Già, quella vendita non giovò a nulla. Il Malagna, con quel figlio nascituro, che lo abilitava ormai a non aver più né ritegno né scrupolo, fece lultima: si mise daccordo con gli strozzini, e comprò lui, senza figurare, le case, per pochi bajocchi. I debiti che gravavano su la Stìa restarono così per la maggior parte scoperti; e il podere insieme col molino fu messo dai creditori sotto amministrazione giudiziaria. E fummo liquidati.
Che fare ormai? Mi misi, ma quasi senza speranza, in cerca di unoccupazione qual si fosse, per provvedere ai bisogni più urgenti della famiglia. Ero inetto a tutto; e la fama che mero fatta con le mie imprese giovanili e con la mia scioperataggine non invogliava certo nessuno a darmi da lavorare. Le scene poi, a cui giornalmente mi toccava dassistere e di prender parte in casa mia, mi toglievano quella calma che mi abbisognava per raccogliermi un po a considerare ciò che avrei potuto e saputo fare.
Mi cagionava un vero e proprio ribrezzo il veder mia madre, lì, in contatto con la vedova Pescatore. La santa vecchietta mia, non più ignara, ma agli occhi miei irresponsabile de suoi torti, dipesi dal non aver saputo credere fino a tanto alla nequizia degli uomini, se ne stava tutta ristretta in sé, con le mani in grembo, gli occhi bassi, seduta in un cantuccio, ma come se non fosse ben sicura di poterci stare, lì a quel posto; come se fosse sempre in attesa di partire, di partire fra poco se Dio voleva! E non dava fastidio neanche allaria. Sorrideva ogni tanto a Romilda, pietosamente;
non osava più di accostarsele; perché, una volta, pochi giorni dopo la sua entrata in casa nostra, essendo accorsa a prestarle ajuto, era stata sgarbatamente allontanata da quella strega.
Faccio io, faccio io; so quel che debbo fare.
Per prudenza, avendo Romilda veramente bisogno dajuto in quel momento, mero stato zitto; ma spiavo perché nessuno le mancasse di rispetto.
Maccorgevo intanto che questa guardia chio facevo a mia madre irritava sordamente la strega e anche mia moglie, e temevo che, quandio non fossi in casa, esse, per sfogar la stizza e votarsi il cuore della bile, la maltrattassero. Sapevo di certo che la mamma non mi avrebbe detto mai nulla. E questo pensiero mi torturava. Quante, quante volte non le guardai gli occhi per vedere se avesse pianto! Ella mi sorrideva, mi carezzava con lo sguardo, poi mi domandava:
Perché mi guardi così?
Stai bene, mamma?
Mi faceva un atto appena appena con la mano e mi rispondeva:
Bene; non vedi? Va da tua moglie, va; soffre, poverina.
Pensai di scrivere a Roberto, a Oneglia, per dirgli che si prendesse lui in casa la mamma, non per togliermi un peso che avrei tanto volentieri sopportato anche nelle ristrettezze in cui mi trovavo, ma per il bene di lei unicamente.
Berto mi rispose che non poteva; non poteva perché la sua condizione di fronte alla famiglia della moglie e alla moglie stessa era penosissima, dopo il nostro rovescio: egli viveva ormai su la dote della moglie, e non avrebbe dunque potuto imporre a questa anche il peso della suocera. Del resto, la mamma diceva si sarebbe forse trovata male allo stesso modo in casa sua, perché anche egli conviveva con la madre della moglie, buona donna, sì, ma che poteva diventar cattiva per le inevitabili gelosie e gli attriti che nascono tra suocere. Era dunque meglio che la mamma rimanesse a casa mia; se non altro, non si sarebbe così allontanata negli ultimi anni dal suo paese e non sarebbe stata costretta a cangiar vita e abitudini. Si dichiarava infine dolentissimo di non potere, per tutte le considerazioni esposte più sù, prestarmi un anche menomo soccorso pecuniario, come con tutto il cuore avrebbe voluto.
