Disegno di copertina di Marco Fogliani
Aggiornamento al: 18/11/2021
ALLA PROSSIMA TOCCA A ME
La zia Betty: e chi se ne ricordava? Era la sorella zitella della zia Rosy con cui, da che ne sapevo io, aveva sempre vissuto come fossero una cosa sola, finché diversi anni prima la Rosy era venuta meno e la Betty le era sopravvissuta. Da allora in poi il silenzio, nulla: nessuna notizia di lei come dei figli della Rosy - Giulia, Romina e Pietro - il ramo monzese della nostra famiglia, che presumibilmente avevano continuato a trattarla come di fatto era stata per tutta la sua vita e come meritava di essere considerata: una specie di estensione e prolungamento della loro madre.
La zia Betty: e chi ci pensava più? Finché laltro giorno non è arrivato il messaggio che diceva che ci aveva lasciato anche lei. A questora avrà avuto novantaquattro, novantacinque anni. Novantasei già compiuti, concludemmo parlandone al telefono con mio fratello e cercando di tirare fuori da due teste ununica ma più accurata memoria.
In quei giorni mi trovavo da diverse settimane a Milano in trasferta per lavoro. Milano e Monza sono vicine: una fortuna che zia Betty fosse morta proprio quel giorno, pensai - per quanto morire forse non possa mai considerarsi una fortuna.
Avrei potuto partecipare al suo funerale, rivedere qualche cugina che ormai, alle nostre età, si rivedono solo per occasioni molto importanti e il più delle volte non allegre, come in questo caso. Avrei potuto simbolicamente rappresentare il dolore di papà e di tutti i suoi figli e nipoti per la scomparsa dellultima zia ancora in vita, dellultima ormai ex superstite di cinque tra fratelli e sorelle sparpagliatisi per lItalia, ciascuno dei quali, a parte Betty e Rosy, aveva seguito un destino tutto suo.
Giulia e Romina erano al primo banco della fila di sinistra, in lutto nero di tutto punto con cappellino e veletta.
Condoglianze, dissi a ciascuna di esse mentre le baciavo sulle guance.
Sembravano affrante ma non disperate, difficile pensare che non si aspettassero che a quelletà potesse capitare qualcosa del genere, anche se non cè mai abbastanza tempo per riuscire a prepararsi alla morte di qualcuno.
Grazie, Tommaso, mi rispose Giulia.
Anche a nome dei miei fratelli, aggiunsi con Romina.
Grazie, salutaceli tutti. E anche a casa, tutti quanti, mi rispose Romina.
Nel mentre, da chissà dove, arrivò anche Pietro e prese posto sulla loro stessa panca. Feci anche a lui le condoglianze, poi andai a sedermi dietro di lui.
Mi sistemai vicino a unaltra signora in lutto, molto anziana, che salutai rispettosamente anche se non sapevo esattamente chi fosse. Forse una parente, la badante: o magari unamica speciale. Credo che poche persone al mondo soffrissero veramente della perdita di zia Betty.
Sullaltra panca in prima fila riconobbi a fatica, in compagnia di un altro volto dallaspetto familiare a cui però non riuscii ad associare un nome, mio cugino Claudio. Era lì per conto di tutto il ramo siciliano della famiglia. Il mio posto, pensai, avrebbe dovuto essere di fianco a loro, sulla loro panca mezza vuota, ma non volli muovermi da dietro alle cugine. Latmosfera era impregnata di lutto e di dolore, e in quel momento spostarsi da una parte allaltra della chiesa mi sarebbe sembrato irriverente e un po sacrilego, quasi come guardare lorologio o semplicemente pensare ad altro.
Quando un campanello annunciò linizio della funzione, la grande chiesa buia si illuminò un poco, ma latmosfera rimase tetra.
