Una Bolla Fuori Dal Tempo - Andrea Calo' 5 стр.


«Tutto molto bene, grazie. Mi sono addormentata quasi subito ieri sera. Ero talmente stanca che non mi sono neppure ricordata di spegnere il televisore, si figuri. Ho dormito come una bambina per tutta la notte e stamattina mi sentivo completamente riposata», mentii, senza pudore.

«Molto bene. Strano però, i suoi occhi vorrebbero suggerirmi lesatto contrario. Pensavo che avesse pianto. Mi fa piacere sapere che mi sbagliavo e che invece ha riposato bene».

Dannazione!, pensai. Il mio seno non aveva sortito alcun effetto su quelluomo, possibile? Aveva subito notato gli occhi, gonfi come palle da tennis. Dovevo dire qualche cosa per tranquillizzarlo.

«I miei occhi? Oh John, non ci faccia caso. Sono sempre così il mattino appena alzata. Poi si sistemano da soli. Perché mai avrei dovuto piangere? Non ne ho motivo, non crede?», fu lunica cosa che riuscii a inventarmi sul momento.

«Io questo non potevo saperlo. Sono davvero tanto felice che lei stia bene». Mi accorsi che stavo peggiorando le cose, sarebbe stato meglio spostare i nostri discorsi su altri argomenti.

«Andiamo a fare colazione? Io avrei un po di fame, e lei?»

«Si, andiamo. La prego», rispose, invitandomi con un braccio ad anticiparlo nel tragitto verso la sala della ristorazione. Pareva essere veramente un uomo galante. Era un uomo che io percepivo come raro attraverso i miei occhi e i miei sensi. Al ristorante era servita una colazione internazionale. Cerano tante di quelle cose da mangiare da poter sfamare un esercito intero quel giorno. John prese un caffè americano che macchiò leggermente con del latte freddo. Io mi gettai su qualche cosa di più sostanzioso: confetture varie con pane e burro, frutta fresca, bacon, salsicce e formaggi. Tutto ciò era accompagnato da abbondante succo darancia concentrato. John mi guardava sorpreso.

«Che cosha da guardarmi in quel modo?», chiesi mentre il calore divampava sul mio collo. Immaginavo il rossore che stava ricoprendo il mio viso in quel preciso momento. Esprimevo sempre inconsciamente le mie emozioni attraverso i riflessi incontrollabili del mio corpo. Non avevo nascosto molto della mia vita alle persone. Solo il mio segreto più grande non era mai andato oltre le mura di casa nostra, se non fosse stato per le diverse decine di strizzacervelli che avevano avuto modo di esercitare la loro scienza su di me, per pura scelta e desiderio di mia madre.

«Noto con grazia il suo apprezzamento per i piaceri e le delizie della tavola. E tipico per un italiano, lo sa?», mi rispose sorridendo. Si stava prendendo gioco di me, era evidente.

«Che cosa intende dire con questo? Ieri sera sono rimasta a digiuno, ho bevuto solo del caffè e poi sono andata a dormire. E logico, umano e fisico avere fame! E cosa centrano gli italiani in tutto questo?». Voleva la guerra? Ero pronta a combattere ad armi pari! La mia forchetta con un pezzo di salsiccia infilzato rimase per un bel po sospesa a mezzaria, sorretta dalla mia mano che non sapeva più decidere se riportarla nel piatto o verso la bocca.

«Ieri sera, quando le chiesi se aveva già cenato, mi ha risposto che non era solita mangiare tanto prima di andare a letto. Ho preso atto delle sue parole e non mi sono permesso di insistere oltremodo per offrirle uno spuntino. Le chiedo scusa, forse avrei dovuto seguire di più il mio istinto. Riguardo agli italiani, ha presente quelle comitive che partono dalle grandi città per una vacanza fuori dalle loro mura domestiche, acquistando i pacchetti completi di vitto e di alloggio? Non lasciano cadere nemmeno una briciola di pane dalla loro tavola. Con la scusa di aver già pagato tutto, si abbuffano come porci e ingrassano al punto da non riconoscersi più al loro ritorno a casa».

