Castel Gavone: Storia del secolo XV - Anton Barrili 7 стр.


Ah, tu sai?.

Certamente; un Cascherano, conte di Osasco, che è un borgo di là da Torino. Questo matrimonio è una sorta di rifugio, e il marchese Galeotto, alla disperata, l'ha scelto. Poteva dare la figliuola ad uno di questi Adorni, che, cacciati da Genova, sono venuti ad appoggiar la labarda da noi e a congiurare contro la patria loro. Ma questo era il peggio dei peggi. L'ha negata a un Fregoso, che è doge, ma che potrebbe essere rovesciato da oggi a domani; non poteva pensare a un Adorno, che, anco tornando in alto posdimani, potrebbe dar la capata a sua volta. Quella è gente instabile e non c'è da far conto sovr'essa; meglio un nobile di là dai monti, che ha meno grandezza di nome e più sicurezza di stato. E ad un di costoro, che niuno sapeva chi fosse, si sacrifica il valore, la divozione, l'amore infinito di Giacomo Pico. Donde tu devi vedere che sorte di virtù siano queste tue, e come ben collocate!

Ah, io ne morrò!prorruppe il Bardineto, cacciandosi a furia le mani nei capegli.

E dàlli,soggiunse Tommaso.O non ci hai proprio nient'altro da fare? Ma sai che mi faresti uscire dai gangheri? Infine, che cosa desideri? per che cosa ti arrovelli? Per una donna che ti piace. Orbene, da Adamo in poi ciò è capitato a più d'uno, e non so che alcuno abbia perso il lume degli occhi, prima di averne l'intiero. Pensaci un tratto; o le piaci tu pure, o non le piaci. Se non le vai a genio, ci hai il tuo conto saldato; puoi mandarla a quel paese, o aspettarla al varco e far vendetta allegra; ad ogni modo, egli non c'è da desiderarsi la morte per una donna che non ti abbada. Se in quella vece la ti vede di buon occhio, aspetta, perdiana; il tuo giorno verrà. O che credi, perchè la diventa contessa d'Osasco, t'abbia a fare il viso dell'arme? Il non esser buono per marito, non vuol già dire. che anzi!. In questi casi, un rifiuto io l'avrei per grazia profumata. La donna, amico mio, è una gran bella cosa e ci ha i suoi dolci momenti, che la getteresti sopra ogni altra delizia del mondo; ma guai a chi l'avesse sospesa al braccio tutte le ventiquattr'ore del giorno; e' ci sarebbe da pregarsi il fistolo! Or dunque, Giacomo Pico, sta di buon animo, e non ti lasciar scolorire le ultime rose sul volto, che non abbia a parer meglio di te il Cascherano, quando verrà a fare il mogliazzo.

È già venuto;mugghiò il Bardineto.

Ah, ah! non si perde tempo? E sia pure e ci resti, in sua malora! Tu non mi fare il poeta; che saresti ridicolo, e chi fa ridere ha perso la causa. Ti piace la donna! tienti sull'orma e aspetta il buon punto. Chi sa? Non t'eri accorto, e forse la tua stella è già apparsa sull'orizzonte. Ma sopratutto, bada, non ti guastare il sangue, non pigliar nulla a scesa di testa; è l'essenziale. A proposito di scesa, o che, si sta qui fino a notte? Io ho fame, e tu non devi rimanere quassù, a far l'uomo salvatico. Si scende, dunque?

No, Tommaso; non per di qua!disse Giacomo Pico, torcendo gli occhi in atto supplichevole.

No? Orbene, come ti pare. Largo ai canti e scendiamo alla Marina.

Ciò detto, e per mandare i fatti di costa alla parole, il Sangonetto, che già s'era alzato da sedere, diè di piglio al suo archibugio e se lo gittò in spalla; con un colpo della palma distesa si acciaccò la berretta sul capo e, per uno di que' sentieruoli che serpeggiavano lunghesso i fianchi della montagna, s'avviò alla discesa.

Giacomo Pico si mosse dietro di lui, non rassegnato affatto, nè affatto sconsolato, bensì pieno di maltalento contro di sè, contro di tutti, pronto ad affogare la sua rabbia nel vino, come a sfogarla in una mareggiata di sangue.

Accadeva al Bardineto ciò che spesso accade a molti infelici suoi pari, che la compagnia e i conforti d'un uomo volgare mutano indirizzo al loro tormento. Sia che un intimo senso li ritenga dal commettere un alto dolore in piena balìa di chi non è nato ad intenderlo, o sia che la medesima volgarità del compagno pigli il sopravvento sulla fibra umana (già, per istinto, volgare, e non mai delicata, nè nobile, se non per eccesso, che non è naturale nell'uomo), o sia finalmente che la vostra vanità messa al punto, s'inalberi e comandi agli atti nostri una apparenza di fortezza, egli è un fatto che il dolore, almeno fino a tanto che duri quella nuova maniera di contrasto, non pure fa le viste di cedere, ma veramente si scema, o si addorme nel profondo dell'anima. Ripiglierà forse vigore, crescerà d'intensione più tardi, troverà le occasioni a romper fuori, tanto più impetuoso, quanto più è rimasto compresso ed inerte; ma tace, frattanto, e qualche volta, fra mezzo alle cento cure svariate del vivere, agli aspetti diversi delle cose, ai ragionari delle liete e noncuranti brigate, lascia libero il campo alle più discordi sensazioni, financo a quella che ci sforza di ridere. Cose che non si spiegherebbero altrimenti, senza questa mobilità somma detta umana natura.

