Il Dono Del Reietto - Mario Micolucci 2 стр.


«Ero sicuro che Energon avrebbe ascoltato le mie preghiere: negli ultimi tempi ho compiuto diverse gesta per compiacerlo e ora mi ha ricambiato.» Un elfo dai capelli argentati emerse dalla coltre nebbiosa avvicinandosi a passi lunghi e rapidi verso il luogo del combattimento. Era vestito con saio grigio aderente e privo di decorazioni.

«Vi ringrazio Paradharta Kimethon, se non aveste rallentato lo scorrere del tempo non avrei mai terminato di pronunciare l'incantesimo del fulmine maggiore: la magia elementale per certi aspetti è molto più lenta di quella runica a causa della fase di accumulo, tuttavia se un elementalista si è preparato in anticipo ed è già in contatto con la natura, la situazione si ribalta.» Il mago si chinò sul corpo di Riatu per rovistarlo: nel farlo, la melma gli imbrattava le vesti risplendenti di fili argentati che si intrecciavano in ricami di simboli arcani.

«Ah! Ecco la Pietra Focalizzatrice» disse.

« ...o anche Lacrima di Petra. A quanto pare all'Accademia della Terra hanno appurato che il nostro astroscopio funziona grazie a essa. Sarà necessario potenziare la sicurezza, sono sicuro che torneranno a "farsi vivi" molto presto» continuò il gran sacerdote.

«Bene, ora direi di uscire celermente da questo posto putrido, non vorrei che i goblin si accorgessero di noi. Preferirei che non fossimo invitati a un loro barbaro rituale!» osservò il mago con una vena sarcasmo.

«Dovremmo ritrovare il bastone per risalire all'identità dell'elementalista» puntualizzò l'altro.

«Paradharta, in qualità di Vostra guardia del corpo, permettetemi di dissuadervi da tale proposito. Rovistare tra la melma richiederà del tempo. Considerando la segretezza dell'operazione in cui l'uomo era coinvolto, non penso che abbia portato con sé il suo bastone personale per, poi, lasciarlo incustodito da qualche parte fuori dalla Torre di Cenere. Molto più plausibilmente, gliene sarà stato fornito uno anonimo e di scarso valore, sicuramente non direttamente riconducibile a un qualsiasi Adepto dell'Accademia. Ritengo che sia sufficiente sapere che l'umano dell'Est fosse un elementalista della terra dalle competenze verosimilmente cattedratiche. Inoltre, siamo prossimi al crepuscolo. I goblin ci odiano e qui siamo nel loro territorio. Se ci attaccheranno numerosi, potrebbero persino sopraffarci: l'intruglio che usano per infettare le loro armi è direttamente attinto dalla Fonte del Santuario di Corrupto e, a differenza di molti altri veleni, esso risulta letale anche per la nostra razza!» arringò il mago.

Il gran sacerdote annuì flemmaticamente e sentenziò: «Tetairadon, la tua è una speculazione inattaccabile, perché permeata di pura razionalità: le tue parole sono benedette da Energon. Effettivamente i presunti benefici non controbilanciano i rischi. E sia: abbandoniamo questo luogo immondo!»

Nascosta dalla nebbia, in un canneto vicino, una piccola sagoma scura con occhi gialli luminescenti osservava le due slanciate figure grigie allontanarsi con passo svelto e niente affatto impacciato dall'acquitrino. Quando esse furono sufficientemente lontane, si mosse.

Dai registri dell'Osservatore Misathon, Dharta di ottava generazione. (Bocca del Verme -Grande Palude-. Accadimenti standard di priorità minima. Ottavo giorno del mese quarto nell'anno 11522 dall'inizio delle registrazioni)

«Questo qui è morto stanotte» disse una figura ricurva e dalla carnagione verdognola mentre caricava un corpicino smunto su una carriola di legno marcio e ossa.

«Ah, questo!» rispose Hork sputando. «Era proprio un mollaccione! Gli altri cuccioli gli sottraevano sempre il pasto e non ha neanche provato a ucciderli nel sonno... Imbecille!»

«Almeno, adesso sarà più utile: ne ricaveremo cibo per i lupi, ossa per gli utensili e pellame per gli indumenti.»

«Il teschietto, però, lascialo a me. Sai che li colleziono.»

«Fai come vuoi addestratore, ma se continui a prendere tutti i teschi dei piccoli che muoiono, al prossimo ciclo ne avrai la capanna piena.»

