Amata - Морган Райс 3 стр.


“Chi è il tuo amico?” chiese infine, quasi sussurrando. Caitlin sorrise: non l'aveva mai vista così sconvolta prima.

“Luisa, questo è Caleb,” Caitlin disse.

“E' un piacere,” Caleb disse, sorridendo, protendendo la mano.

Luisa si limitò a continuare a guardarlo. Lentamente sollevò la mano, stupita, mostrandosi ovviamente troppo scioccata per proferire parola. Lei volse lo sguardo verso Caitlin, senza comprendere come lei avesse potuto acchiappare un ragazzo simile. Guardò Caitlin in maniera diversa, quasi come se non la riconoscesse più.

“Um…” Luisa cominciò, con gli occhi spalancati, “…um…come…dove…come…come vi siete incontrati?”

Per un secondo, Caitlin giocherellò con l'idea di come risponderle. Immaginò di raccontare tutto a Luisa, e sorrise all'idea. Ma non avrebbe funzionato.

“Ci siamo incontrati…dopo un concerto,” Caitlin rispose.

Almeno era parzialmente vero.

“Oh mio Dio, quale concerto? In città? I Black Eyed Peas!?” chiese lei con entusiasmo. “Sono così gelosa! Farei di tutto per vederli!”

Caitlin sorrise all'idea di Caleb ad un concerto rock. Anche se non ce lo vedeva per nulla in un contesto del genere.

“Um….non esattamente,” disse Caitlin. “Luisa, ascolta, mi spiace interromperti, ma non ho molto tempo. Devo sapere dove si trova Sam. L'hai visto?”

“Naturalmente. Tutti l'hanno visto. E' tornato la settimana scorsa. Sembrava strano. Gli ho chiesto dove tu fossi, e quali fossero i suoi progetti, ma non ha voluto dirmelo. Probabilmente si sta precipitando verso quel fienile vuoto che ama.”

“Non è così,” Caitlin le rispose. “Ci siamo appena stati.”

“Davvero? Mi dispiace. Non lo so. E' in seconda, sai? Non ci incrociamo spesso. Hai provato ad inviargli un'e-mail? E' sempre su Facebook.”

“Non avevo il mio telefono—” Caitlin esordì.

“Prendi il mio,” Luisa intervenne, e prima che potesse terminare, il suo telefono era già tra le mani di Caitlin.

“Facebook è già aperto. Fai il log in e inviagli un messaggio.”

Naturalmente, Caitlin pensò. Perchè non ci ho pensato?

Caitlin eseguì il log in, digitò il nome di Sam nel box di ricerca, trovò il suo profilo e digitò un messaggio. Esitò, chiedendosi esattamente che cosa scrivere. Ma poi digitò: “Sam. Sono io. Sono al fienile. Incontriamoci là. Al più presto possibile.”

Cliccò su invia e restituì il telefono a Luisa.

Caitlin sentì un trambusto, e si voltò.

Un gruppo di ragazze del terzo anno, tra le più popolari, stava dirigendosi nel corridoio, proprio verso di loro. Sussurravano. E tutte guardavano direttamente Caleb.

Per la prima volta, Caitlin divenne provò una nuova emozione dentro di sè. La gelosia. Poteva vedere chiaramente negli occhi di quelle ragazze, che non le avevano mai prestato attenzione prima d'ora, quanto avrebbero voluto portarle via Caleb in un istante. Queste ragazze avevano conquistato qualunque ragazzo nella scuola, qualunque ragazzo desiderassero. Non importava se fosse già sentimentalmente impegnato o no. Bisognava solo sperare che non mettessero gli occhi addosso sul tuo ragazzo.

E ora tutte non distoglievano lo sguardo da Caleb.

Caitlin sperò, pregò che Caleb si rivelasse immune dai loro poteri. Che gli sarebbe ancora piaciuta. Ma mentre formulava tale pensiero, non riusciva a capire perchè avrebbe dovuto. In fondo, lei era così ordinaria. Perchè avrebbe dovuto restare legato a lei, quando ragazze come queste avrebbero fatto di tutto pur di averlo?

Caitlin pregò silenziosamente che le ragazze continuassero a camminare. Solo per questa volta.

Ma, naturalmente, non lo fecero. Il cuore le batteva all'impazzata, mentre il gruppo si voltò, dirigendosi verso di loro.

“Ciao Caitlin,” una delle ragazze le disse, in un finto tono gentile.

Tiffany. Alta, con lunghi e lisci capelli biondi, occhi blu e molto magra. Vestita elegantemente dalla testa ai piedi con abiti alla moda. “Chi è il tuo amico?”

