PUPPINI. La giornata di lotta del 2 agosto... câero anchâio quella volta. Sono scappata con la motoretta di un amico. Ricordo che câerano i Boato... poi câè stato quellâepisodio della camionetta della polizia rovesciata e incendiata, con i poliziotti che sono scappati. Allora Germano mi ricordava che era stato lui con Gianmaria e unâaltra persona... Tu sai qualcosa? Tu Giuliano la sai bene la vicenda, raccontala.
GHISINI.Sì... câera anche Manente delle Leghe leggere. Come hai detto câerano questi poliziotti con la camionetta, erano âceleriniâ di Padova. Erano in quattro o forse cinque, con la camionetta e nella ressa puntano la pistola... davanti câerano Germano e Gianmaria, che gli dicono: «Ma che razza di roba, perché fate questo atto, via la rivoltella!». Intanto Manente arriva con una bottiglia Molotov e la butta sulla camionetta. A quel punto i poliziotti chiedono a Gianmaria e Germano di tenere le mani alzate. Si può immaginare a che livello fosse la tensione. Germano e Gianmaria a quel punto, rivolti ai poliziotti armati, dicono: «Noi non câentriamo» e scappano. La camionetta viene rivoltata, subito dopo, in via Fratelli Bandiera.
PUPPINI. Ma ci furono anche scontri fisici?
GHISINI. Ricordo Cesco Chinello, che mentre era malmenato dalla polizia urlava: «Io sono un senatore, io sono un parlamentare...»; «E noi siamo deputati» risposero i poliziotti mentre lo bastonavano. Fu una vicenda politicamente molto grossa. Ci fu poi, negli anni del terrorismo, una colonna delle Brigate Rosse che assunse il nome di âBrigate Rosse colonna 2 agosto.
PUPPINI. La cosa clamorosa fu che la polizia scappò e Marghera ritornò nelle mani dei manifestanti.
GHISINI.Avvenne così. Andammo, come sindacato, dal prefetto e gli dicemmo: «Se entro 24 ore la polizia non va via, se non li rimandate a Padova, noi non garantiamo più niente e dei fatti che accadranno saranno tutte vostre le responsabilità ». Al prefetto io stesso dissi: «Adesso faccia quello che vuole». Questo era il clima. Ci furono feriti, mi pare otto, di cui uno molto grave. Ecco, Germano in quelle situazioni era a suo agio... si sentiva bene... Ricordo che poi la sera siamo scesi dalla Prefettura e câerano i lavoratori che ci attendevano. Un clima di eccitazione la faceva da padrone.
PUPPINI. Quali erano i motivi di quella lotta sindacale?
GHISINI. Era la lotta dei lavoratori delle imprese di appalto, che operavano allâinterno del Petrolchimico di Marghera. Lo scontro con la polizia fu una storia nata male. Si stava discutendo con il prefetto per trovare una soluzione alla vertenza. Ricordo che proprio io trattavo con la polizia per evitare che si arrivasse a scontri, stavo per questo discutendo con il dottor Pensato della Questura di Venezia, quando venendo fuori dal bar â la trattoria da Pesce, che era proprio lì davanti al Petrolchimico â un getto dâacqua, per opera di poliziotti con idranti, ci investe e finiamo di colpo per terra. Proprio ci sbattono per terra! Con gli idranti i poliziotti erano circa a 5 metri. à stato un colpo violento. Allora ho tirato su Pensato, che, poveretto, aveva perso anche gli occhiali, poi là in mezzo ho gridato: «Assassini, delinquenti» ma mi tenevo sempre legato a Pensato («per protezione» dice Giuliano ridendo)... Pensato era il capo della Squadra Mobile di Venezia e vicequestore.... (17. Puppini C., Intervista a Giuliano Ghisini e Alfredo Aiello, Mestre 3 ottobre 1994, dattiloscritto).
