“A meno che tu non preferisca farne a meno,” disse Daniel massaggiandosi il collo, in imbarazzo. “Pensavo a un appuntamento romantico.”
“Sì, certo,” disse Emily.
Daniel saltò nella barca e le allungò una mano. Emily la strinse e gli permise di guidarla giù. La nave dondolava sotto di lei, facendola barcollare.
Daniel accese il motore e condusse la barca fuori dal porto. Attraversarono l’oceano scintillante. Emily inalò profondamente l’aria del mare, guardando Daniel sterzare sull’acqua. Sembrava così a suo agio mentre guidava la barca, proprio come la sua moto sembrava diventare un’estensione di se stesso. Daniel era il tipo di uomo a cui si adattava il moto perpetuo, e mentre lo guardava adesso, Emily vide quanto vivo e felice diventava quando era a caccia di avventura.
Il pensiero la rese ancora più malinconica. Il desiderio di Daniel di esplorare il mondo era più di un semplice sogno; era una necessità. Non c’era verso che potesse rimanere a Sunset Harbor per altro tempo. Nemmeno lei aveva ancora deciso quanto ci sarebbe rimasta. Forse la loro relazione era spacciata. Magari sarebbe sempre stata una cosa effimera, un istante perfetto catturato nel tempo. Il pensiero le rimestò lo stomaco dalla disperazione.
“Cosa c’è che non va?” chiese Daniel. “Non soffri il mal di mare, vero?”
“Forse un po’,” mentì Emily.
“Be’, ci siamo quasi,” aggiunse lui, indicando davanti a sé.
Emily guardò su e vide che si stavano dirigendo verso un’isoletta che ospitava poco più di un paio di alberi e un faro abbandonato. Emily si alzò in piedi, improvvisamente sorpresa.
“OH MIO DIO!” urlò.
“Che c’è?” chiese Daniel con voce spaventata.
“Mio padre aveva un dipinto di quest’isola nella nostra casa di New York!”
“Sei sicura?”
“Al cento percento! Non ci credo! Non sapevo che fosse un dipinto di un posto vero.”
Daniel sgranò gli occhi. Sembrava tanto sorpreso dalla coincidenza quanto Emily.
Le preoccupazioni di Emily svanirono all’inaspettata sorpresa, e rapidamente si tolse le scarpe da ginnastica e i calzini. Aspettò appena che la barca di fermasse prima di saltare giù. Le onde le lambirono gli stinchi. L’acqua era fredda ma quasi non ci fece caso. Corse nell’acqua, fino alla sabbia bagnata della spiaggia, poi proseguì ancora un poco. Si fermò e sollevò le mani a formare un rettangolo di spazio tra le dita e i pollici e chiuse un occhio. Si spostò un pochino in modo che il faro fosse a destra, col sole accanto, e il vasto oceano disteso dall’altra parte. Eccolo! L’angolo esatto del dipinto che si trovava a casa sua!
Non sorprendeva Emily che suo padre avesse avuto quel dipinto. Era ossessionato dagli oggetti di antiquariato – inclusi i pezzi d’arte – ma ciò che la sorprendeva era il fatto che il dipinto fosse finito a casa loro. Sua madre era stata sempre molto brava a tenere separate la loro vita a Sunset Harbor e quella a New York, come se potesse sopportare gli stupidi hobby di suo marito per due sole settimane l’anno, e solo finché fossero rimasti fuori vista, senza invadere in alcun modo la loro casa perfettamente pulita e precisa. Perciò come diavolo era riuscito a farle accettare di appendere un dipinto del faro a casa loro? Forse perché era mascherato da luogo immaginario non si era mai accorta che il dipinto raffigurava in realtà una zona di Sunset Harbor? Emily sorrise tra sé e sé, chiedendosi se suo padre in effetti fosse stato così furbo.
“Ehi,” disse Daniel riportandola al presente. Lei si voltò per vederlo trascinare un cestino sulla sabbia verso di lei. “Sei scappata via!”
“Scusa,” rispose Emily tornando indietro di corsa per aiutarlo. “Cosa c’è qui dentro? Pesa una tonnellata.”
Insieme portarono il cestino da picnic sulla spiaggia e Daniel slacciò la fibbia sollevando il coperchio. Ne prese una coperta scozzese e la distese sulla sabbia.
“My lady,” disse.
