Erano in un momento di sbandamento totale. Il suo compagno, il padre di Nicòle, era stato trasferito in fretta dalla loro città . Lei, per fortuna, aveva trovato impiego, grazie allâaiuto di un collega. Un lavoro da cassiera, e spesso le sarebbe toccato svolgere il turno serale, ma non si lamentava, dopotutto l'importante era avere già un lavoro. Franca amava molto le apparenze e con pochi soldi non sapeva arrangiare⦠lui aveva altri due figli, frutto del primo matrimonio, ma erano grandi; i giovani si erano trasferiti per necessità , ma presto si sarebbero organizzati per andare a vivere a Parigi, dove avrebbero frequentato l'Università .
Flora la seguiva quieta, sorbendo il the e cercando di non perdersi, in quelle descrizioni frettolose. Lâamica le aveva accennato qualcosa riguardo a un certo âaiutoâ su cui contava; stava ad ascoltare attentamente, per capire dove sarebbe andata a parare. Il problema di Franca non era solo pratico: tutta la famiglia stava attraversando un momento di confusione e lei cercava di fare del suo meglio. I figli maggiori, irritati dal trasloco forzato, erano diventati intrattabili. La sua convivenza rischiava di sgretolarsi, a causa di una relazione del marito con una collega; infine, Franca era depressa, e cercava, a sua volta, qualcosa di diverso... Vecchi problemi irrisolti si erano insinuati nella famiglia e ora ne stavano minando i rapporti.
«La piccola è agitata, è nervosa» continuò Franca «e la nostra famiglia è talmente scombinata⦠Siamo incerti sulle scelte da compiere.» la fissò, «Ecco: vorrei aï¬darti Nicòle, per il doposcuola, aï¬nché tu possa insegnarle la lingua e aiutarla a passare questo momento così complicato. Naturalmente sarai retribuita. à ovvio! Ti prego, non me la sento di aï¬darla a unâestranea in un paese che non conosce. Per lei sarebbe solo un ulteriore trauma e, francamente, vorrei evitarlo.»
Flora la interruppe, alzando decisa una mano:
«Alt, tesoro mio!» intervenne. «Non è una questione di soldi, figurati. Ma ciò che mi chiedi è una grande responsabilità . Cosa ti fa credere, poi, che le maioliche italiane e la cucina in veranda rappresentino il paradiso?» La squadrò quasi oï¬esa. «Anchâio ho una mia vita, sai? Vivo da sola ma non vuol dire che non abbia qualcuno e, soprattutto, anchâio ho i miei problemi, purtroppo.» E il suo viso si ammantò di una delicata tristezza. I loro occhi sâincrociarono. Flora sorrise, rivedendo lo sguardo sparuto di Franca; sembrava lei la bambina confusa, adesso.
«Oh, insomma» disse infine risoluta. «Va bene! Facciamo una settimana di prova, ok?» Franca annuì, aveva la stessa aria di un cane che scodinzola.
«Però voglio sapere con precisione i giorni in cui la ragazza verrà da me. Posso riceverla dalle tre. Non prima. Sono impegnata col lavoro e altro⦠e la sera, a casa, per le venti!»
Più tardi, da sola nel lettone, Flora a occhi chiusi tornò con la mente alle emozioni che le aveva suscitato lâincontro con la giovane Nicòle. Le forme acerbe, i seni piccoli e, di certo, duri come il marmo...
A quel punto, i suoi pensieri si illanguidirono, immaginando il fiore acerbo, che la giovane custodiva. Avrebbe pagato per poterlo almeno ammirare, odorare, ma non poteva che restare un sogno. I suoi pensieri, però, diventavano sempre più lascivi, nonostante gli sforzi per distogliere la mente. Allora le immagini, che in quel momento creava con la fantasia, si confusero con i ricordi del passato. Il volto della giovane si sovrappose a quello della madre, quando era giovane e fresca. La rivide, mentre abbassava la testa, dai capelli fluenti, e si tuï¬ava sul suo corpo, odoroso di puro piacere. La lingua di Franca la cercava, allora, insaziabile. Ricordò tutte le volte in cui aveva ricambiato quellâesasperante frugare, con la bocca, negli spazi segreti dellâaltra. Il corpo, sognato, di Franca giovane, nellâeccitazione che si era impadronita di lei, si confondeva con quella di unâaltra. Una donna sconosciuta dai contorni indefiniti, illuminata da una luce dietro le spalle, che ne occultava i lineamenti. Poco dopo, però, fresca come fosse rorida di rugiada, appariva l'innocente visione di Nicòle.
