PARTE III
L’ALIENO
A causa della precipitosa discesa attraverso l’atmosfera terrestre, il grande disco metallico dorato si era arroventato fino a diventare di un colore rosso incandescente. L’umanoide si affacciò all’oblò e osservò scioccato l’immensa distesa di terra arida e inospitale, sormontata a malapena da qualche protuberanza di roccia di colore chiaro.
Sono finito nel bel mezzo di un deserto si disse sconfortato, subito dopo tornò alla console di comando e prese a digitare freneticamente su qualcosa di simile a una scacchiera. “Motori di spinta primaria fuori uso causa mancanza di energia. Tempo di carica delle batterie con una sola stella, quantificato in trentaquattro anni terrestri. Temperatura delle strutture in fase di assestamento”, significavano i segni cuneiformi che comparvero sullo schermo giallo. Deluso, l’Alieno si disinteressò al computer e tornò a guardare oltre l’oblò nella speranza che gli venisse un’idea, ma si arrese subito. Sul suo pianeta, l’energia luminosa fornita dalle tre stelle avrebbe ricaricato le batterie in pochissimo tempo. Ma sulla Terra c’era un Sole soltanto, lui non aveva modo di amplificare l’effetto dei suoi raggi sui ricettori della navicella spaziale, non disponeva del materiale né degli strumenti necessari. Si rese conto che il problema era palesemente irrisolvibile e sui si rassegnò all’idea di aspettare passivamente trentaquattro lunghi e noiosi anni terrestri. Ebbe un moto di stizza e tornò a interrogare il computer, per avere i dati dell’Analisi Ambientale.
“Temperatura esterna 40 gradi terrestri. Quantità di luce nettamente insufficiente al fabbisogno energetico. Atmosfera costituita di Azoto, Ossigeno, Carbonio, umidità percentuale tendente a zero. Probabilità di sopravvivenza in questa zona del pianeta inferiore al tre per cento, causata dalla scarsità di acqua e della concentrazione minima di Anidride Carbonica sovrastata dall’alta percentuale di Ossigeno libero. Tempo limite di permanenza nell’ambiente esterno stimato in dieci giorni terrestri. Fasi successive conseguenti a un’esposizione eccessiva all’ambiente esterno: deficit energetico, immobilizzazione, stato prolungato di subcoscienza, perdita totale di coscienza, decesso dovuto a progressivo avvelenamento. Soluzione consigliata: Trasferimento Corporale. Fine rapporto” sentenziò il cervellone, impietoso. L’Alieno si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete, lentamente, finché si ritrovò seduto con le braccia giunte intorno alle gambe esili. Ripensò al documentario inerente al Pianeta Terra, uno dei tanti che aveva visto durante la lunga traversata spaziale, e chinò la testa depresso.
Con tutti i mondi abitati che esistono, sono finito proprio sul pianeta popolato dalla più stupida tra le razze in via di evoluzione! Non dispongono di una tecnologia in grado di aiutarmi, per di più sono estremamente superstiziosi e privi di qualsiasi apertura mentale. Se mi vedessero in queste sembianze mi considererebbero un mostro, non esiterebbero a uccidermi all’istante. Non ho modo di cercare un luogo più vivibile, ma se anche lo trovassi non riuscirei a stare nascosto per tutto quel tempo. Non ho altra scelta che effettuare il Trasferimento Corporale. Dovrò trasformarmi in uno di loro e per molti anni sarò vulnerabile, almeno fin quando la coscienza di me non riprenderà il sopravvento. Per riuscire a sopravvivere per tutto quel tempo in un mondo così incivile avrò bisogno di una buona dose di fortuna, ma per allora le batterie saranno cariche e potrò ripartire alla volta di Igos. No, non ho altra scelta... allora tanto vale che lo faccia subito!
