Sempre e per sempre - Софи Лав 2 стр.


“Quindi,” disse Daniel masticando felice la sua colazione, “dopo mangiato, probabilmente dovremmo cominciare a prepararci.”

“Prepararci per cosa?” chiese Emily sorseggiando la sua seconda tazza di caffè nero fumante.

“C’è la parata del Memorial Day,” rispose Daniel.

Emily ricordò vagamente di aver assistito alla parata da bambina e voleva vederla di nuovo, ma aveva già combinato troppi disastri oggi per concedersi una pausa.

“Ho troppo da fare qui. Devo riassettare la stanza degli ospiti.”

“Già fatto,” rispose Daniel. “Ho sistemato la stanza mentre davi da mangiare ai cani.”

“Davvero?” chiese Emily sospettosa. “Hai cambiato gli asciugamani?”

Daniel annuì.

“E le confezioni mini di shampoo?”

“Sì.”

“E le bustine di caffè e di zucchero?”

Daniel alzò un sopracciglio. “Tutto quello che doveva essere sostituito è stato sostituito. Ho rifatto il letto – e prima che tu dica qualunque cosa, sì, so come si rifà un letto, vivo da solo da anni. Tutto è pronto per il ritorno dell’ospite. Quindi verrai alla parata?”

Emily scosse la testa. “Devo essere qui quando Kapowski ritorna.”

“Non ha bisogno di una babysitter.”

Emily si masticò un labbro. Il suo primo ospite la rendeva nervosa e voleva disperatamente fare un buon lavoro. Se non ci fosse riuscita, sarebbe tornata a New York con la coda tra le gambe, probabilmente a dormire sul divano di Amy, o peggio, a casa di sua madre.

“Ma se ha bisogno di qualcosa. Altri cuscini? O…”

“… altre banane?” la interruppe Daniel con un sorrisetto.

Emily sospirò, sconfitta. Daniel aveva ragione. Kapowski non si aspettava che lei stesse lì a fargli da serva. Semmai avrebbe preferito che non interferisse troppo. Era in vacanza, dopotutto. La maggior parte delle persone voleva pace e tranquillità.

“Dai,” la incoraggiò Daniel. “Sarà divertente.”

“Okay,” disse Emily cedendo. “Ci vengo.”

*

Ovunque Emily guardasse, vedeva bandiere americane. Gli occhi erano diventati un caleidoscopio di stelle e strisce, che le toglievano il fiato dalla meraviglia. Le bandiere sventolavano da ogni finestra dei negozi, e c’erano bandierine fatte a mano legate da lampione a lampione. Ce n’erano alcune addirittura appuntate dietro agli schienali delle panchine. E tutto ciò era niente in confronto al numero di bandiere agitate dai passanti. Chiunque passeggiasse lungo il marciapiede pareva averne una.

“Papà,” disse Emily alzando lo sguardo sul padre. “Posso avere una bandiera anch’io?”

L’uomo alto le sorrise. “Certo che puoi, Emily Jane.”

“Anch’io ne voglio una, anch’io!” cinguettò una vocina.

Emily si voltò per guardare sua sorella, Charlotte, con la sua sciarpa viola brillante avvolta attorno al collo, che si abbinava tanto male agli stivali con le coccinelle. Era solo una bambina, a malapena capace di stare in piedi.

Seguirono il padre, entrambe le ragazzine gli stringevano una mano mentre attraversavano con lui la strada ed entrarono in un negozietto che vendeva sottaceti fatti in casa e condimenti in vasetto.

“Be’, ciao, Roy,” disse raggiante la signora dietro alla cassa. Poi fece un largo sorriso alle due ragazzine. “Siete tornati per le feste?”

“Da nessuna parte si festeggia il Memorial Day come a Sunset Harbor,” rispose il padre con il suo modo di fare amichevole. “Due bandiere per ragazze, per piacere, Karen.”

La signora andò a prendere delle bandiere dietro alla cassa. “Perché non facciamo tre?” disse. “Non ti dimenticare di te!”

“E perché non quattro?” disse Emily. “Non dovremmo dimenticarci neanche della mamma.”

Roy serrò la mandibola ed Emily si accorse subito di aver detto la cosa sbagliata. La mamma non avrebbe voluto una bandiera. La mamma non era neanche venuta con loro a Sunset Harbor per il weekend. Erano solo loro tre. Ancora. Sembrava che fossero solo loro tre sempre più spesso ultimamente.

