La freccia volò in aria con un sibilo e il colpo si rivelò perfetto: la punta di metallo perforò il cuore del soldato che si trovava sulla prua. L’uomo rimase lì, gli occhi si fecero grandi per un momento, come se non comprendesse ciò che stava accadendo, poi improvvisamente allargò le braccia e cadde in avanti, di faccia, in un tuffo, atterrando sulla spiaggia con un tonfo ai piedi dei suoi compagni e macchiando la sabbia di rosso.
Thor e gli altri partirono all’attacco, una macchina ben strutturata, tutti perfettamente sincronizzati. Il rumore dei loro cavalli lanciati al galoppo li precedette e i sei soldati rimanenti si voltarono a guardarli. Montarono anch’essi a cavallo e si lanciarono contro di loro, pronti ad affrontarli.
Thor e i suoi ancora avevano il vantaggio della sorpresa. Thor lanciò un sasso con la sua fionda e colpì uno dei soldati alla tempia da una distanza di venti metri mentre continuava a galoppare. L’uomo cadde a terra morto, le redini ancora in mano.
Quando furono più vicini Reece lanciò la sua ascia, Elden una lancia e i gemelli un pugnale a testa. La sabbia era irregolare e i cavalli scivolavano, rendendo più difficile del solito lanciare le armi. L’ascia di Reece andò a segno, uccidendo uno degli uomini, ma gli altri mancarono il bersaglio.
Ne rimanevano quattro. Quello a capo del gruppo si separò dagli altri e si lanciò contro Reece, ora disarmato. Aveva tirato la sua ascia e non aveva avuto il tempo di sguainare la spada. Reece si preparò al peggio, ma all’ultimo momento Krohn balzò in avanti, morse una gamba del cavallo avversario e lo fece collassare a terra disarcionando il soldato e salvando quindi Reece all’ultimo momento.
Reece sfoderò la spada e colpì l’uomo uccidendolo prima che potesse rimettersi in piedi.
Ora ne mancavano tre. Uno di questi si avventò contro Elden brandendo un’ascia e roteandola in aria con l’intento di colpirlo alla testa. Elden parò il colpo con lo scudo e allo stesso tempo ruotò su sé stesso e colpì l’aggressore alla testa con lo scudo stesso, facendolo cadere da cavallo.
Un altro soldato prese un mazzafrusto dalla cintura e fece roteare la lunga catena terminante con una palla chiodata che si diresse immediatamente contro O’Connor. Accadde tutto troppo velocemente perché lui potesse reagire.
Thor lo vide sopraggiungere e si portò accanto all’amico, sollevando al spada e tranciando la catena del mazzafrusto prima che colpisse O’Connor. La lama tagliò di netto la catena con un secco rumore metallico, e Thor si sorprese di quanto la nuova spada fosse affilata. La palla chiodata cadde a terra, innocua, e si conficcò nella sabbia, risparmiando al vita di O’Connor. Subito sopraggiunse anche Conval, che trafisse l’avversario con la sua lancia, uccidendolo.
L’ultimo soldato dell’Impero rimasto si rese conto di essere drasticamente in minoranza. Con la paura negli occhi si voltò di scatto e si mise a correre, allontanandosi lungo la costa. Il suo cavallo lanciato al galoppo lasciava orme nette nella sabbia.
Tutti si concentrarono sul fuggitivo: Thor scagliò una pietra con la fionda, O’Connor sollevò l’arco e scoccò una freccia e Reece tirò una lancia. Ma il soldato correva in modo troppo irregolare, il cavallo sprofondava nella sabbia e tutti mancarono il bersaglio.
Elden allora sguainò la spada e Thor vide che stava per lanciarsi all’inseguimento. Ma sollevò una mano e li fece cenno di restare fermo.
“No!” gli gridò.
Elden si voltò a guardarlo.
“Se sopravvive manderà altri a cercarci!” protestò.
Thor si voltò e guardò la barca: sapeva che dare la caccia a quell’uomo avrebbe rubato loro del tempo prezioso, tempo che non potevano permettersi di sprecare.
“L’Impero si metterà comunque sulle nostre tracce,” disse. “Non abbiamo tempo da perdere. La cosa più importante ora e che ci allontaniamo da qui. Alla barca!”
