Una Bolla Fuori Dal Tempo - Andrea Calo' 4 стр.


«Ha trovato tutto inalterato al suo ritorno nel Wallowa o ci sono stati dei cambiamenti in sua assenza?»

«Ritrovai tutto così come lavevo lasciato. Non sono mancato per troppo tempo tuttavia, solo qualche mese. A me però sembrava trascorsa uneternità».

«Davvero poco tempo quindi. Per questo motivo ha ritrovato anche il suo vecchio posto di lavoro».

«O forse anche perché sono troppo bravo e non sono mai riusciti a trovare unaltra persona che fosse alla mia altezza?», pronunciò altezzosamente.

«Lei è davvero molto modesto John», risposi sorridendogli con piacere per la prima volta.

«La modestia è una mia virtù, così come la sua eleganza Katherine». Lo guardai mentre mi fissava con lo sguardo. La luce dellinsegna al neon dellhotel dove mi aveva portato illuminava un lato del suo volto, mentre laltro rimaneva completamente in ombra, buio.

«A che ora la colazione domani mattina John?», chiesi rispondendo al suo sguardo intenso, mentre i suoi occhi fissavano i miei.

«Le può andare bene per le otto? Verrò io qui da lei. Mi raccomando, indossi abiti pesanti e molto caldi. Farà freddo nel Wallowa domani, vedrà. Ovviamente le sue scuse sono accettate, Katherine», concluse.

Ricambiai con un sorriso e con una leggera e composta flessione del capo. Prese la mia valigia dal portabagagli e me la trasportò fino al bancone della Reception dellhotel, in fondo alla hall sulla destra. Conosceva anche limpiegato, un ragazzo piuttosto robusto di nome Fred.

«Fred, questa è la signora Katherine. Ho prenotato la sua camera a mio nome, controlla la lista. Penserò a tutto io domattina quando verrò a riprenderla. Mi raccomando desidero per lei un trattamento di riguardo, è una mia cara amica!». Poi si girò verso di me per continuare il suo discorso, «Ho verificato la disponibilità della camera mentre mi recavo a prendere lauto in aeroporto. Qui si troverà bene Katherine. Conosco questo ragazzo e stia certa che se qualche cosa dovesse andare storto, lui se la vedrà con me domattina. Dico bene Fred?»

«Non ha nulla di che preoccuparsi signor Beal. Signora, ecco la chiave della sua camera. Le chiamo un facchino che le porterà la valigia in camera tra pochi minuti, la lasci pure qui a me». Ringraziai Fred. Non avevo dovuto fare nemmeno il check-in, la camera era stata registrata con il nome di John.

«Grazie ancora John per tutto il suo aiuto e la sua generosa disponibilità, lei è davvero una brava persona, molto più di quanto non lo sia io. E mi scusi ancora per la mia indecenza, in aeroporto come in macchina, poco fa».

«Le ripeto Katherine, le sue scuse sono state già accettate. Non parliamone più, non è importante. Cerchi piuttosto di trascorrere una buona nottata, ci vediamo qui nella hall domani mattina alle otto. Faremo colazione qui nel ristorante dellhotel, è ottimo. Poi partiremo per il Wallowa». Fece una pausa, poi riprese. «A proposito, dimenticavo che lei non ha ancora cenato!». Negai con una mossa del capo ma lo rassicurai dicendogli che avrei preso una tazza di caffè in camera, non ero solita mangiare molto la sera, soprattutto prima di andare a letto. Ed ero molto stanca, non avrei tardato ad addormentarmi. Mi prese la mano e me la baciò. Il contatto della pelle della mia mano con le sue labbra morbide e calde mi fece tremare. Riuscii a fatica a trattenere dentro di me la mia emozione e lo salutai.

«A domani Katherine».