Ansando e grondando la donna raggiunse un piacere languido e intenso che, invece di appagarla, la turbò e la lasciò sul letto, piena di rinnovata sete.
3 - Nel meraviglioso mondo della fata di ferro
(Fiaba)
La Fata di Ferro aveva una casa che solo nel mondo delle fiabe era possibile immaginarsi. La giovane principessa si era presentata a lei, armata solo dellâinnocenza, della voglia di vivere e delle sue paure. Aveva vissuto troppo tra gli echi misteriosi del bosco, cercando la forza per vincere le incertezze; aveva provato su di sé il peso opprimente dellâindiï¬erenza. Ora, tutto questo, si contrapponeva all'ambiente fantastico che lâaspettava.
Da subito era stata accolta come la più bella delle principesse: le miscele di cacao più esclusive arrivavano da ogni parte del mondo per confezionare le sue cioccolate, mentre biscotti, marzapane e miele di giuggiole, non mancavano mai, all'ora della merenda.
La Fata di Ferro era intransigente: prima di tutto bisognava fare i compiti; ma poi, come dâincanto, quelle volavano in fretta. Era bello persino studiare se il premio era un sorriso affabile e complice della fata. La giovane faceva del suo meglio per collezionare buoni voti, per non interrompere quel connubio felice.
La Fata di Ferro si dimostrò la migliore delle amiche e la più fidata. Bellissima, grande, prosperosa; indossava sempre vestiti colorati e allegri: un vero e proprio inno alla gioia. Aveva mille abiti, tutti troppo corti per nascondere le sue grosse gambe burrose; tutti troppo stretti per contenere i seni gonfi o le natiche tonde.
Nella casa della Fata tutto era a disposizione e non câera altro da fare che essere felici. La padrona di casa aiutava Alba nelle scelte senza prevaricare, condivideva le sue idee, la consigliava, e la ragazza non trovava da obiettare ai suoi pareri sussurrati, anzi: pendeva dalle sue labbra. La cosa incredibile era ricevere tutta la sua attenzione, incondizionatamente.
Nulla, in quella casa. contava più della principessa; per la Fata di Ferro il centro dellâuniverso, era Alba e tutto ciò che lei diceva era interessante, unico e prezioso.
Stava con piacere nella sua famiglia, ma intanto, non vedeva lâora di correre via⦠il mondo delle fiabe lâattendeva e non vedeva l'ora di poter ritornare nella casa alla fine del sentiero, tra le buganvillee e gli oleandri, colorati e velenosi. Ogni giorno la principessina si sentiva più grande e più forte; ogni giorno correva verso nuove esperienze. E, celato nel suo cuore di piccola peccatrice, aveva un segreto, inconfessabile ma sublime. Una delle cose che lâattraevano era il corpo della fata; sarebbe rimasta ore a rimirarlo. Già quellâunico incantamento sarebbe bastato a rendere le visite improcrastinabili.
Lei era bellissima e, per la gioia di Alba, estremamente distratta. Quando sedevano al tavolino delle ghiottonerie, spesso accavallava le opulente gambe, senza curarsi del camice che si alzava e, salendo, a ogni movimento metteva in mostra le calze; sempre diverse, sempre di nuovi colori. Quelle che le piacevano di più erano le nere. Le calze nere parevano più piccole di una misura, la seta era tesa sulla pelle, creando appetitosi chiaroscuri; lo sguardo, ipnotizzato da quella visione, cercava il punto dove il nero deciso dellâorlo merlettato liberava, con uno sbuï¬o lievissimo, la carne rosea e chiara. Anche quando si adagiava su un basso pouf, sgranocchiando cannellini e Lacrime dâAmore, non era diï¬cile che Alba riuscisse a carpire unâimmagine delle sue mutandine, schiacciate tra le cosce.
