Ricordava quanto fosse potente il bastone, ma aveva constatato che non lo fosse abbastanza per sopraffare i mostri per antonomasia, i mostri che bastava nominare per raggelare il cuore anche dei più temerari: gli elfi. Ne aveva sentito parlare nei racconti del terrore che si scambiavano al vivaio: erano i più grandi tra loro a raccontarli ai più piccoli per vederli tremare di paura. Ora, lui li aveva visti e, miracolosamente, era ancora vivo: avrebbe voluto raccontarlo agli altri, ma chi gli avrebbe creduto?
Erano terrificanti: alti almeno quanto un umano, dai lineamenti delicati, esili eppure così agili ed energici; avevano la carnagione pallida e grigiastra e i capelli del ripugnante colore dell'argento. Longilinei, affilati e lucenti, gli elfi sembravano delle spade micidiali. La cosa peggiore fu la tempesta che, nel vederli, si era scatenata dentro di lui: aveva sentito un odio ancestrale pervaderlo, un odio che bruciava dentro e che faceva più male dei pugni di Hork. Gli si erano drizzati tutti peli sulla testa e sulla schiena; non riusciva a fare a meno di mostrare le zanne e, a ogni pesante respiro, la bava gli colava copiosamente dalla bocca, mentre il cuore tamburava furiosamente. Aveva dovuto ricorrere a tutto il suo autocontrollo per domare l'orrore e rimanere fermo; il suo corpo avrebbe voluto muoversi d'istinto, non sapeva se per scagliarsi contro di loro o per fuggire.
Stentava a credere che loro, i goblin, potessero in qualche modo discendere dagli elfi. Guardò la sua immagine riflessa sull'acquitrino. Era piuttosto esile, proprio come loro, sì, ma per il resto non c'era nulla di più differente: a partire dalla pelle verdognola e butterata, i lineamenti marcati, i peli radi e ispidi, le zanne, le gambe arcuate, i palmi delle mani e le piante dei piedi forniti di cuscinetti e le unghie come artigli smussati. Gli elfi grigi erano completamente inodori, i goblin, invece, avevano il fiero odore dei lupi.
Come tutti i cuccioli, Djeek, non aveva mai assistito ufficialmente al Rito della Nascita, tuttavia la curiosità e l'interesse lo avevano portato, nell'occasione, a nascondersi in un angolo del vivaio lontano dallo schiamazzo dei suoi compagni. Da lì, aveva potuto udire in maniera fievole, ma piuttosto comprensibile il rullare tamburi, le urla tribali e soprattutto le parole. Durante il Rito, gli sciamani rievocavano l'origine della loro razza, esso prevedeva il sacrificio di un elfo. Purtroppo, negli ultimi anni il confinamento nella Grande Palude li poneva in territori distanti da quelli in cui questi vivevano. Pertanto, veniva usato un fantoccio con addosso qualche accessorio elfico rimediato nei saccheggi. Djeek aveva persino memorizzato le parole del Rituale: esse formulavano una cantilena antitetica a qualsiasi forma di poesia. Cominciò a recitarlo, mentre ripuliva il bastone dalla melma e dalle alghe:
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E il Mondo moriva
Idron il Placido, Idron dell'Acqua
Idron l'Inarrestabile piangeva per la sorte degli elfi degli abissi
e grandi tsunami affogavano i viventi in gorghi profondi
Petra l'Affidabile, Petra della Terra
Petra l'Inamovibile tremava per la sorte degli elfi delle profondità
e terribili terremoti inghiottivano i viventi in crepacci bui
Tempèra l'Algida, Tempèra del Gelo e del Fuoco
Tempèra il Furente ruggiva per la sorte degli elfi di brina e di fiamma
e spaventose eruzioni incenerivano i viventi e conseguenti glaciazioni assideravano i superstiti
Spiral il Libero, Spiral dell'Aria
Spiral l'Inafferrabile si straziava per la sorte degli elfi delle nuvole
e inarrestabili uragani risucchiavano i viventi in cieli tempestosi
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Xantis moriva