Del resto, è anche vera un'altra cosa, ed accade agli animi deboli, che sono poi il maggior numero della figliolanza di Adamo. Ci si apre con un gentile ascoltatore, con un virtuoso consigliere, e si piange o si è sconfortati, ed è nobile sfogo che ci eleva lo spirito ad altezze o non prima vedute, o non reputate accessibili all'uomo. Si commettono i proprii dolori ad orecchio volgare; da labbro volgare si aspettano i conforti e i consigli; ma gli uni e gli altri ci affondano nel pantano dei sensi ingenerosi; crassi vapori c'involgono e ci nascondono il sereno de' cieli; il dolore, fatto ira e bestemmia, bramosia di vendetta, di mal per male, non ci affina lo spirito, lo ingombra, lo accieca, vi attossica le sacre fonti del bene.

I due amici scendevano, come si è detto, lungo la costa del monte. Giacomo Pico era taciturno e grave; ma tratto tratto scuoteva il capo e sbuffava a guisa di toro ferito. Il Sangonetto taceva del pari, e certo non facea bocca da ridere; ma chi gli fosse stato dinanzi e lo avesse veduto a dondolare il capo e ad aggrinzare di tanto in tanto le labbra, avrebbe detto che il consolatore di Giacomo Pico se la rideva dentro di sè, di quel riso tacito e profondo che fa tanto buon sangue. Gongolava, il Sangonetto; e perchè? Perchè la era finita una volta, quella cuccagna del Bardineto; perchè gli era finalmente caduto, quel superbioso, che si struggeva di salire tant'alto; perchè sprofondava nella mota comune, quel sognatore, quel pazzo, che cavalcava così alteramente le nuvole.

E non era crudele, il nostro Tommaso; non odiava già il Bardineto; che anzi lo amava, come poteva egli amare qualcuno, per consuetudine antica, e perchè non gli era venuta mai occasione di scontro. Sì, certo, gli era parso qualche volta noioso, con quel suo starsene in dimestichezza coi grandi, così felice in apparenza tra le bellezza del castello Gavone, libero di profferire i suoi omaggi a madonna Bannina, bellezza matura, o a madonna Nicolosina, bellezza nascente, o alla Gilda, bellezze di mezzo, ma più franca, secondo lui, e più attrattiva. Per altro, pensandoci su, il Bardineto non corteggiava la Gilda; era cotto, per sua disgrazia, della giovine castellana; gli era un uomo spacciato; non era da invidiarsi poi troppo. Lo amava dunque, sì lo amava; ma ora, poi, dieci cotanti di più, sapendolo giù d'ogni speranza e d'ogni superbia. Donde quel giubilo interno, quel gongolo, che gli facea dimenare il capo e aggrinzare le labbra. Anima umana!

In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte, e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul pelo dell'acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo. E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora.

Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll'orecchio teso in ascolto.

In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte, e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul pelo dell'acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo. E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora.

Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll'orecchio teso in ascolto.

Cavalli!soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo.

Cavalli, sicuro;disse di rimando Tommaso;e poi?

Non hai indovinato? Son essi.

Essi? Pronome, e nient'altro;ripigliò il Sangonetto;io non t'intendo.

Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.

I cavalieri di questa mane;aggiunse egli poscia;il conte d'Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.

Ah, ah!sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente sull'orma.Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che, giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in fede mia, non sarebbe cortese.

Ma! che ne so io?rispose Giacomo Pico.D'una cosa son certo; che sono costoro. Me lo dice il cuore.aggiunse con accento di profonda amarezza.Seguimi; or ora vedrai.

E senz'altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il Sangonetto fu pronto a seguirlo.

Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro, messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s'è sciolto d'ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla posta.

A Giacomo Pico la vista del più giovine dei due cavalieri diede una scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo nimico giurato. E gli prese in quel punto una maledetta voglia di buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di finirlo d'un colpo.

La via era stretta, e, per andar oltre, con quell'intoppo dei due sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi innanzi da solo.

Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell'altro.

Senza por mente all'effetto che cagionava la sua presenza, messer Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e più ancora per la contentezza del momento, nell'atto di cansarsi col suo palafreno dai due viandanti, fece un gesto a mo' di saluto, che certo credeva gli fosse ricambiato in quel punto.

Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e, afferrando lo redini del cavallo, salutava il suo avversario con queste parole:

Messer cavaliere, mi consentite voi pochi istanti di colloquio?