“Due basteranno,” rispose il padre un po’ rigido. “Sono solo per le bambine, in realtà.”

La donna dietro alla cassa porse alle ragazze una bandiera ciascuna, e la sua affabilità era stata rimpiazzata da una specie di imbarazzato disagio, avendo capito di aver oltrepassato accidentalmente una linea non detta, invisibile.

Emily guardò il padre pagare la donna e ringraziarla, notando quanto fosse forzato il suo sorriso adesso, quanto la sua postura fosse rigida. Desiderava non aver detto nulla sulla mamma. Guardò la bandiera nella sua stretta inguantata, perdendo d’un tratto un po’ di voglia di festeggiare.

Emily sospirò, scoprendosi di nuovo sulla via principale di Sunset Harbor con Daniel. Scosse la testa, scacciando il turbine di ricordi. Non era la prima volta che subiva l’improvviso ritorno di un ricordo perduto, ma l’esperienza la sconvolgeva ancora nel profondo.

“Tutto bene?” disse Daniel toccandole il braccio con delicatezza, con espressione preoccupata.

“Sì,” rispose Emily, ma la voce sembrava intontita. Provò a sorridere ma riuscì solo a sollevare leggermente gli angoli della bocca. Non aveva detto a Daniel del modo in cui i ricordi d’infanzia le stessero ritornando in frammenti; non voleva spaventarlo.

Decisa a non permettere a queste memorie intrusive di rovinarle la giornata, Emily si buttò nella festa. Erano trascorsi molti anni dall’ultima volta che c’era stata, ma era ancora impressionata dallo spettacolo. Si meravigliava del modo in cui la cittadina accoglieva le celebrazioni e le faceva sue. Una delle cose che stava cominciando ad amare di più di Sunset Harbor erano le sue tradizioni. Sentiva che il Memorial Day sarebbe diventato un’altra vacanza che avrebbe amato.

“Ciao, Emily!” la chiamò Raj Patel dall’altra parte della strada. Passeggiava con sua moglie, la dottoressa Sunita Patel, due persone che ora Emily considerava amiche.

Emily fece loro ciao con la mano e poi disse a Daniel, “Oh, guarda. Ci sono Birk e Bertha. E quella nel passeggino con Jason e Vanessa non è Katy?” Indicò il proprietario della pompa di benzina e la moglie invalida. A fianco c’era il figlio, il pompiere che aveva salvato Emily da un incendio. Lui e sua moglie avevano appena avuto il loro primo figlio, una bambina che si chiamava Katy, e le avevano preso per regalo uno dei cuccioli randagi di Emily. “Dovremmo andare a salutarli,” disse Emily, desiderando parlare con i suoi amici.

“Tra un attimo,” disse Daniel dandole un colpetto con la spalla. “Comincia la parata.”

Emily guardò in fondo alla strada la banda della scuola locale che si metteva in riga, pronta a dare inizio alla processione. Il tamburo cominciò a battere e fu rapidamente seguito dalla musica degli ottoni che suonavano “When the Saints Go Marching In.” Emily, deliziata, guardò la banda oltrepassarli marciando. Alle loro spalle c’erano le cheerleader, con le uniformi rosse, bianche e blu. Risalirono la strada a furia di salti mortali all’indietro e grand battement.

Poi fu la volta di un gruppo di bambini dell’asilo con le facce dipinte, dalle guance paffute e angeliche. Emily provò una piccola fitta nel vederli. Avere bambini non era mai stata una priorità per lei – non si può dire che avesse avuto fretta di diventare madre, considerando quanto orrendo fosse il rapporto che aveva con la sua – ma adesso, guardando i bambini della parata, Emily capì che qualcosa era cambiato dentro di lei. C’era un nuovo desiderio lì, un desiderio che le metteva pressione. Si voltò verso Daniel e si chiese se fosse qualcosa che sentiva anche lui, se la vista di quegli adorabili bimbi lo facesse sentire nello stesso modo. Come sempre, la sua espressione era illeggibile.

La parata continuava. Arrivò un gruppo di donne dall’aria dura della squadra di pattinaggio locale, che saltavano e correvano in tutte le direzioni sui pattini, seguite da una coppia di trampolieri e da un grande carro che portava una replica in cartapesta della statua di Abramo Lincoln.