Energon l'Arbitro, Energon del Magicka, dall'alto della Luna Clessidra taceva e osservava
I Quattro si servivano dell'energia del suo Mondo per plasmare gli elementi
tuttavia Egli la centellinava e scandiva lo scorrere del tempo di cui era padrone
si dichiarava neutrale ma la sua Arena li aveva incanalati verso la condanna
I Quattro erano prossimi ad abbandonare la Tenzone
Energon del Tempo avrebbe regnato anche sulle loro opere
I Dharta suoi figli erano al sicuro nella Clessidra Celeste
non combattevano ma scrivevano e ogni cosa annotavano
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E l'Arena degli Dei moriva
Tron il Supremo non era appagato
Egli voleva dichiarare un vincitore
Nessuno dei Quattro aveva prevalso
Tutti avevano perso
Un cambiamento e una perturbazione dell'equilibrio necessitavano
E Tron inviò Corrupto dell'Evoluzione
"Va e fa che la Guerra continui e che ci sia un vincitore
tuttavia dei Quattro nessuno devi avvantaggiare"
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E il tutto stava per appartenere a Energon
La Nebulosa Marcia brillò fiera sulla Volta Celeste
Corrupto aprì un varco e da esso emerse il suo Emissario
Il Verme Primordiale era potente quanto un Primo Nato ma presto si sarebbe assopito
Corrupto voleva disporre di servitori indigeni e l'Emissario lo ascoltò
Cercò il magicka nell'impenetrabile Torre di Cenere ne trovò la fonte
Segui le tracce e alcuni Elfi Grigi fuori da essa stanò
in una caverna di lupi si rifugiarono ma con tutta la grotta li divorò
La Guerra degli Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto preparava il suo intervento
Nel ventre del Verme per decenni gli elfi furono deturpati
Soffrivano, si dimenavano, cercavano la morte ma non la trovavano
Sprizzavano lampi bluastri di magicka ma il Verme lo assorbiva e lo plasmava
Decomponevano tra spasmi, urla disperate e loro energia in odio mutava
Per decenni furono digeriti e con essi i lupi della grotta, la terra, il fango
Alla fine l'Emissario terminò il suo compito e dal suo ventre noi goblin fummo generati
Destinati a degenerare nella vecchiaia come i lupi mortali vivevamo
Feroci, astuti, letali e prolifici come i lupi ci diffondevamo
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto si apprestava a regnare su Xantis
Noi goblin ci moltiplicammo a milioni
Tutti i popoli stremati sottomettemmo
Sacrifici a Corrupto in tutta Xantis elevammo
Ciò non piacque a Energon della Razionalità
Egli arrestò lo scorrere del tempo e a Tron rivolse la sua protesta
Ho accolto i Quattro in Magicka, il mio Mondo, per farne l'Arena
Per ere Ti sei appagato del loro scontro, tutto i miei servi hanno registrato
Nessuno dei Quattro ha ancora vinto e Corrupto non è della Contesa
La Guerra degli Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
Ma Limpa giunse a perseguitarci
Tron divertito dai nuovi risvolti decise di allargare la Contesa
In antitesi a Corrupto inviò Limpa della Conservazione
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto si apprestava a regnare su Xantis
Noi goblin ci moltiplicammo a milioni
Tutti i popoli stremati sottomettemmo
Sacrifici a Corrupto in tutta Xantis elevammo
Ciò non piacque a Energon della Razionalità
Egli arrestò lo scorrere del tempo e a Tron rivolse la sua protesta
Ho accolto i Quattro in Magicka, il mio Mondo, per farne l'Arena
Per ere Ti sei appagato del loro scontro, tutto i miei servi hanno registrato
Nessuno dei Quattro ha ancora vinto e Corrupto non è della Contesa
La Guerra degli Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
Ma Limpa giunse a perseguitarci
Tron divertito dai nuovi risvolti decise di allargare la Contesa
In antitesi a Corrupto inviò Limpa della Conservazione
E il Diamante risplendette nella Volta Celeste
