Sotto La Luna Del Satiro - Rebekah Lewis 7 стр.


«Ehm non hai finito.» Che vocina arrogante per una ragazza così carina. Piena di altezzosa presunzione e segno di uninfanzia viziata. Ad Ariston non piacevano le donne come lei. Non sembravano mai contente, persino quando le soddisfaceva.

«Lascia che ti suoni una canzone. Creerà latmosfera.» Ariston forzò un sorriso e nel frattempo fece scivolare lo strumento fuori dalla fondina e lo portò alle labbra.

«Sono già dellumore. Ero così vicina quando hai deciso di fermarti. Così. Vicina. È semplicemente da maleducati tirarsi indietro ora!»

Ignorandola, Ariston soffiò lungo le canne. Quando la melodia per rimpiazzare la realtà con un ricordo onirico fece presa su di lei, si sentì sollevato. Gli occhi di Biondina si fecero vitrei, iniziò a raccogliere i propri abiti e si vestì velocemente, farfugliando oscenità che oscillavano fra linsulto e il desiderio che accadessero cose sgradevoli ai suoi genitali. Si allontanò per fare ritorno alla sua tenda, ovunque fosse. Auspicabilmente, lincantesimo sarebbe durato. Ariston non aveva tempo di farle da babysitter per assicurarsene. Sentendosi leggermente in colpa per non averla fatta venire, suonò un paio di altre note veloci e Biondina vacillò con un gemito. Buon per lei.

È il momento della caccia. Con un gran sorriso, Ariston voltò le spalle a Biondina, augurandole silenziosamente un buon viaggio. Moretta non lo sapeva ancora, ma era una delle cose più interessanti che gli fossero successe da anni. Legò la fondina su una spalla e di traverso sul petto, come se volesse nascondere una pistola, e assicurò il flauto di Pan allinterno. Per i vestiti sarebbe potuto tornare più tardi, perché indossarli gli avrebbe fatto perdere altri secondi preziosi.

Ariston se ne pentì subito dopo essere partito allinseguimento, rendendosi conto che la sua nudità avrebbe reso Moretta più guardinga, una volta che lavesse raggiunta. Erano finiti i tempi in cui un satiro nudo sarebbe stato, beh, sorprendente, ma prevedibile. Sarebbe parso non solo come un mostro, ma anche come un pervertito della peggior specie. Lo aveva spiato in assenza dellincantesimo che gli conferiva un aspetto umano, dunque alterare le sue sembianze non sembrava una priorità. Cerano dettagli più importanti su cui concentrarsi. Come aveva fatto a trovarlo senza seguire la sua canzone fino alla radura e fra le sue braccia o lo aveva fatto? Cè solo un modo per scoprirlo.

Le sue tracce si rivelarono facili da seguire. Moretta non gli stava certo rendendo le cose difficili con quelle vistose orme nel fango umido. Si era lasciata lattrezzatura da campeggio alle spalle, il che lo fece esitare. È sola?

Scosse la testa e ridacchiò. Non sarebbe stata sola a lungo. Ariston avrebbe messo presto le sue mani su di lei. Ne era quasi deluso. Quasi. Forse lebbrezza di giocare al gatto e al topo era ciò che gli serviva per sedare il suo desiderio. Anche se, una volta che avesse catturato Moretta

Il rumore di respiri affannati lo fece rallentare. Scostò con delicatezza le lunghe foglie di una felce selvatica e le sue narici si spalancarono in trionfo. Dietro langolo, Moretta era piegata in due, con le mani sulle ginocchia, cercando di riprendersi dalla corsa. Sciocca femmina. Da dietro il fogliame, Ariston si concesse di esaminare accuratamente la sua preda. I suoi capelli scuri erano raccolti in una treccia che le arrivava a metà schiena e la sua t-shirt bianca avvolgeva un seno di medie dimensioni. La sua vita sottile si allargava in fianchi ben scolpiti e un sedere stupendo e le sue gambe toniche ostentavano la loro perfezione da sotto lorlo di un paio di pantaloncini kaki. Ariston sarebbe potuto rimanere ore a fantasticare su cosa avrebbe trovato rimuovendo quegli strati; invece, fece la sua mossa.