Cerano poche altre persone - forse cinque o sei banchi in tutto per giunta mezzi vuoti - la maggior parte un po distanziate dietro a noi parenti e congiunti. Le loro espressioni, il loro atteggiamento mi sembravano voler dire la conoscevo appena, oppure sono qui per sua nipote, o qualcuno dei vicini non poteva non esserci. Un paio di ragazzi sembrava quasi che fossero lì per sbaglio, forse per guardare la chiesa o in attesa di parlare col prete. O forse invece io non ero così bravo a leggere i pensieri dai loro volti. Sperai tanto che non mi si leggesse in faccia che ero lì principalmente perché mi trovavo nelle vicinanze, e che in realtà da un pezzo negli ultimi anni non mi era capitato di pensare alla zia Betty.
Mentre entrava lofficiante, un vecchietto bassino venne a sistemarsi accanto a me. Lui sì piangeva a dirotto, spontaneo, senza finzioni. Doveva essere qualcuno che le voleva molto bene, pensai. Chissà, magari un vecchio amore. Anche le zitelle probabilmente hanno le loro storie damore nel cassetto. O forse una tenera, platonica e recente avventura galante tra due romantici attempati. Elegante, dignitoso, lo avrei detto più sui novanta che sugli ottanta.
Chissà perché vedendolo così commosso mi vennero in mente alcune cose che avevo sentito dire sulla zia Betty, ma che fino ad allora avevo considerato solo come dicerie e pettegolezzi: la consistenza del suo patrimonio, maggiore di quanto ci si potesse aspettare; e la presenza da qualche parte di un suo testamento. Chissà: magari, a sorpresa, lunico beneficiario sarebbe stato quel vecchietto innamorato di lei, il cui pianto sincero sembrava proprio sgorgargli dal cuore.
Durante tutta la breve funzione piansi anchio, non solamente per la presenza contagiosa di quel vecchio che non smise di piangere un istante. Ma non lo feci per la zia Betty bensì, come sempre nelle cerimonie funebri a cui partecipavo, per i miei cari al cui ultimo saluto un destino dispettoso mi aveva impedito in modi diversi di essere presente: al funerale di mia madre e a quello della piccola Graziella.
Quel povero vecchio lì a fianco, che ininterrottamente piangeva molto più di me, in qualche modo esercitò su di me un effetto calmante e mi risollevò il morale. Dopo la benedizione finale non riuscii a trattenermi dal cercare di consolarlo.
Coraggio, non faccia così. E poi, incuriosito, gli chiesi: La conosceva bene, mia zia Betty?
Io? Si figuri: da quando eravamo piccoli!, rispose sempre singhiozzando. Si può dire che siamo cresciuti insieme, aggiunse.
Strano, pensai tra me, allora anche lui come lei era originario di Otricoli.
Ma presto ti raggiungerò, mia cara. Il prossimo sarò io, ormai sta per arrivare il mio turno, se solo al mondo cè un po di giustizia. E coprendosi il volto con le mani ritornò alle sue lacrime singhiozzanti.
Uscendo dalla chiesa, dopo aver firmato il libro delle presenze, mi trovai per caso accanto a Pietro. Siccome avevo intenzione di accompagnarli al cimitero, gli chiesi:
La portate dove sta la zia Rosy?. E aggiunsi: Se può essere utile io ho la macchina vuota, e se serve potrei portare qualcuno.
Sì, magari. Bisognerebbe accompagnare il prete, e se possibile anche la signora Bice, quella che stava seduta dietro a Giulia. Penso che verrebbe volentieri. Se aspetti un attimo provo a chiederglielo, mi disse.
Va bene. E quellaltro signore là, che ha pianto per tutta la funzione di fianco a me, credi che voglia venire?. Accennai a quel vecchio ancora inginocchiato in preghiera nello stesso banco di prima.
Non saprei, non lo conosco. Non ho idea di chi possa essere, mi rispose Pietro.
Pietro avvisò il sacerdote e la signora Bice, anchessi lì nei pressi delluscita della chiesa. Così in pochi minuti, mentre il feretro veniva caricato sul carro funebre, dietro di esso si era organizzato il piccolo corteo di tre o quattro automobili pronte a seguirlo verso il cimitero.