Anche dallâintervista a Giosuè Orlando, sulla parte riguardante le imprese di appalto, emerge il ruolo centrale di Ghisini. Del tutto diversa la genesi della vertenza Sava. Al centro della vertenza stava la difesa dellâattività produttiva e dellâoccupazione. Gli svizzeri dellâAlusuisse tentarono un blitz, come mi confidò un loro autorevole e altissimo dirigente italiano a metà anni Ottanta. Sapevano almeno dalla metà degli anni Sessanta che non avrebbero più prodotto alluminio primario in Italia. Ritennero, però, di mettere tutti, lavoratori, sindacati, istituzioni, davanti al fatto compiuto. Ma la lotta dei lavoratori della Sava, la capacità di tenuta con oltre 800 ore di sciopero, la sapienza nel costruire un vasto schieramento alleato, che realizzò una possente pressione soprattutto verso il Governo nazionale, impose allâAulisse, come contropartita alla chiusura, di partecipare alla creazione di due nuove aziende costruite sullo stesso suolo della vecchia Sava di Marghera: la Metallotecnica e la Elemes. Le vicende delle imprese di manutenzione e della Sava, due realtà fisicamente adiacenti, delineano due scenari per molti versi opposti. Da un lato le imprese di appalto con grandi commesse da realizzare e un basso tasso di sindacalizzazione dei lavoratori e lâassenza di una contrattazione sindacale collettiva. Dallâaltro lato la Sava, minacciata dalla chiusura contro la quale lottano uniti lavoratori sindacalizzati. Nelle interviste di Brazzolotto e di Coin si delinea lo scenario di una delle vertenze sindacali più intense nella storia delle relazioni industriali a Porto Marghera. Dallâintervista di Coin si coglie, però, la volontà della multinazionale svizzera, maturata dopo quella vertenza, di operare per un rilancio degli stabilimenti del gruppo a Porto Marghera. Ma prima fu indispensabile una lunga e intensa lotta che coinvolse tutta la città , con un presidio in piazza Ferretto a Mestre, attorno a una grande tenda da campeggio, che resterà famosa come la âtenda rossaâ, un luogo di riferimento per tutti coloro che vollero solidarizzare con i lavoratori. Alla vertenza delle imprese di appalto metalmeccaniche di Porto Marghera calza perfettamente la riflessione proposta da Ferruccio Gambino guardando a fenomeni similari in altre parti del mondo: «... Il ritornello è noto: si richiede manodopera e arrivano persone. Se la società accumulativa, secondo Adam Smith, esige le mani, essa deve pur sempre lasciar fluire corpi e menti, con le loro storie, i loro costumi, le loro lingue, le loro aspirazioni...» (18 Gambino F., Alcune aporie delle migrazioni internazionali, «Aut Aut», p. 275, 1996).
Obiettivi della vertenza sono: la costruzione di un sindacato aziendale allâinterno delle attività produttive, lâacquisizione di diritti per uniformare le condizioni normative a quelle dei dipendenti delle grandi aziende committenti e, infine, la contrattazione e il controllo dellâorganizzazione del lavoro, del salario e delle condizioni di vita nei luoghi di lavoro. Da aprile fino al 2 agosto del 1970 la vertenza porta a un progressivo inasprimento nelle relazioni industriali. I circa 10.000 addetti del settore rappresentano una particolarissima realtà nel panorama sindacale veneziano. Si tratta, infatti, di forza lavoro per buona parte molto professionalizzata ma portata, per le condizioni di mobilità , a un rapporto poco disciplinato con lâorganizzazione sindacale. Ma le condizioni di relativa stabilità del ruolo degli appalti nellâarea chimica â grandi manutenzioni e costruzioni determinano fra questi lavoratori una condizione âunitariaâ che li avvicina alla classe operaia della fabbrica tradiziona le, con in più un regime di divisioni e discriminazioni insopportabili. Sono elementi sufficienti a produrre una brusca e conflittuale sindacalizzazione (19 Resini D. (a cura di), Centâanni a Venezia. La Camera del Lavoro 1892-1992, Il Cardo, Venezia 1992, p. 478).