Quando entrò nel suo campo visivo, Moretta sussultò. Poi, con gli occhi spalancati, lo fissò spudoratamente, fino a che il suo sguardo atterrò finalmente sui suoi piedi. Ad Ariston sembrò di scorgere sul suo viso un breve lampo di trionfo. Sorrise, mettendo in mostra dei perfetti denti bianchi. Poi il sorrisetto si trasformò in una smorfia. La ragazza sbatté le palpebre e scosse la testa. Quando incontrò di nuovo lo sguardo di Ariston, la paura era ancora là.

«Oh, mio Dio. Oh, mio Dio. Sto avendo le allucinazioni, probabilmente ho la febbre e ho bisogno di uscire da qui, subito.» Annuì dicendo lultima parola, come a finalizzare il suo balbettio, confermando una discussione interiore di qualche tipo.

«Non credo che tu stia soffrendo di alcuna malattia. Puoi continuare a fissarmi per tutto il tempo che vuoi. Anche se preferirei che guardassi un po più in alto dei miei piedi.» Decisamente più impressionante, quello. Perlomeno, nessuno se ne era mai lamentato prima.

La donna fece un suono sprezzante in fondo alla gola. «Per favore, dimmi che sei un qualche fan di D&D in un costume fatto veramente bene e che non vuoi farmi del male. Inoltre, se hai un cellulare, ti sarei grata se non prendessi il mio commento precedente sul personale e me lo prestassi per un momento.» Ah, bene, questo risolveva una delle sue preoccupazioni; senza un telefonino non poteva aver inviato delle prove o contattato qualcuno per raccontare ciò che aveva visto. A meno che non avesse una macchina fotografica nascosta da qualche parte. Dovrei perquisirla per scoprirlo.

Incrociò le braccia. «Non è un costume.» Ariston strinse gli occhi, colpito da un pensiero. «Non ho sentito la tua attrazione per la mia canzone, come è successo invece per la bionda. Sei un essere magico? Una divinità? Una semidea?» Era vicino a scoprire qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa. Era stata lei a causare lo strano temporale della notte precedente? Non cera stato alcun segnale di pioggia, eppure aveva piovuto. Aveva persino grandinato.

«Giusto Forse dovresti darmi quel telefono che ho menzionato prima. Penso che potrebbe portare aiuto per entrambi.»

«Non ho con me un cellulare. Dove potrei metterlo? Tra i peli della mia gamba?» Alzò uno zoccolo e lo sventolò in senso antiorario.

Gli occhi di Moretta si spalancarono di nuovo. Perché tutti si agitavano per gli zoccoli, ma non per le corna? Quelle di solito scatenavano delle scrollate di spalle, seguite da qualche battuta. Quasi temessero che iniziasse a fare il verso della capra e a masticare bottoni. Lunica parte davvero importante della sua anatomia gravava pesantemente tra le sue gambe ed era tanto umana quanto quella di qualsiasi mortale. Anche se gli piaceva pensare di essere più dotato.

«Nella tua, ehm, fondina?» La mora indicò il suo flauto di Pan.

«Che cosa?» chiese Ariston.

«Hai chiesto dove avresti potuto mettere il telefonino. Cè una ampia tasca in quella tua specie di borsetta.» La donna si mordicchiò il carnoso labbro inferiore, unazione che accese un fuoco allaltezza del suo inguine.

«Non è una borsetta. Come puoi anche solo pensarlo? È molto maschile.»

«Sì, sì. Certo.»

«Lo è.» La fitta di desiderio si affievolì quando notò la benda macchiata di sangue, stretta attorno al palmo della sua mano. «Come ti sei ferita?»

Ariston fece inconsciamente un passo verso di lei. Aveva delle scorte mediche nella sua baita. Pur guarendo a una velocità fenomenale, il suo sangue faceva comunque un casino quando scorreva dalla parte sbagliata della sua pelle. Avrebbe potuto ricucirla in un lampo.

La donna si guardò il palmo, quasi sorpresa di vedervi la benda. Poi scosse la testa e disse: «Sì, questa è decisamente la conversazione più strana di sempre. Mi dispiace, ma devo scappare». Schizzò via nella direzione opposta. Mentre fuggiva, pungenti gocce dacqua iniziarono a bombardargli la pelle. Doveva essere Moretta a manipolare la pioggia, ma come? Che cosera? Qualunque cosa fosse, doveva essere in qualche modo collegata alle sue emozioni e lo portò a chiedersi che cosa fosse accaduto per provocare il furioso assalto degli elementi della notte precedente.

