Venezia. Ciminiere Ammainate - Alfredo Aiello 8 стр.


E ancora un altro degli intervenuti insiste:

"Non confondiamo i processi di terziarizzazione con i processi di razionalizzazione, sono due cose diverse. Le terziarizzazioni sono l’uscita con la costituzione di aree di business di pezzi importanti di produzione di servizi finali, mentre le pulizie e il facchinaggio ecc. sono processi di razionalizzazione... che possono... diminuire i costi, attraverso la riduzione degli organici e una minore tutela dei lavoratori”.

Da queste poche e semplici considerazioni riportate si possono ricavare alcuni spunti importanti per una sintesi sulle posizioni che venivano emergendo in una parte significativa del sindacato:

1. a Porto Marghera il governo del processo di terziarizzazione doveva essere diretto dal gruppo industriale più forte, cioè il gruppo chimico allora facente capo alla società Enimont. Il termine terziarizzazione è qui usato impropriamente se si considera la definizione di terziario di inizio paragrafo, in quanto ci si riferisce alla esternalizzazione anche di servizi e attività che hanno come oggetto la produzione. Tuttavia, ciò nulla toglie all’acquisizione nel sindacato della consapevolezza di un processo che non va ostacolato ma possibilmente diretto e governato o almeno co-determinato;

2. una società di servizi serve non solo a ridurre i costi di Enimont, ma è un’opportunità imprenditoriale, che può e deve dispiegarsi su un territorio più vasto individuato nel territorio veneziano;

3. la costituzione di una struttura centralizzata è funzionale anche a un’estensione delle sue attività su un territorio ancora più vasto e cioè “l’area padana” (Ferrara, Mantova, Ravenna), ove sono insediati altri siti chimici;

4. se questo processo è guidato da Enimont, si possono contrattare gli effetti occupazionali della ristrutturazione tutelando gli esuberi di Enimont con il reinserimento nella nuova società di servizi;

5. si nota anche una distinzione tra servizi e servizi: sembrano esservi servizi nobili, come «aree di business di pezzi importanti di produzione di servizi finali» e servizi poveri, come «le pulizie e il facchinaggio ecc.».

Come si vede è un’idea che nasce da Marghera e resta Margherochimicocentrica .

Con riferimento alle professionalità necessarie a guidare questo processo, si pensava di immettere dentro la “società dei servizi” adeguate figure capaci di gestirlo: ingegneri, progettisti, tecnici. Cosa si è realizzato? Il processo di terziarizzazione ha visto, di certo, lo scorporo di professionalità elevate come le figure degli “strumentisti”, cioè i controllori di tutta la strumentazione relativa alla gestione degli impianti, o dei “motoristi”, addetti alla manutenzione di tutti i mezzi di movimentazione (carrelli elevatori, gru, ecc.). Ma la “società dei servizi” non è mai stata costituita, verosimilmente per l’uscita di scena di Enimont. Dopo il passaggio della società al gruppo Eni cambia la strategia industriale e si avvia la cessione, con la vendita, di “pezzi” di cicli produttivi ad altre società. È una destrutturazione del gruppo chimico a Porto Marghera, che porta a una politica che ribalta l’ipotesi della “società unica di servizi”: ogni società provvederà in proprio a gestire molte delle attività affidate con specifici appalti a ditte terze. Ciò provocherà una moltiplicazione dei costi complessivi, anche se questa autonomia gestionale può rendere il controllo sui servizi più stringente ed efficace. L’idea della “società di servizi” avrebbe ancora oggi una sua va- lenza, ma verosimilmente è un’ipotesi che non ha futuro. Le ragioni di questa conclusione stanno nella diversa direzione di marcia delle attività chimiche di Porto Marghera: non si pensa più a politiche di sviluppo, non si realizzano più nuovi investimenti, non si costruiscono più nuovi impianti. L’idea di una “società di servizi” Margherochimicocentrica appare perciò anacronistica. Va rilevato, però, che a Porto Marghera un esempio significativo di terziario realizzato è il Parco scientifico e tecnologico, il Vega, dove si sono insediate attività prevalentemente di produzione immateriale. Un progetto sicuramente diverso dalla “società di servizi”, forse con al centro – almeno in prospettiva e potenzialmente – un terziario più avanzato. E forse non è casuale che sia nato su un’area dismessa dalla vecchia azienda chimica Agrimont.

