Amata - Морган Райс 4 стр.


Ma non sarebbe successo. Lei riuscì a rendersene conto ora. Le cose si stavano capovolgendo. La ragazza sentì che la forza in quel fienile sovraffollato era davvero troppo oscura. Troppo violenta. Sentiva che stava perdendo il controllo. Nonostante la mano di Caleb, non riusciva a fermare quello che sentiva montarle dentro, qualunque cosa fosse.

“Sto bene qui” Sam disse.

Lei poteva sentire le altre risatine dei ragazzi.

“Perchè non ti rilassi?” uno dei giovani le disse. “Mi sembri molto nervosa. Vieni a sederti. Fatti un tiro.”

Le porse il bong.

Lei si voltò a guardarlo.

“Perchè non t'infili quel bong su per il culo?” lei disse, digrignando i denti.

Un coro di incitamento giunse dal gruppo dei ragazzi. “Oh, TACI!” gridò uno di loro.

Il ragazzo che le aveva offerto il tiro, un ragazzo grosso e muscoloso, e che lei sapeva aveva giocato nella squadra di football, divenne rosso acceso.

“Che cosa mi hai detto, puttana?” le chiese, fermo in piedi.

Lei guardò in alto. Era molto più alto di quanto ricordasse, almeno 1.98cm. Riusciva a sentire la stretta di Caleb sulla sua spalla intensificarsi e non capiva a che cosa fosse dovuto, se perchè lui stesse cercando disperatamente di calmarla o perchè non era tranquillo.

La tensione nella stanza crebbe drammaticamente.

Il Rottweiler strisciò più vicino. Ora distava soltanto pochi metri. E ringhiava fortissimo.

“Jimbo, calmo,” Sam disse al ragazzone.

Quello era il Sam protettivo. Non importava il motivo, ma era protettivo con lei. “E' una rompipalle, ma non intendeva risponderti in quel modo. E' pur sempre mia sorella. Rilassati.”

“Volevo invece,” Caitlin gridò, mostrandosi più arrabbiata che mai. “Voi ragazzi credete di essere così fighi? Trascinando con voi mio fratello minore? Siete solo un branco di perdenti. Non andrete da nessuna parte. Volete solo incasinarvi la vita, fate pure, ma non ci porterete Sam!”

Jimbo sembrò persino più arrabbiato, se possibile. Si avvicinò di qualche passo verso di lei, con fare minaccioso.

“Ecco, Signorina Maestra. Signorina Mammina. Ecco che ci dice che cosa fare!”

Un coro di risate.

“Perchè tu e il tuo amico frocetto non venite qui a picchiarmi!”

Jimbo si fece più vicino e, con l'enorme palmo della sua mano, spinse Caitlin sulla spalla.

Grosso errore.

La rabbia esplose in Caitlin, al di là di ogni possibilità di controllo. Nell'attimo in cui il dito di Jimbo la toccò, a gran velocità gli prese il polso e lo girò al contrario. Si sentì un forte crack, nel momento in cui il polso si rompeva.

Lei sollevò il polso alto dietro la sua schiena e lo spinse con la faccia a terra.

In meno di un secondo, era sul pavimento, con la faccia a terra, senza alcuna speranza. Lei gli saltò sopra, mettendogli il piede dietro al collo, tenendolo stretto, impedendogli di muoversi dal pavimento.

Jimbo gridò per il dolore.

“Gesù Cristo, il mio polso, il mio polso! Schifosa puttana! Mi ha rotto il polso!”

Sam si alzò, così come tutti gli altri, guardando la scena, scioccato. Sembrava davvero scioccato. Come aveva fatto la sua piccola sorella a stendere in quel modo un ragazzo così grosso, e in modo così rapido, proprio non ne aveva idea.

“Le mie scuse,” Caitlin ringhiò a Jimbo. Era scioccata dal suono della sua stessa voce. Sembrava gutturale. Proprio come il verso di un animale.

“Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace!” gridò Jim, singhiozzante.

Caitlin voleva solo lasciarlo andare, che tutto finisse, ma una parte di lei non era d'accordo. La rabbia l'aveva sopraffatta così troppo all'improvviso, troppo violentemente. Non poteva proprio lasciarlo andare. Ancora continuava a sentire la rabbia percorrerle il corpo, esplodendo sempre di più. Lei voleva uccidere quel ragazzo. Andava ben oltre la razionalità, ma lo voleva davvero.