La vertenza delle imprese di appalto si concluderà dopo oltre 200 ore di sciopero e dopo quella giornata del 2 agosto ricordata nellâintervista di Ghisini, quando i picchetti operai bloccheranno le portinerie della Montedison e le strade, producendo lâisolamento del polo industriale dal territorio circostante, e la polizia, presente massicciamente, âcaricherà â gli operai. Gli scontri sono aspri e vedono accorrere anche la popolazione di quella zona estrema di Marghera: Caâ Emiliani. Subito arrivano anche gli operai della Sava a dare man forte, mentre quelli dellâItalsider, della Chatillon e degli Azotati entrano in sciopero più tardi.
Gli scontri, questa volta, sono durissimi. Chinello e Golinelli, parlamentari, vengono picchiati dagli agenti e uno di questi viene fatto âprigionieroâ dopo aver investito un dimostrante e condotto, semisvenuto, dai suoi colleghi. Per tutta risposta un graduato e alcuni agenti estraggono le pistole e sparano numerosi colpi. Due operai saranno feriti, ma poi la polizia viene travolta. A mezzogiorno la âbattagliaâ è finita. Il giorno dopo interviene lâaccordo che non soddisfa le richieste di garanzie occupazionali, ma sancisce il riconoscimento, di fatto, di unâunica condizione contrattuale per questi lavoratori, poi rafforzata anche a livello sindacale con il âCoordinamento impreseâ, una sorta di consiglio di fabbrica interaziendale. (20. Resini D. (a cura di), Centâanni a Venezia. La Camera del Lavoro 1892-1992, Il Cardo, Venezia 1992, p. 479).
La prima vertenza delle imprese si concluderà acquisendo anche miglioramenti salariali. La vertenza Sava ha tuttâaltri contenuti: vuole affermare un diritto fondamentale, quello che la Costituzione repubblicana assume programmaticamente, cioè il diritto al lavoro. Nel gennaio del 1971 la direzione aziendale della Sava annuncia la chiusura dello stabilimento di Allumina. A giugno i lavoratori della Sava sono in lotta contro i 270 licenziamenti annunciati dallâazienda, e il giorno 22 dello stesso mese, assieme ai lavoratori della Sava contro i licenziamenti, sciopereranno i metalmeccanici veneziani. Gli scioperi dei lavoratori della Sava continueranno anche dopo lâaccordo del mese successivo al Ministero del Lavoro a Roma, che tramuta i licenziamenti in cassa integrazione e consente la chiusura dei primi forni allâAllumina.
La lotta dei lavoratori continuerà ancora a lungo. Si rivendica la continuità produttiva per la fabbrica di Allumina, ma si accentua anche la pressione verso un livello di contrattazione che dovrebbe essere istituito per gli investimenti e la gestione degli assetti produttivi dellâintero territorio. Si cerca, in sostanza, di contrattare âlo sviluppoâ, con una logica che di lì a poco sarà codificata nelle piattaforme territoriali (21 Resini D. (a cura di), Centâanni a Venezia. La Camera del Lavoro 1892-1992, Il Cardo, Venezia 1992, p. 482). Lâaccordo arriverà nel gennaio del 1972, con la mediazione del Governo nazionale, che âoffreâ un centinaio di licenziamenti, il blocco del turnover per due anni, la cassa integrazione per 600 lavoratori e unâattività sostitutiva delle Partecipazioni Statali per riassorbirli (22. Resini D. (a cura di), Centâanni a Venezia. La Camera del Lavoro 1892-1992, Il Cardo, Venezia 1992, p. 483).
La dialettica sindacato-partito
Ancora Giuliano Ghisini dallâintervista di Chiara Puppini:
AIELLO. Poi nel â70, dopo le imprese inizia la lotta della Sava.
GHISINI. Si era a cavallo tra il â69 e il â70. LâAlusuisse, la multinazionale svizzera proprietaria degli stabilimenti Sava, voleva chiudere tutto, sbaraccare e andare via...
AIELLO. Comâera Germano in quella fase?
