Venezia. Ciminiere Ammainate - Alfredo Aiello 9 стр.


«Nel 2000 il porto di Venezia occupava più di 18.000 addetti e ha registrato un fatturato di oltre 2.000 miliardi [di lire], con 1.100 miliardi di diritti doganali accertati a tutto ottobre... al [suo] rilancio non è estranea la congiuntura internazionale che vede una nuova centralità del Mediterraneo dopo una lunga fase di declino e marginalizzazione...» (53. Cfr. Longo V., Merotto G., Sacchetto D., Zanin V., Lavoratori marittimi. Profili sociali e nuove domande di servizi, Osservatorio, Pubblicazioni, Venezia 2002, p. 90).

In particolare «per 15 anni il mercato crocieristico è cresciuto a un tasso annuale dell’8%... Il mercato crocieristico europeo ha continuato la sua crescita a un tasso superiore a quello statunitense». (54. Cfr. Longo V., Merotto G., Sacchetto D., Zanin V., Lavoratori marittimi. Profili sociali e nuove domande di servizi, Osservatorio, Pubblicazioni, Venezia 2002, p. 91).

Nel 2000 Venezia è stato il maggiore porto italiano per quantità di traffico turistico legato al settore crocieristico. L’Italia è attualmente il primo produttore mondiale di navi da crociera e proprio a Marghera si trova il secondo maggior stabilimento italiano per la costruzione di questa tipologia di navi. Già nel 1989, con molta nettezza l’allora presidente del porto Alessandro Di Ciò poteva affermare che:

“... l’attività commerciale del Porto, ossia il valore delle merci che transitano in entrata e in uscita, sfiora i 20.000 miliardi [di lire]. Il conto è molto semplice: 25.000 milioni di tonnellate, a 700-800 lire al chilo, fanno una cifra vicina ai 20.000 miliardi [di lire]. È un fiume di denaro che, l’ho già detto una volta, come il Nilo dove passa irriga!” (55. Cfr. l’intervento di A. Di Ciò in Coses e Comune di Venezia (a cura di), Porto Marghera. Proposte per un futuro possibile, cit., p. 527)

E infatti lo sviluppo del porto sarà intenso negli anni successivi, come si evince dalla tab. 3. Uno sviluppo intenso fino al 2004, anno nel quale si registra il primo calo del traffico complessivo. Nei dati riportati si evidenziano nettamente sia le caratteristiche della trasformazione economico-industriale che ha interessato Porto Marghera, sia la consistente riduzione della movimentazione nel comparto industria. È uno dei segni più evidenti della crisi delle produzioni tipiche del polo industriale di Porto Marghera


Il futuro è la “logistica”?

Nel corso dei primi anni del nuovo millennio si sono intensificate massicciamente le proposte per assegnare a Porto Marghera un ruolo logistico di primissimo piano negli scambi internazionali di merci.

"Il Piano strategico di Venezia 2004-2014, recentemente licenziato dalla Giunta comunale... non solo condivide l’opportunità e la necessità di qualificare Venezia quale nodo di eccellenza della logistica delle merci, ma ritiene che questo asse di sviluppo rappresenti uno dei punti di forza del processo evolutivo del sistema locale" (56. Cfr. Isfort - Istituto superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti, Documento di base per il Convegno organizzato da Comune di Venezia, Fondazione di Venezia, Venezia 2000 Cultura e Impresa, Venezia nodo di eccellenza della logistica, Mestre, 26 novembre 2004).

"Il Piano strategico... si differenzia dalla pianificazione urbanistica per il fatto di essere orientato ad azioni socioeconomiche tra loro integrate piuttosto che alla regolamentazione dell’uso del suolo, e si differenzia dalla pianificazione classica a medio e lungo termine perché non è limitato all’adattamento delle aspettative alle tendenze considerate normali, ma è rivolto alle nuove opportunità e ai nuovi obiettivi. L’obiettivo generale che si pone il Piano strategico di Venezia è quello di costruire in un futuro vicino e misurabile una città caratterizzata dall’alta qualità del la vita dei suoi abitanti – nei suoi aspetti relazionali, lavorativi e culturali – e dall’alta qualità dei suoi assetti fisici e ambientali" (57. Cfr. l’intervento di R. D’Agostino, in Comune di Venezia, Piano di Venezia. Linee, strategie e politiche, ottobre 2004).

