Vicent Ferrer. Projecció europea d'un sant valencià - AAVV 12 стр.


Si è talvolta richiamato lattenzione sulla presa di distanza di Ferrer dalle correnti umanistiche che si andavano diffondendo in Catalogna, e a tale proposito è consueto citare un passo del suo sermone per san Paolo: «Predicate Evangelium», questa è la missione data agli apostoli, «no diu Virgilium ne Ovidium set Evangelium» (Ferrer, 1971-1988: II, 56 sermone XXXI); e in altra occasione egli ricorda che il predicatore deve annunciare solo la «paraula viva» della Scrittura: «No cure de poetes, Virgilio, Dantes, ne daquelles cadències etc. mas tant solament de la santa Scriptura» (s. XXXIII: II, 72), Non si tratta, come è stato notato (Martinez Romero, 2002: 37-41), di una dichiarata ostilità ai nuovi orientamenti provenienti dallItalia e da Avignone, ma della fedeltà ad una vivissima tradizione domenicana che reagisce ad ogni scelta culturale che metta in dubbio la centralità della Scrittura e dellesegesi biblica. «Dobbiamo leggere ne libri de santi dottori approvati dalla Chiesa», scriveva Iacopo Passavanti a metà Trecento, «i quali spongono sanamente la Scrittura, e non si dee cercare ne libri vani de filosofi e de poeti mondani» (Passavanti, 2014: 419). Ferrer, come già si è accennato, esortava alluso e allo studio attento degli strumenti di lavoro composti nelle scuole degli Ordini Mendicanti, innanzitutto dai Domenicani, e aveva labitudine di citare questi libri non solo nelle schedulae perugine, ad uso privato, ma anche dal pulpito, come risulta dalle reportationes. La Glossa ordinaria, le Postille di Nicolò di Lira, il «Mestre de les Sentencies» ovvero Pietro Lombardo, il «Mestre de les ystories», cioè Pietro Mangiadore, autore dellHistoria scholastica, sono menzionati con grande frequenza come strumenti necessari alla comprensione dei testi biblici (Catalán Casanova, 2013: 353-384). Interessa qui segnalare luso di opere che distinguono più esattamente la cultura dei Frati Predicatori. Non mi pare comune, ad esempio, il riferimento esplicito ai commenti scritturali di Nicola Gorran (Smalley, 1972: 380; Kaeppeli, 1970-1993: III, 207-208) come si nota, ad esempio, in un sermone per la domenica delle Palme, sul versetto Ite in castellum quod contra vos est (Mt 21, 2). Vedendo che si avvicinava il tempo della prova, così spiega Ferrer, «vocavit duos discipulos suos, scilicet Petrum et Iohannem, alias Philippum», notizia tratta tacitamente da Nicolò di Lira; e li manda «in castellum quod erat contra eos, id est ante, secundum quod dicit Gorran in postilla super Matheum [XXI 2]» (Ferrer, 1995: 104).

Altri ben più noti autori caratterizzano la cultura e la spiritualità tipicamente domenicana di Ferrer. Se la Summa theologiae di Tommaso dAquino è, dopo la Scrittura, il riferimento più importante, la «colonna vertebrale» del suo pensiero (Robles Sierra in Ferrer 1995: 23) - e si potrebbero aggiungere non pochi rimandi al commento sulle Sententiae di Pietro Lombardo e alla Catena aurea (Catalán Casanova, 2013: 358) - è fuor di dubbio che la Legenda aurea di Iacopo da Varazze e le Vitae Patrum sono fonte e stimolo grande per digressioni narrative e per rappresentazioni drammatiche. La frequenza di exempla derivati dai detti e dalle storie dei Padri del deserto non meraviglia, se si pensa che proprio le Vitae Patrum e le Collationes di Cassiano erano tra i libri che il maestro dei novizi, secondo le norme di Umberto di Romans, doveva raccomandare ai giovani (Tracy Brett, 1984: 140); e soprattutto se si riflette che la rigorosa spiritualità del deserto faceva parte dellidentità domenicana (Delcorno, 2016a: 36-37). È difficile stabilire se Ferrer si limitasse alla consultazione delle summe exemplorum, che davano grande spazio agli aneddoti di quella raccolta monastica, o avesse sotto mano una copia delle Vitae Patrum, dalla quale ricavò anche episodi meno noti e comunque meno ripetuti dai predicatori. Lo si nota fin negli schemi del sermonario di Perugia (Martinez Romero, 2002: 97 nota 102) e in analoghe raccolte copiate in alcuni codici della Biblioteca Vaticana. In una di esse (Vat. Lat. 7730, f. 21r) si legge un piano di sermone per il Natale, fondato su un versetto di Luca (2, 34b): Ecce positus est hic in ruinam et in resurrectionem multorum in Israel et in signum cui contradicetur. Le riflessioni del predicatore si concentrano sul termine «signa», sui tre segnali che indicano la via per tornare al Paradiso: castità, povertà e umiltà, evidenti nella nascita di Cristo nel presepe di Betlemme. Tuttavia