“Caitlin!?” Sam gridò. Lei poteva sentire la paura nella sua voce. “Ti prego!”

Ma Caitlin non riusciva a fermarsi. Avrebbe davvero ucciso il ragazzo.

In quel momento, sentì un ringhio, e con la coda dell'occhio vide il cane. Fece un balzo a mezz'aria, i suoi denti puntavano dritto alla sua gola.

Caitlin reagì istintivamente. Lasciò andare Jimbo, e con un movimento, catturò il cane sospeso a mezz'aria. Finì sotto di lui, gli afferrò lo stomaco, e lo scaraventò a terra.

Volò per aria, a circa 3 - 6 metri, con una forza tale da finire nella stanza, oltre la parete di legno del fienile. Il muro si sfasciò rumorosamente, mentre il cane guaì e volò dall'altra parte.

Tutti nella stanza guardavano Caitlin. Non riuscivano a spiegarsi a che cosa avessero assistito. Era stato chiaramente un atto di forza e velocità sovrumane, e non c'era alcuna spiegazione possibile. Se ne stettero tutti lì a guardare, con la bocca spalancata.

Caitlin fu sopraffatta dall'emozione. Rabbia. Tristezza. Non aveva idea di che cosa provasse, e non si fidava più di se stessa. Non riusciva a parlare. Doveva andare via di lì. Sapeva che Sam non l'avrebbe seguita. Lui era una persona diversa adesso.

E anche lei.

CAPITOLO TRE

Caitlin e Caleb camminavano lentamente lungo la sponda del fiume. Questo lato dell'Hudson era trascurato, inquinato da fabbriche abbandonate e dai depositi di petrolio che non erano più in uso. Quel luogo era desolato, ma avvolto dalla quiete. Guardando fuori, scorse degli enormi fiocchi di neve cadere lentamente nel fiume, in quel giorno di marzo. Il loro suono leggero e delicato riempì l'aria. Sembravano ultraterreni, riflettendo la luce nel modo più strano, mentre una lenta foschia emergeva. Lei si sentiva come se stesse camminando all'interno di una di quelle enormi lastre di ghiaccio, sedendosi e lasciando che la conducesse ovunque andasse.

Camminavano in silenzio, ognuno perso nel proprio mondo. Caitlin era imbarazzata, perchè aveva mostrato una tale rabbia di fronte a Caleb. Imbarazzata per essere stata così violenta, da non essere riuscita a controllare che cosa le stesse accadendo.

Era anche imbarazzata a causa del fratello, che si era comportato in quel modo, unendosi a una tale compagnia di perdenti. Non lo aveva mai visto agire in quel modo prima di allora. Era imbarazzata per aver costretto Caleb ad assistere a tutto questo. Che modo difficile 'per lei di incontrarsi con la sua famiglia. Doveva aver pensato le cose peggiori su di lei. Il che la feriva, più di ogni altra cosa.

Ma ancora peggio di tutto il resto, lei era spaventata perchè si chiedeva che cosa ne sarebbe stato di loro. Sam era stato la sua miglior speranza di poter trovare il loro padre. Lei non aveva altre idee. Se le avesse avute, lo avrebbe di certo già trovato da sola, anni prima. Non sapeva che cosa dire a Caleb. Ora l'avrebbe lasciata? Naturalmente sì. Non le serviva a nulla, ed aveva una spada da trovare. Era possibile che rimanesse lo stesso con lei?

Mentre camminavano in silenzio, lei avvertì un profondo nervosismo, mentre pensava che Caleb stesse solo aspettando il momento giusto per dirle, con parole scelte attentamente, che avrebbe dovuto lasciarla. Proprio come tutti gli altri nella sua vita.

“Mi dispiace così tanto,” disse infine, dolcemente, “per come mi sono comportata laggiù. Mi spiace di aver perso il controllo.”

“Non devi scusarti. Non hai fatto nulla di male. Stai imparando. E sei molto forte.”

“Mi spiace anche per come si è comportato mio fratello.”

Lui sorrise. “Se c'è una cosa che ho imparato in tutti questi secoli, è che non si può controllare la propria famiglia.”

Continuarono a camminare in silenzio. Lui volse lo sguardo verso il fiume.

“Allora?” lei chiese, infine. “Che cosa facciamo ora?”

