E Non Vissero Felici E Contenti - Federica Cabras 4 стр.


La ragazzina, dopo le iniziali delusioni, si arrangiò; si creò una vita e sopravvisse, ma in cuor suo ammirava quella donna così elegante, fine, altera al punto che aveva finito per assomigliarle più di quanto avrebbe mai potuto ammettere. Ma adesso per mesi non si vedevano né si sentivano, e a Sandi stava bene così.

Si mise al PC. Anche quel giorno avrebbe provato a scrivere. Era, in fin dei conti, libera per il resto della giornata. Optò per una protagonista donna: si vantava di conoscere il mondo femminile in ogni sua sfumatura. Sbagliava, ovviamente: conosceva solo il versante cattivo delle donne quello maligno, malizioso, fatto di inganni e menzogne.

E Carola soffiò via il fumo della sigaretta, mentre il cielo si schiariva. Sarebbe, finalmente, tornata...

«Dove? Dove deve tornare Carola?», si domandò ad alta voce, spazientita. Non trovò una risposta.

Che lavoro avrebbe fatto Carola? E perché la sua vita sarebbe stata così particolare? Riuscì a buttare giù, con fatica, 7 pagine e mezzo poi, esausta e svuotata, chiuse il computer. Accadeva sempre questo: trovava un nome, un luogo, una data e una potenziale storia nella sua mente ma poi si stancava; lentusiasmo cedeva il passo dapprima alla monotonia e poi alla totale indifferenza. A quel punto il file veniva gettato nel cestino e mai più recuperato. Decise di non lanciare, metaforicamente e letteralmente, quel primo contenuto abbozzato in un cestino; magari si sarebbe rivelato utile. Sì, magari.

3

Eddie era completamente bagnato. Aveva corso almeno unora e mezza. Qualche mese prima aveva sentito una sua collega dire ad unaltra che aveva il sedere moscio e si era arrabbiato e offeso non poco. Lui aveva sempre vantato un fisico asciutto e una forma invidiabile, ma ora aveva i suoi anni. Invece di arrendersi al fatto che il suo sedere non avrebbe certo potuto sfidare le leggi della gravità aveva deciso di iniziare a fare jogging. Le prime volte era stato uno strazio, un trauma. Si fermava, dopo pochi metri di corsa, con il viso stravolto dal colore pallido-cadavere e con un fiatone che si sarebbe sentito dalla regione vicina. Ora aveva una buona media, si fermava di rado e non ansimava più come un moribondo. Fiero del fatto di avere riottenuto un sedere tonico e sodo, passava davanti a quelle megere delle sue colleghe ostentando una camminata sicura e diritta. Quasi sculettava e i loro sguardi erano scioccati.

Un don uscì dalla sua tasca della tuta. Prese il telefono cellulare e lesse il messaggio di Giorgia, la sua collega. Lui era uno dei 16 impiegati di un grosso studio commerciale, e sovente lavorava con lei. Più che altro, lui la guidava. Fresca di studi era stata spedita nel mondo del lavoro; non sapeva nemmeno allacciarsi le scarpe, ma lui la stava istruendo a dovere.

Senti, Eddie. Dobbiamo riguardare quella faccenda del signor Consi. È necessario, lo sai, che sia pronta entro le dieci di domattina. Considerando che in ufficio arriviamo alle 9, credo che ci dovremmo vedere questa sera. Io sono libera, tu?

Eddie sbuffò. Era una cosa che poteva fare anche una persona da sola. Le aveva già spiegato che lavrebbe potuto fare da solo, ma lei aveva insistito. E ora si ritrovavano a doversi vedere di domenica sera. Non ci sarebbe stato niente di male se questa domanda gliela avesse fatta Stefano, o Sergio. Ma lei. Lei era bella, giovane, profumata. Lo vedeva come un mentore, un uomo affascinante dallaria sicura, decisa, forte. Ne era affascinata. Si vedeva lontano un miglio. Quando poteva si avvicinava eccessivamente a lui, le posava una mano sulla spalla con sensualità, malizia. E per lui sarebbe stato fin troppo facile abbandonarsi a lei, totalmente e irrazionalmente. Era un uomo, non un santo, ed era fatto di carne, ossa e cuore un cuore che non batteva più da tempo ma che non era ancora morto.