L’essere si recò nel piccolo laboratorio e aprì un cassetto refrigerato contenente alcune provette trasparenti, tirò giù una piccola sonda da una nicchia ricavata nel soffitto e allungò il tubo flessibile fluorescente al quale era collegata. La calò nel settore recante la scritta “Razza Umana Esemplare Maschile”, pochi istanti dopo la sonda determinò qual’era il sottogruppo di spermatozoi più adatto ai suoi scopi. L’Alieno pensò per un attimo all’essere dal quale erano stati estratti, l’ultima volta che l’aveva visto giaceva privo di vita nel giardino del suo palazzo, ormai ridotto in macerie annerite dalla furia distruttiva della guerra. Non riuscì a provare pena per lui neanche quando gli tornarono alla mente i suoi occhi tristi, che lo fissavano increduli da dentro la gabbia del suo zoo personale. Per lui, quello era soltanto un essere inferiore che una sera era stato portato via dal suo piccolo e insignificante mondo, senza capire il come né il perché. Il pensiero di doversi trasformare in un simile stupido animale suscitò in lui una profonda rabbia, continuò a fissare il vasetto selezionato dalla sonda senza riuscire a decidersi, quasi tentato di distruggerla. Sospirò ripetutamente finché riuscì a calmarsi, allora andò a deporre con gesti cauti la provetta su di un piano metallico. Toccandola in un punto particolare, stimolò una ghiandola che aveva al centro del petto, per provocare l’apertura dei petali posti a protezione dell’infiorescenza. Usando uno strumento a forma di cucchiaio prelevò un campione del proprio seme e lo sistemò il seme in un contenitore che posò accanto al primo, poi coprì entrambi con due piccole semisfere collegate tra loro attraverso un macchinario. Questo svolse rapidamente il proprio compito, emettendo una luce violacea.
“Procedura correzione cromosomica e potenziamento patrimonio genetico terminata” annunciò il computer dopo qualche istante. L’Alieno annuì e andò a sedere su una poltrona circondata da cavi e circuiti, indossò un casco su cui era impiantata una moltitudine di elettrodi e digitò un codice sulla piccola tastiera che aveva indossato all’avambraccio. Dopo pochi istante cadde in uno stato di trance, una serie infinita di immagini e avvenimenti gli attraversò la mente per un tempo che gli parve non finire mai, provocandogli gioie e sofferenze in successione confusa, poi la folle corsa dei ricordi arrivò al capolinea e lui si sentì svuotato.
“Procedura di trasferimento memoria su clone effettuata con successo”, confermò il computer con voce impersonale dopo un breve ronzio.
Quando si riprese, l’Alieno si sfilò il casco e tornò ancora una volta a guardare fuori, improvvisamente malinconico. Provò lungamente a convincersi che quell’ulteriore supplizio impostogli dal destino avrebbe potuto in qualche modo trasformarsi in un’esperienza positiva, ma non ci riuscì. Si rese conto che continuare a rimuginare sarebbe servito soltanto ad alimentare la confusione che aveva dentro, lo avrebbe portato a disperdere stupidamente energie e a commettere errori irreparabili, con il conseguente rischio di finire la sua esistenza in quella misera landa desolata.
Adesso devo soltanto trovare chi mi farà rinascere, considerò imponendosi di tornare alla realtà. Dopo essersi nutrito abbondantemente, recise la maggior parte dei peli piatti e larghi di colore verde di cui il suo corpo era ricco, per ridurre più che poteva la traspirazione. Terminate le operazioni necessarie ad aumentare le sue probabilità di sopravvivenza, fece un resoconto mentale per verificare di non aver tralasciato niente.
L’Anziano era al colmo dell’esaltazione, come sempre si fiondò nell’ufficio di Ann senza curarsi di bussare alla porta, né di rivolgerle il saluto formale.
«A che punto siete con le indagini? Avete identificato la talpa che si è introdotta nell’Archivio Informatico?» le domandò in tono euforico, interrompendo il suo lavoro.
«Non ancora Eccellenza» rispose lei abbassando gli occhi, temeva la sua reazione. Odiava dover subire delle paternali, anche se motivate, ma cercare l’autore dell’intrusione era come cercare un ago in un pagliaio.