Djeek aveva visto scene simili decine di volte, ma quella volta ascoltava la conversazione con un senso di disagio, come se in ciò che vedeva, per la prima volta, vi scorgesse qualcosa di sbagliato. Sarà, forse, perché stavolta a morire era stato Yuk che era il più cordiale nei suoi riguardi tra tutti gli altri del vivaio, lì, nel villaggio di Bocca del Verme. Poi, però, quasi sentendosi in colpa per il suo sentimento, ricacciò indietro ogni altro dubbio catechizzandosi: Smettila di delirare! Lo sanno tutti che coloro che cedono a debolezze quali gentilezza, onestà e mansuetudine meritano di morire. Solo i più validi elementi, solo coloro che si distinguono per malvagità, furbizia o ferocia meritano di diventare adulti e di essere accolti tra i figli di Corrupto. Solo i più subdoli merit... ouch! Il dolore lancinante di una palata sulla schiena gli ricordò quanto dura fosse la realtà. Fu scaraventato a terra di faccia e, mentre tramortito rialzava la testa dal fango, ricevette un calcione sotto il mento che lo sollevò in aria fino a farlo ricadere di schiena sul terreno melmoso.

«Muoviti, babbeo! Che fai lì impalato! Vai a fare l'unica cosa che ti riesce bene! Ecco il sacco, riportalo pieno prima di mezzanotte!» urlò Hork, mentre se ne andava camminandogli intenzionalmente sullo stomaco.

Il vivaio era un recinto dove Djeek e altre decine di piccoli goblin venivano allevati, in esso vi era una baracca fradicia che faceva ben poco per riparare dalle piogge e dal freddo, ma era meglio di niente. La capanna era grande, tuttavia non abbastanza ampia per contenerli tutti. Così, quelli che non erano sufficientemente forti o astuti per accaparrarsi i posti erano costretti a riposare all'addiaccio patendo il gelo umido invernale o l'odiatissimo sole estivo. Djeek, purtroppo, era tra quelli che dormivano quasi sempre fuori e, normalmente, questi ultimi erano sempre i primi a morire. Sapeva di avere un fisico normale, anche abbastanza resistente, ma era relegato agli ultimi posti tra i suoi simili. Tutto questo perché mancava di furbizia, non importava che fosse piuttosto intelligente, erano l'astuzia, la prontezza e l'opportunismo che facevano la differenza e in ciò, era assai carente. Una parte di sé era consapevole che quelli come lui non erano destinati a diventare adulti, a meno che, in compenso, non fossero estremamente forti o feroci. Egli, purtroppo, non era nessuna delle due cose. Il giorno prima, però, la fortuna lo aveva baciato: si era imbattuto in qualcosa che, forse, avrebbe determinato il suo riscatto. L'aveva nascosto sotto la radice di un vecchio albero nella Grande Palude e non vedeva l'ora di riaverlo tra le mani. Prima, però, doveva riempire il sacco.

Si addentrò in un canneto, fiutò l'aria e percepì l'odore di ciò che cercava. Caricò la cerbottana e si sdraiò a terra. Procedette con il corpo immerso nellacquitrino in modo da lasciare fuori solo la testa, si avvicinò alla preda e, quando questa fu a tiro, soffiò: il piccolo ago andò segno. La grossa nutria si dimenò per qualche istante per poi galleggiare morta nell'acqua salmastra.

Il Dono di Corrupto era un veleno potentissimo: ne bastava una goccia per uccidere qualsiasi essere vivente. Le prede marcivano rapidamente, ma in maniera diversa, senza decomporsi. La loro carne risultava tossica e quindi, non commestibile per chiunque non fosse un goblin. Il Dono, infatti, era innocuo per loro ed essi lo usavano anche per curare le infezioni e le malattie: il veleno uccideva all'istante anche i vermi o qualsiasi altro essere microscopico procurasse il malanno.

I goblin erano stati rigettati da tutti i territori di Xantis, ma lì, nella Grande Palude, erano forti e numerosi proprio in virtù del Dono. Lo attingevano dalla Fonte di Corrupto e, grazie a esso, erano più pericolosi, oltre che immuni alle malattie.

I goblin erano stati rigettati da tutti i territori di Xantis, ma lì, nella Grande Palude, erano forti e numerosi proprio in virtù del Dono. Lo attingevano dalla Fonte di Corrupto e, grazie a esso, erano più pericolosi, oltre che immuni alle malattie.