La donna si guardò il palmo, quasi sorpresa di vedervi la benda. Poi scosse la testa e disse: «Sì, questa è decisamente la conversazione più strana di sempre. Mi dispiace, ma devo scappare». Schizzò via nella direzione opposta. Mentre fuggiva, pungenti gocce dacqua iniziarono a bombardargli la pelle. Doveva essere Moretta a manipolare la pioggia, ma come? Che cosera? Qualunque cosa fosse, doveva essere in qualche modo collegata alle sue emozioni e lo portò a chiedersi che cosa fosse accaduto per provocare il furioso assalto degli elementi della notte precedente.

Ariston si risvegliò dal suo torpore e la inseguì. «Ehi, non così veloce!» Un pensiero iniziò a mettere radici nella sua mente. Era già entusiasta di lei prima, ma se avesse avuto ragione Per gli dèi, non poteva lasciarsela scappare. Non se ci fosse stata una possibilità.

Moretta possedeva una natura magica, influenzava gli elementi. Il tempismo era troppo buono per essere vero. Ariston era in cerca di una come lei da quando era diventato un satiro e se si fosse rivelata davvero una ninfa, sarebbe stata la sua salvezza. Sfortunatamente, la sua salvatrice continuava a mettere distanza fra di loro. Poteva anche avere un vantaggio nella pioggia, ma lui conosceva bene la foresta. Lavrebbe catturata, come nelle antiche leggende e sarebbe stata sua. Mia!

Si era rivelata a lui. Magari non di proposito, ma lo aveva fatto. Tutto ciò di cui aveva bisogno era che Moretta lo desiderasse abbastanza da farne il suo amante sotto la Luna del Satiro. Sorrise. Ariston era un po arrugginito quando si trattava di vera seduzione, senza luso della magia, ma gli piacevano le sfide. Avrebbe potuto essere libero, mortale, avrebbe potuto avere una famiglia, finalmente, invecchiare e vivere una normale vita umana.

Moretta si guardò alle spalle ed ebbe un sussulto. Credeva davvero che le avrebbe concesso di rivelarsi così per poi correre via? Come se non sapesse cosa ci fosse in gioco per lui. Se non avesse trovato uno specchio dacqua in cui nascondersi, lavrebbe catturata. Una ninfa dei boschi o delle montagne sarebbe già svanita, camuffandosi da albero o quantaltro, ma la pioggia era acqua e lei doveva essere una rara ninfa delle acque per avere una tale influenza sugli elementi atmosferici.

Quando Moretta deviò a sinistra, Ariston andò a destra, scivolando facilmente tra i rami aggrovigliati e sfrecciando sopra i tronchi caduti. Il satiro rallentò il passo e avanzò lentamente verso di lei. La ragazza perse tempo a guardarsi indietro.

Ariston le si posizionò davanti mentre era voltata e lei gli finì dritta contro il petto. Allungò le braccia per stabilizzarla, circondando il suo corpo esile e concedendosi nel mentre una palpatina al suo sedere. I satiri palpeggiano. È così. Il tessuto della sua maglietta era bagnato, la pelle ghiacciata. Da vicino, riusciva a sentire lodore della pioggia sulla sua pelle, mischiato al profumo di lavanda di qualcosa con cui si era lavata o che aveva spalmato sul suo corpo.

«Guarda dove vai. Finirai con il farti male, continuando a fare la preziosa» mormorò Ariston contro i suoi capelli, sorridendo. Quando la donna si rese conto di chi la stesse tenendo, si irrigidì e lo spinse via con forza. Ariston la lasciò fare, approfittando delloccasione per ammirare la sua bellezza, mentre lo fissava furiosa. Lo sguardo di Ariston cadde sulla sua scollatura. I suoi capezzoli erano chiaramente visibili attraverso la maglietta bianca bagnata e il reggiseno sportivo. Senza pensarci, aggiunse: «Guarda, guarda. Il bianco ti dona».

Moretta incrociò le braccia, lanciandogli unocchiataccia. «Pervertito. Perché non mi lasci in pace?»