la superbia ha sottratto questi segnali sicché lumanità non ha più direzione: «Signa Christi iam sunt ablata quasi de via, ideo difficiliter itur ad paradisum». Alla fine del breve schema si legge un appunto: «Nota hic de beato Machario cuius signa arundinea demon abstulit de via». È uno dei racconti più straordinari del Paradisus Heraclidis, una delle raccolte confluite nelle Vitae Patrum: Macario Alessandrino si inoltra nel deserto per visitare il giardino dove sono sepolti due mitici maghi del faraone (Iannes e Mambres), e per non smarrirsi nelle solitudini del deserto pianta una cannuccia ogni mille passi; senonché il demonio le raccoglie e, mentre il monaco riposa, le depone vicino al suo capo, quasi a insegnargli che la via si trova non con il proprio ingegno ma con laiuto divino (Palladio, 2013: 538-541, §§ 6-12; Delcorno, 2009: 754-756 e 1572). Troppo breve è il testo per decidere se Ferrer leggesse laneddoto nelloriginale latino o nel capitolo De sancto Machario della Legenda aurea (Iacopo da Varazze, 1998: 151)17. Le Vitae Patrum sono citate con enfasi alla fine di un sermone sullaldilà, fondato sul thema Factum est gaudium magnum in illa civitate (Act. 8, 9), dove si introduce come exemplum conclusivo «hum miracle que legim in Vitis Patrum, autèntich per decret de papa Gelasi» (Ferrer, 1971-1998: I 194, sermone XVI). Si tratta del notissimo incontro di Macario il Grande con il teschio di un sacerdote pagano narrato dai Verba seniorum (III, 16: PL LXXIII, col. 1013), racconto che Ferrer peraltro rielabora profondamente non senza la mediazione del già citato capitolo della Legenda aurea (cfr. Toldrà i Vilardell, 2010: 229). Come nella versione di Iacopo da Varazze si tralascia il particolare della «virga palmae» con la quale leremita tocca i resti del pagano ridonandogli la parola, e nulla si dice della diminuzione delle pene ottenuta per i dannati dalle preghiere di Macario, affermazione eterodossa e imbarazzante;18 invece la bipartizione tra i pagani, che occupano la parte superiore dellinferno e i cattivi cristiani confinati nella zona più bassa, è modificata con laggiunta di un terzo gruppo, quello degli ebrei che occupano uno spazio intermedio. Inoltre Ferrer dilata la scena con particolari nuovi e con uno straordinario registro dialogico. Il protagonista è anonimo, è «hun hermità, fort de bona vida»; imbattendosi nel teschio di uno sconosciuto si domanda dove sarà la sua anima; «Si és en infern, volria saber per què; e si és en purgatori, oo! Com pregaria a Déu per ella! E si és en paraís yo la men portaria a la mia cel. la e tendria-la per relíquia», e Dio soddisfa questo pio desiderio concedendo la parola al defunto. Il testo latino procede con battute di dialogo ampie ed elaborate, sostituite invece da Ferrer con uno scoppiettante rapidissimo scambio: «Digues, és hom o dona? Respòs: Hom só. Es christià?. No pas, mas pagà. E on estàs?. Yo só dapnat en infern. Mal te va?. Hoc». Alla fine, ottenute tutte le informazioni sullaldilà, leremita chiede se può aiutare in qualche modo linterlocutore; cosa impossibile - non gli gioverebbero tutte le messe del mondo; sicché lincontro si conclude non con la pia sepoltura del teschio, come nelloriginale latino, ma quasi brutalmente con un calcio: «Donchs, torna-ten a ton loch. E donà hun colp ab lo peu ala calavera» (ivi: 195).

Una parte notevole del Sermonario di Perugia, esattamente 62 delle 477 schede, sono dedicate al ciclo santorale. Alle varie forme della narrativa di Ferrer esempi, «semblances», parabole, miracoli, scene della vita quotidiana attentamente analizzate e distinte dagli studiosi, si aggiunge come tratto fondamentale della sua oratoria proprio il repertorio agiografico che utilizza un complesso sistema di fonti medievali, agiografiche e liturgiche, tra le quali si distingue la già citata Legenda aurea (cfr. Viera, 1988, 1991, 2001). L agiografia ha per Ferrer un valore poco meno inferiore a quello della Bibbia. Larte del dialogo, il taglio spettacolare del racconto, lattenzione ai particolari della realtà quotidiana rinnovano profondamente i vecchi disegni dellagiografia, e in modi sempre nuovi, come documentano la molteplice performance di uno stesso modello di sermone. Se ne ha una prova eccezionale nel sermone per san Giorgio, disegnato negli snodi essenziali in un schedula perugina (Ferrer, 2002, num. 171) e ampliato e arricchito in una straordinaria serie di reportationes catalane e latine fino al sermone modello diffuso dalle stampe (Perarnau i Espelt, 1999b, num. 75).

