Soren lo seguì in silenzio, e Kyle stava iniziando a chiedersi se fosse come Krisk per il fatto di non parlare fino a quando non lo fece in un basso e dolce baritono, facendolo sobbalzare e mancare un passo. «Perché ti chiamano Kirby?»
«Lo sentirai dire prima o poi, immagino». Kyle si strinse nelle spalle. «È questa cosa che faccio, assorbire temporaneamente i talenti di altre persone. Se mi stanno vicine. O mi toccano. Come Kirby, il piccoletto rosa del videogioco».
«Ah».
Solo questo? Soren non prese le distanze, né cambiò minimamente espressione. Era fatto di pietra? «È una cosa. Tutti qui hanno una cosa».
Dopo qualche altro passo, Soren chiese: «Sempre?»
«Cosa? Oh, sono sempre stato così? Chi lo sa. Insomma, magari ricevevo pensieri vaganti o qualcosa del genere, ma no. È piuttosto recente. Sapere che faccio questo».
Kyle fece un lungo giro attorno a Vance entrando nella stanza degli agenti e indicò una doppia scrivania nellangolo più lontano, ben distante da tutti gli altri. «Quella è nostra. Il caffè è laggiù, ma potresti non volerne. Lascia che prenda il mio fascicolo e andiamo a vedere il tenente».
Si udì un frullio di ali sopra di loro un lampo brillante di piume che schizzò davanti a Kyle per atterrare sulla scrivania di Carrington in fondo alla stanza. Con un verso rauco, il corvo rosa e blu fluorescente ripiegò le ali e avanzò per beccare la penna di Carrington.
«Piantala, Edgar».
«Non riusciresti a far sesso a unorgia!» gracchiò Edgar, facendo un altro tentativo per prendere la penna.
Carrington sospirò e gliela porse. «Ecco. Vai a giocare. Cerca di non sporcarti tutte le zampe dinchiostro stavolta».
Edgar afferrò la penna nel becco color Pepto-Bismol e volò fino al suo trespolo dallaltra parte della stanza, da dove gridò «Grazie e vaffanculo!», per poi procedere a disegnare linee casuali sui fogli attaccati dietro di lui con delle puntine per i suoi lavori artistici.
«Allora, qual è la tua storia, Soren?» gridò Vance attraverso la stanza. «Cosa fa sventolare la tua bandiera di freak?»
«Già, cosè che fai?» Jeff Gatling smise di teletrasportare la sua banana da un angolo allaltro della scrivania.
«In effetti non faccio niente», rispose Soren mentre sollevava la caraffa vuota del caffè. «Immagino ne farò dellaltro, visto che sono lultimo arrivato».
Aprì il coperchio per togliere il filtro e ogni voce umana nella stanza urlò «No!»
La maggioranza delle persone sarebbero sobbalzate, magari avrebbero anche lasciato cadere la caraffa. Soren si limitò a guardare la stanza piena di gente che gesticolava agitata. Tolse il filtro e lo svuotò nel cestino. «Perché no?»
«Meglio non farlo». Kyle rimase accanto alla sua scrivania, a una bella distanza di sicurezza dallarea del caffè. «È compito di Larry».
«Allora Larry non sta al passo». Il contenitore delle bustine di dolcificante iniziò a tremare. Vibrò attraverso il bancone e saltò verso una sgraziata fine, spargendo schegge di ceramica a scivolare lungo tutto il pavimento. La scrivania condivisa da Krisk e Wolf si sollevò da terra di parecchi centimetri e poi vi piombò di nuovo. Wolf fuggì con un latrato squittente appena prima che si ribaltasse su un lato. Soren rivolse uno sguardo a Kyle.
«Larry non è un poliziotto, vero?»
«Lo è lo era! Un poliziotto morto. Larry è un fantasma. Si innervosisce se chiunque altro fa il caffè. Rimetti quella roba a posto, per favore!»
«Larry?» Soren alzò la voce, ma sotto ogni aspetto rimase del tutto inalterato. «Sono nuovo qui. Mi dispiace davvero di aver invaso la tua giurisdizione. Vedi? Sto rimettendo a posto la caraffa. Chiudo il coperchio. Siamo a posto, Larry?»