Scesero da cavallo e raggiunsero la barca; Thor iniziò a svuotare la sella di tutte le provviste e gli altri fecero lo stesso, caricando a bordo armi e sacchi di cibo e acqua. Non potevano sapere quanto sarebbe durato il viaggio, quanto tempo sarebbe passato prima di riuscire a rivedere terra, se mai l’avessero rivista. Thor caricò anche del cibo per Krohn.
Lanciarono i sacchi in alto, oltre il parapetto della barca, e li sentirono atterrare con un tonfo sul ponte.
Thor afferrò poi la spessa e nodosa fune che pendeva da un fianco e la provò, sentendo che gli tagliava le mani. Si issò Krohn in spalla e il peso di entrambi mise alla prova i suoi muscoli, mentre si tirava verso l’alto per raggiungere il ponte. Krohn gli mugolava nell’orecchio e si teneva stretto al suo petto con i suoi artigli affilati, graffiandolo.
In poche mosse Thor fu oltre il parapetto e Krohn balzò a terra. Gli altri li seguirono a distanza di pochi secondi. Thor lanciò un’occhiata ai cavalli sulla spiaggia, che guardavano verso di loro come fossero in attesa di un comando.
“E loro?” chiese Reece, portandosi accanto a lui.
Thor si guardò attorno ed esaminò la barca: era lunga più o meno sette metri, e larga la metà. Era abbastanza grande per loro sette, ma non certo per i cavalli. Se avessero cercato di portarli, i cavalli avrebbero potuto rovinare il legno e danneggiare l’imbarcazione. Dovevano lasciarli lì.
“Non abbiamo scelta,” disse Thor guardandoli malinconicamente. “Dovremo trovarcene di nuovi.”
O’Connor si chinò contro il parapetto.
“Sono cavalli intelligenti,” aggiunse O’Connor. “Li ho addestrati bene. Torneranno a casa se glielo ordino.”
O’Connor fischiò con forza.
Tutti insieme i cavalli si voltarono e cominciarono ad attraversare la spiaggia al galoppo scomparendo nella foresta, diretti verso l’Anello.
Thor si voltò a guardare i suoi fratelli, la barca, il mare dinnanzi a loro. Ora erano bloccati, senza cavalli, senza alcun’altra possibilità che andare avanti. La realtà dei fatti lo atterriva. Erano veramente soli, con nient’altro che quell’imbarcazione, in procinto di lasciare le coste dell’Anello. Non c’era nessuna via di ritorno.
“E come facciamo a mettere la barca in acqua?” chiese Conval, mentre tutti guardavano verso il basso, cinque metri sotto di loro, verso lo scafo. Una piccola parte era accarezzata dalle acque del Tartuvio, ma la parte più grossa della barca era incagliata nella sabbia.
“Quaggiù!” gridò Conven.
Tutti corsero dall’altra parte dell’imbarcazione da dove si vedeva pendere una spessa catena di ferro, all’estremità della quale si trovava una palla di ferro adagiata sulla sabbia.
Conven iniziò a tirare la catena. Sbuffò e lottò, ma non riuscì a sollevarla.
“È troppo pesante,” grugnì.
Conval e Thor accorsero ad aiutarlo, e quando tutti e tre ebbero afferrato la catena per tirarla, Thor rimase scioccato dal suo peso: anche in tre non riuscivano a spostarla di un centimetro. Alla fine la lasciarono andare e ricadere sulla sabbia.
“Lasciate che vi aiuti,” disse Elden avvicinandosi.
Con la sua imponente stazza Elden torreggiava sopra di loro: si abbassò e tirò la catena da solo, riuscendo a sollevare la palla. Thor era stupefatto. Gli altri si unirono a lui e tirarono tutti insieme, sollevando l’ancora di trenta centimetri alla volta, fino a che riuscirono a issarla completamente a bordo.
La barca iniziò a muoversi, dondolando un poco tra le onde, ma rimase incagliata tra la sabbia.
“I pali!” disse Reece.
Thor si voltò e vide due pali di legno, lunghi sei o sette metri, montati sui fianchi dell’imbarcazione, e capì a cosa servivano. Corse ad afferrarne uno insieme a Reece, mentre Conval e Conven spostavano l’altro.