Ella aprì un varco da cui scaturì il suo Emissario
Il Cigno di Cristallo solcò i cieli con una scia di polvere splendente
Tutti gli elfi da essa investiti provarono sollievo e gioia: il loro aspetto mutò
Crebbero in statura e in purezza, i capelli divennero rilucenti come i diamanti
Gli Elfi di Cristallo ci mossero guerra e cruenti furono gli scontri
La Guerra i Quattro era finita
Nessuno aveva prevalso
Ma una nuova Contesa si era aperta
Tanti Nuovi Dei giunsero e vi presero parte
Nuove razze furono generate e tante altre guerre furono combattute
Fiumi di sangue furono versati e molto magicka fu dissipato
Il rito originale continuava, ma da tempo immemore, la parte finale era stata omessa dalla tribù, forse perché contemplava il graduale declino della loro razza e soprattutto perché, ormai, tutti ritenevano falsa e fastidiosa l'ultima strofa. Non era possibile che i deboli umani, giunti in epoche più recenti, fossero stati generati direttamente da Tron in persona.
Djeek amava recitare il Rito, perché lo portava a fantasticare, ma fantasticare poteva essere letale per un goblin... Infatti, se prima era tardi, dopo le sue elucubrazioni, lo era molto di più. Dove avrebbe trovato il coraggio di presentarsi a Hork con il sacco vuoto? Il tempo che gli restava non sarebbe bastato neanche se i ratti della Grantana fossero usciti, come per magia, tutti allo scoperto. Fu esattamente allora che proprio la fantasia gli fece balenare un'idea bizzarra.
Registri di Dharta Misathon (ottavo giorno del mese quarto nell'anno 11522).
Nuovi arrivi.
Djeek impugnò il bastone che lo superava in altezza di almeno mezzo piede e, sollevando schizzi, si mise a correre rumorosamente verso la grande tana delle nutrie. Era buio e c'era la nebbia, ma nessuna delle due cose infastidiva più di tanto la sua vista da goblin. Arrivò a una montagnola di argilla con alcuni fori a cui facevano capo profondi cunicoli nei quali centinaia di roditori trovavano rifugio. Djeek l'aveva ribattezzata Grantana ed era una specie di scatola dei desideri. Purtroppo, ogni tentativo di penetrarvi era risultato vano. Diverse volte, aveva provato a scavare, ma l'operazione era lenta e le creature facevano in tempo a spostarsi in zone sicure della complessa rete di tunnel. Aveva provato a versare dell'acqua, ma questa defluiva per poi essere assorbita nel terreno in profondità. Nemmeno appiccare il fuoco in prossimità delle buche era servito.
Stavolta, però, disponeva di un nuovo strumento. Se grazie a questo bastone, quell'umano ha stanato e messo allo spiedo il Grande Mostro della Palude, io potrei riuscire a stanare almeno qualche roditore pensò Djeek senza troppa convinzione.
Strinse forte l'impugnatura, imitando goffamente la posizione dell'elementalista, socchiuse gli occhi e si sforzò cercando di scuotere la montagnola con il pensiero. Purtroppo, non accadde nulla. Provò altre volte sbarrando gli occhi o serrando i denti: niente, niente di niente!
Alla fine, stremato e rassegnato, si genuflesse reggendosi al bastone. Attraverso di esso, sentiva flebili e lontane le vibrazioni che si trasmettevano sul terreno: erano i ratti che si muovevano e scavano sotto la superficie. Già altre volte, poggiando l'orecchio a terra, aveva potuto sentirli: così vicini eppure, così irraggiungibili. Gli sembrò quasi di vederli lì sotto, immaginò di poter penetrare nel cunicolo e seguirli nei loro nascondigli. Sentì i loro passi furtivi quasi come se gli passassero sul ventre e, come in un sogno, immaginò di schiacciarseli addosso con le braccia: avvertì il loro sgomento nel vedere le loro tane tremare e crollargli addosso. Sentì il calore del loro sangue scorrergli sul petto e l'inebriante odore dell'adrenalina che trasudava dalla loro pelle.
