Quando cominciava, voleva sfiorare con delicatezza e fingendo poco interesse: carezze distratte, occasionali, come se nascessero spontanee e senza scopo. Ma poi lâeccitazione aumentava; i movimenti diventavano sempre più rabbiosi, sconnessi, convulsi. Quelle mani âpossedevanoâ, letteralmente, il corpo della grossa fata.
Alba le toccava i fianchi abbondanti, poi strisciava serpeggiando fino alla pancia di lei, che era generosa e morbida, allora, di piatto, si infilava sotto il cotone e carezzava lâinguine. Poi tornava su, cercava le mammelle e tirava, e premeva, e giocava con il seno abbondante. I capezzoli si rilevavano al tatto, gonfi e costipati sotto la veste e pressati, nel reggipetto matronale.
Poi le dita esploravano il collo, la nuca, titillavano i lobi⦠e la fata moriva lentamente di languore. Il cuore impazziva e piccole gocce le imperlavano la fronte.
Il plaid era complice di Albaâ¦
La ragazza iniziava col lamentarsi di aver caldo e, da sotto la coltre, faceva scivolare via la gonna dalle gambe di gazzella restando solo in mutandine e calzettoni. Adesso, la carne nuda cercava di nuovo il contatto, scostava il cotone, scivolava sulla seta e trovava, infine, la pelle dellâaltra. E quando la carne sâincontrava, per entrambe era il tripudio.
Quel desiderio era tanto più grande quanto più era proibito e sofferto. Il silenzio, falso, della fata, quella sua impossibile indifferenza, faceva fremere la giovane principessa; a ogni istante temeva di essere scoperta e quindi allontanata, scacciata. Sapeva che stava approfittando di tutte le magie della Fata di Ferro, ma non riusciva a trattenersi! Doveva bere a quella fonte vietata.
Ogni sera, tornando a casa, si riprometteva di resistere a quella sete ma, il pomeriggio successivo, i buoni propositi capitolavano e lei si rituï¬ava in quel corpo: arrendevole, morbido, materno.
Che gioie provava, e quanto si umettava il suo fiore nascosto! Spesso si ritrovava con le mutandine bagnate sì, ma dal fuoco della lussuria.
6 â Perdersi, poi cercarsi più di prima
(Realtà )
Il pomeriggio era freddo, nonostante la primavera fosse già arrivata.
Nicòle giunse con guance e ginocchia arrossate, e il piccolo naso ghiacciato. La sua figura slanciata emerse superba, tra i giochi di luce dei cristalli della porta. Flora rimase abbagliata, ancora una volta, dalla sua leggiadria. Era mancata per una settimana e la donna si era resa conto di quanto lâamasse già .
Padrona del mondo, Nicòle si spogliò del soprabito e della sciarpa bianca. Poi tolse il cappellino di cotone, lasciando scorrere sulle spalle i capelli dâoro. Inondò la casa di sorrisi e di parole senza importanza.
âNiente scuola per domani, niente compiti oggi!â Stabilì, spadroneggiando, che era il pomeriggio adatto per guardare âIl dottor Zivagoâ. Flora avrebbe voluto piangere, ma non lo fece, né si oppose alla richiesta, lâattendeva da troppo, per non esaudire i desideri della sua piccola âtirannaâ. Iniziò a sentire le farfalle nello stomaco, mentre con la mente pregustava le carezze che tanto bramava. Le loro mani avrebbero danzato con le dita, intrecciandosi e respingendosi, come ballerine su un palco. Non riusciva a porre freno al suo desiderio, né a porre un vero freno a quello della ragazza.
Ma da troppo erano in stallo: non poteva continuare così. Flora decise di rompere gli indugi e di giocare le sue carte:
«Vai a fare pipì allora, altrimenti dopo ti seccherà alzarti» le sorrise. «Io intanto vado a preparare il the.»
«Sì, Badrona!» la prese in giro Nicòle.
Mentre Flora armeggiava in cucina, la giovane che si attardava nel bagno gridò:
«Ho una sorpresa, la vuoi vedere?»
