Lo Senti Il Mio Cuore? - Andrea Calo' 4 стр.


Attraverso quella radio che mi ricordava la sua presenza nella mia vita io subivo passivamente le trasmissioni, i notiziari, i bollettini metereologici, le canzoni dei Beatles, di Hendrix, di Armstrong e dei Rolling Stones. Da qualche anno un giovanotto si era presentato sul palcoscenico musicale. Si chiamava Elvis Presley, un ragazzo belloccio che faceva impazzire tutte le ragazze quando cantava con quei suoi movimenti pelvici regalati durante le sue esibizioni. Le giovani non si preoccupavano di impegnare buona parte dei loro stipendi per acquistare i suoi dischi o assistere ai suoi animati concerti, sognando magari di buttarsi nel vuoto ed essere raccolte in volo dalle sue forti braccia. La febbre per il bel ragazzo di Memphis colpì anche me. In un negozio trovai un suo disco e lo comprai anche se a casa non possedevo un giradischi. Lo lasciai in casa in bella vista per mesi a prender polvere. Lo adoravo in silenzio, mi capitava di fermarmi anche diversi minuti a guardarlo e tutte le volte che mi veniva consegnato lo stipendio mi prendeva la voglia di comprare un giradischi per poterlo finalmente ascoltare. Per le ragazze delletà di ventotto anni, come la mia, Elvis era largomento che monopolizzava i discorsi tra colleghe, le pause pranzo, ogni momento della giornata. Sarebbe stato un buon partito sotto ogni punto di vista. Le mie colleghe, le altre come spesso le chiamavo, descrivevano fin troppo in dettaglio i pensieri erotici che avevano rivolto verso quel ragazzo. Alcune di loro confessarono che non avrebbero avuto nessun problema a lasciare marito e figli se il bel ragazzo avesse dato loro anche la minima speranza. Io non capivo fino in fondo quei discorsi, non ero in grado di misurare la forza della sorgente di energia che li alimentava. Ma quando si parlava di sesso io provavo una sensazione di crudo disagio, sentivo il ribrezzo nascere e crescere dentro di me, dalle mie viscere, attanagliante come due mani cinte intorno al collo e intente a soffocarmi. Il sesso mi ricordava lorco, la mia sofferenza, il dolore e tutte le umiliazioni che avevo dovuto subire, il sapore dello sperma di un uomo malato sparso senza controllo sul mio giovane ventre, sulla mia candida pelle che avrebbe dovuto conoscere solo purezza e pudore, del mio sangue e di quello di mia madre versato ogni giorno sulle bianche lenzuola di un letto sempre sfatto. Le mie conoscenti si accorsero che qualcosa non andava in me. Alcune di loro scelsero di non impicciarsi, qualcunaltra invece lo fece, con lacerbo pretesto di offrirmi un aiuto prezioso.

«Cosa cè Mel?».

«Nulla, perché me lo chiedi?».

«Così. Sei molto strana».

«Sono fatta così, che cosa ci vuoi fare», risposi aprendo le braccia in segno di confermata rassegnazione al disegno della mia vita.

«Ti piacciono le donne?».

«Scusa?».

«Ti ho chiesto se ti piacciono le donne, se ami loro».

«Le donne? Ma non dire sciocchezze, dai!».

«In tanti anni non ci hai mai raccontato una tua esperienza sessuale vissuta con un uomo, mentre noi tutte lo abbiamo fatto. Okay, magari tu non lhai ancora avuta ma forse vorresti averla e potresti confrontarti con noi. E invece tu che fai? Ti rinchiudi nel tuo guscio come una tartaruga!».

Come potevo dirle che la mia prima volta fu alletà di cinque anni e per opera di mio padre? Mi era stato detto che si sarebbe trattato di un gioco. Come potevo convincerla del fatto che quel gioco che lui aveva pensato per me e che consisteva nella spudorata esplorazione della mia intimità in realtà non mi era piaciuto affatto perché io a quelletà avrei preferito giocare con le bambole come faceva ogni altra bambina? Come potevo gridarle in faccia che se io non avessi giocato con lui in quel modo lui sarebbe andato a costringere mia madre a sottomettersi alla stessa pratica, allo stesso gioco ma con regole diverse e ben più severe, adatte agli adulti?