Ciò che resta e ciò che è cambiato della “vecchia” Porto Marghera

L’occupazione diretta già ampiamente ridotta, come abbiamo visto, alla fine degli anni Ottanta, dopo ulteriori quindici anni risulta, nel 2003, pari a poco più di 12.000 unità (47. Ente Zona Industriale, Relazione del Presidente all’assemblea degli associati, giugno 2004, allegato 1). Il settore metallurgico e siderurgico è passato dai 5.460 addetti del 1978 ai 1.081 del 2003. Nello stesso periodo il comparto dei petroli è passato da 1.654 a 541 addetti, la cantieristica da 2.972 a 1.328, mentre la chimica è stata letteralmente falcidiata, passando da 12.557 a 2.802 addetti. Cosa vuol dire oggi perseguire una politica di sviluppo? Bisogna certamente puntare sulle risorse fondamentali che Porto Marghera possiede “naturalmente”, a partire dalla sua predisposizione ad area portuale, con chilometri di banchine diffuse, oltre al porto concentrato e organizzato nelle aree di pertinenza. Per insediare nuove attività, di qualsiasi tipo, non solo sono indispensabili aree bonificate dove costruire le nuove realtà, ma ancora più indispensabile è l’indirizzo urbanistico che definisca le tipologie di attività che possono collocarsi. A questo proposito va rilevato che per la prima volta, nel 1999, il Piano Regolatore Generale del Comune di Venezia prende in considerazione le aree industriali di Porto Marghera, attraverso l’elaborazione di una “variante” con la quale si tracciano i potenziali interventi volti a ridisegnare aree significative della II Zona Industriale. Tutte le norme parlano di occupazione di aree disponibili con attività di carattere innovativo. Ma le aree costano troppo, bisogna quindi trovare nuove utilizzazioni redditizie. Del resto la variante ha in sé la possibilità di fare quello che si vuole, se inquadrata nell’ambito di un progetto di sviluppo qual è il “Piano strategico per Venezia” elaborato dall’amministrazione comunale. Definire urbanisticamente i destini dell’area industriale è importante e propedeutico a ogni altra iniziativa, ma di per sé non è sufficiente a ottenere i risultati cui si mira. Per questo bisogna guardare alle azioni diversificate messe in atto per insediare nuove attività, richiamandone i risultati ottenuti, a partire da quelli degli anni Novanta, e cercando poi di cogliere le tendenze in atto proprio con l’avvento del nuovo millennio.

