Agli ambasciatori siciliani arrivati nella primavera del 1414 per discutere una materia dibattuta nellisola dalla morte nel 1409 del re Martino il Giovane, che nella sostanza atteneva al governo del Regno: la richiesta, che sarà mantenuta negli anni seguenti, di avere di nuovo in Sicilia un proprio re, con la sua corte, il papa aragonese prospettò il proprio trasferimento nellisola.
La portata dellintenzione manifestata da Benedetto XIII e leffetto in grado di produrre sui siciliani vanno compresi, non solo alla luce delle vicende e difficoltà attraversate dal suo pontificato, che lo spinsero alla ricerca di un rifugio sicuro, ma anche riflettendo sia sulla storia dellisola, che a partire dalla rivolta del Vespro aveva vissuto in un clima di combattivo ghibellinismo, sia sulle pretese, ormai di lunga durata, della Sede apostolica, per la quale in Sicilia il papa era al di sopra del re, suo vassallo, era il dominus territoriale, essendo lisola terra Ecclesie. Si poteva immaginare o pretendere che la presenza di Benedetto XIII con la sua corte, di un papa così fermo e ostinato, che era stato appena riconosciuto come il vero papa, ma che nessun altro più riconosceva, avrebbe soddisfatto le richieste di autogoverno dei siciliani, i quali invece della presenza del re avrebbero addirittura ottenuto quella del papa, che sul Regno aveva lalto dominio, e della sua corte? Delle reazioni siciliane non troviamo notizia, ammesso che il progetto pontificio riuscisse a vivere abbastanza da pervenire nellisola.
Compiti speciali furono affidati da Benedetto XIII verso la fine di settembre del 1414 a due vescovi siciliani che avevano fatto parte dellambasceria, affiancati dal collettore che il papa aveva nominato per riscuotere i diritti, anche passati, della Camera apostolica. Comprendevano la predicazione in tutto il Regno di Sicilia dellobbedienza al papa, da delegare a quattro frati mendicanti, e la riduzione forzata allobbedienza dei siciliani pertinaci nello scisma.
In questo quadro si colloca linvio nellisola di un ecclesiastico, Antoni Caldés, rettore nella diocesi di Valencia della chiesa parrocchiale de LÈnova, lo stesso personaggio che allinizio del 1406 in un registro della Camera apostolica9 figura come uno degli esecutori testamentari del defunto cardinale Pere Serra, già amministratore dellarcivescovato di Monreale, poi vescovo di Catania, e cancelliere del re di Sicilia come primogenito del re dAragona. Il Caldés aveva avuto uno stretto rapporto personale col Serra, del quale era stato il camerlengo e dopo il 1402 vicario generale a Catania, e possedeva quindi unesperienza approfondita e una conoscenza diretta della situazione siciliana. Chierico della diocesi valenciana, nel 1378 era a Roma studente nello studium urbis. Bacallarius in decretis, nel 1397 era stato incaricato di trattare con Benedetto XIII la spinosissima questione della consegna dellanello e del cappello cardinalizio al Serra, che il re non voleva assolutamente accompagnare con la tradizionale cerimonia pubblica. E altri delicati incarichi aveva svolto in seguito per conto di Martino e del cardinale presso il papa avignonese, col quale i rapporti del re furono a volte assai conflittuali, prima di passare alla curia pontificia dopo la morte del Serra10.
Il Caldés fu incaricato da Benedetto XIII di accertare quali fossero state le reazioni dei siciliani alla notizia, che riteneva dovesse essere stata diffusa, della imminente venuta del papa nel Regno11. Avrebbe dovuto registrare soprattutto le reazioni nelle quattro principali città, che erano prese in considerazione, oltre Palermo e Catania, anche Siracusa e Trapani, alla quale in verità non spettava il titolo di città, perché non era sede episcopale. In particolare avrebbe dovuto accertare quale tipo di accoglienza sarebbe stata riservata a Benedetto XIII e alla corte pontificia, se egli avesse deciso di stabilirsi a Catania o a Palermo (è da considerare che a Catania, città fortemente catalanizzata, più a lungo che a Palermo avevano risieduto i re della Casa dAragona e la corte nel corso del Trecento) e indagare se la venuta del papa nelluna o nellaltra città avrebbe incontrato il favore generale o di una parte soltanto. Non era comunque escluso che Benedetto e la sua corte potessero stabilirsi in unaltra delle città siciliane. Il Caldés avrebbe dovuto valutare quale fosse la città più adatta e meglio disposta ad ospitare il pontefice e la curia. Catania o Palermo sembravano comunque le residenze più probabili e lindagine doveva rivolgersi soprattutto ad esse.