Come è noto, alla figura del martire celebrato da numerosi scritti agiografici fin dal secolo V, si aggiunsero, fra XII e XIII secolo, i tratti del cavaliere che libera la principessa dalla minaccia del drago. Iacopo da Varazze, pur consapevole dei sospetti che gravano su questo dossier agiografico, raccoglie le notizie di diversa provenienza in uno dei più popolari racconti dellagiografia medievale, fonte della predicazione, del teatro e dellarte (Viera-Piqué, 1996: 275-285). Nonostante alcune discrepanze e manipolazioni, non vi è dubbio che il capitolo LVI della Legenda aurea (Iacopo da Varazze, 1998: 391-398) sia la fonte alla quale si riferisce Vicent Ferrer. Nella scarna traccia del Sermonario di Perugia, san Giorgio è un modello universale di santità, è il beatus vir menzionato nel versetto tematico: Beatus vir qui inventus est sine macula (Eccli 31, 8), la vittima senza macchia, senza vizi, quale è prescritta dal Levitico (22, 21), vittima che prefigura il sacrificio di Cristo «quia sacrificia veteris legis erant signa passionis Christi». Lo schema di sermone consiste appunto in una rassegna di virtù contrapposte ai sette vizi o peccati capitali: superbia, lussuria, avarizia, ira, gola, accidia e invidia; variazione del consueto ordine gregoriano dei vizi (SALIGIA), mediante lo spostamento di Lussuria al secondo posto19. Nella predicazione effettiva Ferrer presenta san Giorgio come un modello di penitente, quasi di flagellante. Così nella predica recitata a València nella quaresima del 1413 (25 aprile) egli contrappone il suo zelo al vizio dellaccidia, sottolineando che in tempo di pace il santo «portava cilici e batias ab disciplines, e dormia en terra, e feia oració en la nit, e per lo matí oia sa missa, e cada dimenge confessava e combregava»(Ferrer, 1973: II, 193). La bellezza e la novità delle soluzioni narrative ideate da Ferrer risaltano singolarmente al confronto con i sermoni dedicati al santo cavaliere da non pochi predicatori domenicani. Basti ricordare che proprio Iacopo da Varazze nel primo dei cinque modelli per la festa di san Giorgio raccolti nel suo sermonario De sanctis, sul thema Induite vos armaturam Dei (Eph 6, 11) indugia sul senso allegorico della battaglia tra il drago e il cavaliere: il fiato pestifero rappresenta la tentazione, gli spruzzi dacqua sollevati dal mostro emergente dal lago sono le cattive cogitazioni; la minuziosa descrizione dellarmatura si risolve ovviamente in un elenco di virtù e di buone disposizioni (cfr. Delcorno, 1989: 90-91). Lintento morale insomma appiattisce e soffoca la narrazione. Al contrario nel panegirico di València Ferrer adatta il breve schema del Sermonario perugino alluditorio di una città che vanta di essere stata riacquistata dai cristiani col soccorso del santo cavaliere, e sembra assumere la forma di un sermone ad statum, rivolto in particolare ai cavalieri. Giunto, nel secondo membro del sermone, a trattare della castità di san Giorgio, contrapposta alla lussuria, il predicatore introduce, quasi come esemplificazione di quella virtù, «una singular cosa», un caso particolare, la leggenda della principessa offerta in pasto al mostro e salvata dal cavaliere (Ferrer, 1973: II, 190). Cadono gli antecedenti del racconto (i tentativi del re per salvare la figlia a prezzo doro, il congedo della figlia concluso dalla benedizione paterna). Il predicatore sembra adottare lo stile delle meditazioni, invitando gli uditori a ricostruire la scena, a immaginare: «Lo dimoni donà a entendre que la filla del rei havia desser oferida al drac, e lo rei pensau, pensau com estava!». Si aggiunge inoltre un particolare di grande effetto: i cittadini guardano dallalto delle mura la principessa che si avvia alla morte; «e la gent, per terrats et per lo mur, mirant»20. Si moltiplicano i dettagli per così dire militari: Giorgio per divina ispirazione sopraggiunge in riva al lago infestato dal drago con uno scudiero, allontanandosi dallesercito; vede la donzella, scende da cavallo affidandolo allo scudiero. Invece del lungo dialogo che si legge nel testo latino di Iacopo da Varazze con la triplice esortazione alla fuga ripetuta dalla principessa («Velociter equum ascende», «Fuge velociter», «Fuge, bone domine, fuge velociter»), Ferrer introduce un unico scambio di battute, e mette in rilievo che il duello è tra «nostre senyor Déu Jesucrist»» e il demonio. La morte del drago è rappresentata in modo totalmente diverso; Il cavaliere monta a cavallo «e diu Jesus!, e ferilo»21, un colpo mortale, mentre si ricorderà - nella leggenda la principessa trascina in città il mostro ferito, legandolo con la sua cintura, e solo dopo la conversione e il battesimo dellintera città, il cavaliere lo finisce. Rientra nella strategia retorica del predicatore linsistenza sullantitesi tra la castità del valoroso cavaliere e la condotta dei moderni cavalieri, che in quella situazione avrebbero detto: «venet-se ab mi, e jo seré lo drac que us devoraré»(Ferrer, 1973: II 191).