Caitlin non sapeva che cosa rispondere. Tiffany e le sue amiche non avevano mai rivolto la parola a Caitlin. Non avevano mai rivolto lo sguardo verso di lei così a lungo. Era scioccata ad accorgersi che sapessero persino della sua esistenza e che conoscessero il suo nome. E ora stavano iniziando una conversazione con lei. Volevano Caleb. Così tanto da umiliarsi a rivolgerle la parola.

Questo non presagiva nulla di buono.

Caleb doveva aver avvertito il disagio di Caitlin, perchè si avvicinò a lei e pose un braccio intono alla sua spalla.

Caitlin non si era mai sentita tanto grata per un gesto in tutta la sua vita.

Senza una nuova sicurezza, Caitlin trovò la forza di parlare. “Caleb,” lei rispose.

“Allora, che cosa state facendo qui ragazzi?”chiese un'altra ragazza. Era una replica di Tiffany, ma era bruna. “Credevo che tu fossi partita o una cosa simile.”

“Beh, sono tornata,” rispose Caitlin.

“Dunque, anche tu sei nuovo qui?” Tiffany chiese a Caleb. “Sei al terzo anno?”

Caleb sorrise. “Sì, sono nuovo,” rispose in maniera criptica.

Gli occhi di Tiffany s'illuminarono, visto che interpretò che fosse nuovo nella loro scuola. “Grandioso,” disse. “C'è una festa questa sera, se ti va di venire. E' a casa mia. E' solo per pochi amici stretti, ma vorremmo averti. E..um... anche te, immagino,” disse Tiffany, rivolgendo lo sguardo a Caitlin.

Cailin sentì la rabbia crescere dentro di sè.

“Apprezzo l'invito, signore,” Caleb disse, “ma sono spiacente di informarvi che io e Caitlin abbiamo un importante impegno questa sera.”

Caitlin sentì il cuore gonfiarsi.

Vittoria.

Mentre guardava l'espressione del loro volto mutare, come se le tessere del domino fossero crollate tutte insieme, non si era mai sentita così vendicata.

Le ragazze sollevarono il naso e, in modo provocante, se ne andarono.

Caitlin, Caleb e Luisa restarono lì, da soli. Caitlin tirò un sospiro di sollievo.

“Oh mio Dio!” Luisa esclamò. “Quelle ragazze non l'hanno mai data vinta a nessuno prima d'ora. Molto meno per quanto riguarda un invito.”

“Lo so,” Caitlin disse, ancora sbigottita.

“Caitlin!” Luisa disse improvvisamente, avvicinandosi e prendendole il braccio, “Mi sono appena ricordata. Susan. Lei ha detto qualcosa su Sam. La scorsa settimana. Che stava frequentando i Coleman. Mi dispiace tanto, mi è appena tornato in mente. Forse può aiutare.”

I Colemans. Certo. Ecco dove sarebbe andato.

“E poi,” Luisa continuò eccitata, “ci vediamo tutti dai Frank stasera. Devi venire! Ci manchi tanto. E naturalmente, porta Caleb. Sarà una festa magnifica. Metà classe ci verrà. Devi esserci.”

“Ecco… non lo so –”

La campanellà suonò.

“Devo andare! Sono così contenta che tu sia tornata. Ti voglio bene. Chiamami. A presto!” Luisa disse, salutando Caleb, e si voltò per precipitarsi in fondo al corridoio.

Caitlin si concesse d'immaginarsi tornare alla vita normale. Uscire con tutti i suoi amici, andare alle feste, frequentare una scuola normale, diplomarsi. Le piaceva come la faceva sentire. Per un istante, provò davvero a scacciare completamente dalla mente tutti gli eventi della scorsa settimana. Immaginò che nulla di male fosse accaduto.

Ma poi guardò davanti a sè e vide Caleb, e la realtà tornò bruscamente a palesarsi. La sua vita era cambiata. Definitivamente. E nulla sarebbe più tornato come prima. Doveva solo accettarlo.

Senza contare che aveva ucciso delle persone e la polizia le stava dando la caccia.

O che sarebbe stata solo questione di tempo perchè la catturassero, da qualche parte. O il fatto che un'intera razza di vampiri la stava cercando per ucciderla. O che la spada che stava cercando avrebbe potuto salvare la vita a molte persone.

La vita era cambiata in maniera definitiva, e non sarebbe più tornata com'era. Lei doveva semplicemente accettare la sua nuova realtà.

