Jack laspettava nel suo ufficio, Lynda era stata puntuale, onorando come sempre limpegno preso.
«Ciao cara Lynda, entra pure, accomodati», disse Jack mentre Lynda già si stava sedendo anche senza il suo invito esplicito.
«Jack, per te non sono più la cara Lynda, ti prego di tenere un tono più adeguato e di rispetto nei miei confronti se vuoi che anche io continui a comportarmi in modo rispettoso nei tuoi. Veniamo al dunque, non ho tempo da perdere! Dimmi quello che hai da dirmi, che cosa vuoi da me e perché mi hai chiamato», rispose Lynda in tono assai scocciato, desiderosa di liberarsi quanto prima da quella scomoda situazione.
«Ok, ok. Ti racconto subito tutto. Riguarda lincontro con Yamada», accennò Jack a testa bassa, prima di fare una lunga pausa per poi riprendere le fila del discorso, «Non è andata affatto bene come speravamo».
Lynda si abbandonò a una sonora e isterica risata. Mai come in quel momento si era sentita così bene, al punto da dimenticare per un attimo tutti i suoi problemi personali. Nella sconfitta ne stava uscendo vincitrice.
«Ahahah! Bene! E tu avevi dei dubbi? Io proprio nessun dubbio, affatto! Cosa potevi aspettarti da quel»
«Idiota!», la interruppe Jack, tenendo sempre la testa bassa, gli occhi puntati su un foglio di carta che giaceva sulla sua scrivania, giusto di fronte a lui. Lynda sinterruppe e lo guardò, seria. Poi puntò gli occhi verso il foglio e si accorse che era stato firmato dal presidente. Jack la guardò e le allungò il foglio perché potesse leggerlo anche lei.
«Si Lynda, Gregory è un vero idiota. Leggi la lettera, poi ti spiego tutto», annunciò Jack mentre si dirigeva con le mani in tasca verso la finestra del suo ufficio, quella che offriva una splendida vista sulla città sottostante. Lynda aveva tanto desiderato un ufficio come quello e aveva pensato che lo avrebbe finalmente avuto dopo aver permesso allazienda di concludere laffare con Yamada. Il foglio annunciava che sarebbero stati presi seri provvedimenti disciplinari nei confronti di Lynda Grant in seguito allincrescioso comportamento tenuto durante lincontro con uno dei più grossi e potenziali clienti per lazienda, mettendo in seria difficoltà e cattiva luce loperato e limmagine di un valido e stimato collega chiamato a sopperire alle sue mancanze e senza avere a disposizione strumenti adeguati.
«Con questa lettera mi stanno licenziando?», chiese Lynda, incredula di quanto aveva appena finito di leggere.
«Non ancora Lynda. Ma sei stata penalizzata, le tue mansioni sono state pesantemente ridotte e il management aziendale ti terrà sotto stretta osservazione per tutto il prossimo anno. Ti hanno retrocessa a mansioni più semplici, di amministrazione ordinaria», rispose Jack senza nemmeno voltarsi. Temeva lo scontro con gli occhi delusi di Lynda.
«E tu non ha fatto nulla? Chi sarebbe il mio controllore, tu forse?», riprese la donna. Sentiva ancora una volta il mondo intero caderle sulle spalle. Era arrabbiata con Jack, sicura che nulla si sarebbe mai più sistemato. Tutto stava degenerando verso lirreparabile, come un oggetto in caduta libera dentro un pozzo senza fine.
«Io ho raccontato al direttore quanto è accaduto, difendendo il tuo operato e il materiale da te prodotto fino alla fine. Gregory si è comportato da vero idiota e davanti a Yamada si prendeva il lusso di fare battute che solo lui poteva considerare esilaranti, ma che non lo erano affatto. Ha fatto la figura del pagliaccio di fronte al cliente, trascinando dietro di se limmagine di questa azienda. Yamada ha espresso la sua volontà di non voler continuare la presentazione sin dalle prime battute, battezzando il progetto come non adatto alle loro necessità. E stato anche troppo gentile e corretto nei nostri confronti. Con la sua squadra, dopo gli inchini di rito, ha abbandonato la sala. Inutile dire che Gregory non sè affatto preso le sue responsabilità di fronte al presidente, ha incolpato te per quanto accaduto, affermando che il progetto non era affidabile e nemmeno presentabile in quel modo, portandolo inevitabilmente al fallimento e a fargli fare una incresciosa pessima figura».
