«Senta John coso o come diavolo si chiama. Ha intenzione di fare una maratona? Una corsa? Se è così me lo dica, così almeno mi cambio le scarpe e mi preparo!». Lui si girò con unelegante e precisa torsione del collo e mi sorrise.
«Ha ragione Katherine, mi scusi. E la mia imperdonabile abitudine. Io sono sempre di corsa. Prego, riprenda fiato. Si prenda tutto il tempo che le serve, poi proseguiamo più lentamente».
Era un uomo elegante, non cera ombra di dubbio. Non volevo passare da povera bambina capricciosa quindi risposi semplicemente che potevamo andare avanti. In quel momento fui io ad accelerare il passo e a lasciarlo dietro di me.
«Lei vista da dietro è altrettanto graziosa, lo sa? Chissà da quanti uomini lo avrà già sentito dire!».
Mi sinfiammarono le guance, sentii un caldo impossibile esplodermi nelle orecchie, mirritai.
«Ma come si permette! Ma senti questo! Mi ha visto appena cinque minuti fa per la prima volta e ora già si permette di esprimere le sue personali considerazioni sulla mia persona. Chi le ha concesso tutta questa confidenza? Non si permetta mai più certe libertà, John Beal!». Ero furiosa come un toro di fronte ad un lenzuolo color rosso sangue, ma in cuor mio mi sentivo anche lusingata di essere stata notata per qualcosa di fisico. Anche se non glie lo avrei mai confidato, mi piaceva la sfacciataggine mostrata da quelluomo.
«Molto bene signorina, vedo che ricorda già bene il mio nome completo! Possiamo andare ora?».
«Si, andiamo. E meglio!».
Il freddo era davvero pungente fuori dal terminal. Fortunatamente non cera molta umidità nellaria, il che la rendeva la temperatura sopportabile. Allungai il passo per seguire luomo e immediatamente scivolai. Non avevo le scarpe adatte e lasfalto era coperto a chiazze da sottili lastre di ghiaccio.
«Per favore, si fermi qui!». John si girò sbuffando, chiedendosi il perché di quella mia richiesta, ma subito capì.
«Ha problemi con le scarpe, giusto? Prima di partire non si è interessata sulle condizioni meteorologiche? Tutti sapevano della bufera di neve su Portland. Va bene, è inutile parlarne ora. Ha delle scarpe più comode con sé?».
«In valigia, ma dovrei tirare fuori tutti i vestiti qui in mezzo alla strada, impiegherei troppo tempo e non ne ho assolutamente alcuna voglia. Cercherò di fare attenzione», lo rassicurai.
«In alternativa potrei portarla in braccio, se vuole. Che ne dice Katherine?». Era impertinente, ma anche gentile. Tuttavia quella sera il mio stato danimo non mi permetteva di esprimere sentimenti di bontà alcuna.
«Oppure potrebbe andare a prendere la sua auto mentre io laspetto qui, con la mia valigia. Che ne dice signor Beal?», replicai con altrettanta impertinenza.
«Arrivo presto. Nel frattempo abbia cura di non prendere freddo, altrimenti la sua vacanza nel Wallowa la trascorrerà a letto con la febbre». Sincamminò diretto alla sua auto senza girarsi, attraversando le file di macchine e pick-up parcheggiati nellenorme area. Pensai che forse non stessi facendo la cosa giusta, avevo avuto poche esperienze con gli uomini e tutte finite in malo modo. Mi avevano fatto soffrire, nessuno era mai riuscito ad accettarmi per quella che sono. Seguii John con lo sguardo fino a quando non riuscii più a scorgerlo e in quel momento cominciai a temere che non lavrei mai più visto. Forse limmagine di John era solo una proiezione della mia vita passata, quindi irreale. Avevo accettato un passaggio da un fantasma? Rabbrividii allidea. Vedevo ovunque persone intorno a me che entravano e uscivano dal Terminal mentre parlavano e sorridevano. Alcuni discutevano animatamente tra di loro, ma almeno non erano soli, abbandonati a loro stessi, come invece mi sentivo io. Chiusi bene la giacca e avvolsi intorno al collo una sciarpa che avevo in precedenza inserito nella borsa. Non ero stata del tutto sprovveduta, evidentemente. Poi il deserto. Il lampione che si trovava proprio davanti a me rifletteva la sua luce sulla neve, facendola brillare come fosse polvere di diamante. Ripensai a quanto amavo da bambina le cose che brillavano, dicevo a mia madre che da grande avrei voluto avere tanti gioielli. Certo che ne avrai tanti, mi rispondeva sempre, mentre accarezzava i miei lunghi capelli neri.