Come risvegliandosi da una visione, Djeek aprì gli occhi e vide una valanga di ratti evacuare terrorizzati dalla montagnola semi-crollata. Si lanciò alla caccia e, nel giro di un minuto, aveva già riempito il sacco.
Era salvo: ciò lo rendeva felice e, per la prima volta, fiero di sé. Poco dopo, un altro pensiero, ancora più divertente, gli stampò sul volto butterato un ghigno ferino, cioè l'equivalente goblin del sorriso. «Non vedo l'ora di vedere la faccia di Kitzo: il sacco è più pieno di prima!» pensò ad alta voce.
Raggiunse il luogo del nascondiglio e, mentre con fare reverenziale riponeva nella fessura il bastone, pensò di conferirgli un nome. «Lo chiamerò Grande Verme.» Cioè il modo gergale usato per riferirsi all'emissario di Corrupto. Come il Verme Primordiale aveva stanato gli elfi grigi dalla caverna, così il suo aveva stanato i ratti dai loro cunicoli.
Arrivò nei pressi dell'abitato a notte fonda, proprio mentre Hork stava provvedendo a reclutare nuovi piccoli. Era suo compito, al termine dello svezzamento, sottrarre i cuccioli alla madre per portarli al vivaio che, volutamente, era posto nella zona proibita alle femmine. Bisognava recidere immediatamente i legami di nascita: la famiglia era un vezzo che la società goblin non poteva permettersi. Nessuno conosceva i propri genitori e nulla escludeva che un figlio un giorno potesse inconsapevolmente uccidere il padre, oppure che potesse ingravidare la madre o una sorella. Ciò era in perfetta coerenza con il fatto che i vincenti avessero diritto di vita e di morte sui più deboli e che a loro spettasse di trasmettere il proprio seme senza limitazione alcuna: solo così il branco sarebbe diventato sempre più forte.
Hork faticò non poco per sopraffare le feroci resistenze della femmina: dopo aver ricevuto un morso sul braccio e un profondo graffio sulla guancia, era riuscito a torcerle il polso dietro alla schiena e a piantarla contro il muro esterno della capanna. Fu in quel momento che l'addestratore annusò che ella era di nuovo pronta all'accoppiamento. Così, decise di approfittarne prima che gli altri se ne accorgessero. Non fece in tempo a strapparle il vestito, che venne preso per la collottola e sbalzato indietro di diversi piedi da Ghuk, un goblin esploratore. Questi acciuffò per il peli della testa la femmina che tentava la fuga e si preparò a inseminarla. Nel frattempo, Hork si stava rialzando tramortito. Però, un altro maschio, Rok, rifilandogli con noncuranza un calcio violentissimo, lo rimandò a terra dolorante. Quest'ultimo si lanciò per interrompere Ghuk che nel frattempo si stava già accoppiando e ne scaturì una rissa brutale. La femmina ne approfittò per darsi alla fuga. Tuttavia, mentre passava vicino a Hork che giaceva a terra, questi ebbe il riflesso di afferrarle la caviglia facendola cadere. L'addestratore si alzò sulle gambe malferme per lo stordimento e stava per lanciarsi sulla goblin, quando vide arrivare Hutzo, uno dei razziatori più feroci. Si immobilizzò e balbettò qualcosa come: «Signore, stavo giusto venendo a chiamarti! Quei due indegni volevano... ouch!» Ricevette un pugno nello stomaco, che lo sollevò di tre piedi, seguito da una ginocchiata in faccia mentre ricadeva.