“Quando partiamo,” gridò Thor, “issate tutti le vele!”
I ragazzi si chinarono, conficcarono i pali nella sabbia e spinsero con tutta la loro forza. Thor gemette per lo sforzo. Lentamente la barca iniziò a muoversi, anche se di pochissimo. Nello stesso momento Elden e O’Connor corsero al centro e tirarono le funi per levare le vele, sollevandole con sforzo un poco alla volta. Fortunatamente c’era una brezza consistente e mentre Thor e gli altri remavano contro il terreno con tutte le loro forze per portare quella barca così pesante fuori dalla sabbia, le vele salirono e iniziarono a gonfiarsi.
Alla fine la barca dondolò sotto di loro e scivolò sull’acqua, oscillando priva di peso. Le spalle di Thor gli tremavano per lo sforzo. Elden e O’Connor issarono completamente le vele, e presto si trovarono ad essere trasportati al largo.
Lanciarono tutti un grido di trionfo, rimisero i pali al loro posto e corsero ad aiutare Elden e O’Connor ad assicurare le sartie. Krohn mugolava felice accanto a loro, eccitato da quella situazione.
La barca procedeva senza meta e Thor corse al timone, affiancato da O’Connor.
“Vuoi stare al timone?” gli chiese Thor.
O’Connor sorrise.
“Magari.”
Iniziarono ad acquistare reale velocità, fendendo le acque gialle del Tartuvio con il vento alle spalle. Finalmente si stavano muovendo, e Thor tirò un sospiro di sollievo. Erano partiti.
Thor si diresse a prua e Reece lo seguì, mentre Krohn si infilava tra loro e si appoggiava alla gamba di Thor, che si abbassò ad accarezzargli la morbida pelliccia bianca. Krohn gli leccò la mano e Thor prese da un sacco un pezzo di carne e glielo diede.
Guardò poi il vasto mare davanti a loro. L’orizzonte lontano era disseminato di nere navi dell’Impero, sicuramente dirette alla parte dell’Anello appartenente ai McCloud. Fortunatamente erano distratti e non era per niente probabile che si aspettassero di avvistare una barca solitaria diretta verso il loro territorio. Il cielo era limpido, c’era un forte vento alle loro spalle e continuarono a guadagnare velocità.
Thor si chiedeva cosa ci fosse in serbo per loro là fuori. Si chiedeva quanto ci sarebbe voluto per raggiungere il territorio dell’Impero, e cosa avrebbero trovato lì ad accoglierli. Si chiedeva come avrebbero trovato la spada e come sarebbe andata a finire. Sapeva che le probabilità erano loro sfavorevoli, eppure era entusiasta di essere finalmente in viaggio, emozionato di essere arrivato a quel punto e bramoso di recuperare la spada.
“E se non fosse lì?” chiese Reece.
Thor si voltò a guardarlo.
“La spada,” aggiunse l’amico. “Cosa facciamo se non è lì? O se è stata perduta? O distrutta? O se non la troviamo e basta? Del resto l’Impero è grande.”
“E se l’Impero ha scoperto come farne uso?” chiese Elden con voce profonda, raggiungendoli.
“E se la troviamo e non riusciamo a riportarla indietro?” chiese Conven.
Rimasero lì, oppressi da ciò che stava loro innanzi, da quel mare di domande senza risposta. Quel viaggio era una follia. Thor lo sapeva.
Una follia.
CAPITOLO QUATTRO
Gareth camminava avanti e indietro nello studio di suo padre – una piccola stanza al piano più alto del castello, una saletta che suo padre aveva amato – e poco alla volta la distruggeva.
Andava da una libreria all’altra, prendeva preziosi volumi, antichi libri rilegati in pelle che appartenevano alla sua famiglia da secoli, e ne strappava copertine e pagine facendole in mille pezzi. Li lanciava in aria e questi ricadevano sulla sua testa come fiocchi di neve, appiccicandosi al suo corpo e alla saliva che gli colava dalla bocca. Era determinato a eliminare ogni singola parte di quel luogo che suo padre aveva amato, un libro dopo l’altro.
