Qualcuno potrebbe dire: in fondo non è molto diversa da qualsiasi altra città . Al posto delle strade e dei vicoli ci sono androni e passaggi che sono come strade coperte; al posto delle piazze cortili. Perché parlare di una sola casa?
Perché il meraviglioso, unico, complicatissimo labirinto si trova in realtà dentro Morraine, nel suo inestricabile intrico di corridoi, scale, stanze⦠Da qualsiasi ambiente chiuso di Morraine si può raggiungere un altro qualsiasi ambiente, e senza mai uscire all'aperto. A meno che questo non sia chiuso a chiave, ovviamente.
Si dice che ogni stanza possiede almeno due uscite. E questo a maggior ragione vale per ogni abitazione, cioè ogni insieme di stanze dove vive una famiglia, o una singola persona. Naturalmente costoro non desiderano che degli estranei possano transitare a piacere nelle loro stanze, e perciò le chiuderanno in qualche modo. Ma dovete considerare due particolari: che in ogni modo i corridoi sono comuni a tutti, e collegati l'uno con l'altro, anche se a volte nelle maniere più bizzarre; in secondo luogo che amici o parenti stretti possono benissimo bussare, entrare, attraversare una di queste abitazioni, uscire da un'altra parte, se questo serve ad accorciare il cammino che devono percorrere, per esempio. Naturalmente nel farlo si fermeranno a scambiare due chiacchiere con i padroni di casa. Sopratutto le donne. Per questa ragione si dice da noi che la strada più rapida fra due punti non è mai quella più breveâ¦
Morraine è cresciuta dentro se stessa da innumerevoli generazioni. I proprietari di ogni singola abitazione hanno cambiato, ampliato, venduto⦠I vari piani degli edifici poi sono posti di solito su livelli non identici, perciò innumerevoli sono i gradini e le scale. I cortili, e al piano terra gli androni, interrompono la continuità dei passaggi⦠à quasi impossibile, per chi non è mai stato a Morraine immaginare la complessità , la frammentarietà , la quasi infinita varietà di questi passaggi interni. Certi corridoi poi sono stati resi più o meno privati dagli abitanti che vi si affacciano, e solo loro di solito li usano. Altri sono molto grandi, e ospitano anche negozi o bancarelle. Nessuno, credo, può dire di conoscere Morraine in tutti i suoi meandri. Forse qualche vecchio agente della guardia, o qualche pubblico ufficiale si avvicina a questa conoscenza, ma neppure lui avrà mai messo piede in ogni stanza, in ogni corridoio di Morraine.
Anche perché ogni giorno, ogni ora si può dire, qualcuno da qualche parte nelle sue viscere starà costruendo un muro, abbattendone un altro, aprendo un varco nuovo o chiudendone uno vecchio...
Ma non dovete pensare che, essendoci una sola casa, Morraine manchi di luce. Tuttâaltro. Le sue terrazze e i suoi cortili sono i più belli del mondo. E ogni cortile è diverso dallâaltro. Per esempio, câè il Cortile delle Cento Colonne, il Cortile delle Quattro Fontane, il Cortile dei Tessitori, quello dei Beccai e quello dei Baccellieri, il Cortile del Paradiso, quello degli Uccelli e quello dei Gatti, la Corte delle Lavandaie e il Campo dei Miracoli, e il Cortile dellâUnicorno, del Porcospino, dei Maghi, dei Bottai, quello Rotondo, quello Stretto, quello dei Cinque Cantoni, della Luna Piena e della Luna Calante, quello dei Cavalieri, e di Nostra Signora del Parto, e dei Desideri Perduti. Per muoversi fra di essi ci sono androni e corridoi, e sugli archi che li introducono sono scolpiti stemmi o simboli che servono al posto dei nomi delle vie in altre città . Ci sono anche corridoi segreti e soffitte segrete e cantine segrete.
E soprattutto câè il Cortile Segreto. Che, ne eravamo ormai certi, altro non era che il Cortile del Serpente indicato sul manifesto.
Nessuno di noi aveva mai visto il Cortile Segreto, che come dice il nome non era un posto dove chiunque potesse entrare come si fa in una piazza. Poiché questa è la differenza fra una piazza e un cortile: nella prima sboccano strade accessibili a tutti: vagabondi e carrettieri, dame e merciai, cani randagi e bambini. In un cortile si entra da una porta, e dipende da quelli che ci abitano tenerla chiusa o aperta.