«Eddie, ascolta. Io so che stai attraversando un momento difficile, con tua moglie. Ne parlano tutti, qui in ufficio. Voglio farti sapere che» disse con sensualità «io per te ci sono. Ci sono sempre.» Era il giorno dellImmacolata, e lei si era recata in studio per finire una pratica con lui. Erano solo loro, in un edificio enorme. E lui laveva desiderata così ardentemente che fu un tormento alzarsi e scappare da lei con una scusa. Prima però aveva appoggiato le labbra sulla pelle candida del suo collo, ringraziandola.

Eccoli, i dannati vuoti spazio-temporali dove lui perdeva capacità di giudizio e percezione della realtà. Tornò in sé e digitò un messaggio.

Sì, dai. A stasera. In ufficio. Porto la cena io.

A stasera, bye mon amour. Pensami.

E nemmeno sapeva quanto lui lavrebbe ascoltata. Mise le cuffie nelle orecchie e riprese una marcia veloce.

4

Sandi uscì allora di pranzo. Sarebbe andata a mangiare da una sua amica; avrebbe potuto persino trattenersi fino a cena: suo marito era fuori per lavoro, e sarebbe stato carino passare una serata tra amiche.

Passò dal negozio e comprò un paio di regali. Olivia aveva quattro figli, due femmine e due maschi, e i soldi non erano troppi, in quella casa. Sapeva, quindi, che i bambini sarebbero stati entusiasti di ricevere un pensierino. Per lei e lamica invece prese una bottiglia di liquore alla mandorla; sperava aiutasse a lenire le sofferenze di due vite infelici. Quando bussò al portone malconcio, vecchio e con le vernice verde parzialmente scrostata era quasi luna. Olivia aprì alla porta con un paio di occhiali grossi e scuri. Era una bella giornata di sole, sì, ma dentro casa le tapparelle lievemente spostate verso il basso creavano unatmosfera cupa.

«Che diavolo accade, Olivia?» chiese con il cuore a mille Sandi.

«Oh, cara mia. Nulla di grave. Lho sbattuto fuori di casa, tranquilla.»

«Ma io Io non capisco.» asserì confusamente Sandi, con un tono che andava dal rammarico alla desolazione.

«Oh, piccola, entra, ti spiegherò.»

Sandi varcò lentrata, si tolse il cappotto e la guardò. Aspettava, cauta, che lamica si sbilanciasse. I bambini giocavano in unaltra stanza.

«Oh, Sandi. So che con Eddie vanno male le cose. Ma non metterti con un uomo come Dario.»

«Ti ha picchiata?»

«Tra le altre cose» mormorò, sconfortata Olivia. Era una combattente, una a cui non la si fa sotto il naso. Ma quella volta era triste, abbattuta.

«Ieri, dopo aver chiamato te, abbiamo fatto una cenetta romantica. Volevo dirgli una cosa. Una cosa importante, sì.»

«Sei incinta, vero?»

«Assolutamente sì. Credimi che non so come sia potuto accadere. Sono stata attenta come non mai. Ma è accaduto. Per tutto il mese ho avuto nausee, dolori allo stomaco, fiacchezza. Ho attribuito il tutto al ferro, non sto mangiando abbastanza carne. Poi ho fatto il test. E ho scoperto che, no, non era proprio la carne il problema. O meglio, era un pezzo di carne sì» aggiunse, maliziosa. Riusciva a scherzare anche ora, in un momento drammatico, e triste, e disperato.

«E quindi?»

«Si è incazzato! Come una iena, oserei dire. Si è alzato dal tavolo e mi ha detto: Non hai intenzione di smetterla di sfornare marmocchi come fanno le coniglie?. Allora gli ho detto che non mi ero certo montata sopra da sola, per rimanere incinta. Ho visto un lampo dodio nei suoi occhi ed è corso verso Matthias. Lha preso e ha gridato: Credi che io non sappia che questo non è figlio mio? Pensi che non abbia scoperto che te la fai con un altro? Ovviamente era una scusa. Proprio Matthias, che è la sua copia sputata. Il bimbo ha urlato, lui lha schiaffeggiato poi ha preso Linda. Anche per lei ha detto la stessa cosa; detto fra noi, Linda davvero non sembra figlia sua. Che Dio mi benedica, io nemmeno ci penso ad altri uomini. È già tanto se penso a lui mentre, con le gambe aperte, attendo che abbia finito per potermi dedicare alle mie faccende. Lei ha urlato, ha pianto e si è divincolata. Lui lha lanciata lanciata nel vero senso della parola, che lInferno lo inghiotta per terra. Io mi sono fiondata, lho colpito. Ma lui me le ha ridate. Poi ha detto: Cresci i tuoi stronzetti da sola, me ne vado! e io lho lasciato andare. Guarda»

Indicò con un indice mangiucchiato la finestra che dava sul retro. Un falò bruciava, scintillante.