“Emily, Daniel,” disse una voce alle loro spalle. Era il sindaco Hansen, affiancato dall’assistente, Marcella, che sembrava piuttosto infastidita. “Vi state godendo i festeggiamenti da noi?” chiese il sindaco Hansen. “Non è il tuo primo anno se ricordo bene, ma forse è il primo che tu possa ricordare.”

Fece un sorrisetto innocente, ma Emily si imbarazzò. Cercò di darsi un’aria calma e felice.

“Hai ragione. Purtroppo non ricordo di quando venivo qui da piccola, ma di sicuro mi sto divertendo adesso. E tu, Marcella?” aggiunse, cercando di distogliere l’attenzione da sé. “È il tuo primo anno?”

Marcella annuì in modo deciso ed efficace, poi tornò ai suoi appunti.

“Non fare caso a lei.” sogghignò il sindaco. “È una stacanovista.”

Lo sguardo di Marcella si sollevò giusto un attimo, ma fu sufficiente a Emily per leggere la frustrazione che conteneva negli occhi. Chiaramente l’atteggiamento flemmatico del sindaco la frustrava. Emily poteva capire Marcella. Era anche lei così appena sei mesi prima; troppo seria, troppo stressata, alimentata da un po’ troppa caffeina e dalla paura di fallire. Guardare Marcella era come porre uno specchio davanti alla sua vecchia io. La sola speranza di Emily per lei era che imparasse a rilassarsi, che Sunset Harbor l’aiutasse a sciogliere le sue corde arrotolate così strette, anche se solo un pochino.

“Comunque,” disse il sindaco Hansen, “torniamo al lavoro. Ho delle medaglie da consegnare, vero Marcella? La cerimonia di premiazione per la corsa con l’uovo, o il cucchiaio, o qualcosa del genere.”

“Le olimpiadi dei bambini,” disse Marcella con un sospiro.

“Ecco,” rispose il sindaco Hansen, e i due sparirono nella folla.

Daniel sorrise. “È impossibile non innamorarsi di questa pazza città,” disse, cingendo Emily con un braccio.

Lei si accoccolò a lui, sentendosi al sicuro, protetta. Insieme guardarono passare i ballerini di conga, salutando con la mano gli amici che passavano: Cynthia, della libreria, con i capelli di un arancione brillante che non si abbinava agli abiti che indossava, Charles e Barbara Bradshaw della pescheria, Parker, il grossista di frutta e verdura biologica.

Proprio allora, Emily scorse qualcuno tra la folla che le fece gelare il sangue. Vestito con i pantaloni a scacchi da golf e una maglia verde lime che gli copriva a malapena la grossa pancia, c’era Trevor Mann.

“Non girarti,” borbottò, aggrappandosi alla mano di Daniel per sicurezza. “Ma mister Vicino Sogghignante è qui.”

Daniel, ovviamente, si girò subito. Come se avesse una specie di sesto senso, Trevor se ne accorse. Diede un’occhiata a entrambi, gli occhi scuri brillarono di dispetto.

Emily fece una smorfia. “Ti avevo detto di non girarti!” sgridò Daniel mentre Trevor li raggiungeva.

“Sai che c’è una legge non scritta,” sibilò Daniel in risposta, “che recita che se ti dicono ‘non girarti’ allora tu ti giri.”

Era troppo tardi per scappare. Trevor Mann era su di loro, emergeva dalla folla come un’orribile bestia baffuta.

“Oh no,” disse Emily gemendo.

“Emily,” disse Trevor col suo tono ipocritamente gentile, “non si è dimenticata di quelle tasse che deve pagare sulla casa, vero? Perché io di sicuro me le ricordo.”

“Il sindaco mi ha accordato una proroga,” rispose Emily. “Era all’assemblea anche lei, Trevor, mi sorprende che non l’abbia sentito.”

“Non mi interessa se il sindaco Hansen ha detto che non c’è fretta, non spetta a lui decidere. Spetta alla banca. E io mi sono messo in contatto con loro per dirgli del suo uso illegale della casa e degli affari illegali che ci sta facendo.”

“Idiota,” disse Daniel affrontando Trevor per proteggere Emily.

“Lascia stare,” disse Emily posandogli una mano sul braccio. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che Daniel perdesse la calma.