«Oh, ohhh!» rilanciò Flora, «le âtueâ sorprese non promettono niente di buono al mio destinoâ¦Â»
«E invece sì, guardami!» uscì dal bagno e si mise in mostra. Aveva indosso solo lo spesso maglione a coste. Sotto, invece dei calzettoni, indossava collant neri e velati. Flora ebbe un sobbalzo, nonostante la ragazza tenesse le cosce serrate, era evidente che non indossava le mutandine: un ciuffetto biondo e delicato, schiariva le calze, proprio sullâinguine virginale.
«E guarda, ora» disse Nicòle, con un sorriso che sapeva di giovanile impertinenza. Divaricò i piedi allargando le gambe. Aveva squarciato grossolanamente i collant con le dita, proprio tra le gambe, così le calze facevano da cornice a quello spettacolo mozzafiato.
«à una mia invenzione! Ti piace?» Non attese risposta; tanto sapeva che non sarebbe arrivata. La bocca di Flora si era spalancata per lo stupore e adesso non riusciva a proferire una sola parola.
«Queste mi terranno più calda, starò comodissima. E senza le mutandine, posso fare la pipì facilmente.» Alzò lo sguardo e fissò Flora con aria spavalda, gli occhi di cerbiatta la sfidarono senza pudore. Flora riuscì a distrarre la sua attenzione da quello spettacolo. Col respiro aï¬annoso finse di borbottare qualcosa sui giovani, voltandosi per nascondere il rossore delle gote. Si dedicò tenacemente a filtrare il the e lo versò caldo nelle tazze preferite, poi senza una parola si ritirò di sopra, in camera.
Nicòle si era già sistemata sul divano, accogliente come un'alcova; aveva osato, ma in cuor suo si augurava di non avere esagerato.
Il film era appena iniziato. Dalle scale potè spiare Flora mentre tornava in salotto. Si era cambiata: ora indossava un lungo camicione, stretto sui seni, una specie di stile impero, sotto, infatti, si svasava leggermente e davanti era chiuso coi bottoni. La ragazza notò che non aveva più le calze. âAvrà caldoâ pensò tra sé, e provò piacere a quella vista.
7 - La fata senza veli
(Fiaba)
Quel pomeriggio la Fata di Ferro aveva indossato una veste leggera con i bottoni davanti. Come sempre silenziosa, sedette accanto ad Alba. Dopo pochi minuti la principessa si raggomitolò al suo fianco; iniziò ad assaporare l'atmosfera voluttuosa che si creava tra loro. Chiuse gli occhi e aspirò il profumo fresco sulla sua carne delicata. Tirò sul divano le due gambe fasciate dai collant, mentre abbandonava la testa sul braccio della fata. Pochi istanti dopo, con la mano libera, scivolò dalle sue gambe sottili a quelle deliziosamente piene della donna matura. Spingendo sul cotone leggero, sentì che scorreva facilmente sulla pelle nuda di quelle cosce. La principessa ebbe uno dei mille brividi che ormai facevano parte della sua precoce sessualità .
Curiosa, col cuore che batteva, la mano trasgressiva si fece strada verso lâalto; scavalcò la pancia, si soï¬ermò sullâombelico teso, per poi risalire il lieve pendio che arrancava sotto i seni generosi. Avrebbe voluto lanciare un piccolo grido di vittoria, ma si trattenne mordendosi le labbra: si era appena resa conto che la donna aveva tolto anche il reggiseno. Le sue poppe, deliziosamente calde, poggiavano sul corpetto della vestaglia ed erano trattenute solo dai bottoni. Alba incontrò la rugiada appetitosa che si stava formando sotto i due grossi seni. La voglia divenne violenta.
La fata taceva, come se nulla stesse accadendo; il volto da Sfinge, guardava, senza vedere, in direzione della televisione; le labbra serrate enigmaticamente; non un briciolo di emozione faceva capolino sul suo viso. I suoi occhi penetranti evitavano accuratamente di incrociare quelli di Alba. Eppure, per la prima volta⦠la fata, sotto la veste, era tutta nuda, ma sembrava del tutto indifferente alle passioni contrastanti che agitavano la giovanetta.