Io nascosi questa lettera alla mamma. Forse se lanimo esasperato in quel momento non mi avesse offuscato il giudizio, non me ne sarei tanto indignato; avrei considerato, per esempio, secondo la natural disposizione del mio spirito, che se un rosignolo dà via le penne della coda, può dire: mi resta il dono del canto; ma se le fate dar via a un pavone, le penne della coda, che gli resta? Rompere anche per poco lequilibrio che forse gli costava tanto studio, lequilibrio per cui poteva vivere pulitamente e forsanche con una certaria di dignità alle spalle della moglie, sarebbe stato per Berto sacrifizio enorme, una perdita irreparabile. Oltre alla bella presenza, alle garbate maniere, a quella sua impostatura delegante signore, non aveva più nulla, lui, da dare alla moglie;
neppure un briciolo di cuore, che forse lavrebbe compensata del fastidio che avrebbe potuto recarle la povera mamma mia. Mah! Dio laveva fatto così; gliene aveva dato pochino pochino, di cuore. Che poteva farci, povero Berto?
Intanto le angustie crescevano; e io non trovavo da porvi riparo. Furon venduti gli ori della mamma, cari ricordi. La vedova Pescatore, temendo che io e mia madre fra poco dovessimo anche vivere sulla sua rendituccia dotale di quarantadue lire mensili, diventava di giorno in giorno più cupa e di più fosche maniere. Prevedevo da un momento allaltro un prorompimento del suo furore, contenuto ormai da troppo tempo, forse per la presenza e per il contegno della mamma. Nel vedermi aggirar per casa come una mosca senza capo, quella bufera di femmina mi lanciava certe occhiatacce, lampi forieri di tempesta. Uscivo per levar la corrente e impedire la scarica. Ma poi temevo per la mamma, e rincasavo.
Un giorno, però, non feci a tempo. La tempesta, finalmente, era scoppiata, e per un futilissimo pretesto: per una visita delle due vecchie serve alla mamma.
Una di esse, non avendo potuto metter nulla da parte, perché aveva dovuto mantenere una figlia rimasta vedova con tre bambini, sera subito allogata altrove a servire; ma laltra, Margherita, sola al mondo, più fortunata, poteva ora riposar la sua vecchiaja, col gruzzoletto raccolto in tanti anni di servizio in casa nostra. Ora pare che con queste due buone donne, già fidate compagne di tanti anni, la mamma si fosse pian piano rammaricata di quel suo misero e amarissimo stato. Subito allora Margherita, la buona vecchierella che già laveva sospettato e non osava dirglielo, le aveva profferto dandar via con lei, a casa sua: aveva due camerette pulite, con un terrazzino che guardava il mare, pieno di fiori: sarebbero state insieme, in pace: oh, ella sarebbe stata felice di poterla ancora servire, di poterle dimostrare ancora laffetto e la devozione che sentiva per lei.
Ma poteva accettar mia madre la profferta di quella povera vecchia? Donde lira della vedova Pescatore.
Io la trovai, rincasando, con le pugna protese contro Margherita, la quale pur le teneva testa coraggiosamente, mentre la mamma, spaventata, con le lagrime agli occhi, tutta tremante, si teneva aggrappata con ambo le mani allaltra vecchietta, come per ripararsi.
Veder mia madre in quellatteggiamento e perdere il lume degli occhi fu tuttuno. Afferrai per un braccio la vedova Pescatore e la mandai a ruzzolar lontano. Ella si rizzò in un lampo e mi venne incontro, per saltarmi addosso; ma sarrestò di fronte a me.
Fuori! mi gridò. Tu e tua madre, via! Fuori di casa mia!
Senti; le dissi io allora, con la voce che mi tremava dal violento sforzo che facevo su me stesso, per contenermi. Senti: vattene via tu, or ora, con le tue gambe, e non cimentarmi più. Vattene, per il tuo bene! Vattene!
Romilda, piangendo e gridando, si levò dalla poltrona e venne a buttarsi tra le braccia della madre:
No! Tu con me, mamma! Non mi lasciare, non mi lasciare qua sola!
Ma quella degna madre la respinse, furibonda:
Lhai voluto? tientelo ora, codesto mal ladrone! Io vado sola!
Ma non se ne andò, sintende.