In fondo alla strada vidi i due fari di unauto allontanarsi sempre di più tra di loro, mentre il mezzo si avvicinava. Era un pick-up e dentro cera John a guidarlo. Non immagini quanto io sia contenta di rivederti in questo momento, pensai tra me, mentre John scendeva dallauto per caricarvi sopra la mia valigia. Solo in quel momento notai che aveva lasciato lì con me anche la sua, prima non lo avevo realizzato, assorta comero nei miei pensieri. Si era fidato di me, più di quanto non avessi fatto io nei suoi confronti. Avrei voluto dirgli grazie, ma le mie labbra non riuscirono a dare sfogo al mio istinto, rimanendo incollate tra loro. Salii in macchina mentre John sistemava i nostri bagagli.
«E di suo gradimento la temperatura dellaria, Katherine?».
«Va bene, amo il caldo, non si preoccupi», riuscii a dire, ancora una volta senza ringraziare. Perché mi era così difficile farlo? Cosa non funzionava in me?
«Questo allora non è il posto adatto a lei, se non in certi momenti dellanno», esclamò sorridendo, «qui fa piuttosto freddo. Andiamo?». Acconsentii con il solo movimento del capo.
Mise in moto lauto e avanzammo a passo lento verso luscita dellaeroporto, senza parlare. Anche se John si era comportato in quel modo tanto gentile nei miei confronti, mi guardava e sorrideva, io non riuscivo ancora a ricambiare.
CAPITOLO 3
Le note della canzone Strangers in the night di Frank Sinatra addolcivano il vuoto silenzio lasciato delle nostre voci. A ogni incrocio con il semaforo rosso, John mi guardava e ogni volta sembrava volermi fare delle domande. Io temevo che mi fosse posta quella che sarebbe stata per me la domanda più difficile alla quale rispondere. Il mio atteggiamento asociale e poco rispettoso nei suoi confronti, che mi aveva in qualche modo difeso fino a quel momento, non durò molto.
«Cosa lha portata qui Katherine?», chiese mentre volgeva lo sguardo alla strada. Poiché non dovevo ricambiare il suo sguardo con il mio e visto che la domanda non era poi tanto compromettente, pensai che avrei potuto anche dare una risposta evasiva e lui non vi avrebbe dato molto peso. Mi sbagliavo.
«Volevo cambiare aria, fare un giro da queste parti mai visitate prima in vita mia. Me ne hanno parlato tanto bene i miei amici a New York».
«Non credo sia solo questo, se me lo permette», rispose. Non lavevo convinto per nulla, era più che evidente. In fin dei conti non avevo mai dimostrato di avere innate doti dattrice e la menzogna non è davvero mai stata il mio punto di forza. Come sempre, però, non ero disposta a cedere vista la mia cocciutaggine, forse la mia vera e unica caratteristica.
«E lei che cosa ne sa? Una donna non può decidere a un certo punto di chiudere casa e farsi un bel viaggio? Pensa di conoscermi così bene? Non sa proprio nulla di me, in fin dei conti, non crede Beal?».
«Io dico semplicemente che non è solo questo. Lei non è una donna serena in questo momento, mostra paura verso qualche cosa, dà lidea di essere qui alla ricerca di qualche cosa che teme di non trovare o, al contrario, di rimanere sconvolta nel caso dovesse trovare ciò che cerca. Una donna in fuga da o verso qualcosa. Proprio questo, lei sembra una donna che sta scappando da qualche cosa a gambe levate. Comunque le chiedo scusa, questi non sono affari miei e su questo ha tutte le ragioni del mondo, mi perdoni».
