Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I - Giovanna Esse 4 стр.


La ragazza aveva il fuoco nel ventre. Il desiderio la rimescolava tutta, non sapeva come, ma voleva da quella donna tutto ciò che l’eros poteva offrire. Nicòle non poteva sapere che quella danza era solo l’insieme dei preliminari. Infatti, qualche minuto dopo, Flora si alzò, chiuse la porta a doppia mandata e le prese la mano. Scalze, come ninfe dei boschi, salirono al piano superiore dove c’era la camera da letto.

La fece stendere pressandola delicatamente, e poi si accovacciò sulla giovane, mettendosi a quattro zampe, come una cagna; intanto i seni sconfinati precipitavano sul collo e sul petto di Nicòle.

«Tesoro mio, adesso puoi guardare e toccare… tutto. Non ti devi più trattenere. È da tanto che lo desideravo, piccola mia.» Si scostò una ciocca con le dita. «Finalmente…» aggiunse, quasi commossa per l’estasi di quei momenti.

Allora Nicòle, con un gesto liberatorio, le aprì tutti i bottoni e lasciò che la veste scorresse via, lasciando la sua fata finalmente nuda, in tutta l’opulenza delle sue morbide forme: ora le si mostrava tutta davanti agli occhi vogliosi.

Cominciò a godere già solo a guardare le curve muliebri che aveva desiderato per mesi. La possedette con lo sguardo, come un bambino che diventa padrone del giocattolo che anela da tanto. Libera, Nicòle cominciò a tastare la donna, studiandone prima i seni, poi la pancia e i fianchi.

Flora indossava ancora le mutane bianche. Curiose di provare, le dita di Nicòle frugarono sotto l’elastico, voleva scoprire fin dove si poteva spingere oltre quella nuova frontiera della sensualità; cercò l’orlo e iniziò a sfilarle. La donna si abbandonò a quel piacere così fresco, e Nicòle, seguendo il suo corpo col tatto, ebbe l’occasione di esplorare tutta la sua carne, fino ai piedi, nudi e caldi, che tante volte aveva desiderato baciare. Ora, la grande dama era tutta nuda e tutta sua: che piacere inatteso!

Come un dono d’amore, anche la giovanetta si offrì:

«Prendimi anche tu, Flora, scoprimi, guardami e tocca tutto ciò che desideri di me, il mio corpo ti appartiene da tempo e tu trattami come fossi una cosa tua.»

L’adulta fu bravissima: le sue mani le sfilarono tutto, scorrendo sulla pelle e facendola vibrare. Languidamente le tolse le calze strappate, facendole scivolare sulle lunghe gambe da gazzella. Le dita leggere sfioravano i piccoli seni, che reagivano, autonomamente, a ogni sua carezza. Con fare materno sistemò la biancheria su un cuscino. In poco tempo, anche la ragazza venne completamente spogliata.

Per Nicòle, starle di fronte era come volare: vedere per intero il suo corpo, la faceva sentire sospesa in uno stato conturbante, mai provato prima.

Essere così nude fece sì che si fondessero in un abbraccio totale, ogni centimetro di pelle veniva a contatto, combaciando. Distese sul letto, le mani di Flora, immediatamente seguite dalle sue labbra, iniziarono quel viaggio passionale che mai più si sarebbe cancellato nei ricordi di Nicòle.

Le sue dita addosso erano come scintille, lava incandescente. Scivolavano, assetate di carne; appena dopo le dita, arrivava la bocca, umida di fiato e di saliva, sembrava fumare: una bava ardente lasciava, sul corpo ancora acerbo, emozioni mai provate. La scia evaporava subito, per la febbre dell’amore e procurava brividi di eccitazione incontrollabili. Nicòle era in trance. Viveva tutto come fosse in un’altra dimensione. Le sensazioni nuove erano intense, violente, eppure ovattate: come se la mente le vivesse sotto l’effetto della più inebriante delle droghe.

Finalmente, dopo il lungo peregrinare, le dita raggiunsero la piccola farfalla che, come appena sorta dal bozzolo, se ne stava immobile e contrita, in attesa che la natura le insegnasse a schiudersi al piacere. Ciò che sembrava l’apice insostenibile della goduria si rivelò solo l’alba del sentiero proibito, durante quell’accoppiamento, tremendo, innaturale.