«Cosa bruci, Olivia?»

«I suoi fottutissimi impestati vestiti.» disse, soddisfatta. «Gli ho detto al telefono, a quel bastardo figlio di puttana, che lo sto aspettando a braccia aperte. E gli ho detto anche che se torna gli sfondo la testa con una mazza di baseball e lo seppellisco in giardino, per concimare i miei fiori. Che il suo corpo putrefatto alimenterà le mie rose. Ecco cosa gli ho detto. E che se tocca i bambini se ne pentirà amaramente.»

«Lui che ti ha detto?» si informò Sandi.

«Nulla, che credi? Mi ha presa alla lettera. Sa che non mento e che non ho paura. Io quel cervello bacato glielo tiro fuori dal cranio davvero, se torna. Ah, mi ha detto che anche lui ha un occhio nero. Gli ho fatto un occhio nero, capito? E cosa vuole? Un rimborso? Un mazzo di rose? Un paio di frasi di scuse? Bastardo stronzo.»

«Ah, be. Sono felice che tu sia così.»

«Così come?»

«Così forte, Olivia. Così decisa.»

«Oh, io non sono né forte né decisa in questo momento. Io sono triste e amareggiata: non sono stata capace di difendere i miei figli, Sandi. Linda ha un livido nella gamba sinistra, e Matthias è nervoso, agitato. Gli altri due hanno solo guardato. Samuele se lè vista brutta: è un guerriero, stava partendo per difendere la sorella; Dana non si è mossa, e dalla paura si è fatta la pipì nei pantaloni. Sono riuscita tardi a calmarla. Mi hanno chiesto se devono chiamarlo papà, ma ero troppo arrabbiata. Non sgridarmi. Gli ho detto che non devono chiamarlo proprio.»

«Oddio, e ora il bambino che aspetti Come farai?»

«Oh, farò dolcezza. Ne ho sfornati altri quattro. Un quinto non sarà certo un problema. Che poi, detto fra noi, io ho chiuso con gli uomini.»

«Ah, ben fatto. Stasera non puoi berne, allora.» domandò Sandi, indicando la bottiglia di liquore.

«Oh no scordatelo. Io berrò succo dananas, ma tu puoi bere. Quando arrivi qui con una bottiglia vuoi ubriacarti per forza, non ti toglierò questo diritto. Mi piaci da morire, quando sei ubriaca. Non sei fredda e distaccata come al solito. Sei sveglia, attiva, espansiva. Sarà divertente.» sentenziò, infine.

Poi chiamò a raccolta i suoi bambini e insieme mangiarono pasta al forno, fettine di tacchino e tiramisù.

Sandi notò una tristezza nei loro occhi giovani che non aveva mai visto. La piccola Dana aveva gli occhi gonfi e rossi. E tremava, mentre con la manina chiara prendeva il cucchiaino con una piccola porzione di dolce. Lei la guardò e le sorrise, poco convinta. La bambina non rispose.

«Vi sono piaciuti i giochini, bimbi?» domandò per svegliarli da quel torpore e dalla delusione che sanno mostrare solo i bambini quando le certezze crollano come una casa malconcia sotto un uragano.

«Sì, ci sono piaciuti, zia.» affermò Samuele.

Con il camion quel bellissimo camion verde e rosso avrebbe certamente giocato di lì a poco anche se quella storia era ancora così vivida, e dolorosa, e pungente nella sua mente.

«Oh, forza bambini! Dite qualcosa alla zia. Raccontatele di quel cartone, come diavolo si chiama» si perse Olivia.

Niente, proprio non lo ricordava. Un pomeriggio intero a sbattersi per quei protagonisti, e lei non rammentava come si chiamasse.

«Sto proprio uscendo di testa, ragazzi.» concluse, non senza una punta di amarezza. «Proprio ora!»

«Perché proprio ora, mammina?» domandò Linda.

«Niente tesorina, niente.»

Nessuno di loro sapeva del fratellino/sorellina che cresceva nel grembo della mamma; si sarebbero senza ombra di dubbio straniti: quella mamma forte e buona non faceva altro che dire che quattro figli erano molti. Sì, lo diceva mentre sorrideva, ma loro la vedevano la stanchezza nei suoi occhi, la voglia di dormire anche solo cinque minuti e il desiderio di fare un bagno caldo e lento.

