Lia - Delio Zinoni 13 стр.


– Certo – non potei trattenermi. – Ma il falegname io lo facevo anche a Morraine.

Con un solo movimento del corpo Dumpy Dum si sedette e mi fissò negli occhi. – Tu non vieni da Morraine. Tu non hai mai abitato a Morraine. Ci sei stato solo di passaggio, insieme a noi. Tu sei nato sulla strada e vissuto sulla strada. Ricordatene sempre. E per non sbagliare la parte, fai come gli attori: ripassatela in continuazione, anche quando sei solo con noi cinque. E cerca di perdere quell’accento in fretta.

Rimase in silenzio qualche momento, poi aggiunse: – Il tuo nome d’ora in poi sarà Arquin. È il nome di un pagliaccio.

Detto questo, se ne andò.

– Sono un falegname – mormorai al nano. – Che ci faccio su un carro di attori? – Eravamo stesi sulle panche accostate della sala da pranzo di una locanda che si chiamava La Luna Nuova. Fra la mia schiena e il legno delle panche c’era un materasso che odorava del sudore di troppe persone, e chissà di cos’altro. Ma dopo di allora, ho dormito in posti peggiori.

La sala era immensa, e odorava a suo volta di fumo, di vino e del grasso colato sul fuoco. Nel camino c’erano abbastanza braci da durare fino al mattino. La luce rossastra mostrava le volte annerite, i tavoli con sopra ancora qualche bottiglia, le forme dei clienti addormentati sotto le coperte. La locanda possedeva anche delle stanze, al piano superiore, occupate dalle donne e da viaggiatori più danarosi.

– Ognuno ha la sua missione – disse Dumpy Dum con ponderosa banalità. Aveva bevuto non poco, e questo lo rendeva più sentenzioso del solito.

– Balle!

– Shh! Vuoi svegliare tutti?

– Questa missione non me la sono scelta io...

– Ragazzo, questo capita alla maggior parte degli uomini.

– ... me l’ha scelta Occhi di Gatto.

A voce ancora più bassa, Dumpy Dum disse: – È bene non parlare mai della Signora. Sotto qualsiasi nome.

Avrei voluto mettermi a piangere. Avrei voluto dire: “Voglio tornare a Morraine, voglio tornare a casa.” Solo la vergogna mi trattenne.

Restammo in silenzio a lungo, tanto che pensai che il mio compagno si fosse addormentato.

– Dumpy Dum? – sussurrai.

– Che vuoi?

– È vero che andremo sulla costa?

– Naturalmente. In autunno tornano i galeoni dalle rotte oceaniche. Le città sono piene di mariani e mercanti, con le tasche gonfie di soldi e una gran voglia di divertirsi.

– Hai mai conosciuto Lelius Abramus?

– Chi?

– Lelius Abramus. Ho visto un suo spettacolo, a Morraine. Teseius e Phenissa.

– Capisco.

Cosa avesse capito, non lo sapevo. Ma evidentemente non aveva intenzione di rispondermi. Quando lo chiamai di nuovo, doveva essersi addormentato.

(21) MYRTILLA


Gost Baran amava ragguagliare i membri della sua compagnia circa leggi, costumi e insidie della città in cui avrebbero recitato. Questo me lo confidò Myrtilla la mattina successiva, quando dopo colazione il nostro capocomico si alzò in piedi guardandoci con aria severa.

– Larissa – esordì – non è molto grande, né molto ricca, né molto bella. In compenso i suoi abitanti sono molto suscettibili, e perciò non è bene fare allusioni alla mediocrità della loro patria, neppure fra voi, caso mai doveste essere sentiti. Ma questo – concesse con un ampio gesto della mano – vale praticamente per tutte quelle città, cioè la maggior parte, che non sono molto grandi, ricche o belle, per cui non mi soffermerò sull’argomento, che ho citato solo a beneficio di chi si è unito a noi solo da poco. – Mi guardò inarcando le sopracciglia, ed io annuii prontamente.