Una brezza fece frusciare una pila di fogli, ma non seguì altro caos. La caraffa scivolò dal suo supporto sulla macchinetta del caffè e fluttuò fino al boccione dellacqua dove Larry, che non si manifestava mai in forma visibile, fischiettò senza una precisa melodia mentre la riempiva.
Dal suo angolo in penombra della stanza, Carrington disse nel suo tono secco e raffinato: «Benvenuto allIsola dei Freak Disadattati».
* * * *
Mezzora dopo, con Soren ragguagliato sul caso e istruzioni di incontrare Chris Hardin della omicidi allufficio del medico legale, Kyle condusse il suo nuovo partner allauto di pattuglia a loro assegnata. Vikash Soren restava un enigma, cosa che non aiutava i suoi nervi già tesi.
«Guido io».
Soren sorseggiò il caffè che aveva preso a un ambulante lì vicino, apparentemente giunto alla stessa conclusione che tutti gli altri raggiungevano con un sorso del caffè di Larry: era alla pari di vernice per il legno. «Sicuro di arrivare ai pedali?»
Kyle lo fissò. Se non avesse visto la sua bocca muoversi, avrebbe giurato di essersi immaginato quelle parole. «Non sono basso».
Un perfetto sopracciglio nero si alzò appena
«Sono nella media. Tu sei sicuro di entrarci, nellauto?» ribatté Kyle, sapendo che era infantile.
Soren si limitò a sorridere senza mostrare i denti. Non era neppure un sorriso infastidito e teso più simile alla serena espressione di una statua di qualche antica, soddisfatta divinità. Ripiegò il lungo fisico sul sedile del passeggero senza unaltra parola.
Credo di odiarlo. Meglio che abbia qualche difetto grave, o lo odierò davvero.
Perfino la sua postura da seduto nellauto di pattuglia era perfetta. Kyle tenne lattenzione sul traffico di Market Street, cercando di allentare la mascella.
Avevano quasi raggiungo il fiume Schuylkill quando Soren, in un tono a stento alto abbastanza per fare conversazione, chiese: «Isola dei Freak Disadattati?»
«È a questo che hai pensato per tutto questo tempo?»
«Sì». Soren sorseggiò il caffè mentre una piccola V gli si formava tra le perfette sopracciglia nere. «Credo che mi stessi aspettando qualcosa di diverso».
Kyle fece unespirazione esplosiva. Già, laveva capito. «Anche io, quando mi trasferirono. Insomma, senti parlare delle altre città, ed è più come X-Files, giusto? E se cè qualche poliziotto paranormale di Philly con talenti utili, probabilmente viene spedito da qualche altra parte. Ma qui, mi dispiace, no. Sei bloccato coi reietti».
«Capisco perché tu saresti un problema». Soren alzò una mano quando Kyle sputacchiò. «Fai cose pericolose, che non puoi controllare, sembra. Ma gli altri?»
«Già. Tutti loro. Noi». Kyle fece una smorfia per il lapsus. Quattro mesi in quel dipartimento e si sentiva ancora un emarginato. «Virago? Quello che è stato rimproverato stamattina? È un incendiario».
«Va bene. Ma non sembra tanto strano».
Kyle ridacchiò. «Riesce a farlo solo quando è asciutto. Pioggia, neve, troppa umidità, e puff! Niente. Shira Lourdes è una telecinetica da stress. Volano cose quando è nervosa o incazzata».
«Uhmm. Edgar?»
«Non siamo sicuri di cosa faccia. È arrivato col tenente. La mia teoria è che si sia ritrovato in mezzo a uno scontro magico e ne abbia ricavato le penne in Technicolor. Da dove la boccaccia, ehm, il beccaccio gli sia arrivato è un mistero per tutti. E Jeff Gatling? Il tizio con la banana?»
«Fa apporti. Lho visto».
«Già, ma può teletrasportare solo frutta».
«Oh».
La ruga a forma di V si era fatta più profonda. Il Signor Perfettino poteva essere preso di sorpresa, a quanto pareva.