La fata taceva, come se nulla stesse accadendo; il volto da Sfinge, guardava, senza vedere, in direzione della televisione; le labbra serrate enigmaticamente; non un briciolo di emozione faceva capolino sul suo viso. I suoi occhi penetranti evitavano accuratamente di incrociare quelli di Alba. Eppure, per la prima volta⦠la fata, sotto la veste, era tutta nuda, ma sembrava del tutto indifferente alle passioni contrastanti che agitavano la giovanetta.
Alba voleva continuare a toccare la pelle nuda ma temeva di sembrare troppo insistente. Alla fine si fece coraggio: doveva tentare. Non poteva restare per sempre nellâinsicurezza e col petto in fiamme. Le dita sottili acquisirono coraggio e, come artificieri che manipolano una bomba inesplosa, uno dopo lâaltro liberarono i tre bottoni, che serravano il decolleté della Fata di Ferro. I seni tracimarono, come una piena dalla diga, privi ormai di ogni difesa, si allargavano mollemente, allontanandosi lâuno dallâaltro. Nel mezzo apparve, allora, come una vallata odorosa, rorida di delicato sudore.
Come provenisse dal sottobosco nel mese di agosto, uno sbuï¬o di profumo di femmina invase le nari della principessa impertinente. Alba era insicura nel leggere i segnali del piacere, ma di certo non evitò di cercare la voluttà tra quelle due montagne calde e tenere. Sulla sommità , sorgendo come templi tibetani, i seni, turgidi e torniti, con la punta già grossa come un dito, svettavano, allettandola a osare.
Il contatto della pelle nuda con i luoghi più intimi della sua âmadrinaâ resero la principessa euforica, come ubriaca. Abbandonò ogni freno inibitore e si avventò con le mani sul petto e sulla pancia che li sosteneva, con le mani bramose di toccare.
Il silenzio indiï¬erente e annoiato, che spesso era stato causa di dolori dâamore nella giovane principessa, ora, era benedetto. Lâeccitazione la rendeva temeraria⦠e, miracolosamente, la donna, immobile, si lasciava sballottare, tastare, annusare, senza dare segni, né di fastidio, né di apprezzamento; buon per Alba, che aveva perso la testa. Adesso era quasi pronta al passo decisivo; la vicinanza del viso e della bocca a quel seno generoso, la invitava a fare una cosa che ancora non aveva osato mai: prenderlo tra le labbra con tutta la passione. Quel primo bacio, erotico, estremo, avrebbe segnato la fine di ogni compromessoâ¦
La voce della Fata arrivò, pacata ma decisa, del tutto inaspettata, come uno schiaï¬o sulle mani. La matrona uscì allâimprovviso dal suo torpore sibillino. Risorse e, voltandosi verso Alba, la fissò con gli occhi scuri, ardenti come braci:
«Ma ti piace veramente quello che stai facendo?»
Alba saltò indietro; ritirò la mano. Sâirrigidì come fosse stata colpita da un ceffone.
Nonostante la donna continuasse a rimanere immobile sul divano, con i seni al di fuori dellâabito stretto; nonostante lâorlo sottostante, sollecitato dai moti di Alba, fosse salito fino a scoprire del tutto le grandi cosce, mostrando persino la mutandina bianca, fu Alba a sentirsi messa a nudo; si sentì scoperta, in un gioco che, follemente, aveva pensato di poter occultare. Caduto dâimprovviso lâeccitamento, si vergognò di aver tanto approfittato, esagerato, usurpato. Aveva invaso lâamicizia bonaria della fata, frugando sempre più il suo corpo, senza mai averne ottenuto il permesso, esplicitamente.
Quel giorno aveva di certo esagerato e provò, in pieno, tutta la violenza della sua trasgressione. Rimase impietrita mentre, completamente sobria dopo la sbornia di piacere, desiderava sprofondare, pur di non dover ammettere il suo mortificante atteggiamento.