Trevor fece un sorrisetto. “La proroga del sindaco Hansen non durerà per sempre e di certo non reggerà in termini legali. E io farò tutto ciò che è in mio potere per assicurarmi che il suo Bed and Breakfast affondi per non tornare più in superficie.”

CAPITOLO TRE

Emily guardò Trevor andarsene nella moltitudine di persone.

Non appena fu sparito, Daniel si voltò verso Emily con un’aria molto preoccupata in viso. “Tutto bene?”

Emily non riuscì a trattenersi. Affondò contro il suo ampio petto, schiacciando il viso sulla sua camicia. “Cosa faccio?” sospirò. “Le tasse rovineranno la mia attività prima ancora che sia cominciata.”

“Assolutamente no,” disse Daniel. “Non lascerò che accada. Trevor Mann non aveva mai mostrato interesse per la tua proprietà finché non sei apparsa tu a trasformarla in qualcosa di appetibile. È solo geloso di quanto migliore sia la tua casa rispetto alla sua.”

Emily cercò di ridere alla sua battuta ma riuscì solo a tirare fuori una debole risatina. Il pensiero di lasciare Daniel e tornare a New York da fallita le pesava sulla testa.

“È vero, però,” disse Emily. “Questo Bed and Breakfast non funzionerà mai.”

“Non parlare così,” disse Daniel. “Andrà tutto bene. Io credo in te.”

“Davvero?” disse Emily. “Perché io ho difficoltà a credere in me stessa.”

“Be’, forse questo è il momento di cominciare a farlo.”

Emily alzò lo sguardo sugli occhi di Daniel. La sua espressione sincera le fece pensare di potercela fare davvero.

“Ehi,” disse Daniel con gli occhi che d’un tratto brillavano maliziosamente. “C’è qualcosa che voglio farti vedere.”

Daniel non sembrò scoraggiato dalla sua tetraggine. Le prese la mano e la spinse tra la folla, conducendola in direzione del porto. Insieme scesero al molo.

“Ta-dan!” esclamò Daniel indicando la bellissima barca, ora riparata, che ondeggiava sull’acqua.

L’ultima volta che Emily aveva visto la barca era appena appena atta alla navigazione. Ora luccicava come fosse nuova.

“Non posso crederci,” balbettò. “Hai sistemato la barca?”

Daniel annuì. “Già. Ci ho messo parecchia fatica e parecchio sudore.”

“Ci credo,” disse Emily.

Le venne in mente di quando Daniel le aveva detto di avere una specie di blocco mentale per quanto riguardava la riparazione della barca, che non sapeva perché ma si sentiva incapace di lavorarci. Vederla adesso rendeva Emily davvero orgogliosa, non solo per via di quanto bene l’avesse sistemata ma perché era riuscito ad andare fino in fondo nonostante i problemi che glielo impedivano. Gli ritornò il sorriso, sentendo un brivido di felicità dentro di sé.

Ma allo stesso tempo si sentì rabbrividire dalla tristezza, perché questo era un altro mezzo di trasporto che poteva portarglielo via. Dai suoi lunghi giri in moto sulla scogliera ai suoi viaggi nelle città vicine con il suo furgone, Daniel era sempre in movimento. Che volesse vedere il mondo, esplorare, era così evidente per lei da essere fuori discussione. Sapeva che presto o tardi Daniel avrebbe avuto bisogno di lasciare Sunset Harbor. Se lei poi sarebbe partita con lui quando il momento fosse venuto, Emily ancora non l’aveva deciso.

Daniel le diede una gomitata schiva. “Dovrei dirti grazie.”

“Perché?” disse Emily.

“Per il motore.”

Era stata Emily a comprargli il motore nuovo, come ringraziamento per tutto l’aiuto che le aveva dato a preparare il Bed and Breakfast, e anche per tentare di incoraggiarlo a riparare la barca.

“Nessun problema,” disse Emily chiedendosi adesso se il regalo le si sarebbe ritorto contro. Se con la riparazione della barca a Daniel sarebbe venuta voglia di prendere e partire.

“Dunque,” disse Daniel indicando la barca, “come ringraziamento, credo che dovresti accompagnarmi nel viaggio inaugurale.”

“Oh!” disse Emily, sorpresa dalla proposta. “Vuoi partire per un giro in barca? Adesso?” Non voleva sembrare così scioccata.

Назад Дальше