Quella sera la porta era spalancata.
Lelius doveva essere una persona davvero importante per avere avuto il permesso di dare il suo spettacolo nel Cortile Segreto!
Entrammo, dunque. Dopo che un servo in livrea ebbe esaminato con attenzione non priva di sospetto i nostri biglietti.
Mi aspettavo, è ovvio, di vedere meraviglie: fontane zampillanti e piante esotiche, statue di marmo e gabbie piene di uccelli rari.
Ma ciò che in realtà vedemmo ci lasciò senza fiato. Era un palazzo splendido e sfavillante: marmi di ogni venatura, e colonne come alberi secolari. Statue simili a persone vere immortalate in atti eroici, teneri, strazianti. Affreschi con scene di caccia e di battaglia, flotte a vele spiegate...
Questa visione durò un attimo. Poi un tremolio parve percorrere le mura del palazzo, e avvertii una folata di vento. Come se un terremoto stesse scuotendo Morraine, ma senza alcuna vibrazione sotto i piedi. Chiusi forte gli occhi. Quando li riaprii, il palazzo non câera più. Era un palcoscenico. Molto più piccolo di quanto mi fosse apparso, perché ingigantito dalla prospettiva; costruito in tela e legno, ma con tale maestria pittorica, e così abilmente illuminato, che lâocchio ne rimaneva volentieri ingannato.
Passato quellâattimo, tutto riacquistò le sue dimensioni normali. Trovammo posto su una delle panche nella quarta o quinta fila. Proprio davanti al palcoscenico, vidi, c'erano delle poltrone riservate a personaggi d'autorità . Ci eravamo da poco seduti che lo spettacolo iniziò. Annunciato da un rullo di tamburi, si presentò un saltimbanco, in un costume giallo e rosso da pagliaccio, che eseguì svariate mirabili capriole le quali finivano, di tanto in tanto, in comici capitomboli da cui si rialzava con aria perplessa, guardando il pubblico con grandi occhi tristi. Fu in una di queste occasioni che la riconobbi, sotto il trucco: era la signora del carro, quella che mi aveva abbracciato quella mattina di quattro anni prima
Poi ci fu un suono di cembali, e strumenti a fiato e a corde che non riconobbi. Apparvero una mezza dozzina di marionette, che eseguirono una pantomima velocissima, senza che si potesse scorgere quali fili le muovessero. Avevano le teste nascoste da larghi cappelli a cono, sotto i quali si scorgevano occhi luminosi e gialli, come candele. La danza che eseguirono era molto elaborata, e non doveva essere priva di qualche significato simbolico, poiché gli spettatori delle prime file, intenditori senza dubbio, applaudivano con convinzione nei momenti più significativi.
Terminò così il prologo, lasciandoci, intendo dire io e i miei due amici, un poâ interdetti ma pieni di aspettativa. Fu solo allora, guardandoci intorno, che ci accorgemmo di essere quasi gli unici ragazzi presenti fra il pubblico, del resto non molto numeroso. Benché attori girovaghi, Lelius e i suoi parevano dunque fare della propria arte un esercizio raffinato, poco adatto al volgo.
E il Cortile Segreto? Catturato dapprima dalla magia del palazzo di tela, e poi dalle capriole della signora e infine dalle evoluzioni della marionette, non avevo neppure pensato di guardarmi intorno. Eppure quello era il luogo delle fantasie di ogni bambino di Morraine! In realtà tutto ciò che si vedeva era poco più che il contorno dei tetti. Poiché il Cortile Segreto non era molto grande, o meglio non era grande come la mia immaginazione lo aveva dipinto; le panche lo occupavano per metà , e il palcoscenico nascondeva i piani bassi. Pilastri di marmo sbrecciato e frammenti di archi incastonati in una facciata alludevano ad un edificio molto più antico. Al riflesso delle lampade, presero forma dei fregi che percorrevano tutto il cornicione: molto corrosi, resi enigmatici dalla luce un poâ vacillante che li colpiva dal basso, anziché da quella del sole per cui erano stati scolpiti. Intuii che rappresentavano delle allegorie, e ne riconobbi alcune: la Verità , sotto forma di una fanciulla quasi nuda, che appoggiata ad una clessidra (emblema del tempo che fugge) mostra con la sinistra il sole e con la destra un serpente che si morde la coda; lâAmbiguità dal volto velato tiene un gatto accovacciato in grembo, e sembra osservare un bambino che gioca con uno specchio. E molte altre.