Emily sorrise e si sedette sulla coperta. Daniel cominciò a tirare fuori diversi cibi dal cestino, inclusi formaggi e frutta, poi una grossa bottiglia di champagne e due flûte di cristallo.
“Champagne!” esclamò Emily. “Per quale occasione?”
Daniel si strinse nelle spalle. “Nessuna occasione particolare. Solo pensavo che dovremmo festeggiare il tuo primo ospite.”
“Non ricordarmelo,” disse Emily con un gemito.
Daniel fece saltare il tappo di sughero dello champagne e ne versò un po’ nei bicchieri.
“Al signor Kapowski.”
Emily fece cin cin e le labbra le si contrassero in un sorriso. “A Kapowski.” Bevve un sorso, lasciando che le bollicine le scoppiettassero sulla lingua.
“Ancora non ti senti sicura di questa cosa, vero?” chiese Daniel.
Emily fece spallucce, con gli occhi fissi sul liquido nel bicchiere. Ne mandò giù dell’altro e osservò la traiettoria del fiume di bollicine cambiare, distrutta dal movimento, prima di riassestarsi. “È che non ho molta fiducia in me stessa,” disse alla fine, con un profondo sospiro. “Non ho mai raggiunto davvero nessun obiettivo, prima.”
“E il tuo lavoro a New York?”
“Intendo dire nessun obiettivo che volessi.”
Daniel alzò le sopracciglia. “E io?”
Emily non poté trattenersi dal fare un sorrisetto. “Non ti vedo come un obiettivo come…”
“Dovresti,” la interruppe lui allegro. “Un ragazzone stoico come me. Non è che io sia il ragazzo con cui è più facile parlare del mondo.”
Emily rise, poi gli scoccò un lungo e sontuoso bacio sulle labbra.
“Questo per che cos’era?” disse lui una volta che lei si fu scostata.
“Un ringraziamento. Per questo.” Fece un cenno al piccolo banchetto da picnic davanti a loro. “Per essere qui.”
Daniel sembrò allora esitare ed Emily ne capì la ragione: perché essere qui non era qualcosa che Daniel sarebbe mai stato capace di fare del tutto. Viaggiare era nelle sue vene. A un certo punto sarebbe dovuto partire.
E lei? Nemmeno lei aveva pianificato di rimanere a Sunset Harbor. Era lì già da sei mesi – un periodo lungo da passare lontano da New York, lontano da casa sua e dai suoi amici. Eppure, con il sole all’orizzonte che si allungava in raggi arancioni e rosa nel cielo, non poteva pensare a nessun altro posto dove avrebbe preferito essere. In quel momento esatto, proprio lì, tutto era perfetto. Sentiva di vivere in paradiso. Forse poteva davvero fare di Sunset Harbor la sua casa. Forse Daniel avrebbe voluto sistemarsi con lei. Non c’era modo di conoscere il futuro; avrebbe solamente dovuto vivere un giorno alla volta. Alla fin fine poteva rimanere fino a che i soldi non fossero finiti. E se avesse lavorato sodo, se fosse riuscita a far sì che il Bed and Breakfast si sostenesse economicamente, allora quel giorno sarebbe potuto non arrivare ancora per moltissimo tempo.
“A cosa stai pensando?” chiese Daniel.
“Al futuro, immagino,” rispose Emily.
“Ah,” rispose Daniel guardandosi in grembo.
“Non è un buon argomento di conversazione?” chiese Emily.
Daniel si strinse nelle spalle. “Non sempre. Non è meglio godersi il momento e basta?”
Emily non sapeva come prendere quell’affermazione. Era una prova del suo desiderio di lasciare quel posto? O il futuro non era un buon argomento di conversazione perché lui vi vedeva futuri dolori?
“Magari sì,” disse Emily con calma. “Ma a volte è impossibile non pensare a quello che verrà. Va bene anche fare dei piani, non credi?” Cercava di spingere delicatamente Daniel, di carpirgli un minimo di informazioni, qualcosa che potesse farla sentire più salda nella loro relazione.
“Veramente no,” disse lui. “Mi sforzo con tutto me stesso di tenermi focalizzato sul presente. Non preoccuparti del futuro. Non rimuginare sul passato.”
A Emily l’idea che lui si preoccupasse del loro futuro non piaceva, e si costrinse a non chiedere di che cosa ci fosse da preoccuparsi nello specifico. Invece chiese, “C’è molto su cui rimuginare?”
