Dal complesso tuttavia delle osservazioni e dalla esperienza quotidiana risulta che i violenti fenomeni elettrici a grandi altezze sono rari e che le vere scariche temporalesche, in cui la ricomposizione della elettricità si fa repentinamente per mezzo di scintille, vi sono meno frequenti che non al basso; al disopra dei 3000 metri nella nostra latitudine temporali con lampi e tuoni si hanno assai più rari che al piano. La scarica elettrica nelle zone assai elevate muta carattere, non è più subitanea come quella della bottiglia di Leyda, ma diventa continua o semi-continua, assume lapparenza di fuoco di S. Elmo o forse anche di scarica oscura. Su questo punto le osservazioni sono numerose e confermansi quotidianamente; il Vallot che è uno di coloro che abbia vissuto più a lungo sul Monte Bianco, cita fra i fenomeni elettrici non i fragorosi fulmini, ma le milles piqûres de lélectricité des orages18. Il Vallino ha radunato molti esempi di scariche elettriche nelle alte montagne19; se ne trovano pure registrati molti interessantissimi negli Annali dellOsservatorio di Harvard College, il quale venne eretto sul Pikes Peak nelle Montagne Rocciose a 4308 m. Recentemente si pubblicarono nei «Sitzungsberichte» dellAccademia di Vienna le osservazioni sulla elettricità atmosferica e sui fuochi di S. Elmo fatte sulla vetta del Sonnblick, confermandosi il risultato di precedenti osservazioni che dimostrano la variazione dellenergia elettrica esservi poca, comparata a quella della base perchè lOsservatorio si erge al disopra di quegli strati dellatmosfera in cui sono più, frequenti i processi elettrici20.
Tutti questi fatti giustificano quanto dissi dianzi che se non assolutamente mancanti, tuttavia le violenti scariche temporalesche che sono la sorgente più copiosa di composti nitrosi nellaria, sono rare a grandi altezze; si comprende perciò come nella neve raccolta sulle vette si trovi in prevalenza e spesso sola lammoniaca che è diffusa nellatmosfera e proviene dagli strati più bassi, e non i nitriti ed i nitrati la cui formazione a tali altezze è scarsa o nulla.
I risultati da me ottenuti relativamente ai composti azotati dellacqua a grandi altitudini sono confermati da parecchi autori. Müntz e Aubin21 al Picco del Mezzodì (m. 2877) hanno esaminato sei acque di pioggia, tre di nebbie e quattro di neve e trovarono quasi completamente assenti i nitrati. Per contro lammoniaca era dovunque presente in quantità variabile, ma sempre inferiore a quella rinvenuta in regioni basse.
Boussingault comunicò allAccademia di Francia22 alcune analisi di acque raccolte dal sig. Civiale nelle peregrinazioni da lui intraprese nelle Alpi. Non sono indicate le manipolazioni che abbia subito lacqua, nè lepoca dellanalisi rispetto a quella della raccolta, nè i metodi usati per il dosaggio.
I risultati sono:
Dallesame di questo elenco risulta che in tutte le acque raccolte sopra ai 3000 metri mancava lacido nitrico; lammoniaca invece si è rinvenuta anche a questa altezza al Velan, il picco che domina il passo del Gran S. Bernardo.
Per contro nella zona inferiore ai 3000 metri le quantità di ammoniaca e di acido nitrico sono variabili e spesso ragguardevoli, con questo tuttavia che i grandi ghiacciai alimentati da nevi la cui altitudine supera i 3000 metri anche più basso hanno poco o punto di acido nitrico; tali sono il ghiacciaio del Gorner formato appunto dalle nevi del Rosa di cui io studiai il versante meridionale, e quello di Aletsch le cui radici scendono per i fianchi della Jungfrau e delle altre vette più alte dellOberland Bernese.