La mano di Flora si dedicò al gioiellino della giovane Nicòle: la carezzava, la confortava… l’avvisava di tenersi forte, perché l’affondo stava per giungere. Infatti, pochi momenti dopo, la bocca carnosa discese implacabile, affamata. Ghermì la farfallina, violentandone le ali piene di rugiada, spaccandola fino al vertice con la lingua possente e decisa. La bocca tutta premeva; la lingua penetrava inarrestabile: come il canino di un vampiro assetato di miele. Flora penetrò nel sacello bagnato e, al tempo stesso, infuocato dalla passione.

Un suono osceno si sprigionava da quella scena erotica. La dolcezza aveva lasciato il posto all’ingordigia. Un fulmine elettrico, squarciante, luminoso, partì dal ventre di Nicòle e percorrendo ogni suo muscolo più recondito, raggiunse il cervello, facendola sobbalzare per l’emozione.

Un piacere mai provato, sconosciuto persino nelle notti solitarie in cui si martoriava il sesso. Flora le stette addosso con la stessa forza di un maschio che vuol possedere la preda conquistata. Pur senza deflorarla, la fece sua ripetutamente, forse in maniera ancora più veemente; marchiandola per sempre col suo peso e con le lettere infuocate del suo incontenibile desiderio. La infilò col medio, rigido, e poi anche l’indice riuscì a passarle dentro.

L’orgasmo… gli orgasmi di Nicòle iniziarono pochi minuti dopo quelle ondate di pressione, nella sua carne che si squassava. Dopo non fu possibile contarli, così come poi non sarebbe stato possibile contare i giorni d’amore e di piacere che avrebbero vissuto in seguito. Tutte quelle ore insieme le avrebbero trasformate in amanti indivisibili.

Quando Nicòle cercò di ricambiare, dirigendo la bocca verso i luoghi segreti della donna, Flora non le permise di raggiungerli. La ragazza si dovette accontentare di poggiarle la guancia sul ventre, mentre cercava di aspirare, vicinissima all’intimità della donna, tutto l’odore che ne sprigionava.

La sua amante le accarezzò la mano e, delicatamente, la guidò, così le concesse di avventurarsi dentro di lei ma solo con le dita. Nicòle cominciò a scavare e a rovistare, come fosse la padrona; sguazzava felice in quel mare di umori. Di nascosto, si leccava le dita, per riprendere subito dopo il suo ditalino. In pochi minuti anche Flora esplose, senza più controllo. Appena Nicòle capì che la sua istitutrice stava raggiungendo l’acme, cercò, con l’altra mano, la sua natura e si associò a lei nel novello piacere che, liquido e sonoro, la fece sciogliere… come se svenisse, in un lago peccaminoso. Godere insieme fu inconcepibile, iniziandole subito a una comunione che mai più si sarebbe potuta ignorare.

Per la giovane Nicòle, questa fu la prima, vera esperienza sessuale, e fu tutta al femminile. Andava ben oltre il semplice sesso; sfociava nell’emozione d’amore: un'emozione che mai, nella sua vita, sarebbe stata eguagliata. Per quanto piacere potesse mai assaporare, nessuna relazione avrebbe retto il paragone con quella prima, indelebile, avventura. Quel paio d’ore intense e travolgenti restarono impresse nei suoi ricordi come un livello di estasi ineguagliabile.

Spossata, si accucciò sotto il corpo della sua fata, dopo il sesso sfrenato, adesso, cercava l’amore incondizionato.

E si addormentò.

9 - Intermezzo magico

(Fiaba)

L’estate torrida passava e scaldava i sensi, mentre i corpi seminudi delle due amanti, la giovane principessa e la fata matura, si mostravano e si avvinghiavano, schiavi dello stesso desiderio.

9 - Intermezzo magico

(Fiaba)

L’estate torrida passava e scaldava i sensi, mentre i corpi seminudi delle due amanti, la giovane principessa e la fata matura, si mostravano e si avvinghiavano, schiavi dello stesso desiderio.

Anche l’autunno venne, con la sua dolce pacatezza, le invitava a cercarsi e a possedersi, approfittando di ogni occasione.

Poi l’inverno, e il freddo le teneva vicine, pelle contro pelle, sotto un’unica coperta, profumata di piacere.