***
Il tempo si era fermato nel soggiorno. Tutto sembrava tacere, persino la TV.
La Fata di Ferro, impassibile come unâaguzzina, scrutava lâanima di Alba, passandole attraverso gli occhi, chiari come lâacqua. Poi, finalmente, sul suo viso si disegnò un leggero sorriso che odorava di panna montata. Riprese la sua posizione comoda sul divano e, lentamente, cercò la mano di Alba, riportandosela sui seni cedevoli. Appena la ragazza si sciolse dalla morsa della paura, vi poggiò la testa, lasciando scorrere dagli occhi qualche lacrima di gioia. E allora la fata lâattirò a sé fino a quando la bocca non si trovò proprio sul capezzolo.
«Tu lo sai che tutto questo è proibito? Saprai mantenere il segreto?» le sussurrò allâorecchio. Liberandosi la bocca dal bacio perverso ma dolce, Alba promise con tutta lâanima:
«Non dirò mai niente a nessuno di quello che accade tra noi... qui. Te lo giuro sulla mia vita!» La fata abbassò lo sguardo e le loro labbra si incontrarono: le sue erano carnose e pronunciate, e si schiusero alla curiosità della fanciulla. Alba non sapeva bene come fare, ma il contatto fu inebriante. Un attimo dopo si ritrovò sulla lingua un succo oleoso e trasparente: era la saliva della sua amante. Passando da una bocca allâaltra il liquido si abbassava di temperatura, portandole in bocca una freschezza sconosciuta e nuova. Non credeva di resistere a quel sapore senza svenire, ma si fece forza.
«Nooo!» non riusciva a credere che tutto stesse veramente succedendo. Quella penetrazione tra le labbra era la cosa più intima e segreta che le fosse mai capitata. Quando le due lingue si catturarono, Alba voleva piangere ancora per lâemozione. Non poteva immaginare che quello era solo lâinizio dei loro balli proibiti.
8 â Prendersi: esercizi, scaramucce, perversioni
(Realtà )
«Sto tanto bene con te, mi piace toccarti tutta e desidero da tanto che anche tu mi accarezzi» disse Nicòle.
«Sei certa di volerlo? Desideri davvero un contatto più intimo?» disse Flora, mentre stavano abbracciate con le guance che si sfioravano.
«Sì. Lo desidero da mesi: voglio che mi tocchi anche tu!» poi aggiunse sussurrando «Lo so bene che mia madre non accetterebbe tutto questo, ma io non dirò mai niente. Io voglio solamente essere tua!» Flora sorrise e si lasciò finalmente andare, come si fosse sciolta da un legaccio, un blocco ne inibiva le emozioni. Era ora di raccogliere i frutti dei suoi segreti maneggi e della sua tenacia. La baciò ancora sulle labbra con complicità , e le sue mani iniziarono a muoversi. Scivolarono sotto lo spesso maglione e le cercarono le spalle, e si saziarono di quel corpo giovane tanto a lungo bramato. Dalle spalle scesero sui fianchi, poi, da sopra le calze scesero alle natiche, strette e sode. Conobbero le sue gambe, per poi risalire, strisciando i polsi sul pube, ma senza soggiornarvi... almeno per il momento.
Le carezze proseguirono di nuovo verso l'alto, tornando sotto la maglia e raggiungendo i piccoli seni appuntiti, sbocciati da poco e durissimi. Arrivate allâaureola rosa si fermarono e Flora fissò Nicòle con un sorriso di sfida; aspettava un permesso che non le fu negato. Allora sapientemente seppe pressare e tirare quelle collinette acerbe. Le circondava e le massaggiava; dopo averla baciata ancora si diresse, con la bocca, sulla maglia, sottoponendo i piccoli seni alla voracità delle sue labbra. Con lâalito tiepido oltrepassava la lana, inondando la ragazza di un calore nuovo e inebriante.
Lâeccitazione divenne sogno quando, con movimenti voluttuosi, Flora fece scivolare verso lâalto sia la maglia che la canotta leggera, col contatto diretto delle labbra sui bottoni rosa, duri come madreperla.