Il fatto che la Mer de Glace ha dato invece molto acido nitrico e ammoniaca si spiega colla circostanza che si è esaminata la neve, e non il ghiaccio; ora al fondo del ghiacciaio e ad una altezza di 1350 m. questa neve era certamente dorigine locale, poichè quella alta fonde sul sito o si trasforma in ghiaccio. Un esame dei ghiacci compatti di questo estremo lembo del ghiacciaio avrebbe senza dubbio dato altri risultati e mi induce a pensarlo il fatto che esaminando in questanno 1895 il ghiaccio del limite più basso del ghiacciaio del Lys (2150 m.), che è una vera «Mer de glace», vi rinvenni ammoniaca in copia, e punto composti nitrosi.
È assai interessante il risultato delle analisi delle acque del circo Comboë che è un vallone aprentesi al sud dAosta, circondato da aspre roccie fra cui emerge il Monte Emilius; le nevi si raccolsero durante un temporale violento e siccome non esiste ghiacciaio in questa regione, dovevano essere di valanga, se pure non caddero nel momento stesso in cui infuriava il temporale; esse diedero unacqua a reazione acida, contenente milligr. 0,66 di acido nitrico per litro.
Tutti questi dati confermano quanto ho detto dianzi che cioè, mentre anche in montagne alte si ha formazione di composti ossigenati dellazoto quando vi siano veri temporali, al disopra di 3000 metri non si trovano più nitrati nè nitriti, il che deve essere in rapporto colla natura delle scariche elettriche in queste regioni.
Nella scarica elettrica temporalesca condizione essenziale per la combinazione dellazoto collossigeno è la temperatura elevata; col crescere della temperatura anche altre forme di scarica, e precisamente quella oscura, producono quantità sempre maggiori di composti nitrosi e nitrici. Questo fatto venne messo in luce da Hautefeuille e Chapuis23: essi trovarono che laria satura dumidità e scaldata a 100° fatta passare in un tubo ad ozono (appareil à effluves) acquista 16 milligrammi dacido nitrico per litro daria! mentre alla temperatura ordinaria, cæteris paribus, non si hanno che traccie di un acido che fuma allaria. Se si pensa alle rigide temperature che regnano di sopra ai 3000 metri e alla natura delle scariche che si hanno, si può benissimo comprendere come la formazione di composti nitrosi cessi affatto.
Che i risultati negativi da me ottenuti possano ascriversi a scomparsa dei nitrati e nitriti dal ghiaccio non credo sia ammissibile (e lo provano le analisi delle acque del Civiale in cui quando esistevano i composti nitrosi si conservarono nel ghiaccio); lammoniaca nelle stesse condizioni persiste a lungo, mentre nellacqua ed a temperatura più alta essa scompare dopo qualche tempo. Houzeau24 trovò che in unacqua contenente milligr. 4,7 di ammoniaca per litro, dopo essere lasciata 13 giorni al sole ne rimanevano solo più 0,3. Alloscuro la perdita è assai meno sensibile; nello stesso periodo di tempo lacqua da milligr. 4,7 passa a 2,6. Nel ghiaccio, sopratutto profondo, concorre altrettanto la bassa temperatura quanto loscurità e la mancanza di aria atmosferica a mantenere lammoniaca in quantità costante. Ma appena mutano le condizioni, fonde il ghiaccio, e lacqua di fondita corre liberamente allaria ed alla luce, ecco che lammoniaca si diffonde nellatmosfera e scompare rapidissimamente.
Ho già accennato che nelle circostanze ordinarie, lacqua del torrente Indren a due chilometri dalla sua sorgente non ha più traccia di ammoniaca e solo eccezionalmente, durante le giornate canicolari che inducono abbondante fondita, ne conserva ancora inalterata una porzione. Così pure, nel lago dellOlen lammoniaca si conserva qualche tempo nellacqua, ma in piccola quantità.
II.
Crioconite
Nordenskiöld nel suo viaggio in Groenlandia nel 1870 aveva trovato disseminata alla superficie del ghiaccio continentale (inlandsis), tanto nella sua porzione marginale, quanto a 150 chilometri dalle coste, una polvere fina, amorfa, che egli battezzò col nome di crioconite. Studiandone la forma e la composizione la credette dorigine cosmica e in parte anche eolica, cioè dovuta al trasporto di particelle per opera dei venti.
