Lucia riteneva che la nonna avesse una cultura non indifferente, forse per aver avuto accesso alla lettura di libri proibiti, conservati nella biblioteca di famiglia. Forse era riuscita ad attingere al sapere custodito gelosamente sotto chiave dallo zio Cardinale, magari a insaputa di quest’ultimo, o forse perché decenni addietro, quando Elena era ancora bambina, i libri potevano essere consultati senza problemi. Poi Artemio si era arrogato il titolo di Inquisitore e aveva messo sotto chiave tutto quello che era contrario alla Fede ufficiale. Ed era andata bene che non avesse fatto un gran falò di quei preziosissimi testi, come aveva sentito avessero fatto altri insigni prelati in altre città d’Italia e d’Europa.
«Ho capito, nonna, l’importante è credere nell’entità buona, che ci vuol bene e ci aiuta, a prescindere dal suo nome.»
Al contrario di quello che Lucia si aspettava e che aveva sentito raccontare da chi temeva le cosiddette streghe, il rito si svolse in tutta tranquillità. Nessun caprone si presentò a reclamare la sua verginità, né nessuno dei partecipanti si sognò di seviziarla o di farle firmare giuramenti con il suo sangue. Il cammino per raggiungere Colle del Giogo non era stato agevole. Passata la chiusa di Moje, il sentiero che costeggiava la riva del fiume Esino spesso si perdeva in mezzo alla boscaglia. Lucia non riusciva a capire come facesse la nonna a non perdersi e a ritrovare la traccia dell’antico sentiero anche dopo aver brancolato per parecchie leghe nel bosco, senza apparenti punti di riferimento. A un certo punto dovettero guadare il fiume e continuare in salita per una sterrata che risaliva la conca scavata da un impetuoso torrente che scendeva dalla montagna. Giunsero ad Apiro all’ora di pranzo e furono ospitati da una coppia di giovani coniugi, Alberto e Ornella, che offrirono loro pane nero e carne di capriolo essiccata. I due avevano una bimba di circa tre anni, due grandi occhi azzurri e i capelli dai fluenti riccioli castani; giocava con una bambola di pezza vicino al focolare, divertendosi a vestirla con minuscoli abiti colorati, realizzati con semplici pezzi di stoffa. Sembrava se ne infischiasse di quanto si preparassero a fare i suoi genitori, insieme ai nuovi arrivati, per la sera stessa.
«Come farete con la bimba?», chiese Elena alla giovane coppia.
«Oh, non c’è problema, alle sette la piccola è già nel mondo dei sogni nel suo pagliericcio. E comunque abbiamo chiesto a Isa, la nostra vicina, di venire a darle un’occhiata. Lo farà di buon grado!»
Lucia, che aveva sempre dormito in un comodo letto, non si capacitava di come facesse questa gente a dormire in quei mucchi di paglia intrecciata.
Saranno pieni di pulci!, pensava, rabbrividendo alla sola idea che la notte successiva le sarebbe toccato in sorte di doverci dormire anche lei. Meglio morta che coricarsi in uno di quei cosi.
La cerimonia di iniziazione della nuova adepta si svolse secondo un’antica ritualità. Era notte fonda quando Lucia e la nonna, in compagnia dei loro ospiti, si immersero nel freddo pungente della montagna. I campi erano ancora ricoperti di un leggero strato di neve e la via era illuminata dal disco luminoso della luna piena che splendeva enorme in cielo, come la ragazza non l’aveva mai vista. Salendo verso Colle del Giogo, in certi punti si poteva sprofondare nella neve fino al ginocchio ed era faticoso andare avanti, ma giunti alla radura cui erano diretti, Lucia si meravigliò di come il luogo fosse quasi del tutto sgombero dalla bianca coltre e il prato fosse costellato di piccoli e numerosissimi fiori colorati, bianchi, lilla, fucsia, viola, gialli…
«Li chiamano bucaneve, perché sono i primi fiori che spuntano appena comincia a sciogliersi la neve, ma il loro vero nome è “Crocus” e i loro stimmi essiccati possono essere utilizzati sia come condimento in cucina, sia per le loro proprietà medicamentose.»