Daniel non aveva rivelato molto sul suo passato. Lei sapeva che aveva viaggiato molto, che i suoi genitori avevano divorziato e che suo padre beveva, che Daniel aveva attribuito al padre di Emily il merito di avergli dato un futuro.
“Oh sì,” disse Daniel. “Moltissimo.”
Tornò di nuovo silenzioso. Emily voleva che dicesse altro ma sapeva che non poteva. Si chiese se lui sapesse con quanta forza lei desiderasse essere la persona con cui lui si sarebbe confidato.
Ma con Daniel ci voleva sempre pazienza. Avrebbe parlato quando fosse stato pronto, se mai fosse stato pronto.
E se quel giorno fosse venuto, lei sperava che sarebbe stata ancora lì per ascoltarlo.
CAPITOLO QUATTRO
Il mattino dopo Emily si alzò presto, decisa a non perdere di nuovo il turno della colazione. Alle sette in punto sentì il rumore della porta della camera degli ospiti che si apriva e richiudeva piano, poi lo scalpiccio dei passi di Kapowski mentre scendeva la scala. Emily uscì da dove stava indugiando fin sul corridoio e si fermò sul fondo delle scale e guardarlo.
“Buongiorno, signor Kapowski,” disse fiduciosa, con un sorriso gradevole sul viso.
Kapowski si spaventò.
“Oh. Buongiorno. È sveglia.”
“Sì,” disse Emily mantenendo il tono sicuro, sebbene non si sentisse sicura per niente. “Volevo scusarmi per ieri, per non essere stata disponibile per prepararle la colazione. Ha dormito bene?” Notò i cerchi neri che aveva attorno agli occhi.
Kapowski esitò per un momento. Ficcò nervosamente le mani nelle tasche del vestito spiegazzato.
“Um…no, a dire il vero,” rispose alla fine.
“Oh no,” disse Emily preoccupata. “Non a causa della stanza, spero.”
Kapowski sembrava irrequieto e goffo, si massaggiava il collo come se avesse altro da dire ma non sapesse come farlo.
“A dire il vero,” riuscì a dire alla fine, “il cuscino era piuttosto bitorzoluto.”
“Le chiedo sinceramente scusa,” disse Emily, frustrata con se stessa per non averlo controllato.
“E ehm… gli asciugamani erano ruvidi.”
“Davvero?” disse Emily, sconcertata. “Perché non viene a sedersi in sala da pranzo,” disse combattendo per non lasciar trapelare il panico dalla voce, “e mi spiega tutti i problemi.”
Lo guidò nell’ampia sala da pranzo e aprì le tende, lasciando che la luce pallida del mattino filtrasse nella stanza mostrando l’ultima esposizione di gigli di Raj, dal profumo che permeava la stanza. La superficie del lungo tavolo di mogano stile banchetto scintillava. Emily adorava quella stanza; era così opulenta, così eccessiva e barocca. Era la stanza perfetta per esibire il vasellame antico di suo padre, conservato in una vetrina fatta dello stesso mogano scuro del tavolo.
“Così va meglio,” disse mantenendo un tono solare e disinvolto. “Ora, vorrebbe dirmi i problemi inerenti alla sua stanza, così possiamo sistemarli?”
Kapowski sembrava a disagio, come se in realtà non volesse parlare.
“Ma non è niente. Solo il cuscino e gli asciugamani. E anche forse il materasso era molto rigido e ehm… un po’ sottile.”
Emily annuì, comportandosi come se le parole dell’uomo non le stessero dando ansia.
“Ma davvero, va tutto bene,” aggiunse Kapowski. “Ho il sonno leggero.”
“Ok, va bene,” disse Emily capendo che farlo parlare era stato peggio che lasciarlo insoddisfatto della stanza. “Be’, cosa posso prepararle per colazione?”
“Uova e bacon, se non le arreca troppo disturbo,” disse Kapowski. “Fritte. E un toast. Con funghi. E pomodori.”
“Nessun problema,” disse Emily, preoccupata di non avere tutti gli ingredienti che aveva nominato.
Emily corse in cucina, svegliando Mogsy e Rain immediatamente. Entrambi i cani si misero ad abbaiare chiedendo la colazione, ma lei ignorò i loro lamenti mentre sfrecciava verso il frigo per controllare che cosa ci fosse dentro. Fu sollevata nel constatare di avere il bacon, anche se non c’erano né funghi né pomodori. Almeno c’era il pane, nel cesto che Karen del negozio le aveva lasciato come extra l’altro giorno, e c’erano le uova per cui poteva ringraziare Lola e Lolly.