Lei era bellissima e, per la gioia di Alba, estremamente distratta. Quando sedevano al tavolino delle ghiottonerie, spesso accavallava le opulente gambe, senza curarsi del camice che si alzava e, salendo, a ogni movimento metteva in mostra le calze; sempre diverse, sempre di nuovi colori. Quelle che le piacevano di più erano le nere. Le calze nere parevano più piccole di una misura, la seta era tesa sulla pelle, creando appetitosi chiaroscuri; lo sguardo, ipnotizzato da quella visione, cercava il punto dove il nero deciso dellâorlo merlettato liberava, con uno sbuï¬o lievissimo, la carne rosea e chiara. Anche quando si adagiava su un basso pouf, sgranocchiando cannellini e Lacrime dâAmore, non era diï¬cile che Alba riuscisse a carpire unâimmagine delle sue mutandine, schiacciate tra le cosce.
La povera fata sedeva li, per non rubare spazio ad Alba a cui, da principessa quale era, era riservato il posto dâonore, sul divano.
A volte gironzolava per casa, alla ricerca di un granello di polvere âvigliaccoâ, o di uno dei tanti oggetti che, in quella casa fatata, avevano la terribile tendenza a cadere negli angoli più nascosti; da quando aveva scoperto che, per ritrovarli, la fata si metteva carponi, mostrandole il fondoschiena oppure le poppe gloriose, Alba, pur essendo di indole aï¬ettuosa e servizievole, non si oï¬riva mai, come volontaria, per le ricerche. Preferiva godersi ciò che riusciva a vedere⦠E la fata aveva infinita pazienza e nulla chiedeva alla sua preziosa ospite.
Per fortuna, tutti i rossori e le vampate peccaminose della ragazza passavano inosservati, tantâè che una volta, fattasi coraggio, Alba, dal gabinetto, chiamò la sua madrina con una scusa e si fece trovare seduta sul vaso, con le sottili gambe dischiuse. Anche allora la fata non disse niente e nulla notò, chiusa in una âcastaâ indiï¬erenza. Al contrario, la principessa per la vergogna sopravvenuta dopo lâeccitazione, cercò una scusa frettolosa per tornarsene a casa e, per alcuni giorni non si fece più sentire.
Al terzo giorno fu la fata a chiamare e tutto riprese come prima.
4 â Lâistitutrice: fascino e polso fermo
(Realtà )
Flora credeva di impazzire, tanto la situazione era divenuta insostenibile. Nonostante le promesse fatte a se stessa e alla madre di Nicòle, la presenza della ragazza era diventata troppo intrigante, eppure opprimente per lei. Il piacere che provava, a sentirsi osservata di nascosto da quella piccola troia, le rimescolava il sangue nelle vene e, appena la vedeva o la pensava, si ritrovava eccitata. Dal primo istante in cui Nicòle giungeva a casa, la sua parte più recondita iniziava a sbavare piacere; desiderava lâorgasmo per ore, mentre le sue guance avvampavano e sudava tra i seni. La voleva! E, naturalmente, alla fine restava frustrata dal ânulla di fattoâ che, essa stessa, si era imposta solennemente. Avrebbe voluto sfogare su quel corpo delicato lâinfinito desiderio.
Il primo giorno che Nicòle disertò le lezioni, Flora respirò e, dopo settimane di stress, le sembrò di riprendere il controllo della sua vita e della sua casa. Era diventata una piccola despota; una vera canaglia, quella sua principessa! Appena scoprì di poter comandare, iniziò a tiranneggiarla⦠(che meravigliosa sensazione)
Il secondo giorno sâimmalinconì. Le mancava. Voleva essere maltrattata ancora da quellâimpertinente spiona. Le mancavano i suoi occhioni che le fissavano le cosce⦠E sì che Nicòle aveva davvero esagerato: farsi trovare nuda, sul gabinetto, ancora bagnata.