Merita ricordare le variazioni introdotte nella redazione del medesimo sermone secondo la reportatio latina un latino ampiamente mescidato col volgare - registrata nel codice di Ayora, un interessante caso di diffrazione della parola del predicatore, simile ad altri documentati dalle reportationes delle prediche di Bernardino da Siena (Delcorno, 2009). Nel prothema, regolarmente concluso dalla preghiera alla Vergine, si ricorda che san Giorgio soccorse i cristiani «in conquesta istius Regni tempore regis Iacobi bone memorie», si intende Giacomo I il Conquistatore (Ferrer, 1995: 380). La condanna dei moderni cavalieri è molto più insistita: «Non erat de militibus que sodegan les portes a les dones maridades et alias ara», anzi «emparabat mulieres iuvenes». Si direbbe che in questa redazione si presti particolare attenzione ai movimenti del drago. Mentre i due giovani scambiano le battute del concitato dialogo, il drago «elevavit caput» - particolare ripreso esattamente da Iacopo da Varazze, 1998: 393 («Dum hec loquerentur, ecce, draco veniens caput de lacu levavit») - e pensa: «pensavit inter se Iste miles vult venire contra me «22. Non vi sono dubbi sullimmediata uccisione del drago: «arripuit ensem et dedit sibi unum ictum taliter quod ipse occidit draconem». La principessa non solo desidera le nozze, ma chiede al padre di darle per marito il cavaliere, il quale però non viene meno alla sua verginità. «Quomodo fecissetis vos?»: così Ferrer interpella i cavalieri presenti al sermone, «Delibereretis eam de drachone stagni, sed devorassetis eam in peccato inmundicie» (Ferrer 1995: 383) Notevoli sono anche le variazioni che si notano nel sermone per san Giorgio presente nel famoso ciclo trasmesso dai codici della cattedrale di València (Ferrer, 1971-1988: VI 77-82, sermone CC), databile ai primi anni del secolo XV (Viera-Piqué 1996: 275). Il padre vuole che la principessa sia ornata riccamente di perle e di oro «molt gentilment», come se andasse a nozze («com si hagués ésser nòvia»): particolare che riprende il testo della Legenda aurea, e che viene abilmente utilizzato nel seguito del racconto. San Giorgio infatti, che cavalca «tot sols», vede la «donzella bella molt ben ornada» e si rivolge a lei con uno stile accentuatamente cortese, feudale. Senyora è il titolo invariabilmente usato nel dialogo dopo liniziale donzella; non filia come si legge nella fonte latina. In questa versione di València san Giorgio smonta da cavallo e affronta il drago uccidendolo con una «gran lançada», non con la spada come nella citata predica del ciclo di Ayora. Inoltre è il re che vorrebbe dare la figlia come premio al cavaliere, il quale suggerisce di darla in sposa a Cristo, come di fatto avviene con la conversione e il battesimo della donzella e di tutta la città (ivi: 79). Più duro e diretto è il rimprovero rivolto ai cavalieri moderni, macchiati di lussuria:»Ara, vosaltres cavallers, què haguerìa feyt, que trobasseu axi tal donzella ornada? Que? Haguereu-la deshonrada axi com feu a daltres, que no us studiau en aldre»; e conclude con un insulto: «Oo, traydors!». Se si legge il sermone modello raccolto nella collezione standard di Tolosa, base delle successive stampe, vi si trova una drastica riduzione dei dettagli e soprattutto dei dialoghi, quasi con un ritorno alle linee essenziali delloriginario schema fissato nel Sermonario di Perugia. Il testo è ridotto spesso a semplice didascalia per il predicatore: «Dicatur quomodo draco exivit de lacu et beatus Georgius signavit se signo sancte crucis et exivit contra eum quem percussit» (Ferrer, 1503: [g7vb]). Sono invece dilatate le osservazioni morali, ad esempio la tirata contro i vizi dei «moderni milites».

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