Ah-ah. Ariston sapeva che lo avrebbe chiamato così. «Sarei io il pervertito? Chi è che mi stava spiando, prima? Ti è piaciuto lo spettacolo?»

«Non ti stavo spiando. Ho sentito la musica e volevo sapere da dove provenisse. Sei tu quello che gira in giro nudo. Chi fa una cosa del genere?»

Ariston scrollò le spalle. «Sfortunatamente, sei finita dritta dritta in qualcosa che era destinato ad accadere da molto tempo. Se tua madre e le tue sorelle ti avessero avvertita per bene, come hanno fatto con tutte le altre, avresti prestato più attenzione.» Grazie agli dèi non lo aveva fatto.

Delle emozioni indistinguibili balenarono sul suo volto. «Non ho una famiglia. Sono cresciuta in affidamento.» Moretta distolse lo sguardo, furiosa. Se con lui o con se stessa, Ariston non sarebbe stato in grado di dirlo. Era certo che non avesse avuto intenzione di condividere quellinformazione, tuttavia, spiegava perché non si fosse nascosta da lui. Perché avesse seguito la canzone, invece che prenderla come un avvertimento e correre nella direzione opposta. Nessuno laveva messa in guardia. Non le era stato insegnato a evitare i satiri e probabilmente non sapeva neppure di essere una ninfa. Moretta non sapeva assolutamente in cosa si fosse cacciata. Se Ariston glielo avesse spiegato, rivelandole quella notizia bomba, di sicuro non lavrebbe presa bene.

«Mi dispiace per il tuo passato, ma il Fato ti ha messa sul mio cammino per una ragione, perciò non andrai da nessuna parte se non con me.»

Quello sembrò attirare la sua attenzione. «Il mio ragazzo è poco distante, nella direzione da dove sono venuta. Mi basterà urlare e verrà qui. È grande e forte e perfettamente in grado di farti il culo.»

Eppure, non aveva pensato di urlare, mentre la stava inseguendo. Langolo della bocca di Ariston si inclinò verso laltro in un sorrisetto. Avrebbe dovuto sapere che avrebbe smascherato il suo bluff. Aveva visto la sua attrezzatura abbandonata fra i cespugli mentre la inseguiva. «Mi piacerebbe vederlo provarci. Tuttavia, se davvero cè un fidanzato tra questi boschi, sicuramente starà facendo un pisolino. Vedi, la canzone che stavo suonando prima tende a rendere gli uomini un po sonnolenti, quando le loro ragazze decidono di seguirla. Daltronde, nemmeno un marito o un padre scontroso potrebbero salvarti ora. Arriverei persino a combatterli per te.»

«Ti prego, non farmi del male. Sono una brava persona. Me ne andrò e non dirò a nessuno che ti ho visto. Non denuncerò né te né niente di tutto questo. Non lo racconterò nemmeno al mio ragazzo, ma per favore» Sbatté furiosamente le palpebre.

La determinazione di Ariston vacillò e il senso di colpa gli lacerò il petto. Se lo strofinò. Le aveva dato limpressione di essere un pervertito, troppo aggressivo e strano. Aveva gli zoccoli, per lamor degli dèi! Forse avrebbe fatto meglio a lasciarla andare. Lasciare che continuasse a vivere la sua vita nella beata ignoranza della propria vera natura. Tuttavia, aveva lasciato andare Dafne e si era maledetto per secoli, sebbene nel suo cuore sapesse che era stata la cosa giusta fare.

Che il Fato sia maledetto per ciò che sto per fare. Voleva essere di nuovo umano. Gli si era presentata una seconda occasione, finalmente e la ragazza non sapeva nulla. Ariston avrebbe sconvolto il suo mondo e non solo sessualmente. Certo, avrebbe avuto solo una settimana per convincerla ad accettarlo.

«Non ti farò del male.» Ariston ammorbidì il suo tono. «Ma non posso lasciarti andare fino a dopo leclissi. Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa importante. Poi potrai andartene se lo vorrai.»

La ninfa si guardò intorno in cerca di una via di fuga. «E se non volessi aiutarti?»

«Lo farai. Forse non vuoi adesso, ma crollerai di fronte ai miei metodi di persuasione.»

«Ne dubito.»

Ariston le rivolse un ampio sorriso. «Mi divertirò a dimostrarti che ti sbagli.»

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