Poi dâimprovviso, e misteriosamente, come se un forte vento avesse soffiato, le lanterne si spensero tutte insieme. Ci furono alcuni istanti di buio, e quando gli occhi si stavano abituando alla luce delle stelle, e scorgevano ombre muoversi sul palcoscenico, ecco di nuovo la luce. Il palazzo aveva subito una parziale metamorfosi: unâala intera si era aperta, mostrando il mare e un porto magnifico. Una folla di donne era raccolta sui moli, e i marinai salutavano dalle navi, le vele già spiegate al vento. Ma come potevano essere così lontani? Il Cortile non era grande tanto da contenere un porto... Ancora unâillusione: si trattava delle marionette, in un nuovo costume, vicine ma piccole.
In primo piano, un sacerdote di venerabile aspetto. Con voce triste ma ferma narrò lâantefatto. Lâisola di Nexus era devastata da pestilenza e sterilità : una maledizione della dea del mare, irata perché i suoi abitanti avevano lasciato perire i naufraghi di una nave senza prestare loro soccorso, onde potersi impadronire del ricco carico... Era la storia di Phenissa e di Teseius.
Il naufrago si interruppe e ci guardò.
Forse non la conoscete. Appartiene ad una terra lontana da qui. Bene dunque: ve la racconterò così come venne rappresentata quella sera da Lelius e dalla sua compagnia, nel Cortile Segreto di Morraine.
(3) LA RECITA
Il sacerdote uscì, accompagnato da una solenne melodia di tube e di polifanti. Dalla parte opposta del palcoscenico entrò un eroe in splendida armatura. Anchâegli, nella generale sventura, aveva da portare il suo fardello. Si era sposato appena il giorno prima con la fanciulla più bella dellâisola. Aveva trascorso con lei appena una notte, ed ora doveva partire insieme agli ultimi uomini validi rimasti sullâisola, per cercare una nuova patria. Ed ecco giungere la diletta sposa, per lâultimo saluto.
Voi già immaginerete chi era la fanciulla che interpretava la parte di Phenissa. Ed io pure, quella sera nel Cortile Segreto di Morraine. Era colei che avevo atteso di vedere, fin da quando il carro si era allontanato lungo la strada. Lâovale bianco e perfetto del viso. Le labbra rosse come corallo. à inutile che mi dilunghi.
Ma la sposa era velata. Come lâAmbiguità allegorica nel fregio del cortile, non mostrava il suo volto.
Ma non poteva che essere lei! La grazia pudica dei movimenti, la figura esile e flessuosa sotto il ricco vestito in velluto porpora e verde smeraldo. E le mani: il loro roseo pallore sembrava imprigionare la luce delle lampade.
A questo punto il viaggiatore rimase assorto qualche momento.
Quando lei si sollevò il velo, i miei occhi erano così pieni di lacrime che non riuscii a distinguere il suo viso, e dovetti sbattere più volte le palpebre. Le labbra si muovevano. Stava parlando. Mi ero dimenticato di ascoltare. Con espressioni di tenero amore e di strazio per lâimminente separazione, si rivolgeva al marito Teseius, allâattore Lelius. Come può capitare a qualsiasi adolescente, sentivo quelle parole rivolte a me.
Ma torniamo alla storia.
Al pari delle altre donne, Phenissa giura al marito eterna fedeltà . Fosse pure fino alla fine dei loro giorni, attenderanno i loro uomini, tenendo acceso un fuoco in cima alla torre del faro. Teseius scompare dietro le quinte. Le navi partono, su un mare di tela azzurra ondeggiante.
Termina così il primo atto. Cambia la scena: la città adesso è sullo sfondo; in primo piano una spiaggia deserta. Ricompare il sacerdote narrante: lunghi anni sono trascorsi in vana attesa. Esce il sacerdote ed entra Phenissa.
Se prima avevo visto solo il suo viso, questa volta non potei fare a meno di guardare il suo corpo. Mi sentii avvampare. Il vestito della fanciulla era candido e piuttosto trasparente. E anche succinto. Era la prima volta in vita mia che vedevo tanto di una donna. In altri luoghi è diverso, ma Morraine è una città alquanto morigerata. Dâaltra parte, era lâabito consono alla situazione: Phenissa era venuta sulla spiaggia a bagnarsi, ma soprattutto a scrutare il mare e a sospirare per lo sposo lontano.