Lhai voluto? tientelo ora, codesto mal ladrone! Io vado sola!
Ma non se ne andò, sintende.
Due giorni dopo, mandata suppongo da Margherita, venne in gran furia, al solito, zia Scolastica, per portarsi via con sé la mamma.
Questa scena merita di essere rappresentata.
La vedova Pescatore stava, quella mattina, a fare il pane, sbracciata, con la gonnella tirata sù e arrotolata intorno alla vita, per non sporcarsela. Si voltò appena, vedendo entrare la zia, e seguitò ad abburattare, come se nulla fosse. La zia non ci fece caso; del resto, ella era entrata senza salutar nessuno; diviata a mia madre, come se in quella casa non ci fosse altri che lei.
Subito, via vèstiti! Verrai con me. Mi fu sonata non so che campana. Eccomi qua. Via, presto! il fagottino!
Parlava a scatti. Il naso adunco, fiero, nella faccia bruna, itterica, le fremeva, le si arricciava di tratto in tratto, e gli occhi le sfavillavano.
La vedova Pescatore, zitta.
Finito di abburattare, intrisa la farina e coagulatala in pasta, ora essa la brandiva alta e la sbatteva forte apposta, su la madia: rispondeva così a quel che diceva la zia. Questa, allora, rincarò la dose. E quella, sbattendo man mano più forte: «Ma sì! ma certo! ma come no? ma sicuramente!»; poi, come se non bastasse, andò a prendere il matterello e se lo pose lì accanto, su la madia, come per dire: ci ho anche questo.
Non lavesse mai fatto! Zia Scolastica scattò in piedi, si tolse furiosamente lo scialletto che teneva su le spalle e lo lanciò a mia madre:
Eccoti! lascia tutto. Via subito!
E andò a piantarsi di faccia alla vedova Pescatore. Questa, per non averla così dinanzi a petto, si tirò un passo indietro, minacciosa, come volesse brandire il matterello; e allora zia Scolastica, preso a due mani dalla madia il grosso batuffolo della pasta, glielappiastrò sul capo, glielo tirò giù su la faccia e, a pugni chiusi, là, là, là, sul naso, sugli occhi, in bocca, dove coglieva coglieva. Quindi afferrò per un braccio mia madre e se la trascinò via.
Quel che seguì fu per me solo. La vedova Pescatore, ruggendo dalla rabbia, si strappò la pasta dalla faccia, dai capelli tutti appiastricciati, e venne a buttarla in faccia a me, che ridevo, ridevo in una specie di convulsione; mafferrò la barba, mi sgraffiò tutto; poi, come impazzita, si buttò per terra e cominciò a strapparsi le vesti addosso, a rotolarsi, a rotolarsi, frenetica, sul pavimento; mia moglie intanto (sit venia verbo) receva di là, tra acutissime strida, mentrio:
Le gambe! le gambe! gridavo alla vedova Pescatore per terra. Non mi mostrate le gambe, per carità!
Posso dire che da allora ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure e dogni mio tormento. Mi vidi, in quellistante, attore duna tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare: mia madre, scappata via, così, con quella matta; mia moglie, di là, che lasciamola stare!; Marianna Pescatore lì per terra; e io, io che non avevo più pane, quel che si dice pane, per il giorno appresso, io con la barba tutta impastocchiata, il viso sgraffiato, grondante non sapevo ancora se di sangue o di lagrime, per il troppo ridere. Andai ad accertarmene allo specchio. Erano lagrime; ma ero anche sgraffiato bene. Ah quel mio occhio, in quel momento, quanto mi piacque! Per disperato, mi sera messo a guardare più che mai altrove, altrove per conto suo. E scappai via, risoluto a non rientrare in casa, se prima non avessi trovato comunque da mantenere, anche miseramente, mia moglie e me.
Dal dispetto rabbioso che sentivo in quel momento per la sventatezza mia di tanti anni, argomentavo però facilmente che la mia sciagura non poteva ispirare a nessuno, non che compatimento, ma neppur considerazione. Me lero ben meritata. Uno solo avrebbe potuto averne pietà: colui che aveva fatto man bassa dogni nostro avere; ma figurarsi se Malagna poteva più sentir lobbligo di venirmi in soccorso dopo quanto era avvenuto tra me e lui.
