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Guido Pagliarino
La tragedia dei Trastulli
Romanzo
Guido Pagliarino
La tragedia dei Trastulli
Romanzo
Prima edizione
Opera distribuita da Tektime
Ebook ISBN 9788835419112
Copyright © 2021 Guido Pagliarino Tutti i diritti appartengono allautore
Immagine di copertina: Maschera tragica, particolare, mosaico romano I secolo a.C. rappresentante nel suo intero entrambe le maschere teatrali, tragica e comica, Musei Capitolini, Roma
A parte i generici richiami a fatti storici, gli avvenimenti narrati, i personaggi, i nomi di persone, enti, ditte e società e di loro prodotti e servizi che appaiono nellopera sono immaginari ed è da considerarsi assolutamente casuale e involontario ogni eventuale riferimento alla realtà personale, familiare, professionale o istituzionale, presente o passata, di qualunque persona fisica o giuridica..
Indice
Cap itolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo I X
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Opere dellautore basat e sulle figure di Vittorio DAiazzo e Ranier i Velli ( secondo lordine cronologico degli avvenimenti )
Capitolo I
Era il primo pomeriggio del 22 dicembre 1961, un venerdì. Il nostro superiore diretto e mio amico Vittorio DAiazzo ci aveva radunati nel suo ufficio, un locale luminoso esposto allesterno su corso Vinzaglio e allinterno sul largo e lungo corridoio al primo piano ospitante la Sezione omicidi e reati contro la persona della Squadra Mobile della Questura di Torino, Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza1 , una sezione formata da più unità operative, ciascuna agli ordini dun commissario. Lufficio dellamico non era grandissimo, come quasi tutti a parte due saloni, sullo stesso piano, adibiti a uffici del vice questore e del commissario capo; ma io ci stavo bene, seduto alla mia piccola scrivania, a sinistra di quella dirigenziale del commissario DAiazzo del quale ero assistente.
Quel pomeriggio lamico voleva bagnare con noi, con un aperitivo, lavanzamento a commissario capo2 comunicatogli quella mattina. Noi membri del gruppo eravamo in dieci: oltre a Vittorio e me, il giovanissimo comandante in seconda della nostra unità, il ventiquattrenne vice commissario Aldo Moreno, quattro agenti, due agenti scelti e lappuntato3 Evaristo Sordi, un ventunenne chera con noi da meno di diciotto mesi e sera dimostrato, fin dal principio, assai capace: salendo di grado in grado per meriti, negli anni 90 avrebbe raggiunto la più alta posizione per un non laureato: ispettore superiore sostituto ufficiale di pubblica sicurezza, comunemente detto sostituto commissario. Il resto della squadra non aveva dovuto passare attraverso il corridoio per accedere da noi, aveva infatti sede in due stanze a destra della nostra, comunicanti con questa e fra di esse.
Un grande vassoio con due bottiglie di vermouth rosso e una dozzina di bicchieri era stato portato da un bar di rimpetto alla Questura. Su ordine del DAiazzo due dei nostri agenti avevano mesciuto.
Servitevi, ci aveva detto il neo commissario capo prendendo uno dei bicchieri; e alzatolo, ci aveva diretto, con uno sguardo e un sorriso sornioni: Che ne dite? Era giunto o no il momento? e, bevuto il primo sorso: Uhè, guaglioni, avevo iniziato a servire allinizio del 1943, mica ieri. Mi spettava o no sta promozione?
Assolutamente sì! mera venuto spontaneo, ben conoscendo i meriti dellamico, non solo in quanto suo collaboratore da anni, ma essendo noto in tutta la sezione Omicidi che lui, napoletano verace, era stato uno dei valorosi partigiani combattenti delle Quattro Giornate di Napoli4 , onorato dalla Repubblica con medaglia dargento al valor militare sotto la motivazione: Si batteva eroicamente contro i tedeschi nelle gloriose Quattro Giornate di Napoli:giorni nei quali il popolo italiano, per la prima volta nella Storia della Resistenza europea, aveva attaccato e vinto i tedeschi invasori cacciandoli dalla città e cedendola calda calda agli angloamericani, entrati in Napoli appena dopo, con gran pompa trionfale pur non avendo combattuto.
Tutti serano uniti alla mia genuina esclamazione di stima: Sicuramente, Certo che sì, Era ora
Il DAiazzo, in base al regolamento che attribuiva al suo nuovo grado funzioni di indirizzo e coordinamento di più unità organiche nellufficio cui i commissari capo sono assegnati, avrebbe avuto mansioni superiori, quindi o sarebbe stato vice comandante delle sezioni della Omicidi sotto il vice questore dirigente, un certo Alonzo Zappulli, o sarebbe stato trasferito altrove con un incarico di pari livello: Non sarò più con lui? mero chiesto dopo il brindisi.