Djeek raccolse la nutria e la infilò nel sacco resistendo alla tentazione di darle un morso: sapeva bene che Hork, l'addestratore, non tollerava che lo facesse. Si toccò la guancia, passandosi la mano su una cicatrice rugosa e ricordò con dolore l'episodio che per miracolo non gli costò la vita: fare ciò gli serviva per evitare che l'istinto prevalesse. Il suo compito era di catturare topi, rettili o altri animali commestibili... senza mangiarli: poi, se il risultato della caccia soddisfaceva Hork, allora gli erano concessi un paio di morsi, altrimenti digiuno. Come spesso gli capitava, si assentò dal presente, e si ritrovò, con il pensiero, a rivivere ciò che gli era accaduto tre cicli prima: erano due giorni che, come ricompensa per i suoi mediocri risultati, otteneva un pugno nello stomaco. Così, quando allo stremo catturò un appetitosissimo ratto, lo divorò immediatamente sperando di farla franca. Questo gli diede nuove energie e riportò il sacco pieno. A Hork, bastò annusargli l'alito per capire ciò che aveva compiuto. Così, prima lo malmenò rompendogli un paio di costole, poi lo colpì allo stomaco con lo scopo di fargli risputare il ratto, ma visto che quello era bello e digerito, pensò bene di riavere indietro quella piccola razione di carne strappandogliela con un morso direttamente dalla guancia.

Fu buttato nella latrina della vergogna dove sopravvisse per diversi giorni mangiando i vermi che brulicavano tra gli escrementi. Poi, forse apprezzando il suo attaccamento alla vita e il suo istinto di sopravvivenza, Hork lo tirò fuori dal pozzo fetido e gli concesse un'altra possibilità. Un piccolo scroscio lo trasse via dal flusso dei ricordi e lo riportò alla realtà: le prede lo attendevano, non era il caso di starsene imbambolato a rivangare il passato. Scaricò il disagio indotto da quei pensieri gravosi con un peto sonoro e tornò alle sue mansioni.

Nelle ore successive si diede parecchio da fare e la caccia andò piuttosto bene. Ormai, era diventato bravo, anche se questo non gli rendeva onore, poiché cacciare, pescare, conciare, costruire capanne o fare qualsiasi altro lavoro era umiliante per un maschio, lavorare era roba da cuccioli o da femmine. Un goblin rispettabile doveva dedicarsi solo a gesta onorevoli quali tendere imboscate, rubare, depredare, violentare e saccheggiare. Djeek sapeva di avere un'indole poco aggressiva: alcuni altri piccoli già si prodigavano in atti che prefiguravano azioni simili a quelle degli eroici razziatori adulti, ma lui mancava di quel talento. Ogni volta che provava a pianificare qualcosa di meschino, era goffo e prevedibile: l'istinto non lo assisteva. Mentre si rammaricava del suo handicap, fiutò l'odore che meno avrebbe voluto sentire: quell'odore significava guai ed era senza dubbio dell'odiosissimo Kitzo. Questi non era forte, lo era anche meno di lui, ma era talmente astuto e contorto da meritarsi il rispetto di tutti gli altri giovani del vivaio. Aveva persino ottenuto l'attenzione di alcuni adulti: metteva i compagni l'uno contro l'altro e, a ogni scontro, chissà come, il vincitore era sempre dalla parte sua... o viceversa. Djeek sperò che Kitzo non fosse da quelle parti per lui, ma la speranza durò poco, perché, prima che potesse localizzare l'odore, fu colpito in testa da una pietra che lo tramortì giusto il tempo per vedersi sfilare il sacco. Non appena si riebbe, si lanciò all'inseguimento: finalmente, quel bastardo non era circondato da suoi seguaci. Se lo avesse raggiunto, adirato com'era, avrebbe anche potuto infliggergli una lezione.

«Ridammi il sacco!» intimò con tono alterato.

«Se mi acchiappi, giuro di restituirtelo!»

Kitzo era rallentato dal bottino e Djeek lo raggiunse su un isolotto circondato da un canneto. «Ti ho preso rendimi il sac...» Si ritrovò con la faccia nel fango.

Dopodiché, fu una valanga di calci e bastonate. Mi ha fregato di nuovo! realizzò con amarezza. Come ho potuto pensare che fosse solo! Ha tirato l'amo e il pesce ha abboccato.

«Ragazzi, vi avevo detto che vi avrei portato a un banchetto! Diamoci dentro con questi bocconcini!» gongolò Kitzo.

«Grazie, Kit» risposero all'unisono due voci baritonali e ottuse.