Il soccorso, invece, mi venne da chi meno avrei potuto aspettarmelo.
Rimasto tutto quel giorno fuori di casa, verso sera, mimbattei per combinazione in Pomino, che, fingendo di non accorgersi di me, voleva tirar via di lungo.
Pomino!
Si volse, torbido in faccia, e si fermò con gli occhi bassi:
Che vuoi?
Pomino! ripetei io più forte, scotendolo per una spalla e ridendo di quella sua mutria. Dici sul serio?
Oh, ingratitudine umana! Me ne voleva, per giunta, me ne voleva, Pomino, del tradimento che, a suo credere, gli avevo fatto. Né mi riuscì di convincerlo che il tradimento invece lo aveva fatto lui a me, e che avrebbe dovuto non solo ringraziarmi, ma buttarsi anche a faccia per terra, a baciare dove io ponevo i piedi.
Ero ancora comebbro di quella gajezza mala che si era impadronita di me da quando mero guardato allo specchio.
Vedi questi sgraffii? gli dissi, a un certo punto. Lei me li ha fatti!
Ro cioè, tua moglie?
Sua madre!
E gli narrai come e perché. Sorrise, ma parcamente. Forse pensò che a lui non li avrebbe fatti, quegli sgraffii, la vedova Pescatore: era in ben altra condizione dalla mia, e aveva altra indole e altro cuore, lui.
Mi venne allora la tentazione di domandargli perché dunque, se veramente nera così addogliato, non laveva sposata lui, Romilda, a tempo, magari prendendo il volo con lei, comio gli avevo consigliato, prima che, per la sua ridicola timidezza o per la sua indecisione, fosse capitata a me la disgrazia dinnamorarmene; e altro, ben altro avrei voluto dirgli, nellorgasmo in cui mi trovavo; ma mi trattenni. Gli domandai, invece, porgendogli la mano, con chi se la facesse, di quei giorni.
Con nessuno! sospirò egli allora. Con nessuno! Mi annojo, mi annojo mortalmente!
Dallesasperazione con cui proferì queste parole mi parve dintendere a un tratto la vera ragione per cui Pomino era così addogliato. Ecco qua: non tanto Romilda egli forse rimpiangeva, quanto la compagnia che gli era venuta a mancare; Berto non cera più; con me non poteva più praticare, perché cera Romilda di mezzo, e che restava più dunque da fare al povero Pomino?
Ammógliati, caro! gli dissi. Vedrai come si sta allegri! Ma egli scosse il capo, seriamente, con gli occhi chiusi; alzò una mano:
Mai! mai più!
Bravo, Pomino: persèvera! Se desideri compagnia, sono a tua disposizione, anche per tutta la notte, se vuoi.
E gli manifestai il proponimento che avevo fatto, uscendo di casa, e gli esposi anche le disperate condizioni in cui mi trovavo. Pomino si commosse, da vero amico, e mi profferse quel po di denaro che aveva con sé. Lo ringraziai di cuore, e gli dissi che quellaiuto non mavrebbe giovato a nulla: il giorno appresso sarei stato da capo. Un collocamento fisso mabbisognava.
Aspetta! esclamò allora Pomino. Sai che mio padre è ora al Municipio?
No. Ma me limmagino.
Assessore comunale per la pubblica istruzione.
Questo non me lo sarei immaginato.
Jersera, a cena Aspetta! Conosci Romitelli?
No.
Come no! Quello che sta laggiù, alla biblioteca Boccamazza. È sordo, quasi cieco, rimbecillito, e non si regge più sulle gambe. Jersera, a cena, mio padre mi diceva che la biblioteca è ridotta in uno stato miserevole e che bisogna provvedere con la massima sollecitudine. Ecco il posto per te!
Bibliotecario? esclamai. Ma io
Perché no? disse Pomino. Se lha fatto Romitelli
Questa ragione mi convinse.
Pomino mi consigliò di farne parlare a suo padre da zia Scolastica. Sarebbe stato meglio.