«A domani John». Mi seguì con lo sguardo, rimanendo immobile per tutto il tempo, fino a quando non si aprì la porta dellascensore. Teneva le mani nelle tasche del cappotto, come se stesse nascondendo qualche cosa al loro interno. Entrai nellascensore e premetti il tasto per salire al terzo piano. Ebbi giusto il tempo per lanciare un ultimo cenno di saluto con la mano a John, che ricambiò, poi restai immobile a osservare la sua immagine che scompariva dietro le fredde porte dacciaio della cabina dellascensore. Un lungo corridoio, stretto e buio, mi conduceva alla camera 315. Mentre passavo davanti alle porte delle altre stanze, sentivo i rumori delle televisioni accese, dellacqua delle docce e le voci delle persone provenire dallinterno. Lhotel era quasi pieno. Entrai nella mia stanza, era molto piccola, con un bagno angusto e poco curato. Guardai fuori dalla finestra. Si dispiegava un bel panorama a ridosso della città e, in lontananza, vedevo le luci accese e intense che illuminavano le piste dellaeroporto. Il bagliore dei riflessi di luce sulle lastre ghiacciate e sui cumuli di neve, donava al paesaggio un che di fiabesco. Presi il bollitore e riscaldai dellacqua per prepararmi un buon caffè americano. Avevo bisogno di qualcosa di caldo per combattere il gelo che mi aveva attraversato anche le ossa in quella fredda serata. In quella stessa serata, però, avevo incontrato un uomo che era riuscito a scaldarmi il cuore. Un talk show trasmesso in televisione riempiva la stanza di parole, lo guardai con poco interesse mentre sorseggiavo la mia tazza di caffè. La mia mente vagava su quello che avrei visto e vissuto nel Wallowa, minterrogavo sulla reale esistenza della casa che cercavo. Di certo, se non lavessi trovata, sarei rimasta molto delusa da me stessa e me ne sarei ritornata a casa a mani vuote, forzandomi a cancellare per sempre quelle immagini che da sempre avevano popolato la mia mente e i miei pensieri. Ricercai nella mia memoria visiva i tasselli per ricostruire limmagine di John e apprezzai tutto quello che aveva fatto per me. Solo adesso che se nera andato via, lasciandomi da sola in quella stanza, riuscivo a esprimere tutta la mia gratitudine. Aveva preso una perfetta sconosciuta in aeroporto e le aveva offerto il suo aiuto, i suoi servizi, senza pretendere nulla in cambio. Almeno fino a quel momento. Mi chiedevo ancora se quelluomo fosse reale oppure un frutto della mia immaginazione. Eppure lemozione che avevo provato mentre mi baciava la mano era reale, fisica. Decisi di non pensarci più. Se ero giunta nella stanza di quellhotel di Portland, qualcuno o qualcosa doveva avermici portata. Pazza si, potevo anche accettare di esserlo, ma non potevo esasperare le mie fantasie al punto da generare ipotesi e pensieri assurdi. Mi spogliai ed entrai in bagno, buttandomi sotto la doccia che versava acqua molto calda, quasi fumante. Incrociai la mia immagine riflessa nello specchio di fronte a me, ampiamente offuscato ai bordi dal vapore caldo prodotto dallacqua della doccia. Si era creata una cornice intorno al mio corpo e potevo ammirare le mie fattezze e i seni turgidi come se stessi ammirando un quadro. Vidi che ero oggettivamente una bella donna. Si, sei una bella donna Kate, mi suggerì il mio orgoglio di donna, facendomi disegnare un bel sorriso fiero sulle mie labbra chiuse. La doccia tolse via la stanchezza della giornata dal mio corpo, rilassando i miei muscoli mentre lacqua calda scorreva lungo i miei fianchi e solcava la mia schiena. Mi sfiorai con la mano mentre la mente andava a John, luomo di quella sera, e fui subito pervasa da un brivido caldo che mi fece sussultare dal piacere. Il mio corpo rispondeva bene agli stimoli del sesso, anche se ancora non ero riuscita a provare il vero piacere con un uomo. Io sola conoscevo bene me stessa al punto da prendermi cura del mio corpo proprio come meritava. Subito dopo mi sentii rilassata e distesa, soddisfatta nel corpo e nella mente per ciò che avevo appena fatto. Indossai il mio pigiama e minfilai sotto le coperte. In televisione il talk show proseguiva con i suoi dialoghi, tra le forti grida dei litigiosi partecipanti e le risate del pubblico, mentre il presentatore tentava invano di riprendere il controllo di una situazione che sembrava ormai essergli sfuggita completamente di mano. Senza rendermene conto, in pochissimo tempo caddi in un sonno profondo.