A Catania il papa avrebbe potuto risiedere per una parte dellanno nel castello (il castello Ursino, residenza reale, ma pure dellAlagona, vicario generale e dominus cittadino) e ne andava quindi accertata lidoneità: «si lo castell és dispost per a estar e reposar-y algun temps del any», ma specialmente destate il papa avrebbe preferito una residenza situata più in alto, lungo le pendici dellEtna, da dove avere la vista della città, dei giardini, dei dintorni e della marina: «com vulla tostemps, maiorment en lestiu, de estar en loch alt, per veure la ciutat, la orta e les circumstàncies e marítima». Per le esigenze della corte pontificia, il Caldés avrebbe dovuto verificare lesistenza a Catania di palazzi idonei ad alloggiare prelati di curia e cardinali («quins alberchs y ha per als senyors cardenals e prelats de cort»), e accertarsi se vi fosse per il papa un altro palazzo, che fosse notevole e vicino alla cattedrale, per le frequenti celebrazioni solenni che Benedetto XIII vi avrebbe tenuto («e si ni ha algun notable per a la sua santedat prope la esgleya maior, per lo celebrar que fa in pontificalibus diverses vegades»).
Analoga indagine circa laccoglienza che la città avrebbe riservato al papa e lesistenza di alloggi idonei per cardinali e prelati, sopratttutto vicini alla cattedrale («maiorment prope la seu»), Antoni Caldés avrebbe dovuto svolgere anche a Palermo, dove si pensava che Benedetto XIII potesse risiedere non nel palazzo reale, ma nello Steri, il palazzo che era stato della famiglia Chiaromonte, come gli Alagona vicari generali del Regno, che avevano esercitato sulla città demaniale la loro signoria. Avrebbe dovuto verificare ladeguatezza dello Steri come residenza pontificia e di quali addobbi avesse bisogno («se deuen pendre esment del Ester, hon nostre senyor lo papa haurà a posar, si y ha bona disposició per a estar-y nostre senyor lo papa, o no, e quins adops y hauria mester»), ma doveva anche informarsi delleventuale esistenza nella città di altre possibili sedi per la residenza del papa («si ha altra habitació dins la ciutat per a nostre senyor lo papa, sens lo dit Esteri»).
Oltre alla questione degli alloggiamenti per cardinali e curiali, che in passato aveva visto episodi anche drammatici, come per il trasferimento di Urbano VI nel piccolo castello di Nocera in Campania12, Antoni Caldés doveva esaminare laltra questione cruciale dellapprovvigionamento della corte. Lo doveva fare particolarmente per Palermo, esaminando prezzi e mercati («quin mercat y ha, ne quals coses y són pus cares»), specificamente per lacquisto di frumento, vino, carni, volatili («com és fornida la dita ciutat de forment, de civada, de vi, de carn, de volateria»), ma anche per ogni altro genere alimentare, ed inoltre per lavena da biada, e la possibilità di fare acquisti in mercati fuori dal luogo di residenza («si faent provisions daltra part a quin for les hauria la cort posades en la ciutat»).
Di ogni cosa il papa, per poter decidere, desiderava ricevere una particolareggiata relazione («de totes e cascunes de les dites coses saber, veure e considerar los partits per extensum»), accompagnata da una regolare e costante informazione e consultazione della Camera apostolica, utilizzando il flusso delle imbarcazioni da e per la Sicilia13.
Di ogni cosa il papa, per poter decidere, desiderava ricevere una particolareggiata relazione («de totes e cascunes de les dites coses saber, veure e considerar los partits per extensum»), accompagnata da una regolare e costante informazione e consultazione della Camera apostolica, utilizzando il flusso delle imbarcazioni da e per la Sicilia13.
Lanalisi delle condizioni richieste per il trasferimento in Sicilia di Benedetto XIII e della sua corte era collegata al progetto matrimoniale tra linfante Giovanni, secondogenito di re Ferdinando, e la regina napoletana Giovanna II dAngiò Durazzo14, il cui contratto fu concluso a Valencia il 4 gennaio 1415. Il Caldés avrebbe dovuto anche accertare le opinioni e gli umori dei siciliani in merito al matrimonio, e più in generale rispetto alla politica nei confronti del regno napoletano (laltro Regno di Sicilia). Le informazioni da raccogliere e trasmettere al pontefice avrebbero dovuto riguardare anche lo stato interno di quel Regno e le reazioni dei napoletani al matrimonio, comunicando chi si opponesse. Una volta che linfante fosse giunto a Napoli, il Caldés avrebbe dovuto trovare il modo per continuare a tenersi al corrente sugli sviluppi della situazione napoletana15.