«E un discorso che non mi sento di affrontare, non cè una particolare ragione. Forse non sono ancora pronta o forse non lo sarò mai. E così, e basta».

«Okay Mel, come vuoi. Stasera noi ragazze ci troviamo per un pigiama party. Ti va di unirti a noi?».

«Ci saranno degli uomini?».

«No».

«Si parlerà anche di sesso?».

«Non lo so, ma temo di si».

«Allora no, grazie. Non avrei nulla da dire e sarei solo un peso per tutti».

Quando rincasai quella sera stessa presi il disco di Elvis e lo gettai nel bidone dellimmondizia.

Sentii suonare il campanello, una volta e poi una seconda prima che io riuscissi a raggiungere la porta.

«Sto arrivando!», esclamai ad alta voce.

Quando aprii la porta mi trovai di fronte un poliziotto. Pioveva a dirotto. Il poliziotto aveva la divisa bagnata, nonostante fosse sceso dalla volante parcheggiata solo a pochi passi dalla porta di casa mia. Un suo collega sedeva ancora al posto di guida e guardava verso di noi, con il corpo proteso in avanti e gli occhi rivolti verso lalto per inquadrare meglio la scena attraverso la cornice del finestrino.

«Buonasera agente», dissi sorpresa.

«Buonasera. Lei è la signorina Melanie Warren?».

«Si sono io agente, che succede?».

Ero spaventata e distratta dal lampeggiante della loro auto che muto abbagliava la mia vista. Disegnava ombre azzurre nella notte che si dispiegavano a terra e contro la facciata della casa. Erano ombre pulsanti, lente, come il battito del mio cuore.

«Sono lagente Parker signorina. Potrei entrare per favore?», chiese mentre mi mostrava il distintivo con una sua foto di qualche anno prima. Lo lasciai entrare, avvicinai la porta ma senza chiuderla.

«E il suo collega là fuori?».

«Non si preoccupi, mi attenderà lì. Sono qui per suo padre, il signor Brad Warren».

Rimasi in silenzio, immobile, attendendo che luomo continuasse, che vuotasse il sacco. Mi feci mille domande, mi chiesi se lorco avesse colpito ancora e chi avesse potuto essere la sua vittima. Pensai ad un suo coinvolgimento in qualche rissa. Temetti che fosse venuto a cercarmi, che avesse contattato la polizia e che tramite loro mavesse trovato, per obbligarmi a ritornare a casa con lui.

«Cosa ha combinato mio padre?», esclamai mentre le mie mani chiuse a pugno stropicciavano nervosamente la stoffa della mia gonna rilasciando sudore freddo.

«E stato ucciso signorina Warren, mi dispiace. La dinamica dellaccaduto non ci è ancora chiara, il caso è aperto e tutte le investigazioni del caso sono in corso. E stato raggiunto da tre colpi di pistola, dei quali uno diretto alla testa gli è stato fatale. I vicini hanno sentito degli spari, tre colpi ravvicinati sparati da unauto in corsa. Quando sono usciti hanno visto il corpo di suo padre riverso a terra, immerso in una pozza di sangue. Era privo di sensi ma ancora vivo. E morto poco dopo, durante il trasporto in ospedale. Sembrerebbe essere stata una vera esecuzione, un regolamento di conti».

Rimasi in silenzio, stranamente tranquilla, quasi rilassata. Non tradivo alcuna emozione. I miei occhi fissavano le mie gambe, senza vederle, il sudore freddo era scomparso, le mie mani si erano aperte lasciando finalmente libera la stoffa della gonna, il cuore era tornato a battere in modo regolare. Stavo bene, maledettamente bene. Mi pentii per quel sentimento di cruda cattiveria, mi pentii anche del mio stesso pentimento verso quel sentimento naturalmente espresso.

«Signorina, si sente bene?».

Annuii, tutto andava molto bene.

«Era ubriaco?».

«No. Non era ubriaco, il livello di alcol nel sangue era nella norma».

Lo guardai dritto negli occhi, non potevo credere a quella favoletta a lieto fine, dove tutti i cattivi diventano improvvisamente buoni e vivono il resto dei loro giorni felici e contenti. O forse mio padre era davvero cambiato dopo la mia scomparsa?