CAPITOLO 4

Bastardo! Sei un lurido bastardo, si! Io ti ho donato il mio amore e te lo sei preso insieme al mio corpo. Tu ti sei preso tutto di me, anche la mia anima. E ora non hai la forza di accettarmi per quello che sono e che ti ho dato, ti nascondi dietro le scuse più ignobili e lo chiami frutto del peccato! Ti ho detto di scegliere, ma devi farlo adesso, non sono più disposta ad accettare più nulla e nessuno! Devi scegliere tra noi due, e che sia la tua scelta per sempre. Mi stai costringendo a odiarti, sei un vigliacco. Non meriti il mio amore e se non prendi una decisione, non lo avrai più! Vattene via, via! Libera i miei occhi e la mia vita dalla tua scomoda presenza, vattene via per sempre. Non ti voglio più vedere, mai più! Ho creduto in te e tu mi hai annientato, mi sono umiliata davanti alla mia famiglia, alla mia gente, per te. E tu in cambio hai calpestato quel poco di onore che ancora mi era rimasto e hai spazzato via le briciole di orgoglio di donna che ancora difendevo a denti stretti, dopo aver scelto di stare con te. Vai da lei allora! Vattene Vai via subito! Sei morto per me, ora e per sempre! Lurido bastardo!

Nella notte spalancai gli occhi, ero madida di sudore. Sentivo il caldo avvolgermi completamente, in tutto il corpo. Guardai la sveglia, erano passate le tre di notte solo da pochi minuti. La televisione era rimasta accesa, stava trasmettendo un concerto rock degli anni ottanta. Nella stanza dominavano i bagliori di luce intermittente delle lampade psichedeliche, inquadrate dalle telecamere e rivolte al palco sul quale quei cantanti impazziti si stavano esibendo. La musica era interrotta ogni tanto da qualche sordo clacson delle auto che ancora passavano sulla strada, sotto lhotel. Mi alzai e mi affacciai alla finestra per guardare fuori, oltre le tende. Non mi aspettavo un simile caos a quellora della notte, lo trovai molto strano, atipico per un giorno di mezza settimana in una via piuttosto periferica rispetto al centro città.

«Che assurda frenesia!», sussurrai a me stessa mentre chiudevo a fatica le tende oscuranti della finestra, che opponevano una certa resistenza allo scorrimento dei ganci sul binario. Ritornai nel mio letto per cercare di recuperare il sonno interrotto. Mi giravo continuamente su me stessa, come si gira la salsiccia di un hot dog sulla piastra incandescente per evitare che si bruci, da una parte allaltra, ma proprio non riuscivo a riaddormentarmi. Ero agitata, ma che cosa fosse a tenermi in quello stato proprio non riuscivo a capirlo.

«Cerca di dormire Kate, dannazione! Domani sarà una lunga e dura giornata!», mi rimproveravo ad alta voce, convinta che le parole avessero maggiore forza rispetto ai pensieri. E più lo facevo, più sentivo leccitazione per qualche cosa dimpalpabile crescere e farsi prepotentemente spazio nel mio corpo e nella mia mente, prendendosi gioco di me. Che cosa stava facendo John in quel momento? Dormire sarebbe stata la risposta più ovvia, ma anche la meno interessante. Forse stava pensando a me? O forse aveva una donna con lui nel suo letto in quel momento? Non mi aveva parlato di una sua famiglia, sapevo solo che si era separato. Oppure era un donnaiolo, un uomo alla ricerca di una donna nuova per ogni notte. Io forse figuravo come una sua possibile preda per quella sera, ma gli era andata male! Accennai un timido sorriso compiaciuto, ma subito capii che avevo torto.