Lui si fermò e la guardò.

“Te ne andrai?” gli chiese lei esitando.

Lui si perse profondamente nei suoi pensieri.

“Riesci a pensare ad un altro luogo in cui tuo padre possa trovarsi? Qualcun altro che lo conoscesse? Niente?”

Lei ci aveva già provato. Non c'era nulla. Assolutamente nulla. Scosse il capo.

“Dev'esserci qualcosa,”lui disse empaticamente. “Pensa più a fondo. I tuoi ricordi. Non hai alcun ricordo?”

Caitlin pensò intensamente. Chiuse gli occhi e si sforzò con tutta se stessa di ricordare. Si era posta la stessa domanda così tante volte. Aveva visto suo padre così tante volte nei sogni da non riuscire più a capire se si trattasse di sogni o di realtà. Poteva affermare sogno dopo sogno dove lo aveva visto, sempre lo stesso sogno, in cui correva in un campo, vedendolo distante, e ogni volta che lei gli si avvicinava lui si allontanava sempre di più. Ma quello non era lui. Si trattava solo di sogni.

C'erano stati dei flashback, dei ricordi di quando era una bambina, in cui lui la portava da qualche parte. In un luogo durante l'estate, lei pensava. Ricordò l'oceano. E faceva caldo, tanto caldo. Ma ancora una volta, non era certa che fosse reale. L'immagine sembrò oscurarsi sempre di più. E non riusciva a ricordare esattamente dove si trovasse quella spiaggia.

“Mi dispiace,” disse. “Vorrei poter ricordare qualcosa. Se non per il tuo bene, almeno per il mio. Ma non ci riesco. Non ho idea di dove lui sia. E non so nemmeno dove trovarlo.”

Caleb si voltò e guardò il fiume. Sospirò profondamente. Osservò il ghiaccio, e gli occhi cambiarono colore di nuovo, stavolta divennero grigi come il mare.

Caitlin sentì che era giunta l'ora. In qualsiasi momento, si sarebbe potuto voltare e darle la notizia. Stava per andare via. Non gli serviva più ormai.

Voleva quasi fare qualcosa per rimediare alla situazione, inventare una bugia sul padre, su una possibile pista da seguire, solo per farlo restare con lei. Ma sapeva che non poteva farlo.

Le venne voglia di piangere.

“Non capisco,” Caleb disse gentilmente, continuando a guardare il fiume. “Ero certo che tu fossi la prescelta.”

Restò in silenzio. Sembrava che fossero trascorse delle ore, mentre lei aspettava.

“E c'è dell'altro che non capisco,” proseguì, voltandosi verso di lei. I suoi grandi occhi erano ipnotici.

“Sento qualcosa quando ti sono vicino. Oscurato. Con altri, riesco sempre a vedere le vite che abbiamo condiviso, tutte le volte che le nostre strade si sono incrociate, in ogni incarnazione. Ma con te... è oscurato. Non vedo nulla. Non mi è mai capitato prima. E' come se... mi si impedisse di vedere qualcosa.”

“Forse non ci siamo mai incontrati prima,” osservò Caitlin.

Caleb scosse la testa.

“Lo vedrei. Invece, con te, non riesco a vedere nulla. E non riesco neppure a vedere il nostro futuro insieme. E non mi è mai capitato prima. Mai – in tremila anni. Mi sento come se … mi ricordassi di te in qualche modo. E' come se fossi sempre sul punto di vedere qualcosa. E' in un angolo della mia mente. Ma non riesco a farlo emergere. E questo mi sta facendo diventare pazzo”.

“Bene allora,” replicò lei, “forse non c'è nulla dopotutto. Forse esiste solo il presente. Forse non c'è mai stato null'altro e forse non ci sarà mai”.

Immediatamente, si pentì di aver pronunciato quelle parole. A che cosa si era ridotta, ad aprire la bocca e a dire cose stupide di cui non era neppure convinta. Perchè aveva dovuto esprimere quelle parole? Era l'esatto opposto di quello che stava pensando, di quello sentiva. Avrebbe davvero voluto dire: Sì. Lo sento, anche io. Mi sembra di essere stata con te da sempre. E che sarà per sempre. Ed invece, era uscita fuori quella frase senza senso. Forse era colpa del suo nervosismo. E ora non poteva rimangiarsela.