Finalmente, a primavera le loro farfalle fiorivano ed erano eccitate più che mai: il momento migliore, per affondare la bocca nell'altra, manipolandola fino a quando, dalla corolla, intensamente profumata e dolce come il miele, si decideva a sgorgare l’acqua di rose dell’amore.

E così, mescolandosi l’una nell'altra, in un amalgama di sesso e passione, le donne passarono le stagioni di quell'amore avvincente e perverso. Alba cresceva e imparava; la Fata di Ferro provava un intenso languore, lasciandole una parte dominante sul possesso del suo corpo maturo. La principessa, oltre ad amarla, si divertiva a giocare con lei e a sottometterla ai suoi capricci.

Spesso la fata si accontentava di inginocchiarsi ai piedi del grosso divano, facendole da serva, da schiava. Il suo omaggio servile partiva dai piedini di Alba. Poi la massaggiava, la baciava fino all’estremo, lasciandola, alla fine, riposare sotto il suo abbraccio materno. Pian piano le faceva scoprire il piacere in tutte le sue possibili sfumature. Prima concedette tutto di sé, poi iniziò anche a cercare il gusto del possesso di lei. Le insegnò tutti i giochi e le furbizie, le permise di usare oggetti erotici, per imparare a dare virilmente piacere a una donna. La principessa giocava e sperimentava. Amava prendere la fata, da ogni parte, godeva nel vederla ricevere le sue spinte penetranti, in ogni meandro.

La donna godeva dell’ingenuità di Alba, ogni giorno più provata, più curiosa, più smaliziata, nella ricerca sfrenata della passione. La fata, adesso, prendeva piacere dalla sua discepola.

Di notte, poi, la fata, più matura e scaltra, sola nel letto, mentre ascoltava il frinire delle cicale, si arrovellava cercando nuove perversioni per poterle esercitare l'indomani. Non le sembrava vero di poter coronare i suoi sogni più inconfessabili, servendosi di quel corpo, tenero e giovane, e di quella mente fertile e incantata.

L’aveva tenuta vergine fino ad allora, ma un giorno decise di sferrare il suo incantesimo erotico più potente.

Nel frattempo i genitori della principessa, ignari di quanto accadeva, si concentravano sulle loro vite complicate. La regina si fidava ciecamente dell'amicizia che la legava alla fata. Nonostante avesse intuito che, in quella casa di marzapane, avveniva qualcosa di più che il solo sorbire del the con i biscotti. Ma tutto era tranquillo, grazie a quel rapporto tanto speciale. L’amica era dolce e paziente, la principessa veniva su felice e robusta, e lei, la madre, era più libera che mai.

Andava bene così. Indagare sarebbe stato inutile e anche impegnativo.

10 - Incontenibile sete di piacere

(Realtà)

Nicòle la stava accogliendo, soffrendo, ma decisa. Le braccia incrociate sotto la testa che veniva schiacciata contro la spalliera ad ogni pressione. Le ginocchia a terra, poggiate su un plaid, erano divaricate. Aveva fatto tanto per convincere Flora a farle provare la passività più segreta, dopo che lei, la piccola Nicòle, le martoriava, da anni, ogni parte intima.

L’oggetto con cui si aiutavano era grosso, molto spesso ma non troppo lungo. Quando lo indossava, Nicòle non dava tregua alla sua amica. Flora lo riceveva tutto da lei, senza battere ciglio, ma diventava attenta e severa quando si trattava di usare il corpo di Nicòle per quel piacere. Così aveva impiegato del tempo per permetterle di subire, ma senza farsi troppo male e restando vergine.

Ecco perché, adesso, Nicòle si sottometteva senza lamentarsi agli attacchi, costanti e feroci, della sua matrona. l’aveva chiesto e, finalmente, l’aveva ottenuto.

La ragazza aspettava che la furia sbollisse, perché dopo averla attaccata da dietro, Flora, come fosse pentita di avere abusato di quel forellino roseo, la curava. Si metteva alle sue spalle e, con delicatezza, la ristorava dopo la carica, che lei stessa aveva portato a segno. Quando finirono, abbracciate sul divano e sfinite dalle emozioni, Nicòle manifestò tutto il suo disappunto:

«Ma insomma… è bellissimo farlo, ma perché non posso far l’amore secondo natura? Sono una donna ormai.» Flora sogghignava, divertita, ma intanto le rimostranze della ragazza divenivano sempre più accese.

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