GHISINI. Allora vediamo Germano. Nel â70 sono iniziati i lavori di costruzione del Petrolchimico 2. A Marghera gli addetti erano già più di 35.000. Poi avviene questa storia della Sava. LâAlusuisse voleva chiudere la sua attività e qui inizia un ruolo importante di Germano, insieme a Mattiussi, a Vianello... Lui si inserisce nel gruppo del sindacato che apparteneva alla componente comunista. Affermava che noi eravamo allergici al Pci...
PUPPINI. Come mai?
GHISINI.Perché eravamo âallergiciâ ai dirigenti del Pci? Perché loro volevano comandare. Non câinteressava molto questo loro comandare. Volevano dare ordini e noi dovevamo âfareâ. Il Pci, però, tra noi non aveva molto spazio. Noi non eravamo contro il Pci, ma non ci piaceva la concezione del suo gruppo dirigente. E Germano condivideva questo pensiero... assolutamente... loro volevano gestire, ma non capivano un tubo di come gestire. (23. Puppini C., Intervista a Giuliano Ghisini e Alfredo Aiello, cit.).
Anche Giosuè Orlando, nella sua intervista, sottolinea come il Pci fosse ancora rimasto alle âcommissioni interneâ ed era scettico sul nuovo ruolo del sindacato â non più vincolato al rapporto con il partito â che rispondeva direttamente e prima di tutto allâinsieme dei lavoratori. Piero Ignazi fa risalire tutto ciò allâidea stessa della costruzione di un grande partito di massa nel periodo post-bellico. Il Pci «adotta una strategia di penetrazione ed egemonizzazione negli organismi di massa unitari â dai sindacati alle cooperative, dal movimento per la pace agli organismi studenteschi... Lâorganizzazione del Pci è sempre stata fonte di orgoglio allâinterno, e di ammirazione mista a timore reverenziale per i partiti concorrenti. Il Pci è stato giustamente definito un sistema organizzativo complesso... con vari livelli organizzativi gerarchicamente ordinati; con strutture di base territoriali e funzionali... Il Pci dispone anche di unâideologia organizzativa, il âcentralismo democraticoâ di derivazione leniniana. Questa concezione prevede che il processo decisionale proceda dallâalto in basso e che ogni iscritto, dopo aver eventualmente manifestato critiche e proposte solo allâinterno degli organi del partito, debba adeguarsi ai deliberati ufficiali» (24 Ignazi P., I partiti italiani, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 84-85). Il Pci aspira â per definizione e legittimamente â al potere politico e cioè ad avere la capacità di «controllare in maniera privilegiata i processi della decisione politica; di prendere decisioni normative in nome della società globale; di far applicare queste decisioni, anche con strumenti coercitivi» (25. Melucci A., Sistema politico, partiti e movimenti sociali, Feltrinelli, Milano 1977, p. 73). Legittimamente in quanto un sistema politico è obbligato a selezionare tra molteplici domande che provengono dalla società , addirittura escludendo quelle che «metterebbero in questione il vantaggio strutturale (lâegemonia) degli interessi dominanti» (26. Melucci A., Sistema politico, partiti e movimenti sociali, Feltrinelli, Milano 1977, p. 73). Il modello organizzativo che Ignazi ha richiamato è indispensabile per unâorganizzazione come il Pci? Si può rispondere che è stato un modello organizzativo utile ed efficace durante il periodo del fascismo per gestire la condizione di clandestinità innanzitutto del suo gruppo dirigente. Chiedersi, però, quali effetti provochi in una società che vede lo sviluppo e lâestensione della democrazia e con essa la democrazia politica, è lecito e utile. «Il compito degli attori politici, e principalmente dei partiti, è proprio quello di intervenire nel processo decisionale rendendo âtrattabiliâ le domande che essi rappresentano, cioè proponendo soluzioni... di una domanda che si forma al di fuori del sistema, e di cui i partiti devono tener conto» (27. Melucci A., Sistema politico, partiti e movimenti sociali, Feltrinelli, Milano 1977, p. 78). Questa competizione tra domande si sviluppa tra i partiti e nei singoli partiti. Con quali âarmiâ? Trattare questo argomento richiede uno spazio non disponibile in questa sede. Citerò comunque, a questo riguardo e a titolo di esempio, unâesperienza diretta nel Pci.