II.
Crioconite
Nordenskiöld nel suo viaggio in Groenlandia nel 1870 aveva trovato disseminata alla superficie del ghiaccio continentale (inlandsis), tanto nella sua porzione marginale, quanto a 150 chilometri dalle coste, una polvere fina, amorfa, che egli battezzò col nome di crioconite. Studiandone la forma e la composizione la credette dorigine cosmica e in parte anche eolica, cioè dovuta al trasporto di particelle per opera dei venti.
Lo scienziato svedese confermava le prime sue osservazioni esaminando varii esemplari di polvisculi caduti durante un uragano di neve nel 1871 a Stoccolma, o raccolti in varie parti della penisola scandinava; nel 1872 ritrovava e ristudiava la crioconite sui ghiacci galleggianti presso le isole Spitzberg25; tornato poi nel 1888 in Groenlandia riprendeva lo studio della crioconite, che egli trovò abbondante, e che anzi fu uno dei maggiori ostacoli al progresso della sua spedizione26.
La crioconite di Groenlandia è una polvere nera, fine, avente lapparenza di fuliggine; si può trovare sparsa uniformemente alla superficie del ghiaccio in strati di spessore vario da 1 millimetro a 1 decimetro; spesso si raccoglie entro a cavità cilindriche verticali, veri pozzi in miniatura, profondi da pochi millimetri a 1 metro e larghi altrettanto. Il fondo è coperto dun leggero strato di crioconite, mentre la cavità stessa contiene acqua, e la superficie per lo più è coperta da un velo di neve o di ghiaccio che nasconde il tutto. Nello spazio che è fra parecchi grandi fori si eleva un cono di ghiaccio annerito dal polviscolo. La superficie del ghiacciaio così tormentata è difficilissima a percorrersi; ad ogni passo la gamba affonda entro le trappole celate sotto la neve.
Nella crioconite di Groenlandia e di Spitzberg e nei corpuscoli trascinati e racchiusi nella neve delle bufere e delle nevicate esaminate dal Nordenskiöld si rinvennero costantemente granuli di ferro nativo con traccie di cobalto e di nickel, cristalli di quarzo, di mica, di augite e di altri minerali, sostanze organiche solubili in alcool ed etere, forme di vegetali monocellulari viventi, alcune volte (come per esempio dopo leruzione del vulcano Krakatoa) ceneri vulcaniche.
La presenza del ferro magnetico unito al cobalto ed al nickel, la costanza di composizione avente una certa indipendenza da quella delle roccie vicine, la diffusione in zone lontane fra di loro, sono altrettanti argomenti i quali inducono il Nordenskiöld ad attribuire alla crioconite unorigine eolica e cosmica.
Le idee dello scienziato svedese però non sono state accolte da tutti; parecchi vedono nella crioconite il prodotto dellerosione e dello sgretolamento delle roccie fra cui è incassato il ghiacciaio, le quali anche in Groenlandia talora alzano il capo dal potentissimo mantello di ghiaccio, formando quei picchi isolati che si chiamano col nome di «Nunataks». Di più, un altro esploratore della Groenlandia, il Nansen, che, più fortunato di tutti i suoi predecessori, valicò dalla costa orientale alla occidentale percorrendo sempre linlandsis, non rinvenne che in un solo punto del suo tragitto la crioconite, il che dimostra la sua zona di distribuzione non essere così vasta come il Nordenskiöld vorrebbe ammettere.
Una polvere avente tutti i caratteri della crioconite si può trovare qua e là sui nostri ghiacciai; e come essi sono una miniatura dei vasti campi di ghiaccio polari, così la crioconite vi si trova radunata in condizioni che riproducono su piccola scala quelle della Groenlandia.