«Io dico semplicemente che non è solo questo. Lei non è una donna serena in questo momento, mostra paura verso qualche cosa, dà lidea di essere qui alla ricerca di qualche cosa che teme di non trovare o, al contrario, di rimanere sconvolta nel caso dovesse trovare ciò che cerca. Una donna in fuga da o verso qualcosa. Proprio questo, lei sembra una donna che sta scappando da qualche cosa a gambe levate. Comunque le chiedo scusa, questi non sono affari miei e su questo ha tutte le ragioni del mondo, mi perdoni».
Ripiombammo nel silenzio, un mutismo imbarazzante. Minfastidiva che John avesse tutto quel rispetto per me, per i miei pensieri e per la mia riservatezza. Pensai che provare a conoscerlo un po forse non mi avrebbe causato problemi. Forse sarei riuscita a ringraziarlo alla fine del nostro tragitto.
«E lei come mai è qui John? Vive a Portland?». Immediatamente pensai che, con il mio comportamento, lui potesse risentirsi per la mia domanda. Perché mai io potevo fare domande e lui no? «Ovviamente si senta libero di non rispondermi se non lo ritiene opportuno». John mi guardò e ammiccando un sorriso andò a segno.
«Perché mai dovrei comportarmi come lei Katherine?». Scoppiò a ridere mentre mi guardava chinare il capo per proteggermi dal suo sguardo. Mi comportai come una bambina che era appena stata sgridata.
«A Portland vive ancora mia madre. Ci trasferimmo qui poco dopo la morte di mio padre, prima abitavamo a Joseph, proprio dove lei è diretta, nel Wallowa. Conosco bene la zona, per questo motivo poco fa la mettevo in guardia sulle rigide condizioni atmosferiche».
«E, lutto per la morte di suo padre a parte, come mai avete deciso di trasferirvi a Portland?».
«A dire il vero non si trattava di un trasferimento, ma piuttosto di un ritorno. Mia madre è nata e vissuta nella periferia della città. Non avendo più nessun legame con il Wallowa, ha deciso di ritornarsene qui. Io lho seguita, nonostante avessi allora un buon lavoro a Joseph. Lasciai tutto, feci i bagagli e venni a stare qui con lei. Ora, ultra settantenne, ha più che mai bisogno di me. E una donna ancora autosufficiente nonostante letà, ma come lei può ben immaginare comincia ad avere serie difficoltà sotto diversi aspetti della vita quotidiana. A volte ha dei momenti di buio nella sua mente, durante i quali non ricorda più nemmeno il suo nome o il mio viso. Fortunatamente sono momenti ancora rari e brevi, ma la costringono a rimanere chiusa in casa. Lei è sempre stata una donna molto dinamica e questa limitazione è per lei al pari di una condanna alla reclusione. Ha una badante che si prende cura di lei».
«Era allaeroporto John. Da dove proveniva?», chiesi forse osando troppo.
«Io ero con lei sullaereo, Katherine, vengo anchio da New York. Sono andato nella città per attendere a una convention, ero loratore».
«Non mi ero accorta di lei John».
«A dire il vero lei non poteva accorgersene, presa comera dai suoi pensieri. Durante il volo poi, subito dopo il decollo, si è assopita. Io invece lho notata subito. Lei è una donna che non passa inosservata, dovrebbe saperlo questo». John parlava con sincerità e senza inibizioni, con il suo sorriso continuamente stampato in viso e uneleganza che raramente avevo riscontrato prima in un uomo. Lo guardai e forse arrossii un poco. Si, sono sempre stata una bella donna. Mio padre lo sosteneva fin da quando ero bambina, mentre mia madre era preoccupata maggiormente per altri aspetti della mia vita, che le facevano porre largomento bellezza in secondo piano. Più volte me lo sono sentita dire dagli uomini, al punto da essere giunta a convincermene. Ma lo ero, molto di più, nel mio corpo precedente. Ero una donna elegante, di una bellezza raffinata, quasi rara. Ma questo io non avrei potuto dirlo a John. Almeno non ancora.
«La ringrazio John», accennai timidamente.