– Ma alcune cose è bene rammentarle a tutti. – Contò sulla punta delle dita. – Innanzi tutto, guardatevi dall’ostentare indumenti verdi. Il verde è il colore della fazione politica attualmente in disgrazia a Larissa; i suoi capi sono stati cacciati in esilio, ma la fazione gialla, al potere in questo momento, sospetta che infiltrino agenti, spie, sobillatori. Secondo – qui guardò con evidenza Astrix Palemon, che affettò un’aria di assoluta indifferenza – evitate con cura di rispondere ai richiami e agli allettamenti, per quanto provocanti, delle donne che incontrerete: vi accuserebbero subito dopo di aver attentato al loro onore, troverebbero testimoni pronti a giurarlo, guardie disposte a crederci, giudici severi nel punire. Per farla breve: scoprireste di poter evitare la galera, o peggio – fece il segno di tagliare qualcosa – solo sborsando un’ingente somma di indennizzo.

Si toccò un quarto dito, e io rifeci mentalmente il conto. – Incontrando qualcuno per strada, se indossa un mantello rosso porpora cedetegli il passo alla sua destra se voi siete una donna; a sinistra se siete un uomo. Viceversa se indossa un berretto di panno azzurro con una piuma di fagiano. Ma spostatevi in ogni caso a sinistra se porta stivali di cuoio amaranto. Nell’incertezza, cambiate strada.

– Circa gli acquisti, Larissa è rinomata per i velluti, le lucerne in bronzo, la carne salata, gli orologi a pendolo, l’inchiostro ocra e le olive verdi in salamoia. Se pensate di aver bisogno di qualcuno fra questi articoli, il posto più conveniente è il mercato nella Piazza degli Incappucciati e nelle vie adiacenti.

Pensai che dei titoli in inchiostro ocra avrebbero ravvivato le mie carte, ma dubitavo che ne valesse la pena.

– Ah, un altro consiglio: è considerata una grave offesa grattarsi il naso mentre si parla con qualsivoglia persona.

Passeggiò un poco lisciandosi i baffi. – In ogni caso – terminò – resteremo a Larissa una sola notte. La passione dei suoi abitanti per il teatro non è grande. La tragedia che rappresenteremo, Re Grendel, è stata da me lievemente modificata in maniera da contenere alcune velate allusioni al tiranno del Partito Verde, cacciato durante l’insurrezione popolare dello scorso autunno. Il suo nome era Lektos Ly, e se doveste sentirne parlare, abbiate cura di mostrare i segni del più grande disprezzo, ad esempio sporgendo la lingua o sputando dietro la spalla destra.

"Mi premurerò personalmente di rendere note queste allusioni agli attuali reggenti della città, con la dovuta discrezione. Vi comunicherò a parte le modifiche da apportare, che non sono numerose né difficili, ma dovranno essere ricordate con esattezza. Spero in tal modo di attirare un pubblico sufficiente a ripagare in maniera adeguata gli sforzi di tutti voi. – Ci guardò con adeguata severità.

Questo discorso venne accolto dai miei compagni con moderato interesse, per non dire con una certa sopportazione. Nessuno di loro, presumibilmente, giungeva a Larissa per la prima volta, e per un attore che recita a soggetto qualche modifica nel canovaccio era cosa da poco.

Ma su di me, le parole di Gost ebbero un effetto profondo, principalmente per due ragioni. La prima, più ovvia, era la novità di quei costumi inauditi. Ripetevo nella mia mente le regole di etichetta, inquietanti in grazia della loro assoluta arbitrarietà.

Ma ancor più, mi dava motivo di pensare, lungo la strada polverosa che ci conduceva verso Larissa, un’altra parte del discorso di Baran: che una tragedia potesse in qualche maniera, che fino ad allora non avevo sospettato, rispecchiare un evento circoscritto e in fondo banale del tempo mondano, quale era la cacciata di un tiranno (ammesso che lo fosse). Questa idea apriva alla mia vista vertiginosi spazi di possibilità: che l’antico autore del Re Grendel (di cui si è perduto il nome) avesse previsto la fine ingloriosa di Lektos Ly; oppure che Ly fosse vissuto inconsapevole secondo un copione già scritto; o ancora che le storie dei tiranni fossero miserevolmente simili l’una all’altra, nella realtà e sulla scena; o infine (cosa più inquietante di tutte) che capocomici e reggenti di piccole città potessero servirsi arbitrariamente dei tesori della letteratura. Senza dubbio altre possibilità potrebbero essere formulate.