Non potevo trattenere le risate mentre, nel frattempo, avevo ripreso a mangiare con gusto. Quelluomo mi divertiva, mi sentivo bene con lui. Cominciai a pensare che forse avrei dovuto condividere con lui la mia situazione e lobiettivo primario della mia visita. Tuttavia non avrei di certo preteso aiuto da parte sua. Così come, di certo, non lavrei rifiutato qualora me lavesse offerto di sua spontanea volontà.

«E lei cosa ne sa di come si comportano gli italiani? Non sono poi tutti uguali. Secondo me, caro John, lei ha in mente lo stereotipo dellitaliano zoticone e rumoroso, gran mangiatore di pizza e spaghetti, che suona il mandolino e che è pronto a fregare il prossimo alla prima svista. Dico bene?», lo stuzzicai per poi affondare il colpo di grazia, «Gli italiani poi sono grandi amatori, lo sa questo vero?». Scoppiai a ridere, mentre lui posava la sua tazza ormai vuota, mostrava uno sguardo severo.

«Che ne dice se procediamo al check-out e ci avviamo? La strada è lunga. Vedo che non ha con sé la sua valigia», rispose, piuttosto imbarazzato dalla mia ultima frecciata che, indubbiamente, doveva aver colto nel segno.

«Si John, gli italiani fanno lamore davvero bene! Se lo ricordi questo, sempre. Vado a prendere la mia valigia, ci vediamo qui tra pochi minuti, se non incontrerò un italiano in ascensore», replicai strizzando locchio come farebbe una ragazzina impertinente contenta di fare un dispetto a un contendente.

«Katherine!», mi chiamò, «Dovrebbe indossare qualche cosa di più caldo, confortevole e appropriato prima di uscire. Nel Wallowa fa molto freddo, soprattutto in questi giorni, non vorrei che si ammalasse». Aveva vinto lui ancora una volta. Con la sua compostezza, con la sua serietà e gentilezza, era riuscito letteralmente a trainarmi lungo la sua strada. Ora ero io a seguirlo e lo facevo con piacere e con estrema gratitudine. Aveva pensato a me, perché io non mi ammalassi, a disprezzo delle battutacce da ragazza sboccata che avevo appena pronunciato e che, in un certo senso, dovevano averlo toccato profondamente. Dovevo riparare al mio errore. Ma io ho fatto tutto questo per lei, John!, fui in procinto di dire, ma mi trattenni giusto in tempo per evitarmi unaltra figuraccia, ne avevo già commesse abbastanza in una sola ora della giornata. Inoltre sapevo benissimo che lavevo fatto principalmente per me, per nascondere un mio difetto, non cera nessuna traccia di altruismo nel mio gesto. Con un cenno del capo confermai di aver accolto il suo suggerimento ed entrai in ascensore. John si era avvicinato e prima che le porte si richiudessero mi sorrise, mentre mi guardava con espressione rilassata e giocosa.

«Non vedo italiani nellascensore Katherine. Bene, allora può salire». Scoppiai a ridere e non riuscii a fermarmi se non prima di essere rientrata nella mia stanza.

Indossai il mio maglione di lana a collo alto, presi il bagaglio e tornai nella hall. John mi attendeva vicino alla porta dellascensore. Mi fermai lasciando la valigia per infilarmi il cappotto che portavo appeso al mio braccio, come sempre. John, senza dire nulla, prese la mia valigia e cominciò ad avviarsi, anticipandomi verso luscita dellhotel.

«Aspetti, devo saldare in conto della camera».

«Già fatto, non si preoccupi. Possiamo andare, mi segua».

«Ma ne è sicuro John?».

«Mi chiede se son sicuro di aver pagato? Certo, la mia carta di credito è ancora calda», rispose sorridendomi.

«No. Intendo dire se è sicuro di quello che sta facendo. Sono una perfetta sconosciuta per lei, non pensa?».

«Non è vero! Ci siamo conosciuti ieri sera in aeroporto, abbiamo viaggiato insieme in macchina, abbiamo fatto colazione insieme questa mattina e poco ci mancava che non mi mostrasse completamente il suo seno con quella scollatura di poco fa. Ritiene ancora che lei ed io siamo dei perfetti sconosciuti?». Era disarmante nella sua semplicità espressiva, nella sua capacità di farmi sentire importante! Mi sentii talmente circuita che non riuscii a rispondere, se non in macchina, dopo essermi sistemata allinterno dellabitacolo ancora freddo.