Nemmeno fosse stato telepatico, solo un attimo dopo maveva detto: Oh, dora in poi avrò a che fare con tutte le nostre sezioni: il commissario capo Maronti è stato promosso vice questore e va a Mantova e io prendo il suo posto. Naturalmente tu, Ran diminutivo che lamico maveva appioppato storpiando il mio nome Ranieri nonostante il grado, resti con me ero solo vice brigadiere5 , mentre di solito laiutante dun commissario capo era almeno un brigadiere6 se non un maresciallo7 : Mi spiace che tu sia un firmaiolo8 , se fossi giunto dalla Scuola di Polizia comè per Evaristo9 , per anzianità di grado saresti ormai brigadiere, invece di dover aspettare ancora; comunque, che tu sia solo vice brigadiere non minteressa, ti tengo lo stesso come diretto aiutante. Poi, magari, se prima o poi uscirà un concorso interno per passare in servizio permanente effettivo, tu farai domanda di partecipazione: te li meriti, la qualifica e lo stipendio più alti; e anche di poter percorrere lintera carriera fin a maresciallo maggiore invece di concluderla come brigadiere.
Grazie, gli avevo risposto. In realtà da qualche tempo mandava cogliendo, di tanto in tanto, il pensiero di non rimettere firma al termine della riafferma corrente ero alla seconda e dedicarmi interamente alla scrittura, mia vera vocazione e campo su cui già avevo avuto saltuari guadagni come giornalista pubblicista e allori come poeta: allori, perché carmina non dant panem. Restava forte la paura, perdendo lo stipendio, di restare, comunque, del tutto senza pane.
Che malinconia ripensando a quel tempo! Nel 1961 ero un biondo ventinovenne longilineo alto un metro e novanta, non un ingobbito anziano spennacchiato e flaccido come oggidì, e godevo duna forza leonina: un vigore che posso sentirmi dentro solo più in quei sogni dove ci si ritrova giovani, con il futuro ancora davanti agli occhi, non dietro la schiena. Sono Ranieri Velli e, solo per lamico Vittorio, Ran. Ormai da tanti decenni troppi, ahimè! sono scrittore e giornalista professionista10 : colmo dacciacchi.
Quanto al DAiazzo, aveva allora quarantadue anni. Era uomo forte ma non alto, attorno al metro e sessantacinque, e vantava una rigogliosa capigliatura nera che, nel tempo, si sarebbe sempre più sfoltita. Eravamo amici da qualche anno e, privatamente, ci davamo del tu. Chi lo sa: forse il sodalizio era sorto per un mio intervento armato che gli aveva evitato di finir bersaglio dun pistolero esagitato chio avevo ferito e bloccato, un attimo prima che facesse fuoco; o, semplicemente, lamicizia poteva esser nata avendo gusti consentanei: fra altri comuni interessi, anche Vittorio era appassionato di letteratura classica e tante volte, fuor di servizio, ne parlavamo fra noi, a casa sua o al ristorante o passeggiando tuttattorno al lungo quadrilatero11 di portici che corre in centro città: fra i poeti italiani, dopo Dante, chera ovviamente il primo assoluto per entrambi, per me veniva, e viene, limmenso Leopardi, per lui il Foscolo. Daltronde, complice anche la nostra professione stressante e senza orari, lui era il mio unico amico e, come avevo capito, tal ero io per lui.
Il neo commissario capo aveva messo termine in fretta alla bicchierata: Va bbuo guaglioni, adesso al lavoro, ché abbiamo pratiche aperte e, per oggi, siamo ancora nella nostra unità. Domani vi comunicherò i cambiamenti. Usciti gli altri e rivoltosi a me: Senti, Ran: a Natale non sarai di turno, che ne diresti se tinvitassi a pranzo al solito ristorante di corso Palestro? Oppure tu e mammà preferite far tavola natalizia assieme?
Dopo il mio primo incarico, sotto Vittorio ma alla Squadra Mobile di Genova, nel 1959 eravamo stati entrambi trasferiti a Torino, mia città natale, e io ero tornato a vivere coi miei genitori, ben felici daccogliermi, figlio unico, nel loro piccolo appartamento in un antico caseggiato in via Ignazio Giulio, non troppo lontano dalla Questura. Con nostro gran dolore mio padre era morto nel 1960, di colpo, per un ictus severo che laveva colto in casa il 28 dicembre: aveva ancor passato il Natale con mamma e me, allegramente. Questanno mia madre sarebbe rimasta sola a tavola, se io avessi accettato linvito.
Non so, avevo risposto dopo un paio di secondi dincertezza, ti dico domani?