Lobbedienza al papa aragonese in Sicilia non era tuttavia ancora pacifica, se nel febbraio 1415 Messina propose a tutto il Regno di rifiutargliela, sicché i messinesi furono minacciati di essere considerati dei traditori, perché ritenere Benedetto un antipapa significava considerare il re un eretico, mettere in dubbio la legittimità del suo potere proveniente dallinvestitura e negare che lindividuazione del papa legittimo spettasse soltanto al re16. Nel marzo 1415 Benedetto XIII prese la decisione di trasferirsi in Sardegna, nel castello di Cagliari, o in un altro luogo fortificato. Già a Cagliari suoi emissari ne preparavano larrivo su una galea provenzale, quando ne fu informato il re Ferdinando I, il quale prese misure concrete per evitare lo sbarco del papa17. In novembre trovò definitivo rifugio nel castello di Peníscola. Allinizio del 1416, poco prima che il re morisse, la Corona dAragona tolse formalmente lobbedienza a Benedetto XIII18.
Il progetto di stabilirsi in Sicilia, annunciato agli ambasciatori ripartiti per lisola nel 1414 e delineato nelle istruzioni senza data ad Antoni Caldés, si colloca nellarco temporale compreso tra ladesione della Sicilia al papa o antipapa aragonese, imposta da Ferdinando I, e la decisione del re di abbandonare Pedro de Luna, già maturata nellincontro di Perpignano del settembre 1415. Nello stesso periodo linizio del Concilio di Costanza e i suoi sviluppi segnavano il destino dellantipapa Benedetto XIII. In questa fase decisiva Pedro de Luna esaminò la possibilità di trasferire in Sicilia la corte pontificia, nella speranza di rafforzare la sua traballante posizione politica. Il collegamento di questo progetto con quello matrimoniale tra linfante aragonese e la regina napoletana non stabilisce soltanto un termine cronologico, ma anche una condizione di più favorevole contesto politico per la realizzazione del trasferimento. Tale condizione non si realizzò, perché Giovanna II dAngiò Durazzo già allinizio del 1415 aveva intrapreso altre trattative che lavrebbero portata al matrimonio con Giacomo di Borbone conte de la Marche. Daltro canto la Sicilia, la cui adesione a Benedetto XIII era recentissima e imposta, e ancora in corso di completamento, reclamava la sua autonomia nellambito della Corona aragonese, e dopo avere a lungo obbedito al papa di Roma ed essere stata teatro di una lunga ribellione anticatalana, tinta di motivazioni religiose e nazionalistiche, non offriva al papa alcuna garanzia di sicuro rifugio.
Sul fallimento del progetto siciliano di Benedetto XIII non sappiamo nulla, ma non è necessario pensare ad un veto del sovrano, in analogia al parallelo e più o meno contemporaneo progetto di trasferimento in Sardegna. Lipotesi siciliana non era segreta, se era stata comunicata ufficialmente tramite lambasceria inviata dallisola al re, e inizialmente era certamente nota e forse condivisa da Ferdinando. Il proposito di stabilire la residenza in una città siciliana, e contemporaneamente di allargare al regno napoletano larea di influenza aragonese e presumibilmente lobbedienza pontificia, era un disegno politico, non ancora un progetto di fuga. Il peggioramento della situazione fece forse preferire al papa lipotesi sarda, in cerca di un rifugio sicuro. Alla fine, di fronte allostilità del sovrano, che aveva accettato la logica conciliare dellelezione di un nuovo papa, e alla conseguente impossibilità di realizzazione di ogni altro progetto il papa Luna si ridusse a Peníscola, in un castello splendidamente a picco sul mare, quasi unisola. Anche le altre residenze prese in considerazione dominavano il mare: così la città castello di Cagliari, così Catania e Palermo, così anche Trapani e Siracusa, città protese nelle acque. A Catania avrebbe voluto una seconda residenza sulle pendici dellEtna per dominare la vista del mare. A Palermo aveva scelto lo Steri, il palazzo più vicino al mare, da cui avrebbe visto tutto il golfo. Il mare, vicino e visibile, agevolava la difesa e favoriva la fuga. Forse dà limmagine, anche fisica, dellaltero isolamento del solo tra i tre papi del grande scisma che ostinatamente non volle mai abdicare.
BIBLIOGRAFIA
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FODALE, Salvatore (2008), Alunni della perdizione. Chiesa e potere in Sicilia durante il Grande Scisma (1372-1416), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo.
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16. Id., 2008, pp. 700 s.
17. BOSCOLO, 1954, pp. 143s.
18. Arxiu de la Corona dAragó, Canc., reg. 2400, f° 35r°.