Avrei voluto parlarne con Dumpy Dum, ma il nano scelse la mattina e il carro per dormire. Come ho detto, aveva bevuto abbondantemente la sera prima.

Un vento inquieto spirava da sud. Tirai fuori dalla mia bisaccia le Tragiche Historie e rilessi con attenzione il canovaccio di Grendel, scrutando, senza giungere ad alcuna conclusione definitiva, le tracce che conducevano a Ly.

La giornata si era fatta calda e promettente. Per alleviare la noia del viaggio, i commedianti, ad eccezione di Dumpy Dum addormentato e di Gost Baran a cassetta (che aveva l’aria di meditare le sue modifiche), procedevano a piedi: Astrix Palemon immerso nei propri pensieri, Gertrid (che era la più matura e formosa delle nostre attrici) ripassava, muovendo le labbra, la parte della Regina Izaides; i viaggiatori che incontravamo lungo la strada ci guardavano con qualche perplessità o divertimento, e toccava a Myrtilla salutarli con un sorriso, al posto di tutti gli altri. Devo dire che se la cavava egregiamente.

Mi avvicinai a lei.

– Tu farai la parte della principessa Ergrid? – dissi con un tono che voleva essere di affermazione, ma che la timidezza trasformò in una domanda.

– Bravo! Conosci il teatro.

Era un ruolo tragico, quello di Ergrid: andata in sposa a Karmak, principe di Aquilania, la figlia di Grendel viene ripudiata dal marito quando fra i due regni scoppia una guerra, e muore di crepacuore in un monastero.

Lo mostrai il libro delle Historie. – L’ho letto qui.

– Oh! – Prese il libro. Sfogliò le pagine, che minacciavano di staccarsi delle cuciture. Aggrottò la fronte, muovendo le labbra: i gesti di chi è poco familiare con la scrittura. Mi resi conto che Myrtilla doveva sapere tutte le sue parti a memoria, e solo a memoria.

– Ci sono solo le tracce – spiegai.

Mi restituì il libro con un sorriso. In quel momento pensai che non aveva bisogno di leggere nessuna parte. Il sole e il cammino le avevano leggermente arrossato le guance.

– Che modifiche farete per Larissa? – chiesi dopo un po’.

– Ah, non mi riguardano! Una principessa che muore per amore non ha bisogno i modifiche... solo qualche parola in più, sulla crudeltà dei tiranni. – Alzò le spalle, che erano seminude. – “Uno sguardo di basilisco sarebbe per la mia anima un balsamo più dolce dei vostri discorsi assennati.”

Questo era degno dei Fiori!

– Ma che c’entra coi tiranni?

– È detto a Karmak, che mi scaccia.

– Come? – Rimasi confuso. – Non è Grendel il tiranno?

– Ma no! Per Larissa sarà Karmak. Grendel è un padre mosso alla vendetta dall’affronto recato alla figlia. Pare che Lektos Ly abbia ripudiato la moglie, che era figlia di un notabile, perché non gli dava figli maschi.

Proseguimmo in silenzio, mentre io meditavo sulla quasi miracolosa elasticità delle tragedie.

Dopo un po’ chiesi: – Hai mai recitato la parte di Phenissa? – Myrtilla scosse il capo. I capelli, che in quel momento non erano legati, le nascondevano il viso minuto, lasciando vedere solo la punta del naso.

– No, non è nel nostro repertorio. È troppo triste. E non è abbastanza tragica.

Rimasi confuso, per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

Intuendo la mia confusione, lei rise.

– Il protagonista invecchia. Cosa c’è di più triste, e di meno tragico?

Non avevo mai considerato la cosa da quel punto di vista.

Dopo averci pensato un poco, dissi: – Io credo che la vera protagonista sia Phenissa, non Teseius.

– Davvero? – Sorrise. – Be’, prova a dirlo a Gost.

Non riuscii a capire se mi stava prendendo in giro.

Si frugò in una tasca della gonna e ne tirò fuori una losanga verde pallido, un dolce di qualche genere.

Me l’offrì sulla punta delle dita.

– Tieni. Per avermi fatto compagnia.

Mi prendeva per un bambino?

Quando lo afferrai fra le labbra, le sue dita mi sfiorarono la lingua. Il dolce sapeva di zenzero.