Durante il non breve tragitto io, don Sergio e la signora Bice rimanemmo perlopiù in silenzio, se non per qualche parola di circostanza che ci si può scambiare tra tre sconosciuti in unoccasione del genere. Ma io avevo ancora in mente limmagine di quellanziano signore che durante la funzione aveva pianto vicino a me come una fontanella.
Scusatemi, chiesi loro a un certo punto, ma quel vecchietto che stava con noi in seconda fila singhiozzando tutto il tempo, per caso sapete chi sia? Mi ha detto che conosceva la zia Betty sin da piccolo, ma stranamente Pietro non mi ha saputo dire chi fosse.
Ah, il signor Gervaso, rispose don Sergio. Vedo che ha avuto modo di parlargli. Sì, lo conosco abbastanza bene, è un nostro affezionato parrocchiano. Sono diversi anni che non si perde un funerale che sia uno, e ad ognuno piange e si dispera come se fosse il proprio. Non è cattivo; e se devo dire, rende i funerali più sentiti e partecipati anche da parte degli altri. Però mi sembra in ottima salute, evidentemente questo lo fa stare bene. Le avrà anche detto che la prossima volta toccherà a lui, che ormai è arrivato il suo turno. Lo dice sempre. E prima o poi finirà per azzeccarci, una volta o laltra. In ogni caso noi preti della parrocchia siamo già psicologicamente preparati per quel momento. Per il suo funerale ci saremo - come per chiunque altro, naturalmente.
IL SANTO DEI MIRACOLI
Ammetto che in quel periodo il mio umore non poteva certo dirsi buono. Per problemi alle ossa la mamma di Debora, la mia compagna, era costretta tra il letto e la sedia a rotelle già da parecchio tempo, e le previsioni degli specialisti non lasciavano sperare grandi miglioramenti. Debora ovviamente ne subiva le conseguenze, ed in parte anchio. Nei momenti liberi eravamo sempre da sua madre. Mai unoccasione di svago, di distrazione; non so quanto tempo ormai che non andavamo al cinema, o che la domenica non si faceva una gita.
Un giorno Debora mi annunciò che aveva programmato per noi una uscita domenicale. Ne fui contento, ma solo finché non mi specificò che sarebbe stata una specie di pellegrinaggio: una visita alla Basilica del Santo a cui sua madre era molto devota. La malattia della madre aveva risvegliato in Debora quel poco di religiosità e bigotteria che, acquisite nellinfanzia, giacevano in lei sopite da anni. Conoscendo il mio ateismo e scetticismo, non mi aveva mai proposto niente di simile. Ero molto preoccupato: ma lo fui ancora di più quando, accennando alla possibilità di non andarci, mi disse senza esitazione che sarebbe andata ugualmente, da sola. Così decisi di accompagnarla.
Il viaggio in autobus lo trovai pessimo. Andammo con una parrocchia (sinceramente non so dire quale né che agganci ci avesse, ma credo nessuno), un gruppo di scalmanati che, chissà mai cosa avevano da essere allegri, giocavano, cantavano e schiamazzavano in continuazione. Ogni tanto qualcuno, vedendoci appartati ed apparentemente seri, cercava inutilmente di coinvolgerci; ma era chiaro che non avevano nessun rispetto per chi la pensava diversamente da loro, e anzi non ritenevano neanche possibile che qualcuno potesse avere convinzioni differenti dalle loro in materia religiosa. Finché venne da noi un sacerdote, credo, dicendoci che non ci aveva mai visto e chiedendoci di noi. Debora gli spiegò la situazione di sua madre e lui, molto raccolto e compunto, rispose che ci comprendeva. (Ma non capiva certamente me!) Comunque gli fui grato perché almeno, dopo quella visita, nessuno più ci disturbò né tentò di coinvolgerci.