Se l’idea della logistica fosse impostata in modo da soverchiare ogni altra ipotesi produttiva, potrebbe limitare le potenzialità del territorio. Viene in mente, a tale proposito, un’esperienza significativa: l’idea dell’Expo a Venezia, lanciata da Gianni De Michelis, che nei primi anni Novanta incontrò una netta bocciatura, sebbene

"l’obiettivo primario del progetto nel territorio veneto era il reinserimento dell’area veneziana (Venezia, Mestre, Marghera, la laguna) all’interno della realtà regionale, facendola diventare un nodo significativo rispetto alla rete di centri urbani che caratterizza la regione" (58. Aa.Vv., Venezia 2000. Idee e progetti, Marsilio, Venezia 1995, p. 19).

I motivi della bocciatura si possono forse ritrovare in una frase di un’intervista dell’allora presidente della Save di Venezia, Gianni Pellicani, che rilevava come

l’Expo voleva mettere in moto un motore – e l’idea era giusta – ma è discutibile il modo in cui voleva farlo e soprattutto il fatto che volesse farlo da sola. La macchina delle attività economiche può essere rimessa in moto, ma con altri metodi (59. Bonomi A. (a cura di), Privatizzare Venezia, Marsilio, Venezia 1995, p. 195).

È certamente indiscutibile quella che è una vocazione naturale di Venezia, centro organizzatore della logistica per almeno due motivi: da un lato le infrastrutture esistenti – aeroporto, porto, nodo ferroviario, rete stradale, idrovie – in una combinazione rara nel nostro Paese (e non solo); dall’altro la collocazione geografica di Venezia al centro di uno snodo strategico per i traffici verso il Nord Europa e nell’asse Lisbona-Kiev. Del vantaggio di Venezia in termini di accessibilità sono rivelatori i dati riportati in tab. 4 da uno studio dell’Isfort


Ma esistono anche limiti che vanno superati per realizzare questa vocazione.

Il primo è che «bisogna abbandonare i particolarismi e ragionare in termini di network» e per questo è indispensabile «un coordinamento più efficiente dei nodi trasportistici esistenti al fine di connettersi in modo competitivo ai nodi di eccellenza del Nord Europa» (60 Cfr. Isfort - Istituto superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti, Documento di base per il Convegno organizzato da Comune di Venezia, Fondazione di Venezia, Venezia 2000 Cultura e Impresa, Venezia nodo di eccellenza della logistica, Mestre, 26 novembre 2004), per intercettare la globalizzazione dei mercati e la crescita esponenziale degli scambi di merce tra le tre principali aree commerciali del mondo (Giappone, Nord America ed Europa). Questa globalizzazione ha imposto una più decisa razionalizzazione dei flussi di traffico tra tali aree.

È certamente indiscutibile quella che è una vocazione naturale di Venezia, centro organizzatore della logistica per almeno due motivi: da un lato le infrastrutture esistenti – aeroporto, porto, nodo ferroviario, rete stradale, idrovie – in una combinazione rara nel nostro Paese (e non solo); dall’altro la collocazione geografica di Venezia al centro di uno snodo strategico per i traffici verso il Nord Europa e nell’asse Lisbona-Kiev. Del vantaggio di Venezia in termini di accessibilità sono rivelatori i dati riportati in tab. 4 da uno studio dell’Isfort


Ma esistono anche limiti che vanno superati per realizzare questa vocazione.

Il primo è che «bisogna abbandonare i particolarismi e ragionare in termini di network» e per questo è indispensabile «un coordinamento più efficiente dei nodi trasportistici esistenti al fine di connettersi in modo competitivo ai nodi di eccellenza del Nord Europa» (60 Cfr. Isfort - Istituto superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti, Documento di base per il Convegno organizzato da Comune di Venezia, Fondazione di Venezia, Venezia 2000 Cultura e Impresa, Venezia nodo di eccellenza della logistica, Mestre, 26 novembre 2004), per intercettare la globalizzazione dei mercati e la crescita esponenziale degli scambi di merce tra le tre principali aree commerciali del mondo (Giappone, Nord America ed Europa). Questa globalizzazione ha imposto una più decisa razionalizzazione dei flussi di traffico tra tali aree.

Il secondo è la necessità di eliminare le strozzature presenti nella rete, come il passante di Mestre.

Il terzo è il bisogno di rafforzare le condizioni del sistema.