«Domani vedremo come andranno le cose, ora dormi», mi rassicurai invitandomi a rilassarmi. Pian piano la morsa di calore soffocante aveva liberato il mio corpo, permettendo alla mia pelle di rinfrescarsi e al sudore di asciugarsi, fino a scomparire completamente. Mi sentivo più tranquilla, più rilassata. Pensare a quelluomo, nel bene o nel male che fosse, mi portava serenità. E con questo pensiero ancorato nella mia mente e la sua immagine vividamente accesa davanti ai miei occhi, il mio corpo permise al sonno di venire a riprendermi, per poi rilasciarmi quando la luce naturale del giorno cominciò a filtrare attraverso le tende, rimaste solo semichiuse nella notte. Un raggio di sole, simile a una spada fatta di sola luce, ricopriva il pavimento della stanza, attraversandola completamente da un lato allaltro. Erano passate le sette del mattino da un bel po e dovevo ancora sistemarmi prima di scendere nella hall per la colazione, dove avrei rivisto John. Entrai in bagno e mi guardai allo specchio, ora libero dalle tracce di vapore formatesi la sera prima. I miei occhi erano gonfi, non avrei offerto una bella immagine della mia persona in quelle condizioni, me ne resi subito conto. Cercai di coprire quella deformità con il trucco ma il risultato alla fine fu solo parziale, davvero scarso. Non potevo farci nulla, come già accadutomi altre volte, il gonfiore sarebbe andato via da solo durante la giornata. Avevo una certa esperienza a riguardo. Ma perché proprio quel giorno, accidenti? John avrebbe riso di me, si sarebbe meravigliato dei miracoli che le luci ombrose della sera possono compiere sullimmagine di una donna imperfetta. Eppure la sera prima i miei occhi mi vedevano così bella! Trovai la soluzione, avrei proposto una generosa scollatura. Avrei usato le mie armi migliori per distogliere il suo sguardo dai miei occhi, per valorizzare qualcosa che fosse più attraente e immediato per lui! In fin dei conti era un uomo, doveva apprezzare le fattezze di una donna. Strinsi quindi i miei seni tra le mani per unirli. Davvero niente male Kate! Infilai una maglia di cotone elasticizzato, senza reggiseno, molto aderente e con una scollatura davvero generosa. Era lunica che avevo, era di colore rosa. Mi precipitai in bagno per osservarmi e apportare gli eventuali opportuni ritocchi. Sei perfetta Kate, sei davvero una bomba! pensai, fiera di me e di possedere un corpo come quello. Io stessa non guardai più i miei occhi, passati ormai in secondo piano. Finii di vestirmi in fretta e dopo un ultimo attento esame davanti allo specchio mi sentivo pronta. Presa la chiave della stanza, mi catapultai in corridoio, diretta verso gli ascensori. La serratura di sicurezza sulla porta della stanza sinserì automaticamente subito dopo la chiusura della porta alle mie spalle. Lascensore impiegò qualche secondo prima di giungere al mio piano e quando si aprirono le porte, vi trovai dentro un uomo piuttosto brutto, maleodorante ed esageratamente grasso, quasi obeso. Esibiva un buffo riporto di capelli sulla testa quasi calva che, evidentemente, voleva ricoprire ad ogni costo. Se fossi stata al posto suo, avrei pensato a una parrucca. Aveva mantenuto lo sguardo maniaco ben fisso sul mio seno per tutto il tempo necessario a giungere nella hall. Funzionava, pensai, e dimenticai subito il senso di fastidio che quello sguardo insistente mi avrebbe provocato in una situazione diversa. Anzi, gli fui quasi grata di avermi fornito la prova che cercavo in merito allefficacia di quel piccolo espediente che avevo architettato per apparire attraente agli occhi di John.

John era seduto nella hall, mi aspettava mentre sfogliava una delle riviste messe a disposizione di clienti e visitatori. Era elegante, come il giorno prima. Indossava una camicia azzurra con cravatta stretta, a strisce oro e nero. Sopra la camicia portava la giacca del giorno prima. I pantaloni formavano un completo con la giacca, mostravano una leggera gessatura che non avevo notato la sera precedente. Mi avvicinai a passo veloce mentre lui mi notava, seguendo con lo sguardo la mia camminata.

«Buongiorno John. Mi scuso per il ritardo, è tanto che aspetta?», chiesi imbarazzata. Mi era tornata improvvisamente paura che potesse notare il gonfiore sotto i miei occhi.

«Buongiorno Katherine. Attendo solo da pochi minuti. Ha trascorso una buona nottata? Qualche problema?».

«Tutto molto bene, grazie. Mi sono addormentata quasi subito ieri sera. Ero talmente stanca che non mi sono neppure ricordata di spegnere il televisore, si figuri. Ho dormito come una bambina per tutta la notte e stamattina mi sentivo completamente riposata», mentii, senza pudore.

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