle per leccitazione.
Era una splendida domenica di sole e rientrava da San José, dove il giorno precedente aveva superato con il massimo dei voti il suo primo esame universitario.
Si era iscritta alla facoltà di Filosofia più per non deludere suo padre che per reale convinzione, ma riconosceva che i primi mesi di corso si erano rivelati una piacevole sorpresa.
Le materie, tutto sommato, erano interessanti ma era soprattutto dalle persone conosciute che aveva tratto i giusti stimoli per non pentirsi della scelta.
Le tornavano spesso in mente le parole di mamma Conchita che, pur non avendo viaggiato molto nella sua vita, amava ripetere che gli aghi della bilancia per valutare le situazioni sono sempre le persone, a prescindere dalla bellezza dellambiente circostante.
Passò il viaggio di rientro verso casa sullautobus che collegava San José a Burgos inviando messaggi alle amiche e postando selfie allegri su Facebook.
Scese alla fermata della stazione ferroviaria di Burgos e, per sfruttare al meglio il primo giorno di sole dopo più di due settimane di pioggia, decise di allungare il percorso a piedi verso casa, passeggiando in totale relax sul lungo fiume, accompagnata dalla musica dolce e coccolante di Bon Iver: lalbum For Emma, forever ago le era stato consigliato da Ronald, uno dei nuovi amici della facoltà, un ragazzo di San Josè decisamente interessante, con il quale fin dallinizio si era creata una particolare sintonia.
Sia verso lalbum di Bon Iver, sia verso il nuovo amico Ronald, Carmen provava le medesime intriganti sensazioni: non aveva ancora terminato di scoprirne le diverse sfumature e tonalità, e in ogni occasione trovava diverse chiavi interpretative della musica e della persona, scoprendo nuove intense emozioni.
Con lauricolare nelle orecchie e lo sguardo fisso sul display del telefono per verificare in tempo reale i like dei suoi amici ai precedenti post su Facebook, sincamminò sul sentiero sterrato che affiancava il fiume, costeggiando il bosco di pini di Burgos, noto per la sua aria balsamica.
Respirò a pieni polmoni e, per meglio godersi il momento bucolico, decise di staccarsi dallo smartphone, riponendolo alla belle meglio nella tasca anteriore della borsa a tracolla, già zeppa di quaderni e libri universitari.
Lerba umida attutiva i suoi passi.
Adorava quella sensazione di passeggiata sulle nuvole, amplificata dallimpatto cromatico del tramonto rosa e dallaria fresca che, dopo le giornate di pioggia, le accarezzava la pelle del viso.
Camminava spensierata, con spirito leggero e occhi sognanti, e forse proprio per questo non si accorse della caduta del telefono nel prato, proprio accanto a una panchina sulla quale sonnecchiava a pancia in su un uomo, con un cappello da baseball calato sugli occhi e coperto sulladdome e sulle gambe da un foglio di giornale aperto.