– Però, mi piacerebbe fare Phenissa...

(22) LARISSA


Giungemmo a Larissa verso mezzogiorno.

Io ero salito sul carro e scrutavo la città (la mia prima città, in un certo senso) da sotto il telone: un po’ a causa di tutti gli avvertimenti di Baran, ma soprattutto per un’angoscia che non osavo confessare a nessuno: quelle case, altissime, senza altre attorno che le reggessero, sembravano sul punto di rovinarmi addosso. Non riuscivo a capire come la gente osasse viverci dentro.

Non ebbi comunque modo di interrogarmi a lungo su questo argomento. Arrivammo in una piazza (che per me era una specie di cortile con dei buchi fra le case). Cominciammo a scaricare il carro, che conteneva una quantità quasi incredibile di oggetti. Doveva essere svuotato degli attrezzi teatrali, ma anche di tutto il resto, perché le sponde, disposte orizzontalmente, con appositi sostegni e opportuni prolungamenti, servivano anche da palcoscenico. Tutti sapevano cosa fare, tranne Arquin. Cioè io. Che non mi ero ancora abituato ad essere chiamato così, e le prime volte non rispondevo neppure.

Venimmo ben presto circondati da una piccola folla di ragazzini, passanti, oziosi e comari, che si divertivano a darci consigli inutili quanto irritanti. Qualche donna lanciò battute oblique all’indirizzo di Astrix, che ostentava un’aria di pensierosa malinconia.

Gost Baran ci lasciò quasi subito, e riapparve dopo un paio d’ore, a lavoro quasi terminato.

– Ho parlato con il Secondo Supervisore del Provveditorato alle Insegne e alle Opere Idrauliche. Mi ha concesso di apporre dei manifesti per il nostro spettacolo esattamente in quattordici incroci della città, che sono indicati su questa carta, sigillata e firmata. – Ci mostrò un foglio ripiegato con cura, che custodiva sotto il farsetto. – L’ho naturalmente ringraziato con le dovute maniere. – Ammiccò e strofinò l’indice della destra contro il pollice. – Mi ha inoltre assicurato che renderà noto il contenuto e l’intento della nostra rappresentazione ai notabili della città, in particolare all’Osservatore dei Costumi. Dobbiamo aspettarci un pubblico scelto, questa sera, e sarà indispensabile la più grande cura dei particolari. Pertanto: Gertrid, Astrix, Myrtilla, ascoltatemi con attenzione... – Fece cenno ai tre di seguirlo dietro il tendone che avevamo appena montato. Prima di sparire, si rivolse a me e a Dumpy Dum. – A voi, un compito di non minore responsabilità. – Tirò fuori da sotto il carro un baule. Dentro, vidi rotoli di carte rozze e ingiallite, di dimensioni diverse. Ne contò quattordici dal rotolo più grande. Erano manifesti, e dicevano:

La celebre compagnia di

GOST BARAN

presenta

Una tragedia di sangue & orrore,

di malvagità svelata & punita

Seguiva un largo spazio bianco.

Questa sera presso

Un secondo spazio.

Lo spettacolo sarà preceduto da

Musica, Danze, Canti & Pantomime

NON MANCATE!!

Da uno scomparto della cassa, Baran estrasse una boccetta di inchiostro nero e un pennellino.

– Tu sai scrivere – mi disse. – Il nome della tragedia lo conosci. Questo posto si chiama Foro delle Capre. Un nome poco dignitoso, ma quella di adattarsi è la prima virtù di chi esercita la nostra difficile arte. – Prese la carta del Secondo Supervisore, eccetera. – Questa è la licenza per appendere i manifesti. I luoghi sono esattamente indicati, ed è inutile che vi raccomandi il massimo scrupolo. Qualsiasi multa verrà sottratta dal vostro stipendio. – Consegnò la carta a Dumpy Dum, e raggiunse gli altri dietro il tendone.

– Quale stipendio? – chiesi a Dumpy Dum.

Il nano mi strizzò un occhio. – Un modo di dire.

Di dire cosa? Ma non feci altre domande. Presi inchiostro e pennello.

– Che caratteri devo usare? – chiesi stendendo i manifesti sul palco.

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