CAPITOLO IV

Nel quale si veda messer Pietro perdere la pazienza, il Sangonetto la ciarla, il Picchiasodo l'occasione, Giacomo Pico il tempo e mastro Bernardo la scrima.

All'atto insolito e inaspettato, il primo pensiero di messer Pietro fu di metter mano alla spada e di castigar l'arrogante che ardiva afferrare le redini del suo palafreno.

Senonchè, a lui, come un giorno ad Achille, la sapiente Minerva dovette susurrar qualche cosa nell'orecchio. O piuttosto, senza andare a scomodare gli Dei dell'Olimpo, che dormono da mille cinquecent'anni il gran sonno, è da credere che messer Pietro fosse di animo pronto a vedere per ogni lato le cose, come audace di mano ad operarle. E in quel punto egli certamente pensò che quei due sopraggiunti non erano assassini di strada, che alla più trista si era a numero pari, e che, finalmente, in paese nuovo e nemico, la prudenza non era mai troppa, nè mai gli avrebbe nociuto un pochino di calma. Dopo tutto, che ne sapeva egli? Poteva anch'essere usanza patriarcale di quei popoli, di trattare con tanta dimestichezza la gente.

E messer Pietro ristette, spianò le sopracciglia, che s'erano a tutta prima aggrondate; fe' un gesto da fianco per chetare il Picchiasodo, che egli colla coda dell'occhio avea visto dare un sobbalzo in arcione e spronare avanti il cavallo; quindi componendo le labbra ad un risolino tra cortese ed ironico, disse a Giacomo Pico:

Parlate, messere, quantunque non sia luogo nè momento da ciò; son tutto orecchi ad udirvi.

Parlare! era presto detto; ma il farlo non era la più agevole impresa. Il Bardineto ci aveva bensì avuto la forza del primo impeto; ma lì sui due piedi, senza aver meditata la possibilità d'una conversazione tranquilla, tirato in sul falso da quella urbana risposta, non trovò più il filo. E balbettando un poco, e stizzito con sè medesimo di non averci pensato prima, uscì in questa dimanda:

Come va che tornate via così presto? Il castello non ha avuto potere di trattenervi?

Messer Pietro lo guardò stupefatto; ma non uscì di misura.

Che dite mai?ripigliò, col medesimo accento di prima.È luogo stupendo, il castello, e fo conto di tornarci prestissimo.

Ah!sclamò il Bardineto, fremendo di rabbia,E quando si faranno le nozze?

Messer Pietro fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Per altro, gli venne il sospetto di aver da fare con un pazzo, e si volse, con aria trasognata, al Picchiasodo. Il suo vecchio compagno rideva.

Messere,disse il Picchiasodo, affrettandosi a commentare il suo riso,la notizia si è sparsa, non c'è più verso di tenerla celata. L'oste dell'Altino ha cantato.

L'altro ricordò allora le supposizioni di mastro Bernardo, e un sorriso venne a sfiorargli le labbra; ma fu pronto a reprimerlo. Non era più un pazzo, bensì un insolente, colui che lo aveva fermato per via e lo interrogava in tal guisa.

Via, per l'andata, poteva correre; pel ritorno, non già!rispose egli, facendosi grave.

Indi, rivolto a Giacomo Pico, gli parlò asciuttamente così:

Messere, io fo nozze quando mi torna, e non dò ragguagli per via al primo che capita.

Avete fatto il conto senza di me!soggiunse Giacomo Pico, digrignando i denti, e facendo l'atto di afferrare da capo le redini.

Giù quelle mani!tuonò messer Pietro, in quella che facea dare indietro due passi al suo palafreno.E spulezzami tosto, o ch'io lascio al mio cavallo di tritarti come paglia, villano!

Giacomo Pico, che il pronto inalberarsi del cavallo avea fatto desistere dal suo tentativo, si morse le labbra all'udire quelle superbe parole, ma non diede già indietro d'un passo. Incrociò in quella vece le braccia sul petto; rispose con una crollata di spalle al Sangonetto che gli raccomandava di non far ragazzate e di pigliare dal consiglio d'un nemico quel che c'era di buono; indi, misurando ad una ad una le frasi, che gli uscivan sibilando dalle labbra contratte, così rimbeccò il suo avversario:

Non son villano, e le opere mie, in attesa di altre prove, potranno chiarircene largamente. Voi, a cavallo, messere, potete sbarattarci d'un salto e darvi alla fuga; lo vedo, e lo temo. Ma dove sarebbe allora la differenza tra voi, conte di Osasco, e il più vile de' vostri vassalli? e quale rimarrebbe la vostra fama agli occhi dalla donna che amate?

Conte di Osasco!ripetè messer Pietro, voltandosi al Picchiasodo.Ah, mi ricordo;soggiunse a bassa voce,lo sono, a quel che pare, e non posso disdirmi.

Indi, rivolto il discorso a Giacomo Pico, gli chiese, con quel suo piglio sarcastico:

E chi sei tu? Forse il duca Namo di Baviera, tornato tra i vivi? O forse Guerrino il Meschino, cercator d'avventure?

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