Pentendosi delle scarpe che aveva scelto, Emily corse all’uscita posteriore, e attraverso l’erba bagnata di rugiada raggiunse il pollaio. Lola e Lolly camminavano tutte impettite per l’aia. Entrambe inclinarono la testa di lato sentendola avvicinarsi, aspettandosi del mais fresco.
“Non ancora, stelline,” disse. “Kapowski ha la precedenza.”
Becchettarono la loro frustrazione mentre Emily si affrettava verso l’angolo in cui deponevano le uova.
“State scherzando,” balbettò scoprendo che non c’era nulla. Abbassò lo sguardo verso le galline, con le mani sui fianchi. “Tra tutti i giorni in cui voi due potevate non fare le uova, proprio oggi!”
Poi si ricordò di tutte le uova in camicia che si era allenata a fare il giorno prima. Doveva averne usate almeno cinque! Alzò le braccia in alto. Perché Daniel mi ha fatto preoccupare delle uova in camicia? pensò, frustrata.
Emily tornò dentro, delusa di non poter nemmeno oggi provvedere alla colazione che voleva Kapowski, e si mise a grigliare il bacon. Fosse l’ansia o la mancanza di esperienza, Emily pareva incapace di portare a termine anche la più semplice mansione. Versò il caffè su tutto il piano di lavoro, poi lasciò il bacon a grigliare troppo e così i bordi divennero croccanti e neri. Il nuovo tostapane – un sostituto di quello che era saltato per aria e aveva rovinato la cucina – sembrava avere impostazioni molto più sensibili dell’ultimo, e riuscì a bruciare anche il toast.
Quando guardò quello che aveva prodotto, la colazione finale sul piatto, Emily fu decisamente insoddisfatta. Non poteva servire quel disastro come pasto. Quindi andò in lavanderia e buttò tutto nelle ciotole dei cani. Almeno con il cibo dei cani toglieva una cosa dalla lista di cose da fare.
Tornata in cucina, Emily provò ancora a creare il piatto che Kapowski aveva ordinato. Questa volta venne meglio. Il bacon non era troppo cotto. Il toast non era bruciato. Sperò solo che le perdonasse gli ingredienti mancanti.
Guardò l’ora e vide che erano passati quasi trenta minuti, e il cuore prese a batterle veloce.
Tornò di corsa nella stanza.
“Eccoci, signor Kapowski,” disse Emily riemergendo nella sala da pranzo con il vassoio della colazione. “Mi scusi tanto per l’attesa.”
Mentre si avvicinava al tavolo si accorse che Kapowski si era addormentato. Non sapendo se sentirsi sollevata o infastidita, Emily appoggiò il vassoio e uscì silenziosamente dalla stanza.
La testa di Kapowski balzò su all’improvviso. “Ah,” disse guardando il vassoio. “La colazione. Grazie.”
“Mi spiace di non avere uova né pomodori né funghi oggi,” disse.
Kapowski sembrò deluso.
Emily uscì nel corridoio e fece dei respiri profondi. La mattinata era stata incredibilmente intensa dal punto di vista lavorativo, considerando la quantità di soldi che in sostanza ricavava dai suoi sforzi. Se voleva sostenere la sua attività, doveva farsi un po’ più efficiente. E aveva bisogno di un piano B nel caso in cui Lola e Lolly avessero passato un’altra giornata senza deporre uova.
Proprio allora Kapowski uscì dalla sala da pranzo. Era passato meno di un minuto da quando gli aveva consegnato il cibo.
“Va tutto bene?” chiese Emily. “Ha bisogno di qualcosa?”
Ancora una volta, Kapowski sembrava reticente a parlare.
“Ehm… la colazione è un po’ fredda.”
“Oh,” disse Emily, facendosi prendere dal panico. “Ecco, lasci che gliela scaldi.”
“A dire il vero va bene,” disse Kapowski. “Devo andare in realtà.”
“Okay,” disse Emily, sentendosi a terra. “Ha qualcosa di carino in programma per oggi?” Cercava di tenere un tono che suonasse più come quello di una padrona di Bed and Breakfast che come quello di una ragazza in crisi, anche se si sentiva più simile alla seconda.