«Non si preoccupi, mi attenderà lì. Sono qui per suo padre, il signor Brad Warren».

Rimasi in silenzio, immobile, attendendo che luomo continuasse, che vuotasse il sacco. Mi feci mille domande, mi chiesi se lorco avesse colpito ancora e chi avesse potuto essere la sua vittima. Pensai ad un suo coinvolgimento in qualche rissa. Temetti che fosse venuto a cercarmi, che avesse contattato la polizia e che tramite loro mavesse trovato, per obbligarmi a ritornare a casa con lui.

«Cosa ha combinato mio padre?», esclamai mentre le mie mani chiuse a pugno stropicciavano nervosamente la stoffa della mia gonna rilasciando sudore freddo.

«E stato ucciso signorina Warren, mi dispiace. La dinamica dellaccaduto non ci è ancora chiara, il caso è aperto e tutte le investigazioni del caso sono in corso. E stato raggiunto da tre colpi di pistola, dei quali uno diretto alla testa gli è stato fatale. I vicini hanno sentito degli spari, tre colpi ravvicinati sparati da unauto in corsa. Quando sono usciti hanno visto il corpo di suo padre riverso a terra, immerso in una pozza di sangue. Era privo di sensi ma ancora vivo. E morto poco dopo, durante il trasporto in ospedale. Sembrerebbe essere stata una vera esecuzione, un regolamento di conti».

Rimasi in silenzio, stranamente tranquilla, quasi rilassata. Non tradivo alcuna emozione. I miei occhi fissavano le mie gambe, senza vederle, il sudore freddo era scomparso, le mie mani si erano aperte lasciando finalmente libera la stoffa della gonna, il cuore era tornato a battere in modo regolare. Stavo bene, maledettamente bene. Mi pentii per quel sentimento di cruda cattiveria, mi pentii anche del mio stesso pentimento verso quel sentimento naturalmente espresso.

«Signorina, si sente bene?».

Annuii, tutto andava molto bene.

«Era ubriaco?».

«No. Non era ubriaco, il livello di alcol nel sangue era nella norma».

Lo guardai dritto negli occhi, non potevo credere a quella favoletta a lieto fine, dove tutti i cattivi diventano improvvisamente buoni e vivono il resto dei loro giorni felici e contenti. O forse mio padre era davvero cambiato dopo la mia scomparsa?

«Suo padre beveva? Si ubriacava spesso?».

Mentire! Negare il dolore del marchio rovente della menzogna impresso sulla pelle dellanima! Imperativo!

«E capitato, come può capitare a tutti anche nelle migliori famiglie».

«Che rapporto cera tra lei e suo padre?».

Attimi di palpabile insicurezza, ricerca di parole false e quindi assenti. La ricerca di una verità che non mi apparteneva. Desiderio di mettere per sempre la parola fine a tutto. Era loccasione giusta, quella che stavo aspettando.

«Un rapporto normale quale può essere un qualunque rapporto tra un padre ex militare e una ragazza».

«Era molto rigido suo padre con lei?».

Non risposi, esitai. Lo guardai per un istante, quasi affrontandolo, poi cedetti e allontanai nuovamente lo sguardo da lui.

«Le ha mai fatto del male? Lha mai picchiata?».

Mentire, ancora una volta! Perseverare nella vergogna per salvare la faccia!

«No».

«No? Ne è davvero sicura?».

«Si, sono sicura agente».

«Bene. Da quanto tempo ha lasciato la casa di suo padre?».

«Da cinque anni».

«Dal 1955 quindi», ripeté mentre prendeva nota sul suo taccuino.

«Posso chiederle il motivo?».

«Per farmi una mia vita agente! Avevo già ventisei anni, non avevo una casa, una famiglia tutta mia, un lavoro! Volevo la mia indipendenza, la mia autonomia. Ero stanca di farmi mantenere e di dover implorare la gente per avere qualche cosa per me, per i miei vizi e tutto il resto».