Ma Caleb non si lasciò scoraggiare. Invece, si fece più vicino, sollevò una mano e lentamente la pose sulla sua guancia, liberandola dai capelli. Guardò intensamente nei suoi occhi e lei vide le sue iridi cambiare di nuovo colore, questa volta dal grigio al blu. I loro sguardi rimasero a lungo intrecciati. La connessione tra loro era sconvolgente.

Il cuore iniziò a batterle così forte, tanto che un forte calore le si diffuse in tutto il corpo. Si sentì come se stesse per perdersi.

Lui stava cercando di ricordare? Stava per dirle addio?

O stava per baciarla?

CAPITOLO QUATTRO

Se c'era una cosa che Kyle odiava più degli umani, erano i politici. Non riusciva a sopportare il loro atteggiamento, la loro ipocrisia e la loro boria. Proprio non riusciva a sopportare la loro arroganza. Per di più fondata sul nulla. La maggior parte di essi aveva vissuto soltanto 100 anni. Lui, invece, aveva vissuto oltre 5.000 anni. Quando parlavano delle loro “esperienze passate”, gli dava proprio la nausea.

Ciò nonostante, Kyle aveva dovuto stare spalla a spalla con loro, camminare al loro fianco ogni sera, quando si destava dal sonno e usciva dal sotterraneo, attraversando il loro centro nel Municipio. Infatti il Covo di Mareanera aveva ricavato il proprio rifugio nei sotterranei del Municipio di New York secoli prima, ed era sempre stato in affari con i politici. Del resto, la maggioranza dei presunti politici che giravano nella stanza erano membri segreti del suo covo, e davano esecuzione ai piani concordati in città e nello stato. Questi affari con gli umani erano un male necessario.

Ma molti di questi politici erano veri umani, in numero tale da far accapponare la pelle di Kyle. Non riusciva a sopportare il pensiero di permettere loro di stare in quell'edificio. Lo infastidiva specialmente quando gli si avvicinavano troppo. Mentre camminava, finì con l'urtare la spalla di uno di loro, colpendolo forte. “Hey!” l'uomo gridò, ma Kyle continuò a camminare, digrignando i denti e dirigendosi verso le ampie doppie porte alla fine del corridoio.

Kyle li avrebbe uccisi tutti se avesse potuto. Ma non gli era permesso. Il suo covo doveva ancora rispondere al Consiglio Supremo, e per qualunque ragione, i suoi membri si sarebbero frapposti. In attesa di poter spazzare via l'intera razza umana una volta per tutte. Kyle aspettava quel momento da migliaia di anni oramai, e non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto farlo. C'erano stati pochi bei momenti nella storia, in cui si erano avvicinati, quando avevano ricevuto il via libera. Nel 1350, in Europa, quando avevano tutti raggiunto finalmente un consenso ed avevano diffuso la Peste Nera insieme. Quello era stato un momento grandioso. Kyle sorrise al solo ripensarci.

C'erano stati pochi altri bei tempi —come il Medioevo, in cui potevano scatenare la guerra in tutta Europa, uccidere e violentare milione di persone. Kyle sorrise di gusto. Quelli erano stati i migliori secoli della sua vita.

Ma nelle ultime centinaia di anni, il Consiglio Supremo era diventato così debole, così patetico. Come se avesse paura degli umani. La Seconda Guerra Mondiale era stata bella, ma così limitata, tanto breve. Lui bramava di più. Non c'erano state grandi epidemie da allora, nessuna vera guerra. Era come se la razza dei vampiri si fosse paralizzata, timorosa del crescente numero e della forza della razza umana.

Ora, finalmente, le cose stavano per cambiare. Appena Kyle uscì fuori dalle porte dell'entrata, andando giù per le scale, fuori dal Municipio, fece un balzo. Aumentà l'andatura e guardò verso la strada che lo avrebbe condotto al Porto Marittimo di South Street. In attesa per lui c'era un enorme carico. Decine di migliaia di casse perfettamente intatte, la Peste-Bubbonica geneticamente modificata. Era stata conservata in Europa per centinaia di anni, perfettamente preservata fin dall'ultima epidemia. E adesso, l'avrebbero modificata per renderla completamente resistente agli antibiotici. E sarebbe stata tutta di Kyle. Per farne ciò che desiderava. Scatenando una nuova guerra nel continente americano.

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