«E il presidente gli ha dato retta!», rispose Lynda.
«Non dovrei dirlo, ma come tu sai idioti e parenti si capiscono sempre al volo. Penso che in privato gli abbia dato una lavata di testa, ma in pubblico ha dovuto seguire le procedure aziendali. Tu sei scappata via Lynda, questo è stato il tuo più errore, una colpa alla quale io non ho potuto rimediare in alcun modo. Mi dispiace. Quando il presidente mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha consegnato quel foglio, mi ha anche detto di riferirti che sei fortunata a non essere stata licenziata e questo grazie a Gregory che, a detta sua, gli ha riferito delle tue enormi capacità nellesecuzione delle attività più ordinarie. Ti ha fatto fuori Lynda! E purtroppo sei stata tu a servirgli la tua testa su un piatto dargento».
Scese il silenzio. I due non parlarono per diversi minuti. Poi Jack, capita la situazione, invitò Lynda a riflettere per bene sul da farsi. Le suggerì di prendersi un periodo di ferie per cercare di lavare via la rabbia e meditare sul suo futuro in azienda. Sapeva quanto sarebbe stato insano e frustrante per lei, una ragazza energica e piena denergia in piena corsa per la carriera, mettersi da parte e ricominciare tutto da capo, con gli occhi delle persone che inevitabilmente sarebbero finiti su di lei, insieme a tutte le chiacchiere e ai giudizi che sarebbero stati espressi ad ogni suo passaggio nei corridoi. Avrebbe perso il suo ufficio e le sarebbe stata assegnata una semplice scrivania, condivisa con altri colleghi. Lynda cominciò a vedere con gli occhi della mente quelle immagini che fino ad allora aveva visto solo nei film, persone licenziate che riempivano una scatola di cartone con i loro effetti personali per poi abbandonare lufficio e i colleghi. Questa volta era capitato a lei. Si, proprio lei era protagonista del film che passava nella sua mente. Lynda Grant, la donna che era stata fino a qualche giorno prima era morta, non esisteva più nemmeno sotto il profilo professionale. Si alzò e prese distrattamente la sua borsa, rimanendo ferma in piedi in attesa che Jack le confessasse che in realtà si era trattato solo di uno scherzo di cattivo gusto, per poi scoppiare a ridere e chiudere il tutto con un abbraccio come era solito fare quando scherzava amichevolmente con lei. Ma non fu così. Lunica cosa che Jack le disse fu che il foglio che teneva ancora in mano era suo e poteva tenerlo. Le disse che avrebbe atteso tutto il tempo necessario perché lei potesse fare la scelta più opportuna, per poi di comunicargli quanto deciso. Concluse infine con un sincero mi dispiace, quindi la congedò.
Tornata a casa prese il telefono per chiamare la madre. La giornata era già stata completamente rovinata, parlare con la madre non avrebbe potuto aggravare ulteriormente le cose. Pensò anche che forse sarebbe stato meglio morire lo stesso giorno per rinascere con il sorriso il giorno seguente. Compose il numero.
«Pronto, sono Sarah». Lynda non fiatò. «Pronto? Chi parla?».
«Sono io», rispose freddamente Lynda.
«Tesoro! Meno male che mi hai richiamato! Ho provato a telefonarti stamattina presto ma evidentemente eri già uscita per andare al lavoro, quindi ti ho lasciato il messaggio in segreteria».
«Che cosa cè? Perché mi hai cercato?».
«Ma tesoro, che cosa cè che non va? Ti sento molto dura nei miei confronti. E successo qualche cosa al lavoro?»
«Questi sono affari che non ti riguardano ora! Dimmi che cosa cè, non ho molto tempo da perdere Sarah».
«Sarah? Ma Lynda, tesoro mio, da quando chiami tua madre per nome? Che fine hanno fatto la tua energia e il tuo sorriso?».
«Tesoro! Meno male che mi hai richiamato! Ho provato a telefonarti stamattina presto ma evidentemente eri già uscita per andare al lavoro, quindi ti ho lasciato il messaggio in segreteria».