Pensieri deliziosi lâavevano attraversata, come correnti galvaniche scintillanti; ma doveva comportarsi da adulta, responsabile. Doveva resistere!
Quella sera si decise e chiamò un suo amico, per dare sfogo al vulcano della libidine, ma l'uomo era già impegnato; il fatto che lui non potesse raggiungerla la rese ancora più furiosa.
Si frugò nellâintimità , meccanicamente, sul letto, ma il piacere la rese ancora più eccitata e incapace di vincere il desiderio di Nicòle. La sera del terzo giorno la fece finita: telefonò.
«Eppure ero certa che ti avesse avvisato» rispose Franca, perplessa «i giovani di oggi non hanno più nessun rispetto.»
«No, lasciala stare, sono ragazzi, magari qui da me si annoia. Purtroppo non ho vicini con ragazzi della sua età . La capisco poverina.» la giustificò Flora.
«Aspetta adesso la chiamo, vediamo come si sente.» Poi Flora, trepidante e impacciata, udì le voci lontane di Nicòle e della madre:
«Ma che ti salta in mente? Perché non hai avvertito Flora che stavi male?»
«Uffa, ma io non stavo bene, pensavo che glielo avessi detto tu.»
«Sei una gran maleducata. Adesso vai al telefono e scusatiâ¦Â» Seguirono altre parole che non fu in grado di sentire. Dopo poco arrivò Nicòle:
«Scusa!» esordì.
«E di che cosa, tesoro mio? Mi dispiace se sei stata poco bene» disse raggiante Flora «ma adesso come va?»
«Sto bene» continuò Nicòle, lievemente laconica, poi si sentì confabulare.
«Dice mamma: se non disturbo, posso continuare a venire da te?»
Flora non seppe dissimulare la gioia che le procurarono quelle parole, così con la voce rotta dalla trepidazione, rispose:
«Lo sai, Nicòle, ormai questa è casa tua. Devi decidere tu, se vuoi⦠che ci vediamo ancora.»
«Sì. Voglio venirci ancora» disse la giovane.
Il giorno dopo, quando entrò nella casa, un profumo fragrante di torta di mele e cannella la pervase. Flora le andò incontro e si abbracciarono senza parlare. Da allora però, non si sedette più sul pouf, ma sul divano, di fianco a Nicòle.
5 - Incantesimo perverso
(Fiaba)
Ormai il ghiaccio era rotto e la Fata di Ferro non teneva più solo per sé i suoi segreti. Anzi, burrosa e languida, aveva deciso di darsi alla principessa Alba, anima e, se possibile, pure corpo.
Ad Alba non sembrava vero: il pomeriggio, dopo i compiti, facevano una merendina e chiacchieravano come due amiche del cuore. E visto che Alba non era mai stata così brava e volenterosa, nello studio, alla fine, arrivava il premio. Il premio era rappresentato dalla confidenza e dall'intimità .
La fata, rassegnata, le si donava completamente, aï¬nché soddisfacesse la sua lussuria e i suoi sentimenti lascivi, di giovane curiosa e impertinente. Allora la screanzata si sedeva accanto a lei.
Spesso si servivano di un piccolo plaid con la fantasia scozzese, in quei casi Alba gioiva ancora di più. Guardavano la televisione o Flora leggeva qualcosa, nelle lunghe serate invernali; si piazzava sul divano e seguiva con finta attenzione qualsiasi programma, pur di starle vicino.
Le loro gambe, celate sotto la coperta, iniziavano a strusciarsi, il suono del tessuto che frusciava eccitava entrambe. Ad Alba non mancava mai la scusa adatta: ora per lo spasso, ora per la paura, ogni pretesto era buono per stringersi alla Fata di Ferro. Allora, specialmente se protette dal plaid di lana, le piccole dita sottili cominciavano a frugare. La ragazza abbracciava la donna in cerca di protezione e ne esplorava ogni rotondità , ogni curva. Vagava sul cotone del camice, a volte perdendosi tra roselline sul fondo nero, altre, cogliendo le margherite della vestaglia lilla; e più la Fata taceva, più le mani si prendevano confidenze.