Nelle mie ricerche trovai i depositi caratteristici di crioconite limitati a quella parte del ghiacciaio del Garstelet che scende a lambire la cresta rocciosa che spiccandosi dallHohes Licht sale fino a formare il mucchio di pietrame su cui posa la Capanna Gnifetti. Verso il Garstelet questo sprone di roccie non ha quasi alcuna sporgenza, sì che il ghiacciaio scende lievemente a morirvi sopra; verso il ghiacciaio inferiore del Lys, invece, è un precipizio vertiginoso. Lorlo inferiore del ghiacciaio è quasi pianeggiante, e per un tratto, che si avanza di forse un centinaio di metri verso la parte superiore del ghiacciaio stesso, si mostra tutto cribroso per innumerevoli fori. Sono queste le aperture di piccoli pozzetti verticali, cilindrici, della profondità di 10 a 15 o 20 centimetri, del diametro che varia da pochi millimetri ad 8-10 centimetri. Chiusi talora da un dischetto di ghiaccio sottile, sono ripieni dacqua limpidissima, e al fondo hanno uno straterello duna polvere nera, fioccosa, che pare fuliggine.
Non è difficile il comprendere la formazione di queste cavità: gli ammassi di questo materiale scuro, che assorbe intensamente il calore, provocano la fusione del ghiaccio circostante e si vanno seppellendo nella fossa che scavano da sè, finchè, giunti a tale profondità che il calore diurno non li tocca più, si fermano. Ho potuto constatare che dopo una nevicata che abbia seppellito tutto uno strato di pozzetti di crioconite, al disotto dello strato superficiale permane la superficie cribrosa; in una sezione verticale praticata in queste condizioni si scorge sotto lultima neve recente la traccia dei pozzetti e della crioconite primitiva.
Nel 1895 percorsi in vario senso il Garstelet per istudiarvi lorigine della crioconite; e potei farmi una idea più esatta della sua formazione, sebbene non abbia per varie circostanze avuto mezzo di farne raccolta sì da ripetere e completare le analisi che riporto qui sotto.
Il Garstelet è una superficie unita di ghiaccio che non presenta traccia di crepacci se non nella porzione superiore, dove si confonde collIndren per fasciare i fianchi della Piramide Vincent. Per questa sua continuità e per la sua disposizione a ventaglio le acque di fondita vi scorrono sopra in un velo continuo e si raccolgono in rivoletti tuttintorno allestremità del ghiacciaio. Sono queste acque superficiali che raccolgono e trascinano il polviscolo nero detto crioconite, il quale sarresta qua e là e si affonda nei pozzetti la cui acqua fa parte del velo scorrente sul ghiacciaio stesso. La neve recente porosa ricopre alla sua volta di uno strato più o meno sottile la massa glaciale, i pozzetti superficiali di crioconite e lo strato acqueo continuamente fluente. In qualunque punto colla piccozza si rompa la prima crosta tenue di neve e ghiaccio friabile, sgorga subito lacqua irrompendo da ogni lato, riempie e inonda i pozzetti esportandone il fine detrito nero. Il ghiaccio sottoposto è compatto, duro, purissimo; le analisi gli assegnano il residuo fisso più tenue, e lammoniaca in certi punti è scomparsa, lavata essa pure dalle acque.
Dove i ghiacciai sono molto inclinati, e fessurati dai crepacci, e solcati da quei ruscelli che nascono, crescono impetuosi col sole e muoiono con lui, la crioconite è trascinata nelle cascate e scende a mescolarsi col profondo limo glaciale. Alla superficie calma, riposata, unita del Garstelet invece rimane a lungo depositata sotto lacqua dei pozzetti, spesso congelantesi durante la notte, e lentamente scende a seppellirsi sotto le morene e le roccie che incassano il ghiaccio. Più in alto, al Colle del Lys (4200 m.) la mancanza di fusione, anche diurna, spiega lassenza di crioconite, che potrebbe benissimo formarsi per la poca inclinazione e la scarsità di crepacci.
Con questo meccanismo continuo, agevolato dalla pressione e dal movimento dei ghiacciai, la crioconite della superficie scende al profondo, dove si mescola colle sabbie moreniche, coi limi glaciali e passa nelle correnti inter- e sottoglaciali, dove non è più possibile isolarla.