«Si, siamo sconosciuti. Non vede che ci rivolgiamo luno allaltra con un freddo lei?», gli dissi, sperando di spalancare le porte a una maggiore confidenza tra di noi. La mia speranza fu subito ripagata.

«Ben appunto, lo pensavo anchio poco fa, mentre attendevo allascensore. Che ne direbbe di abbattere il muro e darci del tu?».

«Va bene, con piacere», risposi mentre provavo davvero piacere nel dirlo, nel liberarmi da una costrizione che tendeva a frenarmi anche troppo.

John mi guardava sempre dritto negli occhi quando mi parlava seriamente, come avevo potuto pensare di distrarlo con altri mezzi? Avevo limpressione sempre più forte di conoscere davvero quelluomo da molto tempo.

«Lauto è ancora fredda, ma tra poco si starà meglio. Ti dispiace se accendo il condizionatore daria per farla riscaldare prima?».

«Assolutamente no, vedi tu ciò che è meglio fare».

«Bene, noto che il gonfiore agli occhi sta effettivamente scomparendo. Ora sono tornati belli, come ieri sera».

Gli sorrisi in silenzio e rimasi a osservare i morbidi lineamenti del suo profilo mentre, attento, conduceva lauto sulla strada principale. Restammo in silenzio per un po, mentre la radio trasmetteva musica classica in continuazione. Attraversammo il centro della città, Portland era già viva a quellora del mattino, le sue strade e i marciapiedi erano riempiti di gente che camminava a passo veloce, diretta chissà dove, chissà perché. Attraversammo il ponte sul fiume Willamette, era così bello con la neve, assumeva un fascino particolare. Osservavo fuori dal finestrino e catturavo tutte le immagini di quel paesaggio, cercando di capire se nella mia vita passata fossi già stata in quella zona. No, per me erano completamente nuove e per questo, forse, le apprezzavo ancora di più.

«Allora, ti piace Portland?».

«E una bella città e con la neve sembra davvero magica. E molto più tranquilla di New York ma sembra non farsi mancare proprio nulla. Penso non abbia assolutamente nulla da invidiargli».

«E una città completa e misteriosa. E una bella città. Ma quando ci vivi da un po di tempo, tende a soffocarti, come accade con la maggior parte delle grandi metropoli. Il Wallowa invece è immerso nella natura. Vedrai che differenza, Kate! Ha il suo bel lago, chiuso tra le montagne, i colori dei fiori in primavera, le piante e il verde tuttintorno. Splendido posto Kate!», mi rispose, «E un peccato che tu la possa vedere solo con la neve».

«Con la neve avrà comunque il suo fascino, non credi?», continuai. E poi io lho già vista, avrei voluto gridare. Ma riuscii a trattenermi.

Persi tra quelle parole giungemmo ai confini estremi della città, oltre i quali si apriva la sconfinata campagna. La temperatura nellabitacolo dellauto era divenuta davvero gradevole, decisi quindi di togliermi il cappotto che posai sui sedili posteriori. Mi sentivo più libera nei movimenti, più a mio agio, nonostante il collo alto del maglione che non ero abituata a portare e che, in parte, minfastidiva. Mentre mi sporgevo per sistemare il cappotto, John si voltò per guardarmi. I nostri occhi sincrociarono e in quel momento catturai tutta la bellezza e la profondità dei suoi, di quel colore verde che avevo già notato in aeroporto ma che solo in quel momento riuscivo ad apprezzare in tutta la sua intensità. Forse per via della mia pazzia, in quellistante provai un forte desiderio di baciarlo. Ma si, perché non farlo? Siamo esseri umani in fondo, siamo fatti di carne e di ossa. Perché non concedersi ai piaceri della vita, giacché è così breve? Io amavo un uomo nella mia vita passata, lo so con certezza assoluta grazie a tutte le immagini preziose che conservo dentro di me. Perché in questa vita non ero ancora riuscita a incontrare la persona giusta, fino a quel momento? John non mi era indifferente e, forse, nemmeno io lo ero per lui. Stavo sbagliando tutto, forse? Stavo correndo troppo? Sarei caduta in un profondo baratro, come già successomi altre volte in passato? Mi stavo ponendo troppe domande alle quali non riuscivo a dare alcuna risposta. Risposi al suo sguardo con un cenno di sorriso. John ricambiò compiaciuto. Cera intesa tra noi e questo mi rendeva serena e, al momento, mi bastava.