«Nonna, come mai in questo luogo la temperatura sembra più gradevole?», chiese la ragazza, curiosa.
«Si dice che sia un luogo magico, ma in realtà la temperatura è mitigata grazie alla presenza di una sorgente di acqua calda. Qui il sottosuolo è ricco di risorgive sulfuree, ed è per questo che la temperatura è un poco più alta. Da oggi in poi imparerai che la maggior parte dei fenomeni che la gente comune indica come “magici” abbiano in realtà una spiegazione logica, razionale: basta saperla cercare. Ci additano come streghe, ma non facciamo altro che sfruttare conoscenze antiche e fenomeni naturali per i nostri scopi. Vedi, si dice che circa trecento anni or sono sia giunta in questo remoto luogo una delle mogli di Federico II, l’imperatore di Svevia, per celare qualcosa che il suo marito le aveva detto di custodire gelosamente, in quanto proveniva direttamente dalla Terra Santa, da Gerusalemme. Le leggende e le tradizioni vogliono che questo oggetto fosse una pietra magica, una pietra che l’arcangelo Michele avrebbe consegnato ad Abramo o, forse, addirittura la cosiddetta pietra filosofale che cercavano gli antichi alchimisti. Questa è una favola, la verità la conoscerai fra poco. E ora, entriamo nella grotta. Non facciamoci attendere!»
La più anziana delle partecipanti era una donna dai lunghi capelli grigi, la pelle del viso raggrinzita dalle rughe. Indossava una lunga tunica azzurrina sopra la quale, all’altezza del petto, scintillava un talismano dorato assicurato al collo da una catena anch’essa in oro lavorato. Aveva acceso un falò all’interno della grotta, gettando ogni tanto nelle fiamme delle polveri che di volta in volta provocavano una fiammata di colore diverso, ora gialla, ora verde, ora azzurra, ora di un rosso intenso. Per ogni fiammata che illuminava il suo viso, pronunciava delle strane parole, che gli altri presenti interpretavano disponendosi intorno al falò, ora prendendosi per mano e ruotando in circolo, ora allontanandosi e inchinandosi al volere della Vecchia Saggia, ora prendendo mazzi di erbe e gettandoli a loro volta nel fuoco, ora mettendosi seduti in terra nel massimo silenzio. A un certo punto, l’unica persona rimasta in piedi era l’anziana maestra. Teneva in mano un librone sulla cui copertina spiccava il disegno di un pentacolo, proprio simile a quello che era riportato nel diario di famiglia che le aveva consegnato la nonna qualche tempo addietro, e la scritta in caratteri gotici “Clavicula Salomonis”.
«In virtù dei poteri conferitemi da questa congrega, io, Sara dei Bisenzi, accolgo nella nostra comunità la novizia Lucia Baldeschi. Lei è la prescelta, colei che mi sostituirà un giorno e sarà destinata alla guida di tutti voi. Pertanto, Lucia, avvicinati e giura obbedienza e fedeltà su questo libro, scritto di proprio pugno dall’antico Re Salomone, e portato fin qui tra immensi perigli da Jolanda, che perse la propria vita, finalmente giunta alla sua meta finale. È solo grazie alla sua figlia Anna che il libro e i suoi insegnamenti ci è stato tramandato e, di volta in volta, una di noi ha il compito di conservarlo e proteggerlo.»
Così dicendo, l’anziana si sfilò il medaglione e passò la catena intorno al collo di Lucia. Il talismano dorato rappresentava una stella a cinque punte, il sigillo di Salomone. Lo stesso disegno fu tracciato a terra dall’anziana per mezzo di una verga appuntita e la ragazza fu fatta distendere in modo che la sua testa, le sue mani all’estremità delle braccia allargate e i suoi piedi in fondo alle gambe divaricate corrispondessero con esattezza alle punte della stella. Sara prese dell’olio d’oliva, segnando con esso in sequenza la mano sinistra, il piede sinistro, il piede destro, la mano destra e la fronte di Lucia.