Aveva capito: e perché non inviti con noi anche mammà?
Ah ma sì, grazie! Magnifico, le riferisco e ti dico domattina.
e domattina sia.
Mamma aveva preferito non accettare: Fa il pranzo di Natale col tuo superiore, tranquillamente, mangio da sola, non me ne importa: uninsalata, un uovo e una pastasciutta al pomodoro. Io festeggio la Natività di Nostro Signore in chiesa. Però ti vorrei chiedere un favore, Ranieri: quella mattina, vieni con me a messa alla Consolata. Il santuario è proprio qui davanti, non cè da fare strada, ed è una messa speciale, non solo perché è natalizia ma perché è quella che ho prenotato da mesi in suffragio dellanima santa di tuo padre. Vieni, no?
Avevo annuito lietamente: Certo che vengo! Per papà figúrati se non vengo; e così festeggio pure con te alla tua maniera. A che ora sarebbe?
È la messa delle 11 aveva sorriso soddisfatissima dattrarre a messa, almeno una volta, il figlioletto peccatore.
FOTOGRAFIA FUORI TESTO
Fotografia, con obiettivo grandangolo, del palazzo della Questura di Torino scattata dallangolo fra Corso Vinzaglio e Via Grattoni, tratta dal Quotidiano Piemontese del 19 agosto 2014 alla pagina internet https://www.quotidianopiemontese.it/2014/08/19/provincia-torino-lacqua-gola-vende-palazzo-questura/
Capitolo II
Mia madre e io eravamo usciti dal santuario della Consolata poco prima di mezzogiorno, mancavano tre quarti dora allappuntamento e Vittorio non aveva ancor iniziato a prender messa a Santa Barbara, sua parrocchia non molto lontana, in via Assarotti. Maveva dato appuntamento davanti alla chiesa per luna meno un quarto.
Buon Natale, caro, maveva salutato la mamma con una carezza.
Buon Natale, le avevo risposto sorridendo con intimo affetto, ma senza esternazioni fisiche: non ero mai stato espansivo, nemmeno da bambino, e mia madre in quegli anni ne aveva sofferto, come mavrebbe detto tanto tempo dopo, ma bonariamente, per sua dolcezza di carattere: una sola volta, poi non me laveva più rinfacciato, il che non significava che non se ne dolesse ancora, come oggidì posso intuire essendomi addolcito col passare degli anni; soltanto, non me lo faceva più capire. Penso che, viceversa, a mio padre il mio distacco sentimentale non importasse molto, egli era simile a me, o meglio io a lui. Così mia madre era doppiamente colpita. Oggidì farei ben diversamente con loro, ma da decenni non ci sono più.
Mamma se nera tornata a casa mentrio mero avviato verso via Assarotti, a passo lento. Ero arrivato comunque in anticipo, per cui avevo girovagato un po per la zona. Verso luna meno venti ero stato di nuovo davanti alla chiesa e avevo aspettato; unattesa breve, lamico se nera uscito cogli altri fedeli dopo pochi minuti.
Aveva prenotato il pranzo natalizio per le tredici. Il ristorante, un esercizio antico che esercita ancor oggi, è quasi in via Garibaldi e non lontano da Santa Barbara, per cui sera giunti in fretta.
Penso che, essendo il giorno di Natale e noi soltanto in due, non sarebbe stato possibile avere una gran bella sistemazione in nessun ristorante. Ci avevano ficcati a un tavolinetto equilatero in un angolo della sala. Tutte le sedie erano già occupate al nostro arrivo, a parte quelle duna tavolata presso lingresso, che risultava però prenotata, come segnalava un cartellino che avevo visto di sfuggita entrando. Dopo un cinque minuti era giunto un gruppo che, su indicazione dun cameriere, vi aveva preso posto: un gruppo che, come ancora non potevo sapere, in futuro avrebbe interessato a lungo le nostre indagini, perché sarebbe finito in una tal sequela di funesti eventi che, quasi, potremmo parlare di tragedia greca. Erano in sette: una coppia sulla settantina avanzata, un uomo sui quaranta con una graziosa donna per mano, apparentemente un po più giovane di lui, che poteva essere sua moglie, dato che stavano entrando assieme a loro una ragazzina e una bimba che avevo supposto loro figlie; ultimo, un uomo giovane piuttosto somigliante al precedente, forse suo fratello. Lanziano signore doveva conoscere Vittorio e aver conservato buona vista nonostante letà non più verde, gli aveva infatti indirizzato lo sguardo e lanciato Auguri commissario, contraccambiato quasi subito dallamico che, alzato lo sguardo e ravvisatolo, gli aveva rilanciato Buon Natale, geometra.