«Frozen, mamma?» azzardò Dana. Daltronde ne avevano visti un paio, quella settimana.

«Ecco, quello. Raccontatele come è stato!»

«Bello.» chiuse, velocemente, Matthias.

«Come sei originale, figlio mio.» lo rintuzzò la madre, con sguardo severo. «Proprio un bel racconto.»

«Vogliamo andare di là, mamma, a giocare.»

«Anche io!» si unirono gli altri tre.

«Andate, andate a giocare, figli miei.»

«Ciao bimbi»

«Ciao zia Sandi»

Quando la porta della camera dei bimbi si chiuse Olivia si girò a guardare Sandi e le domandò, con voce roca: «Ma secondo te come stanno? Sono scioccati?»

«No, scioccati non direi, Olivia. Secondo me semplicemente si riprenderanno, ma hanno bisogno di tempo.»

«Tempo, e chi ne ha? Dammi un sorso di liquore»

«Non puoi, Olivia.»

«Solo un sorso, che Dio mi perdoni. Mi serve. Mi aiuterà a dormire stanotte.»

E sorseggiò, calma, cercando di distogliere la propria mente dai pensieri. Forse era vero: serviva tempo sia ai suoi figli che a lei. Ma serviva soprattutto che Dario non si avvicinasse a quella casa mai più. Lei non lo avrebbe permesso. Poi sorrise, pensando allenorme mucchio di vestiti carbonizzati nel giardino. Il sorriso divenne riso.

«Che hai da ridere?» le domandò Sandi, divertita.

«Quello stronzo non ha nemmeno un vestito con sé! È uscito con una tuta e un giubbotto probabilmente tornerà a prendersi la roba!» urlò, ridendo sguaiatamente. «E sai cosa troverà?»

«Un mucchietto di cenere?» azzardò lei.

«Esatto. Un cazzo di fottutissimo mucchietto di cenere!»

5

Eddie aveva pranzato da solo. Una scatoletta di tonno, una mozzarella e un paio di pomodori. Leggero e sano, non per scelta ma per incapacità dinanzi ai fornelli. Poi collassò qualche ora nel divano, accoccolato a Ted. Quel cane era tanto, troppo pigro. Ogni momento era buono per schiacciare un pisolino.

La sveglia del telefono, puntata per le 5 e trenta, suonò una canzone conosciuta. Lui aprì gli occhi, riposato. Poi si alzò e corse in doccia. Per le 7 meno un quarto doveva essere in ufficio, con la cena cinese ritirata già tra le mani. Si insaponò, velocemente, poi si risciacquò e uscì alla ricerca di un asciugamano. Si preparò come si trattasse di unuscita, e poi si sentì in colpa per questo. Aveva messo un paio di pantaloni beige, una polo scura e una giacca sportiva marrone scuro. Si era fatto il gel, alzando i capelli chiari, e aveva messo il suo profumo migliore. In perfetto orario sedette nellauto, diretto al take away cinese. Poi, procurato il cibo, si diresse allufficio. Latrio era buio, probabilmente Giorgia non era ancora arrivata. Entrò con sicurezza in quei luoghi tanto conosciuti, poi avanzò verso la porta nella quale erano affissi tre nomi. Uno di questi era il suo. Si sbagliava. Giorgia era già lì: davanti a lei, mille pratiche e due bottiglie di birra.

«Ehi, scusa ti ho preceduto.» esordì, timidamente, lei.

«Oh, no. Ma figurati. Hai fatto bene.» rispose lui poco convinto. Quella storia che fossero entrambi lì, soli e ben vestiti gli sembrava sempre più sbagliata. La guardò. I capelli scuri e lunghi fino al limitare della schiena le davano una parvenza infantile, che veniva smorzata subito dalle linee sinuose del suo corpo. Notò, non con stupore, che anche lei si era acconciata in modo più preciso e sensuale del solito. Un vestito verde scuro con lo scollo pronunciato le fasciava il seno e le cingeva i fianchi; le scarpe scintillavano, e al collo portava un gioiello brillante capace di attirare lattenzione. Quando i loro occhi si incontrarono scuro e chiaro, uniti da un momento infinito, magico, inafferrabile un brivido corse nella schiena di entrambi. Ma lui sapeva già che sarebbe successo, e si era preparato.

Назад Дальше