«Acqua, aria, terra, fuoco: tu sai come governare i quattro elementi. Essi possono essere invocati e usati da ognuno di noi, ma solo il tuo spirito è in grado di unirli e potenziare al massimo i loro poteri e le loro qualità. Ricorda, Lucia! Userai i tuoi poteri solo a fin di bene e combatterai, fino a sacrificare la tua stessa vita, contro chiunque voglia abusare di te e delle tue capacità per scopi malvagi.» Poi versò dell’acqua sulla mano sinistra della ragazza, ancora distesa, soffiò sul suo piede sinistro, gettò una manciata di terra sul suo piede destro e avvicinò leggermente un bastoncino infuocato alla mano destra. Infine baciò la sua fronte. «E ora alzati. Il tuo lungo cammino è iniziato.»
La cerimonia di iniziazione era pertanto stata molto semplice, non era stata traumatizzante come la ragazza aveva temuto. Il rito si era svolto nella maniera tramandata da tempi remoti, senza costrizioni, senza violenza alcuna, senza interventi di strane figure assomiglianti a caproni o ad altre bestie. Il Demonio non era di certo nascosto tra i partecipanti al rito. Lucia era spiazzata, ma iniziava a capire molte cose, che la nonna l’avrebbe aiutata a definire nei mesi successivi. La magia, la stregoneria, così come l’aveva concepita fino a quel momento, non esisteva. La nonna le avrebbe spiegato quali fossero i limiti del pensiero umano, come ogni individuo fosse dotato di enormi potenzialità legate all’uso di esso, ma che solo qualcuno era in grado di esercitare certe funzioni, sia per capacità innata, sia grazie all’esercizio. Ma allora, si chiedeva Lucia, la sfera fluttuante che si materializzava tra le sue mani era puro frutto della sua fantasia, della sua suggestione? Eppure era in grado di visualizzarla distintamente. Già, ma solo lei, gli altri non la vedevano. Ma aveva provato i suoi effetti devastanti lanciando una palla di fuoco verso quella ragazzina, Elisabetta, che si era ritrovata davvero avvolta dalle fiamme. Ed era in grado di leggere i pensieri di chi le stava di fronte, ed era in grado di ascoltare le voci degli spiriti, e riusciva a prevedere il futuro in qualche maniera. Tutto questo come si spiegava?
«Per tutto c’è una spiegazione razionale», le aveva detto la nonna una sera avanti al caminetto acceso. «Alcuni nostri adepti, alla luce di quanto già fatto in passato da antichi studiosi, di cui alcuni testi sono sfuggiti ai roghi delle autorità ecclesiastiche, hanno aperto il cranio di cadaveri di uomini e donne per studiarne il contenuto, il cervello. La superficie del nostro cervello non è liscia, ma presenta tante pieghe, che vengono dette dagli studiosi di anatomia “circonvoluzioni” e che sono in grado di aumentare di tantissime volte la superficie utile di questo nostro importante organo. Non è il cuore, come tutti dicono, la sede dei nostri sentimenti, è la nostra mente ad essere la loro depositaria. Così come tutti i nostri ricordi, vicini e lontani, vengono qui accantonati. È la mente, il pensiero, che ci consente di riconoscere i suoni, i colori, gli odori, che ci fa associare gli oggetti a un nome, che ci fa apprendere i simboli della scrittura in modo che le persone più intelligenti, o le più fortunate se vuoi, siano in grado di leggere, scrivere e far di conto. È la mente, inoltre, che invia ai nostri occhi i sogni durante il riposo. La nostra mente, quindi, ha potenzialità enormi, ma sconosciute ai più. Così, chi riesce ad allenare la propria mente, riesce poi a eseguire attività che i comuni mortali neanche si sognano. Ed ecco che si possono percepire discorsi pronunciati in un luogo anche in tempi remoti. Ogni parola pronunciata lascia la sua traccia nell’aria, niente si perde. Se tu puoi captare questi discorsi, queste parole, non è che stai parlando con gli spiriti, non è possibile dialogare con persone scomparse da mesi, o da anni, o da secoli, ma è possibile ascoltare quello che loro hanno detto anche tantissimo tempo fa.»