«Ci stiamo provando, ma a questo punto dubito seriamente che ci riusciremo perché il responsabile sapeva di certo il fatto suo. Ha usato un terminale pubblico al quale hanno libero accesso molte persone, in modo da non poter essere facilmente rintracciato. Inoltre, a un certo punto il traffico dati si è sdoppiato su due linee separate, come se a violare l’Archivio fossero stati due computer e non uno soltanto.»
«Questo non è affatto confortante,» commentò lui accigliandosi, «spero che lei sia almeno in grado di garantirmi che una cosa del genere non si ripeterà mai più.»
«Di questo potete essere più che certo, Eccellenza. I nostri migliori esperti hanno lavorato duramente per realizzare una nuova barriera contro il rischio di eventuali intromissioni... purtroppo però c’è dell’altro!» aggiunse poi dopo aver deglutito, l’Anziano la guardò preoccupato. «I Servizi di Vigilanza hanno notato i movimenti sospetti di una serie di persone, sembrerebbe che esista una specie di organizzazione che si riunisce in segreto. Non sappiamo ancora quali siano i loro scopi, ma tutto ci lascia supporre che di certo non si incontrano per giocare a Bridge. Li stavano studiando, ma dopo la violazione dell’Archivio Storico sono entrati in stand-by e sono come scomparsi. Questo ci induce a sospettare che i responsabili di quell’atto ignobile siano proprio loro» raccontò. Tralasciò di dirgli del materiale tecnologico che avevano trovato in un covo vuoto, quelle apparecchiature non le avevano fornito alcuna indicazione utile alle indagini e lei non aveva intenzione di subire un’altra ramanzina da parte dell’Anziano. Sir Jonathan si fece pensieroso, quella che Ann gli aveva appena dato era davvero una pessima notizia. Ma per quel giorno aveva deciso non lasciarsi turbare, voleva godersi la gioia per aver appreso che tutte le diverse fasi del suo progetto stavano avanzando nella maniera migliore. Si disse che a disfarsi di un eventuale gruppetto di dissidenti ci avrebbero pensato i Servizi di Vigilanza, lui aveva cose ben più importanti a cui pensare.
«Non mollate la presa, teneteli d’occhio e riferitemi tutto al riguardo» rispose per concedere comunque un po’ di soddisfazione alla ragazza, ma il motivo per cui era andato a trovarla era di ben altra portata. «Tra pochi giorni si terrà la riunione semestrale del Nucleo Ibernazione. C’è una persona che deve essere assolutamente sottoposta al Trattamento affinché non intralci il Progetto Cielo, scelga un nominativo qualsiasi dalla lista che le verrà fornita e lo sostituisca con questo» ordinò porgendole un foglio con su scritto un nome. Lei lo lesse, poi interrogò Sir Jonathan con lo sguardo.
«Si ricordi il giuramento: ”Mai domandare”» l’ammonì lui in risposta. «Faccia il suo dovere come si deve e sarà adeguatamente ricompensata» concluse, poi uscì frettolosamente com’era entrato perché doveva recarsi a dare disposizioni al dottor Lorentz.
Giuda continuava a trascorrere le sue giornate in compagnia di Jodie. Quel giorno erano stati a fare una gita in campagna ma l’avevano vissuta alla stregua di un incubo, come tutte le precedenti. Non avevano fatto nient’altro che camminare per ore guardando nel vuoto, immersi in un silenzio abissale interrotto soltanto dal raro verso di qualche uccello. Durante tutto il viaggio di ritorno lui continuò a chiedersi cosa avrebbe preparato per cena, giunti a casa trovarono due Signori dell’Ordine ad attenderli in giardino.
«Il signor Giuda 1091?» gli domandò uno dei due, leggendo il suo nome da un fascicolo.
«Sono io,» confermò lui in tono apatico, «c’è qualcosa che non va?»
«Niente di grave, siamo stati incaricati di prelevare la bambina» lo informò il soldato senza usare un minimo di tatto, mostrandogli un foglio pieno di timbri.