Si avvicinò freneticamente a un tavolino d’angolo, afferrò ciò che era rimasto della sua pipa di oppio e con mano tremante se la portò alla bocca aspirando con violenza, più bisognoso che mai. Ne era ormai dipendente e fumava in ogni momento, con l’intento di bloccare le immagini di suo padre che lo perseguitavano nei suoi sogni e addirittura quando era sveglio.
Quando ripose la pipa vide suo padre nella stanza, di fronte a lui, un cadavere in via di decomposizione. Ogni volta che gli appariva il cadavere era sempre più decomposto, sempre più scheletro che carne. Gareth si voltò per non dover sopportare quella vista abominevole.
Era solito tentare di attaccare l’immagine, ma aveva imparato che non serviva a nulla. Quindi si limitò a girare la testa e a distogliere lo sguardo. Era sempre lo stesso: suo padre che indossava una corona arrugginita, la bocca aperta, gli occhi fissi su di lui con espressione di rimprovero, un dito puntato contro di lui, accusatorio. In quell’orribile sguardo Gareth sentiva che i suoi giorni erano contati, sentiva che era solo questione di tempo perché finisse a raggiungere suo padre. Odiava più di ogni altra cosa vederlo. Se c’era stato un aspetto positivo nell’ucciderlo, era proprio che non aveva più dovuto vedere la sua faccia ogni giorno. Ma ora, ironicamente, lo vedeva più che mai.
Gareth si voltò e scagliò la pipa di oppio contro la visione, sperando che – tirandola velocemente – magari l’avrebbe realmente colpito.
Ma la pipa volò semplicemente in aria e andò a sbattere contro il muro frantumandosi. E suo padre era sempre lì che lo guardava con sguardo truce.
“Quelle droghe non ti saranno di aiuto ora,” lo rimproverò.
Gareth non poteva più sopportarlo. Si lanciò contro l’apparizione, con le mani in avanti, deciso a graffiargli la faccia. Ma come sempre si scagliò contro nient’altro che aria, e questa volta inciampò in mezzo alla stanza atterrando sulla scrivania di legno di suo padre, rovesciandola e cadendo a terra con essa.
Rotolò sul pavimento, ruotò su se stesso e sollevò lo sguardo accorgendosi di essersi procurato un taglio profondo al braccio. Il sangue gli gocciolava dalla camicia, e guardandosi si rese conto di avere ancora indosso la stessa veste da camera che portava ormai da giorni. In effetti erano settimane che non si cambiava. Vide di scorcio un riflesso di se stesso e vide i capelli arruffati: sembrava un comune mascalzone. Una parte di lui stentava a credere di essere caduto così in basso. Ma un'altra parte non se ne curava affatto. L’unica cosa che gli era rimasta dentro era l’ardente desiderio di distruggere, distruggere ogni rimasuglio di ciò che un tempo era stato di suo padre. Avrebbe voluto far radere al suolo quel castello, e la Corte del Re con esso. Sarebbe stata la vendetta per il trattamento subito da bambino. I ricordi erano indelebili in lui, come una spina che non era capace di estirpare.
La porta dello studio si aprì di scatto e un servitore di Gareth entrò guardandolo con paura.
“Mio signore,” disse. “Ho udito un colpo. State bene? Mio signore, state sanguinando!”
Gareth guardò il ragazzo con odio. Cercò di rimettersi in piedi e colpirlo, ma scivolò su qualcosa e cadde a terra, disorientato dall’ultima fumata di oppio.
“Mio signore, lasci che la aiuti!”
Il ragazzo si affrettò ad afferrare il braccio di Gareth, che era magrissimo, praticamente pelle e ossa.
Ma Gareth aveva ancora un rimasuglio di forza e quando il ragazzo gli toccò il braccio lo scrollò via, spingendolo dall’altra parte della stanza.
“Toccami un’altra volta e ti farò tagliare le mani,” lo minacciò.
Il ragazzo indietreggiò intimorito e in quel momento un altro servitore entrò nella stanza, accompagnato da un uomo più anziano che Gareth riconobbe appena. Da qualche parte nei meandri della sua mente sapeva di conoscerlo, ma in quel momento non era in grado di ricordare.