«E la preveggenza?»
«Questo è un po’ più complicato, ma anche qui alcuni studiosi hanno ipotizzato che chi prevede il futuro capti i pensieri di qualcuno che ha già intenzione di mettere in atto determinati comportamenti. È per questo che la preveggenza si limita al breve periodo, e non è possibile prevedere il futuro a lungo termine. Chi asserisce di poterlo fare, è un ciarlatano!»
«E il fatto di poter spostare oggetti, farli levitare, o accendere una lampada solo con la forza del pensiero?»
«Ecco, anche queste sono potenzialità sconosciute alla maggior parte degli individui. Esercitando e allenando la nostra mente e il nostro pensiero, simao in grado di utilizzare gli elementi che ci stanno intorno a nostro vantaggio, in pratica possiamo fare di tutto. Noi siamo abituati a usare i cinque sensi che conosciamo, la vista, il tatto, l’udito, il gusto e l’odorato, senza neanche immaginare quali siano le nostre effettive potenzialità. Gli antichi sapevano bene come utilizzare certi poteri, così da poter costruire opere mastodontiche senza il minimo sforzo. Vedi, i Romani, quando giunsero a conquistare l’Egitto, non si potevano spiegare come avessero fatto gli egiziani, tanto tempo prima del loro arrivo, a costruire opere colossali, come le piramidi e la sfinge. Gli enormi blocchi di pietra con cui erano stati costruiti non potevano essere spostati neanche da centinaia di schiavi che lavorassero insieme.»
«Vuoi dire che…»
«Non voglio dire niente: trai tu le tue conclusioni.»
Lucia era ogni giorno più affascinata dai discorsi della nonna. Le disquisizioni sulla mente l’avevano entusiasmata, ma ancor di più era interessata alla cura delle malattie con le erbe officinali. Durante la primavera, diverse volte con la nonna Elena si era recata di nuovo a Colle del Giogo, ma anche nelle campagne e nei boschi intorno Jesi, per la raccolta di erbe medicamentose. Ogni volta la nonna le spiegava proprietà e uso di una determinata erba: il Giusquiamo, la Trementina, la Liquirizia, la pericolosa Belladonna. Elena aveva promesso a Lucia che, a partire dalla tarda estate e per tutto l’autunno successivo, le avrebbe insegnato a riconoscere i funghi, a distinguere quelli mangerecci da quelli velenosi, a prevenire e curare le intossicazioni dovute a questi ultimi, e come utilizzare le spore di determinati miceti su ferite infette. Ma in quegli ultimi giorni di primavera, il corso della storia aveva preso la piega per cui in quel momento si trovava ad assistere il giovane Franciolini, ferito dai nemici della città.
Erano ormai più di dieci giorni che Lucia era indaffarata attorno al capezzale di Andrea, quando il ragazzo riprese conoscenza. Questi aprì gli occhi e Lucia si sentì subito osservata in maniera strana. Leggeva in quegli occhi lo smarrimento del giovane, che forse credeva di essere già morto, di aver raggiunto il paradiso e di avere a disposizione un angelo che si prendeva cura di lui. Certo, era un nobile e, come aveva dei servitori in Terra, di certo la sua testa lo portava a pensare che avrebbe avuto della servitù anche lì in Paradiso. Ma poi, pian piano, Lucia capì che Andrea stava cominciando a riconoscere le pareti, i mobili e gli ornamenti della sua camera.
«Chi sei tu, che ti prendi così amorevolmente cura di me? E che fine ha fatto il resto della mia famiglia? E i miei servi? Dov’è Alì? Che sia dannato, quel miserabile Turco! Quando c’è bisogno di lui, è sempre capace di dileguarsi, magari lo trovi col sedere all’aria che prega il suo Dio…», iniziò a dire Andrea, con le guance infiammate dalla febbre, agitandosi a tal punto che un accesso convulso di tosse riuscì a interrompere a metà il suo discorso. Lucia prese la mano del giovane tra le sue, cercando di tranquillizzarlo e, nel contempo, godendo di quel contatto fisico.