«… prelevare la bambina?» gli fece eco Giuda, incredulo. Si voltò verso la strada e vide un’anziana coppia uscire da un’automobile posteggiata poco distante dalla sua, lei aveva in mano un grosso pacco colorato e continuava ad ammiccare verso Jodie, sorridendo.
«E’ stata decisa la ricollocazione di sua figlia in una famiglia regolare. Come saprà, soltanto una piccola percentuale delle famiglie incomplete viene lasciata nello stato di fatto» spiegò con professionalità uno dei due Signori dell’Ordine. Jodie scappò immediatamente in strada per sottrarsi a quella specie di sequestro, uno dei militari la inseguì e la riacciuffò un attimo prima che finisse sotto un’auto, poi scortarono entrambi in casa affinché lei potesse prendere le sue cose.
«Non voglio essere portata via!» cominciò d’un tratto a gridare Jodie, scalciando e tirando strattoni al Signore dell’Ordine che cercava di immobilizzarla. «Voglio stare con mio padre... voglio stare con papà!»
Esasperato dal suo pianto, Giuda si scagliò contro i Signori dell’Ordine e lottò con tutte le sue forze, affinché non gli venisse portata via anche lei. Quando riprese conoscenza, scoprì di trovarsi in una camera d’ospedale. Non appena fu certo che era in grado di capirlo, un tizio in camice bianco gli lesse i referti:
«Asociale e depresso, frequenti stati di disordine mentale, cenni di schizofrenia e manie persecutorie... direi che non c’è male! Ma stia tranquillo, la guariremo!»gli disse sorridendo, poi controllò che le cinghie che gli immobilizzavano braccia e gambe fossero ben salde.
Le pareti dell’antico magazzino puzzavano di muffa, alcuni ventilatori appesi al soffitto continuavano a cospargere di polvere le teste delle sei persone riunite attorno al tavolo. Il materiale tecnologico era stato disposto al centro del ripiano tarlato e stonava con il resto dell’arredamento, fatto di vecchi mobili ricoperti di lenzuola e ragnatele.
«Per quanto tempo ancora dovremo continuare a vivere in questo modo, a nasconderci come topi?» sbottò Tony rompendo subito il silenzio. Era alto e magro, abbronzato, i suoi occhi piccoli, tagliati come mezzelune, si accendevano ogni volta che sorrideva o che osservava qualcosa con attenzione. Due fini baffetti neri addolcivano la sporgenza eccessiva del suo naso, lievemente appuntito. Era nervoso nel corpo come nel carattere e meticoloso per natura, ogni volta che c’erano quelle riunioni sbraitava di continuo per ogni nonnulla. Gli altri stavano distrattamente cercando di trovare la posizione più comoda per affrontare l’attesa, che presumibilmente sarebbe stata lunga.
«Per quanto tempo ancora dovremo sopportare che i nostri familiari e i nostri amici vengano deportati?» continuò lui. «L’Ibernazione Transitoria non è altro che una schifosa truffa, per quanto tempo ancora dovremo continuare a fornire i nostri cuori e i nostri polmoni agli anziani del Consiglio?»
«Adesso basta,» lo interruppe Shasa, «tutte le volte è sempre la stessa storia. Tutte le volte ci sommergi con le tue paranoie, come quando t’impunti che qualcuno di noi ti ha guardato in modo strano e allora vuoi sapere a ogni costo perché. Lo sai che questi discorsi non mi piacciono, niente di quello che dici è stato dimostrato. Personalmente, finché non l’avrò vista coi miei stessi occhi, mi rifiuto di credere a una simile crudeltà» concluse, poi aspirò dalla sigaretta infossando le guance e spinse fuori dalle narici due getti di fumo. Si ricongiunsero senza fretta per salire verso il soffitto, avvolgendosi in fantasiose spirali, la luce trasversale che entrava dalla finestra posta in alto le tagliò a fette creando affascinanti arabeschi.