Le condizioni per un ruolo rilevante di Venezia nel sistema della logistica di Venezia esistono concretamente, tuttavia non va dimenticato che Venezia è una città metropolitana. L’aggettivo “metropolitana” non è assegnato tanto per la dimensione territoriale o per il numero di abitanti, quanto perché vi sono presenti, contemporaneamente, più servizi di eccellenza. E Venezia questi servizi di eccellenza li detiene nelle attività culturali e monumentali, nelle sue due sedi universitarie, nelle più volte citate infrastrutture, nei centri di ricerca. La città metropolitana non è una costruzione artificiale quanto il frutto di decenni di lavoro, di esperienze via via consolidate e costruite con fatica. È questa la “buona miscela” che bisogna salvaguardare per dare prospettive più solide all’economia veneziana. E nella miscela non possono mancare le attività produttive di Porto Marghera, certamente risanate e rese compatibili con l’ecosistema lagunare. Ormai la crisi degli insediamenti industriali storici di Porto Marghera e delle attività portuali, estesa e profonda negli anni Ottanta e Novanta, ha cambiato il volto dell’economia veneziana, imponendo un nuovo equilibrio tra attività industriali e attività economiche nei servizi e nel turismo. Il rilievo delle attività industriali ha contribuito significativamente a definire il nuovo mix produttivo e il mantenimento di attività industriali risanate e rinnovate appare essere ancora un obiettivo irrinunciabile.

4. Qualche considerazione finale

Il territorio veneziano si trova dinanzi a problemi assai caratterizzati e particolarmente intensi. Pensiamo solo alle questioni sollevate dalla problematica ambientale a Porto Marghera, con il loro crescente peso nella politica della città, cioè nelle scelte che la collettività assume e a cui si vincola. In tale complessità assume un’importanza rilevante la costruzione di regole comunemente condivise, e tra queste la responsabilità. L’etica della responsabilità ha lo scopo fondamentale di impedire la ricerca di scorciatoie mentre si tenta di affrontare problemi complessi. È, come dire, un freno non alla demagogia (di cui la politica nel suo rapporto con le masse non può fare a meno) ma alla demagogia senza null’altro. È sicuramente un argomento difficile, ma quanto positivo potrebbe essere premiare colui o coloro che nelle scelte collettive determinano quelle che si dimostrano giuste e viceversa sanzionare chi compie quelle sbagliate? Ne risulterebbe un criterio di selezione della classe dirigente politica trasparente e di grande efficacia. Non che oggi ciò non accada, ma si tratterebbe, nell’ambito della politica, di tramutare l’eccezione in regola. Una vicenda che può ricondursi a questa problematica è quella del caso Galileo.

Il caso Galileo: errori senza responsabilità

La Galileo Industrie Ottiche Riunite (da ora in poi Galileo), azienda storica di Porto Marghera, dieci anni dopo essere divenuta interamente di proprietà dello Stato (al 50% nel 1969 e al 100% nel 1976) viene nuovamente venduta a un imprenditore privato. La privatizzazione è resa inevitabile dalle continue perdite, che per il solo 1986 toccano la cifra, stratosferica, di 14 miliardi di lire (in quegli anni le aziende a partecipazioni statali sono tutte nell’occhio del ciclone per il loro andamento negativo, quasi generalizzato). La Galileo viene ceduta a una società dell’Iri, la Sofin, che ha il compito di dismettere le attività industriali che le vengono conferite. Il che vuol dire o trovare un acquirente o chiudere. La Galileo trova un acquirente che si impegna a rilanciare l’azienda in campo nazionale ed estero e a rioccupare tutti i dipendenti rimasti. Alle parole seguono i fatti. A Marghera riprendono il lavoro quasi 400 dipendenti, un centinaio in più dei previsti, e ciò grazie a nuove assunzioni. Si aprono nuovi stabilimenti in Usa, Irlanda, Russia e nuovi centri di produzione in Belgio e Spagna. Si tenta di costruire un ulteriore stabilimento a Longarone, nel cuore del distretto dell’occhialeria del Bellunese (un investimento di alcune decine di miliardi di lire, tra fine anni Ottanta e primi anni Novanta). Questi fatti portano a considerare errata la tesi di Roverato, secondo cui ciò che è avvenuto alla Galileo è

«... un’improvvida privatizzazione, che “regala” a terzi (come, perché?) il patrimonio immateriale, ma tuttavia economicamente pesante, di un marchio giunto a livello di eccellenza nella sua specifica tipologia produttiva» (61. Cfr. Roverato G., “Postfazione”, in Romanato M., La memoria del lavoro. Le carte del Consiglio di fabbrica della Galileo Industrie Ottiche (1947-2000), Annali 4, Centro studi Ettore Luccini, Padova 2003).

La crisi aziendale sopraggiunge circa otto anni dopo, quando si registra una «... crisi delle vendite in Europa e in particolare in Italia...» (62. Cfr. Roverato G., “Postfazione”, in Romanato M., La memoria del lavoro. Le carte del Consiglio di fabbrica della Galileo Industrie Ottiche (1947-2000 ), Annali 4, Centro studi Ettore Luccini, Padova 2003, p.190).

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