«Ecco perché volevano sapere cosa fai. Perché sul serio, tutti facciamo qualcosa e facciamo schifo a farlo».
Lo Schuylkill, luccicante nel sole di ottobre, era dietro di loro prima che Soren rispondesse
«Non faccio davvero nulla».
«Allora perché diavolo ti hanno mandato da noi?» La voce di Kyle si ruppe mentre il suo volume si alzava. Non aveva avuto intenzione di essere seccato, ma maledizione, era come estrarre denti a un mastodonte usando due cucchiai.
Un altro sorso di caffè, un altro lungo silenzio. «Attorno a me accadono brutte cose».
«Oh, grandioso. Davvero grandioso».
«Non sempre». Soren continuava ad avere quel tono basso e regolare, nessuna traccia di alterazione, nessun atteggiamento difensivo. «Solo quando sono arrabbiato».
Al semaforo successivo, Kyle si girò a guardarlo. «Soren, tu ti arrabbi mai?»
«Oh, certo». Quel sorrisino condiscendente era tornato. «Non ti piacerei quando sono arrabbiato».
Beh, che schifo. Avengers. Senso dellumorismo. E io che stavo davvero iniziando a odiarlo. «Ah. Posso chiamarti Bruce?»
«Solo se io posso chiamarti Tony. Anche se preferirei Vikash».
Kyle ci rimuginò sopra mentre svoltava sulla 34sima dirigendosi nel territorio delluniversità. Difficile avere delle sensazioni su qualcuno tanto riservato, ma alla fine decise che Soren, Vikash, stava facendo del suo meglio per essere amichevole. Magari era timido, o magari era davvero strano. Comunque fosse, Kyle era stato messo in coppia con dei veri bastardi nel corso degli anni. Con uno strano poteva cavarsela.
Per quando ebbe parcheggiato lautopattuglia bianca, Vikash aveva finito il caffè e, da bravo Signor Perfettino, portò il bicchiere vuoto e il tovagliolino con sé e li gettò negli appositi contenitori.
«Hai mai preso almeno una multa per divieto di sosta?»
Vikash gli rivolse una strana occhiata. «No. Perché?»
«Non importa». Kyle fece strada verso linterno, dove il Detective Hardin li stava aspettando. Fece un cenno del capo alluomo, con cui aveva lavorato allomicidio precedente. «Sembra uguale?»
«Temo di sì. Volevo che dessi unocchiata, però, visto che eri sulla scena dellaltro».
«Questa dovera?»
«Appena dopo limpianto idrico. Lhanno trovata alcuni dei ragazzini che si allenavano per il canottaggio».
Kyle aveva sempre quel momento di oh, merda, non posso farcela quando entrava in un obitorio con un corpo sul tavolo. Aveva visto parecchi cadaveri da poliziotto, ma non riusciva mai a distaccarsi davvero come facevano alcuni agenti. Era una persona quella sul tavolo, la madre o sorella di qualcuno, qualcuno che aveva avuto dei sogni, che poteva aver odiato il gelato al pistacchio ed essere stato accanto a lui a guardare i fuochi artificiali e lui doveva calpestare con forza quei pensieri.
Con la maschera professionale ben salda al suo posto, si sforzò di non sobbalzare quando il tecnico di laboratorio tirò giù il lenzuolo. Quella giovane donna, come la precedente, aveva profondi squarci a forma di V sul corpo; era molto probabile fosse stato quello sulla gola a ucciderla.
«Doc colloca lora della morte tra mezzanotte e le due». La voce roca e rovinata dal fumo di Hardin lacerò la tremenda immobilità. «Perdita di sangue dalla ferita al collo elencata come la causa di morte, ma ci sono anche traumi da corpo contundente alla testa».
«Abbiamo già i documenti?»
«Niente. Lassassino potrebbe aver preso la borsa, se ce nera una».
«Qualche ipotesi sullarma?» chiese Kyle mentre si chinava a osservare i tagli dalla strana forma.
«Sembra quasi la forma di una paletta per piantare i bulbi», mormorò Vikash. Aveva estratto un piccolo blocco note e una penna, e stava prendendo appunti con tratti rapidi e precisi.