Djeek alzò la faccia dal fango e, dall'occhio meno tumefatto, vide Gork e Girk: erano grossi e praticamente identici. I due erano estremamente possenti e per quanto riguarda l'astuzia... be', a quella ci pensava Kitzo.

Senza troppe speranze, raccolse le forze e con il fiato che gli rimaneva, intimò: «Io ti ho acciuffato, mi hai giurato di restituirmi il sacco!»

«Certo! Subito» rispose l'altro beffardo, lanciandoglielo.

«Ma che me ne faccio del sacco vuoto? Io lo rivoglio pieno!»

Poi, pensando che il maligno Kitzo avrebbe potuto riempirlo anche di melma, precisò: «Lo rivoglio pieno di prede!»

«Avete sentito ragazzi? Vuole il sacco pieno. Come vuoi, voglio essere gentile con te» disse. Quindi, rivolgendosi ai gemelli e indicando il malcapitato goblin, suggerì: «Che aspettate a colmare il sacco! Guardate quella pantegana lì, dovrebbe riempirlo bene. Mi raccomando, chiudetelo con cura non vorrete farla scappare.»

Nonostante i suoi sforzi, Girk e Gork non faticarono molto a rinchiuderlo. I tre malfattori mangiarono il più possibile selezionando solo le parti migliori delle piccole prede e gettando gli avanzi nell'acquitrino. Ogni protesta di Djeek era messa a tacere da violenti calcioni. In realtà, questi ultimi venivano generosamente elargiti, a intervalli regolari, anche se taceva. Quando ebbero finito, Kitzo spronò gli altri ad andarsene dicendo: «Forza ragazzi, dobbiamo correre ad avvertire Hork che questo sorcio da latrina, ha passato tutto il tempo a divertirsi anziché cacciare.»

Djeek sapeva che Hork, riconoscendone il talento, avesse un debole per Kitzo e che, anche quando questi compiva qualcosa di proibito, faceva sempre finta di non accorgersene.

Quando gli altri si allontanarono, dolorante, sfilò dal taschino una delle pietre taglienti a forma di stella raccolte il giorno precedente e si liberò.

La situazione era seria, per non dire disperata: mancava poco a mezzanotte e il sacco era vuoto. Pensò alla collezione di teschi di Hork e rabbrividì all'idea che la sua testa dovesse entrare a farne parte.

«Prima di morire voglio vederlo per l'ultima volta» pensò ad alta voce, mentre si avviava verso il nascondiglio del suo piccolo tesoro. «Forse, se lo riporterò al vivaio come un trofeo, mi risparmieranno... o forse, no.»

Raggiunto il luogo, spostò alcuni rovi dal ceppo di un vecchio albero e da una fessura sotto una grossa radice, sfilò lo strano bastone.

Registri di Dharta Misathon (ottavo giorno del mese quarto nell'anno 11522).

Djeek prese il bastone fra le mani, non sembrava né di legno né di ossa né di metallo, probabilmente era di pietra, di una strana pietra nera, levigata e lucida: infatti, era più pesante di quanto la sua forma esile facesse intuire. Aveva un disegno lineare e privo decorazioni tranne che per una grossa gemma incastonata sulla testa attraverso quattro piccoli fermi dalla forma che il goblin associava ai denti del Verme Primordiale.

La gemma era nera, ma Djeek ricordava di averla vista brillare di una luce verde. Questo era avvenuto quando l'umano che aveva ucciso il mostro della palude si era immobilizzato assomigliando a una statua. Si era imbattuto altre volte negli uomini: spesso tra il bottino delle razzie, venivano riportati alcuni di essi. Arrivavano nudi e legati con robuste corde alle cavalcature ferine degli incursori. Erano tutti più alti e poderosi di qualsiasi goblin, però non erano molto resistenti. Venivano messi a lavorare, ma morivano subito o di fame o di malattia o, addirittura, di fatica: non a caso era un insulto diffuso dire "sei fragile come un umano". La loro carne non era un granché, Djeek la trovava pessima: essa veniva data ai groppalupi cavalcati dai razziatori oppure ai piccoli goblin; gli adulti si guardavano dal mangiarla, perché temevano di assimilarne la vulnerabilità. L'uomo a cui apparteneva il bastone, però, era strano. Un goblin qualsiasi non avrebbe notato alcuna differenza con gli altri, ma Djeek, acuto osservatore, aveva scorto delle anomalie: gli strani occhi, come fessure, il colorito più giallognolo e la statura piuttosto minuta.

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