«Che cosa cè? Perché mi hai cercato?».
«Ma tesoro, che cosa cè che non va? Ti sento molto dura nei miei confronti. E successo qualche cosa al lavoro?»
«Questi sono affari che non ti riguardano ora! Dimmi che cosa cè, non ho molto tempo da perdere Sarah».
«Sarah? Ma Lynda, tesoro mio, da quando chiami tua madre per nome? Che fine hanno fatto la tua energia e il tuo sorriso?».
«Lynda è morta, o forse non è nemmeno mai nata».
«Ma tu sei impazzita! Che ti prende? Mi sto preoccupando adesso! Vuoi dirmi che coshai?».
«Che cosa avevi di così urgente da comunicarmi al telefono questa mattina?», replicò Lynda ripetendo nuovamente la domanda. Pensò che se la madre avesse tergiversato ancora, lei avrebbe riattaccato questa volta.
«Tua zia Beth vuole vederci, ha qualche cosa dimportante da dirci Lynda, a quanto pare. Ci ha invitate a raggiungerla a casa sua, al cottage in Cornovaglia. Non mi ha detto nulla di più di questo, ho ricevuto un suo messaggio scritto, questa mattina qui in clinica».
«Beth è tua sorella».
«Si, certo! Tua zia Beth è mia sorella, non è una novità questa».
«Sai, non ne sono più tanto sicura».
Seguirono lunghi interminabili secondi di puro silenzio. Nessuna delle due parlava, entrambe restavano immerse nei loro pensieri, cercando di trovare in fretta le prossime parole da dire.
«Lo hai saputo vero?», riprese Sarah.
«Cosa avrei dovuto sapere? Quello che ogni persona sa fin da quando nasce? O cè dellaltro che ancora mi nascondete tu e James?».
«James! Te lha raccontato!».
«Evidentemente è lunica persona che mi ha sempre voluto bene, come una figlia. E stato come un padre per me, ben diverso da quello finto con il quale ho condiviso il tetto di casa fino al giorno in cui ha deciso finalmente di togliersi di mezzo».
«Lynda, tesoro mio! Mi dispiace che tu ne sia venuta a conoscenza in questo modo. E anche colpa mia e comprendo bene il tuo dolore e la rabbia che provi in questo momento. Ma posso spiegarti tutto. Vieni a prendermi domani mattina, partiremo insieme per la Cornovaglia per andare da Beth, va bene? Riesci a liberarti con il lavoro per qualche giorno?». Alla domanda seguì un lungo silenzio che Sarah interpretò come un consenso da parte della figlia. Anche da piccola, quando era arrabbiata, reagiva allo stesso modo. Evidentemente non era mai cambiata sotto quellaspetto.
«Non ho più un lavoro, mi sono licenziata. Sarò lì domani mattina, fatti trovare pronta e con le tue cose già sistemate nella valigia».
«Come dici? Ti sei licenziata?».
Sarah attese una risposta da parte della figlia che invece riattaccò semplicemente.
«A domani, tesoro. Perdonami se puoi», concluse la donna, in risposta al fastidioso silenzio del telefono muto. Si sarebbero viste il mattino seguente, le rimanevano tutta la sera e la notte per riorganizzare le idee e preparare un discorso sensato che potesse dimostrare alla figlia le sue buone intenzioni, sia come madre che come donna e moglie di un uomo politicamente influente nel Paese. Sarah non cenò quella sera e nel letto continuava a girarsi e rigirarsi senza riuscire a prendere sonno nemmeno quando le sembrò di aver raccolto i cocci di una spiegazione adatta al confronto con la figlia. Il sonno la sorprese solo a notte fonda e fu molto breve e agitato. Ormai le prime luci dellalba cominciavano a filtrare attraverso le fessure larghe degli oscuranti di legno consumati dal tempo ed era ora di alzarsi per mettere tutto in ordine in attesa dellarrivo di Lynda.
6
Beth era già alzata da diverse ore quando Charles si presentò davanti alla porta di casa sua, come faceva quasi ogni giorno da un bel po di tempo.
«Buongiorno Beth, posso entrare?», chiese il giovane.