«Anche la roccia si sfalda quando dimostra di avere un cuore! E vero quindi!», disse con tono sicuro.
«Che cosa intende dire con queste parole?»
«Lei mi ha appena ringraziato, Katherine. Non se nè accorta? O forse mi sbaglio?», disse, strizzandomi locchio in segno di complicità. Io sorrisi e annuii solo con un cenno del capo, qualunque altra parola sarebbe stata del tutto superflua e fuori luogo in quel momento.
«Le devo chiedere scusa John. Perdoni il mio comportamento scortese nei suoi confronti. Lei è così gentile con me ed io lho saputa ricambiare solo trattandola piuttosto male. Sono stata poco carina».
«Potrei accettare le sue scuse, ma a una sola condizione! Mi deve concedere il piacere di fare colazione con lei domani mattina, che ne dice?». Non sapevo cosa rispondere, ero imbarazzata. Poi mi venne in mente che la mattina seguente avrei dovuto prendere lautobus per il Wallowa.
«Accetterei volentieri John, ma domani mattina dovrei tornare in aeroporto molto presto per prendere lautobus diretto nel Wallowa. Non farei in tempo altrimenti», risposi.
«Non ne ha bisogno Katherine. La porterò io nel Wallowa se mi vorrà onorare della sua piacevole compagnia».
«No John, lho già disturbata anche troppo. Non permetterei mai di farle sprecare tempo prezioso per accompagnarmi fin laggiù, è troppo lontano».
«Una cosa che non ho fatto ancora in tempo a dirle nel mio racconto è che io lavoro ancora nel Wallowa».
«Come dice? Ha lasciato nuovamente Portland, quindi?», chiesi sorpresa.
«Si. Qui non mi sentivo a casa. Se non fosse stato per mia madre, non ci sarei nemmeno mai ritornato», rispose, «Non ho trovato nemmeno un lavoro che mi gratificasse come quello che avevo a Joseph. Parlai allora con mia madre e le comunicai che sarei ritornato nel Wallowa. Sarei andato a trovarla spesso. Potevo farlo perché in quegli anni non aveva mai mostrato segnali di cedimento, potevo stare tranquillo. Dopo una prima reticenza iniziale, accettò la mia scelta e mi lasciò andare via. Tornai nel Wallowa, a Joseph. Fortunatamente non era stato trovato un rimpiazzo alla mia posizione lavorativa e fui reinserito nellorganico. Vivo in una casa non molto lontana dal mio lavoro, non potrei stare meglio di così».
«E sposato John? Ha dei figli?»
«Sono divorziato e non ho figli». Si stava completamente aprendo a me, ogni mia domanda trovava subito una risposta. Avrei potuto chiedergli qualunque cosa e lui mi avrebbe risposto senza problemi. Io non ci sarei mai riuscita. Come si può essere tanto trasparenti verso un completo estraneo? Lui ed io eravamo due persone molto diverse a prima vista.
«Mi scusi John, non vorrei aver rievocato con le mie domande pensieri o sentimenti per lei dolorosi»
«Assolutamente no Katherine. Mia moglie ed io siamo tuttora in buoni rapporti. Si era spento quellamore che ci aveva in precedenza unito, tutto qui. Non si va avanti in un rapporto se non cè lamore, giusto?». Giusto, pensai. Giustissimo. Le mie esperienze passate a riguardo non potevano che confermare quanto da lui detto. Non ero mai stata lasciata da un uomo, ero sempre stata io a fare il primo passo. Non conoscevo lo stato danimo in cui ci si trova quando è laltro a dirci che è finita, quella sensazione di rifiuto giustificata con le più disparate ragioni. A volte ci si giustifica assumendosi per scelta tutte le colpe per la decisione presa, consci del fatto che non si tratta della pura verità bensì di un modo per chiudere la questione in fretta e senza seguiti. Provavo a immaginarlo ma riuscivo solamente ad assimilarlo a quello di una morte improvvisa, doveva essere un dolore enorme quello che segue la parola addio pronunciata da una persona che si ama veramente. Gli feci capire che ero daccordo con lui e non continuai oltre sullargomento, non avevo alcun diritto o alcuna necessità di farlo.