Lagente prendeva nota, impassibile e senza guardarmi, come un giornalista durante una intervista fatta al campione di baseball del momento. Minfastidiva terribilmente quel suo atteggiamento di normalità e sufficienza, quel compito di far domande alla gente che riusciva a portare a termine senza problemi.

«Prima di lasciare la sua vecchia casa, o anche negli anni seguenti, è rimasta in contatto con lui?».

«No», risposi. Ma mi pentii e quindi mi corressi subito, «O meglio si, ma raramente».

«Non sentivate il desiderio di incontrarvi, di parlarvi, di raccontarvi come trascorrevate le vostre giornate?».

«Ma lei è un agente o uno psicologo?», esclamai. Il mio livello di sopportazione era stato abbondantemente superato già da un po e un fiume più grosso dei suoi stessi argini non può continuare a contenere lacqua facendola muovere lungo il suo percorso senza spargerla intorno e seminare morte e distruzione.

«Entrambi, in effetti. La prego Melanie, risponda alle mie domande. Ci saranno daiuto per chiudere il caso. Confido nella sua collaborazione anche se mi rendo perfettamente conto del momento difficile che lei sta vivendo».

Non aveva capito proprio nulla. Ma mi rassegnai come sempre e risposi alle sue domande, con distacco, come se davvero non me ne importasse nulla.

«Dal giorno in cui lasciai quella casa non ebbi più nulla da spartire con mio padre. Presi in mano la mia vita, le mie cose e me ne andai. Trovai questo piccolo appartamento dove ora vivo e un lavoro come infermiera in ospedale. Cominciai a diventare autonoma, tutto sembrava andare bene. Mio padre di contro poté riprendere in mano la sua esistenza, senza avere più una figlia tra i piedi da mantenere. Non ci cercavamo prima, quando ancora vivevo con lui, non ci siamo mai confrontati. Per quale motivo avremmo quindi dovuto farlo dopo la mia partenza?».

«Capisco. Prima di lasciare la casa, aveva mai notato qualche cosa che non andava in suo padre o che potesse avere qualche problema per qualcosa con qualcuno?».

«No, non che io sappia agente. No».

«Grazie Melanie. Vorrei chiederle qualche cosa riguardo sua madre ora, se non le dispiace».

In realtà mi dispiaceva eccome! Non volevo disturbare ancora mia madre, era stata disturbata già troppo a lungo durante la sua vita. Temetti le domande che avrebbe potuto farmi ma accettai di sottopormi anche a quellinterrogatorio.

«Sua madre Jane si è tolta la vita nel 1951. Agli atti ci risulta che fu proprio lei a ritrovare il corpo senza vita al suo rientro dal college. Conferma?».

«Si, confermo. Mia madre mi consegnò il mazzo delle chiavi di casa per la prima volta proprio quel mattino».

«Quindi è chiaro che sua madre aveva premeditato il suo gesto, non fu solo limpulso di un momento».

«Si. Credo di si».

Risposa sbagliata, Melanie!

«Si. Potrebbe parlarmi del rapporto che cera tra lei e sua madre e tra sua madre e suo padre per favore?».

Scacco al re. La regina era stata mangiata. Non fiatai, provai a rinchiudermi nel mio guscio cercando la via più breve per entrarci. Ma il guscio era rimasto aperto e luomo mi vedeva, mi seguiva, mi brancava e mi tirava fuori. Ogni volta, non avevo scampo. Mentire, meglio continuare a mentire.

«Mia madre era malata. Non era una madre cattiva, al contrario! Ma era debole e la sua testa molto spesso labbandonava. La sentivo spesso piangere la notte ma io ero troppo piccola per aiutarla».

«Capisco. Agli atti risulta che si sentiva spesso suo padre gridare e che molto spesso rientrava in casa a tarda notte completamente ubriaco, è così?».

«Si, è capitato».

«E capitato, va bene. Questo ha influito secondo lei sul gesto estremo compiuto da sua madre?».

«Non lo so, ero troppo piccola, glie lho detto».

«Melanie, quando sua madre è morta lei aveva ventidue anni, non era piccola».

Si sbagliava. Lanimo di mia madre era già morto stecchito parecchi anni prima, quello che restava e che io avevo trovato freddo e immobile immerso nel suo stesso sangue era solo linvolucro del suo fantasma.

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