«Buongiorno a te Charlie! Certo che puoi entrare, sarò da te tra un minuto», rispose la donna dal piano superiore. Il tono carico daffanno nella sua risposta suggerì al giovane che la donna doveva essere parecchio indaffarata in quel momento e pensò di essere arrivato nel momento sbagliato.
«Beth, se per lei questo non è un buon momento posso andarmene e tornare più tardi. Non ho grossi impegni da rispettare questa mattina», replicò il ragazzo.
«No no, scendo subito non ti preoccupare».
Immediatamente un forte rumore risuonò nella casa, seguito da un tintinnio di cocci, quello di un oggetto che si rompe cadendo a terra.
«Beth! Che succede? Tutto bene?», chiese il ragazzo preoccupato.
«Si Charlie, tutto bene. Mi è solo cascato un vaso e si è rotto in mille pezzi, cè terra sparsa ovunque. Povero il mio piccolo rododendro!», rispose tristemente la donna. Nel frattempo il giovanotto laveva raggiunta per aiutarla ed entrò nella camera.
«Oh no Charlie! Quante volte ti ho detto che non voglio che tu mi veda così in questo modo!».
«Ma Beth, non si deve preoccupare! Lei è bellissima come sempre, lo sa questo», rispose il ragazzo sorridendo, mentre con le mani raccoglieva la terra dal suolo avendo cura di riposare la pianta e quanta più terra possibile nella più grossa parte di vaso rimasta ancora intera.
«Ma quale bellezza! In questo stato non piaccio più a nessuno, proprio a nessuno», insistette Beth, cercando consenso attraverso gli occhi giovani e pieni di luce del ragazzo.
«Ma a me lei piace tanto, e lo posso confermare ogni giorno. Quello che possono pensare o non pensare gli altri a me non interessa, è un problema loro, non mio. Ecco, il suo bel rododendro rosso è salvo e salvo. Penso però che sarebbe bene piantarlo nel giardino insieme agli altri ora, non crede? Qui potrebbe sentirsi solo», concluse mantenendo il sorriso inalterato sulle sue giovani labbra.
«Sei tanto caro Charlie, sei davvero un bravo ragazzo! Chi non ti ha visto crescere non può nemmeno immaginare che cosa si è perso in tutto questo tempo! La tua povera mamma sarebbe fiera di saperti cresciuto così bello, educato e gentile verso il prossimo. Quando il momento sarà giunto glie lo dirò, stai tranquillo», rispose Beth mentre con la mano accarezzava la spalla del giovane. Il giovane la guardò dritto negli occhi e afferrò la sua mano, stringendola calorosamente.
«Quello che mia madre avrebbe dovuto vedere lha sicuramente già visto. E lei, Beth, non dovrà raccontarle proprio nulla, almeno per un bel po di tempo ancora!», la rincuorò Charlie. Beth lo ringraziò con un sorriso sincero e carico di ammirazione che rubava lentamente il posto alle lacrime amare sgorgate poco prima dai suoi occhi blu.
«Sei tanto caro Charlie! Ma io purtroppo sento che non sarà così. Sono una donna, questo è il mio corpo e le sensazioni che vivo e che fatico a descrivere mi suggeriscono che ormai non mi resta ancora molto tempo da vivere. Dunque, veniamo a noi! Mi hai portato la frutta che ti avevo chiesto?», domandò Beth mentre con le mani finì di sistemarsi il viso e il capo.
«E tutto qui fuori dalla porta, la sta aspettando! Sempre di primissima qualità, come piace a lei. Ma questa volta mi ha chiesto davvero un carico esagerato! Che cosa ha in mente?», chiese il giovanotto incuriosito. Beth gli aveva ordinato spesso carichi di frutta, ma sempre in quantità limitate. Questa volta invece sembrava dovesse sfamare un esercito intero.
«Diciamo che ci sarà un bel po di gente qui tra qualche giorno e avremo un bel po di cose da fare. E tu dovrai darci una mano, signorino! Pensi di farcela?», riprese la donna. Aveva ritrovato tutta la sua energia e il suo buonumore o quantomeno era quello che cercava di esprimere agli occhi del ragazzo, divenuti tristi in seguito alle sue ultime parole piene zeppe di rassegnazione verso il naturale decorso della vita.