Arrivati alla Basilica, pioveva. Io non volli entrare ed aspettai fuori il ritorno di Debora e degli altri, sotto una specie di tettoia in compagnia di altri turisti sconosciuti. Fu lì che mi imbattei in uno squinternato dal buffo cappello rosso e verde che, seppi in seguito, era un po lo scemo del paese ed era conosciuto da tutti con il nome o soprannome di Giovenale. O meglio, fu lui che scelse di battibeccare con me. Lo stavo già osservando perché, incurante della pioggia che continuava a cadere insistente e gesticolando come se parlasse con qualcuno, descriveva sul sagrato degli strani giri senza logica. Poi ad un tratto, come se avesse finalmente trovato un senso al suo zigzagare, venne da me e, quasi a continuare un discorso che in realtà non era mai iniziato:
perché il Santo che abbiamo noi non è soltanto il nostro Patrono, un santo come tanti altri. Lui è davvero potente. Quando ci si mette può fare qualunque cosa. Parlo dei miracoli, sì: di quelli veri. Se sei venuto a chiedere una grazia, facile che lui te la conceda anche a costo di fare un miracolo.
Io ascoltavo senza mostrare di dargli troppa attenzione, e resistetti bene alla tentazione di fare qualche commento sarcastico. Ma quello proseguì:
Però devi almeno accendergli un cero, dargli una monetina. Sennò il miracolo magari non arriva.
A questo punto non riuscii a trattenere il mio anticlericalismo e commentai, seppure a voce bassa e quasi tra me:
Sì, lo so che i soldi fanno miracoli. Con quelli si può tutto, checché ne dicano alcuni. Pensa un po: i soldi e la credulità della gente fanno in modo che questo mercato di superstizione prosperi da secoli, insieme a tutti i preti che ci mangiano sopra
Giovenale dovette aver sentito, e parve così irritato da queste parole che io, quasi spaventato, mi interruppi. La pioggia continuava a cadere su di lui più forte che mai, e mi parve che in cielo, come se fosse anchesso adirato, si scatenasse un fulmine spaventoso.
Tu non ti rendi conto di quello che dici. Spero per te che un giorno il Santo ti apra gli occhi e ti faccia capire la verità.
Dicendo queste parole aveva uno sguardo profondo, pungente, quasi spiritato: molto diverso dallespressione ebete di poco prima. Mi si era avvicinato minaccioso, a tal punto che temetti per la mia incolumità. Per fortuna, con mio grande sollievo, si ritrasse quasi subito riprendendo, come se niente fosse successo, il suo zigzagare distratto e senza senso sul sagrato della chiesa.
Poco dopo Debora ritornò insieme al resto della comitiva.
Hai una monetina da darmi, per fare un'offerta alla reliquia del Santo?, mi chiese. Era zuppa per la pioggia, nonostante lombrello.
Sicuro di averla, senza esitazione feci per aprire il mio marsupio da viaggio alla ricerca di una moneta. Ma mentre aprivo la zip mi fermai: allimprovviso si era aperto uno squarcio tra le nuvole, e si era allargato così tanto e così in fretta da lasciarci tutti a bocca aperta. In un attimo aveva smesso di piovere, e la luminosità dellaria e dellatmosfera erano cambiate in modo che sembrava di essere passati dalla notte al giorno. Stavamo assistendo a qualcosa di straordinario; ma rimasi ancora più stupito quando, aperto il marsupio, mi resi conto che non cerano più le cose di valore che dovevano esserci, e cioè le chiavi, il telefonino, il portafoglio e il portamonete. Al loro posto, invece, un ramoscello di fiorellini bianchi e rosa. Sbiancai.
I miei soldi! I miei documenti! È sparito tutto!
Se non fosse capitato a me, forse sarei stato contento che quella noiosa gita venisse un po movimentata. Intorno a me tutti a cercare, a chiedere, a fare congetture; ed io, che fino allora mi ero sforzato di mantenere il più possibile le distanze da quel gruppo di persone che mi stavano antipatiche, fui costretto a svelare a tutti cosa conteneva il mio marsupio, dove lavevo portato e quando lavevo aperto lultima volta.
Alla fine andai con Debora alla più vicina stazione dei carabinieri per sporgere denuncia. Ci accompagnò un ragazzo del gruppo, particolarmente premuroso, secondo Debora, o invadente, secondo me.