Kyle lo fissò. «Perché sai una cosa del genere?»
Vikash borbottò qualcosa su sua nonna prima di aggiungere: «Però non dovrebbero essere abbastanza affilate per questo».
«Il medico legale non ha idee sullarma». Hardin osservò il nuovo partner di Kyle con unocchiata in tralice. «Attrezzo da giardinaggio o meno che sia. Hai dubbi sul fatto che sia collegato al precedente, Monroe?»
Kyle scosse la testa. «No. Stesse ferite. Ora della morte. Non la stessa area, ma comunque lungo il fiume. Va bene se andiamo a dare unocchiata alla scena?»
«Questa è uninvestigazione congiunta, quindi vai laggiù. E non tenerlo per te se scopri qualcosa. Non mi interessa se è una qualche strana cosa psichica che voialtri pensate che la gente normale non capirebbe».
Quella frecciatina sul voialtri. Kyle strinse la mascella mentre il suo stomaco si rigirava lentamente. Quattro mesi prima, lui non era stato niente di speciale. Solo uno dei tanti poliziotti che facevano il loro lavoro. Adesso era uno di loro, uno dei freak che il dipartimento utilizzava per gestire i crimini bizzarri e inspiegabili; un male sgradevole ma necessario per molti poliziotti normali. Vikash alzò lo sguardo dal suo blocchetto, la penna ancora posizionata sulla pagina. «Quello era un commento razzista, detective?»
Hardin sputacchiò. «Cosa? Cazzo, no. Ma la vostra centrale è piena di tipi strani. Lo sai questo, vero?»
«Non ho idea di cosa intenda». Lespressione neutra di Vikash non diede a Hardin nulla su cui lavorare, e Kyle lottò per reprimere una risata, quasi asfissiandosi nel farlo.
«Va bene, penso che abbiamo tutto quello che ci serve qui. Ti aggiornerò via email», riuscì a dire quando riscoprì come respirare.
Lasciarono Hardin a borbottare e Vikash rimase quasi stoico quando tornarono nellauto. Lunico cambiamento? Quel maledetto sorriso era tornato.
«Ti piace giocare con le persone, vero?»
«Sì». Vikash mise via il blocchetto. Neanche una risatina. «Alla scena del crimine?»
«Beh, di sicuro non stiamo andando alla Batcaverna».
Quello gli fece ottenere in cambio un suono strozzato. Forse quella era una risata, o Vikash stava reprimendo un colpo di tosse. «Chiamerò per vedere se Loveless e Zacchini possono raggiungerci lì».
«Talenti utili?»
«A volte».
Di nuovo oltre il fiume, di nuovo nello strano silenzio che Kyle stava ancora cercando di rompere. Avrebbe voluto che Vikash facesse un piccolo sforzo. Il silenzio andava bene, ma non quel silenzio strano e spinoso.
«Allora i tuoi genitori venivano dallIndia?»
«No. Perché?»
Kyle dovette letteralmente stringere la presa sul volante per impedirsi di colpire il suo partner. «Uh per il tuo nome?» I tuoi splendidi, fitti capelli neri. La tua pelle ridicolmente bella. Il tuo lungo naso nobiliare da sopra cui guardare le persone dallalto in basso.
«Mamma pensava fosse forte».
«Ah-ah». Kyle non se la beveva, ma Vikash tornò in modalità statua e lui aveva bisogno di ricaricare la sue energie di socializzazione prima di tentare di farvelo uscire di nuovo.
Cerano tecnici della scientifica ancora sulla scena, ma Kyle ebbe il loro permesso di ficcanasare intorno ai confini. Il corpo era stato trovato allestremità del fiume, ancora in acqua per metà. Le foto del momento del ritrovamento mostravano che la giovane donna era morta in un attimo di abietto terrore, la sua espressione paralizzata in un urlo di morte.
Procedettero in modo cauto, a tratti scivolando, giù lungo la riva, con gli occhi a terra in cerca di qualunque cosa fosse insolita e per rispetto al terreno sdrucciolevole.