CAPITOLO 5

Lungo i suoi bordi, la strada cedeva lo spazio a uninterminabile distesa di neve bianca, solo qua e là interrotta dalle impronte di passi dei bambini che giocavano nei campi ricoperti e pieni zeppi di pupazzi e di piccoli igloo. John era silenzioso e attento alla guida. Mi fece notare che cerano diverse lastre di ghiaccio sulla carreggiata e per quel motivo, oltre alle evidenti condizioni di traffico lento, avremmo impiegato molto più tempo del previsto per giungere a destinazione. Probabilmente limpiegata in aeroporto, che conosceva la zona, aveva ragione nellindicarmi che ci sarebbero volute anche otto ore per completare il viaggio. Chiesi a John se non ci fossero altre strade che ci avrebbero permesso di anticipare anche solo di poco il nostro arrivo nel Wallowa.

«Kate, conosco questa strada a memoria ormai, tanto che potrei guidare anche a occhi chiusi. Purtroppo non abbiamo altra scelta. Potremmo uscire dallautostrada e percorrere le strade di città e di campagna, ma ci allontaneremmo dalla strada principale per poi doverci ritornare necessariamente sopra. Inoltre non mi aspetto di trovare strade sgombre dalla neve e scorrevoli là fuori e il rischio di trovare ghiaccio aumenterebbe facendoci rallentare ulteriormente. Impiegheremmo ancora più tempo, quindi è meglio procedere così. Hai molta fretta di arrivare?».

«No, non ho fretta. Ho solo un bel po di cose da fare da quelle parti e vorrei iniziare quanto prima, senza perdere troppo tempo», risposi. Avrei dovuto parlargli di me nel dettaglio.

«Sono questioni davvero così importanti? Questioni di vita o di morte?», chiese sorridendo e voltandosi per guardarmi negli occhi e rilevare ogni mia eventuale bugia. Era la prima volta che lo faceva da quando eravamo in viaggio.

«Direi piuttosto questioni di vita e di morte, entrambe. E non è solamente un gioco di parole, credimi». Ero decisa ormai, avrei vuotato il sacco alla prossima domanda. Dopo la morte di mia madre promisi a me stessa di non rivelare più ad altri i miei pensieri, ma evidentemente non ero in grado di mantenere le promesse o i buoni propositi fatti. Accettai questo mio limite e decisi di aprirmi del tutto, un passo alla volta.

«Spiegati un po meglio, non riesco a seguirti nel tuo discorso», chiese, incuriosito dalla mia risposta. Sul suo volto notavo unespressione diversa, cominciava a mostrare i primi segni di una crescente preoccupazione.

«Io lascerei correre il discorso», e girandomi verso di lui per guardarlo negli occhi, «mi considereresti una povera pazza altrimenti, se te lo raccontassi». Queste parole, però, non facevano altro che accrescere la sua già evidente curiosità.

«Stai fuggendo da qualcosa o da qualcuno?»

«No, al contrario. Sto andando a trovare qualcuno».

«Si tratta di un uomo? Scusami Kate, io non volevo intromettermi nelle tue questioni private».

«Nessun uomo, semmai una donna». Mi guardava divertito ma con insistenza. Capii che forse aveva inteso la cosa come riguardante la mia sfera sessuale più intima.

«Non credo tu abbia realmente capito quello che intendevo dire, John», lo avvisai, «Non è una questione fisica o di sesso».

«Che cosa avrei dovuto capire quindi? Spiegati meglio se puoi».

«Non sono omosessuale».

«Io non ho mai dubitato sai?»

«Ne sei sicuro? Hai fatto una faccia strana pochi istanti fa».

«Con la scollatura che mi mostravi questa mattina e con le tue storielle sulle prestazioni sessuali degli italiani mi stavi forse comunicando di essere omosessuale? Non sembrava per nulla! O forse io non sono stato in grado di capire», rispose con orgoglio. Mi divertiva quel dialogo, volevo stuzzicarlo ancora un po prima di parlargli della mia vita precedente.

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