Promomarghera e Parco scientifico e tecnologico

Promomarghera e Parco scientifico e tecnologico

Per ridisegnare Porto Marghera sono stati messi a punto due strumenti specifici atti a predisporre le condizioni tipiche di un “incubatore” industriale. Il primo strumento è Promomarghera SpA, società nata nel 1994 e partecipata da Comune, Provincia, Veneto Innovazione (società della Regione Veneto), Unindustria veneziana, Enichem, Gepi, Csi. Va rilevato che Comune di Venezia e Unindustria detengono insieme il 65% delle quote societarie, sono cioè le strutture di riferimento per la gestione della società. Promomarghera ha come scopo principale promuovere l’insediamento di nuove attività individuando, con iniziative mirate di marketing, gli investitori e le tipologie produttive da insediare. Lo stesso Governo ha riconosciuto, inserendo Marghera nelle aree di crisi e di declino industriale in Europa, questa verità. La nostra area è tagliata fuori dai processi di sviluppo programmati o spontanei che pure si manifestano nelle aree forti del centro Europa. Nasce da questi fatti Promomarghera, ovvero la necessità di azioni di promozione e incentivi, in modo da attrarre capitali e investimenti che altrimenti andrebbero in altre direzioni. Promomarghera ha tra i suoi compiti principali quello di contribuire a definire il riassetto urbanistico e il destino delle aree. Tali obiettivi devono essere fatti propri dall’Eni e dalla Gepi, cioè dal Governo, e per questo bisogna dare continuità al lavoro avviato con la task-force della Presidenza del Consiglio dei ministri per i problemi occupazionali. Operare nella reindustrializzazione puntando su attività di piccola e media dimensione è in larga parte cosa obbligata, tuttavia è necessario guardare sia alla qualità delle imprese che alla loro collocazione sui mercati internazionali. A Marghera è necessario portare anche multinazionali, se si vuole essere inseriti in un mercato sempre più globale. Se questo è l’obiettivo non vi possono essere pregiudizi sugli strumenti che utilizza Promomarghera e cioè una struttura locale o, in alternativa, promoter internazionali (48. Aiello A., Articoli, interviste, interventi, 1975-2004, Relazione al Comitato Direttivo Cgil Venezia, 31 marzo 1994, dattiloscritto). Il secondo strumento è la creazione, nel 1993, del Parco scientifico e tecnologico ( Venice Gateway for Science and Technology: in breve Vega), per opera di 34 soci tra cui gli enti pubblici locali, gruppi bancari, le due università veneziane e importanti imprese tra cui Eni e Fincantieri. Il 50% dell’investimento effettuato è finanziato con fondi dell’Unione Europea (Programma Renaval). Il Vega nasce a ridosso della gronda lagunare e si estende, nella prima fase, per circa 1,5 ettari nell’ex sito industriale Agrimont dismesso qualche anno prima. Nel 1996, al termine della prima fase del progetto, ospita già 37 aziende e si delineano le prime partnership tra aziende che hanno avviato rapporti in virtù proprio della collocazione nel Parco scientifico, che ha permesso l’avvio di contatti commerciali. Il Vega aspira a diventare il simbolo principale della rinascita di Porto Marghera e si pone come interfaccia tra l’evoluzione tecnologica internazionale, Venezia e il suo entroterra, con lo scopo di creare un tessuto connettivo tra le risorse intellettuali, scientifiche e imprenditoriali, per fornire servizi molto qualificati alle piccole e medie aziende, in collaborazione con l’università e i centri di ricerca. «Vega è... un nuovo concetto di zona industriale a ridotto impatto ambientale dedicato alle imprese ad alta tecnologia che hanno bisogno di un contatto diretto con il mondo della ricerca» (49. Cfr. www.vegapark.ve.it). Il sindaco Paolo Costa, dopo i primi cento giorni dalla sua nomina, su Marghera affermava che «le procedure per le bonifiche sono troppo lente, chiederemo al ministro e alla Regione di cambiarle. Per la riconversione di Marghera dovremo utilizzare Vega per la parte tecnologica, l’Immobiliare per l’acquisto delle aree, PromoMarghera come sportello unico e guida per le aziende interessate all’acquisto» (50. Vitucci A., Il futuro di Venezia è in Internet. Costa fa il bilancio di cento giorni. I piani del sindaco, «La Nuova Venezia», 5 agosto 2000) Ma quali risultati concreti si sono acquisiti a seguito delle iniziative di Promomarghera e di Vega? Quest’ultimo agiva con una mission ben definita, lungo tre direttrici:

a. lo sviluppo di attività collegate ai centri che producono innovazione;

b. il trasferimento di tecnologie nei processi produttivi con l’utilizzo di conoscenze internazionali a supporto del modello imprenditoriale veneto;

c. l’impiego di forza lavoro intellettuale e l’allargamento della base occupazionale tramite l’indotto secondario e terziario.