In maniera del tutto naturale, il suo dolore si esprime attraverso il canto. Non cercherò di descrivere la sua voce. A che serve dire che era limpida come un ruscello montano, struggente come vento su una foresta innevata... Rammento solo il ritornello:
Passò la rondine sopra le onde.
Passò lâestate e passò lâinverno.
Poi Phenissa si alza di scatto. Cosa ha visto? Scruta il mare... Le navi che tornano? Lancia un grido strozzato. Non è di gioia, piuttosto di angoscia. Corre sulla spiaggia. Mediante qualche macchina scenica, fra le finte onde appare una zattera, con una figura riversa a bordo.
à un naufrago, uno straniero. Phenissa è impaurita, eccitata, incerta. Ma un pensiero più di ogni altro la sprona: ecco, questa è forse lâoccasione di fare ammenda dellâoffesa recata alla Dea del Mare, causa di tutte le pene della sua gente. Un naufrago da salvare! Lo prende fra le sue braccia, lo rianima. Poi, forse per pudore o forse per timore, forse per un oscuro desiderio di possesso (anche se di tutto questo allora non compresi nulla), lo nasconde nella sua casa. Non osa rivelare alle altre donne la sua presenza.
E a questo punto, immaginate il seguito. Chi di voi potrebbe rimproverare Phenissa: sposa per una sola notte ad un uomo che forse non sarebbe più tornato? Giovane, bella, piena di tenerezza, avendo accanto a sé un uomo dalle molte avventure?
Si innamorò di lui. Resistette a lungo, ma Teseius lontano e appena conosciuto lasciò a poco a poco spazio nel suo cuore allo straniero, presente e salvato dalle acque.
Non dalla furia delle altre donne, però. Poiché il frutto del loro amore non poté restare celato. In unâisola abitata solo da vecchi, donne e bambini, ecco Phenissa attendere un figlio! Lei non poté, non volle nasconderlo.
Il giuramento violato, la gelosia, forse l'invidia, infiammano le donne, che decretano la morte degli adulteri. A stento il vecchio sacerdote riesce a salvare dalla loro furia il bimbo appena partorito.
E per la seconda volta, nel tempo di una sola generazione, un naufrago sacro alla Dea del Mare (che nella sua triplice forma è anche Signora del Cielo Stellato e Ispiratrice del Desiderio Amoroso) veniva ucciso sullâisola di Nexus.
La Dea medesima appare sulla scena, fra abbaglianti lampi di luce e fumi multicolori e musica minacciosa. La sapienza scenica di Lelius raggiungeva qui il suo culmine. La Dea, impersonata dalla signora del carro, maestosa nella sua furia. lancia la sua maledizione contro lâisola. Chiama in suo aiuto i venti di ponente e di occidente, di settentrione e di mezzogiorno. Evoca perfino le oscure potenze della terra profonda, il cui nome non è lecito pronunciare.
Un maremoto tremendo squassa lâisola. Ondate immense la sommergono. Uccidendone tutti gli abitanti superstiti.
Una tenebra rossastra calò sul palcoscenico. Poi, con la lentezza di unâalba primaverile, la luce si fece azzurra, limpidissima. Apparve lâisola: rigogliosa di piante, che ricoprono rovine un tempo maestose.
Ed ecco una vela appare allâorizzonte. Ã una nave solitaria, male in arnese, che approda a fatica. I marinai sbarcano (sono le marionette), e due uomini avanzano sul proscenio. Sono anziani, la pelle scura e incartapecorita dal sole e dalla salsedine. Con accenti di gioia incredula e stanca salutano la loro buona stella. Finalmente hanno trovato una terra vergine per il loro popolo!
Poi scorgono le rovine. Incertezza, angoscia, orrore si susseguono mentre riconoscono i palazzi, i fori, le case della loro giovinezza. Il vecchio Teseius esce di scena, disperato, quasi folle per il dolore della lunga, inutile separazione. Nella scena successiva è solo. Stringe in una mano qualcosa, che contempla fra le lacrime. à il monile che ha dato alla moglie come dono di nozze e pegno di fedeltà . Nellâaltra mano, tiene un secondo monile: è di foggia straniera. Li ha trovati accanto a due scheletri, abbracciati nella morte, sotto un cumulo di pietre.