A proposito di realizzazioni si legge sul sito del Parco scientifico:

“Attualmente in Vega operano circa 400 persone, che diventeranno più di un migliaio nei prossimi mesi in occasione degli insediamenti delle nuove aziende negli edifici di Nova Marghera. Il 52% degli addetti che lavorano nelle aziende di Vega è in possesso di laurea, il 48% ha il diploma di scuola media superiore. Tra le lauree spiccano ingegneria, architettura ed economia e commercio. I diplomi che hanno trovato maggiore sbocco professionale sono: perito informatico (21%), ragioneria (17%) e liceo scientifico (14%). Lo sviluppo futuro comporterà un’occupazione stimata in 2.500-3.000 unità nei prossimi tre-cinque anni” (51 Cfr. www.vegapark.ve.it).

A Venezia non sono mancate critiche al progetto Vega, considerato da alcuni esponenti politici «una mera operazione immobiliare». Di converso, sono molti a ritenere, sulla base di dati empirici acquisiti da altre esperienze avviate, anche in campo internazionale, che i risultati derivati dall’insediamento e dall’attività di un parco scientifico e tecnologico si possono verificare su un tempo mediolungo (oltre i dieci anni). Per quanto riguarda Promomarghera, in dieci anni ha realizzato tre Convenzioni con il Ministero del Lavoro, ottenendo fondi per complessivi 13 milioni di euro, con i quali ha finanziato progetti (fino al massimo del 18% dell’investimento complessivo) finalizzati a produrre nuovi occupati nell’area industriale. Non si occupa direttamente di urbanizzazione, né della costruzione di edifici, ha piuttosto un ruolo di controllo ai fini di una coerente evoluzione dei progetti finanziati. Dei tre progetti, il primo è andato a regime nel luglio 2005, il secondo nel 2006 e il terzo vi andrà nel 2007. I tre progetti finanziati prevedono nuova occupazione diretta per 500-600 unità, e un’occupazione indiretta non quantificabile con precisione ma stimabile intorno alle 1.500 unità. Da un breve calcolo, stimando che i 13 milioni di euro rappresentino il 15% degli investimenti realizzati, si può presumere che Promomarghera ha “spinto” oltre 85 milioni di euro di investimenti nel l’area, con un costo per ogni nuovo posto di lavoro creato intorno ai 140.000-170.000 euro.

Aeroporto e porto

Aeroporto e porto sono due strutture sempre più strategiche per l’economia veneziana. Per Coin lo sviluppo dell’aeroporto veneziano Marco Polo può benissimo fungere anche da volano per attività di logistica. Nessuno può negare l’importanza fondamentale di una tale struttura, ai fini dello sviluppo non solo dell’area veneziana ma per l’insieme del Nordest, anche attraverso un intreccio tra il settore turistico e quello produttivo, offrendo a quest’ultimo una struttura nel campo della logistica che funga da magnete per gli investimenti futuri. Per quanto riguarda il porto di Venezia è interessante guardare al suo sviluppo in terraferma collegato al processo più ampio di esodo dalla città storica (52. Federici G., Portuali a Venezia: cinquant’anni di storia del porto 1945-1995, Il Cardo, Venezia 1996). Le trasformazioni del porto di Venezia sono state intense. I lavoratori portuali che operavano in esclusiva nelle zone portuali protette dalla concorrenza grazie a un sistema di leggi dello Stato (fatte salve le autonomie funzionali, ovvero la possibilità per le aziende dotate di banchina di effettuare in proprio lo sbarco e l’imbarco delle merci legate alla loro attività) si sono dovuti misurare, a seguito di interventi legislativi, con nuove società nate per operare in regime di concorrenza nel porto. Di queste le principali sono: la Vecon nel settore container, il Cia (Centro Intermodale Adriatico) e la Tiv, che operano in diretta concorrenza con le strutture nate dalla ex Compagnia Lavoratori Portuali.

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