Caitlin poggiò la testa sul braccio di Caleb, e lo condusse all'entrata. I Coleman. Sapeva dove vivevano e che aveva senso, Sam sarebbe andato lì. Se non si fosse trovato a scuola, allora sarebbe stato lì probabilmente. Ecco dove avrebbero dovuto andare dopo.

Mentre uscivano a respirare aria fresca, lei si meravigliò di quanto fosse bello camminare fuori dalla scuola ancora una volta—e stavolta per sempre.

*

Caitlin e Caleb s'incamminarono verso la proprietà dei Coleman; la neve che ricopriva l'erba scricchiolava sotto i loro piedi. La casa stessa non era altro che un modesto ranch che si affacciava sul lato della strada di campagna. Ma alle spalle, alla fine della proprietà, c'era un fienile. Caitlin vide tutti i camioncini e pickup malconci parcheggiati a caso nel prato, e riusciva a vedere le impronte nel ghiaccio e nella neve, e sapeva che doveva esserci stato un gran viavai intorno a quel fienile .

Questo facevano i ragazzi ad Oakville – s'incontravano nei loro fienili. Oakville era tanto campagna quanto periferia, e dava loro la possibilità di giocare in una struttura abbastanza distante dalla casa dei genitori, così che non sapessero o che non importasse loro che cosa stessero facendo. Era certamente molto meglio che radunarsi in cantina. I genitori non sentivano una sola parola. E si disponeva di un'entrata personale. E di un'uscita.

Caitlin prese un lungo respiro, prima di entrare nel fienile, e aprì la pesante porta di legno.

La prima cosa a colpirla fu l'odore. Erba. Delle nuvole aleggiavano nell'aria.

Quello, mescolato all'odore della birra stantia. Ce n'era troppo.

Poi la colpì—più di ogni altra cosa—l'odore di un animale. I suoi sensi non erano mai stati così spiccati prima. Lo shock derivato dalla presenza dell'animale colpì i suoi sensi, proprio come se avesse appena sniffato dell'ammoniaca.

Lei guardò alla sua destra e mise a fuoco. Lì, all'angolo, c'era un grosso Rottweiler. Quest'ultimo si sedette lentamente, con lo sguardo fisso su di lei e ringhiò. Esplose in un ringhio basso e gutturale. Era Butch. Lei si ricordò di lui ora. L'odioso Rottweiler dei Coleman. Come se i Coleman avessero bisogno di un animale aggressivo da aggiungere alla loro immagine confusionaria.

Dai Coleman c'era sempre da aspettarsi delle catastrofi. Tre fratelli—17, 15, e 13 anni— ad un certo punto, Sam aveva fatto amicizia con il secondogenito, Gabe. Uno era peggio dell'altro. Il padre li aveva abbandonati molto tempo prima, nessun aveva idea di dove fosse andato, e la madre non c'era mai. Erano praticamente cresciuti da soli. Nonostante la loro età, erano sempre ubriachi o drogati, e passavano più tempo fuori dalla scuola che dentro.

A Caitlin non piaceva l'idea che Sam li frequentasse. Non avrebbe portato a nulla di buono.

Si sentì una musica di sottofondo. I Pink Floyd. Wish You Were Here.

Figuriamoci, Caitlin pensò.

Era buio, specie per chi, come lei, proveniva da un giorno tanto luminoso, e le occorsero diversi secondi perchè gli occhi le tornassero a posto.

Eccolo. Sam. Seduto nel mezzo di un logoro divano, circondato da una dozzina di ragazzi. Gabe da un lato e Brock dall'altro.

Sam era curvo su un bong. Aveva appena finito di inalare; lo mise giù e si poggiò allo schienale, succhiando l'aria e trattenendo il fiato troppo a lungo. Alla fine rilasciò il fumo.

Gabe gli diede un colpetto, e Sam guardò in alto. Stordito, posò lo sguardo su Caitlin. I suoi occhi erano iniettati di sangue.

Caitlin ebbe una fitta di dolore allo stomaco. Era più che delusa. Credeva che fosse tutta colpa sua. Ripensò all'ultima volta che si erano visti, a New York, quando avevano litigato. Le sue parole dure. “E allora vai!” gli aveva gridato. Perchè doveva essere sempre così dura? Perchè non poteva avere la possibilità di rimediare?

Ora era troppo tardi. Se lei avesse scelto delle parole diverse, forse le cose ora sarebbero state differenti.

Provò anche un'ondata di rabbia. Rabbia verso i Coleman, rabbia verso tutti i ragazzi in quel fienile, che se ne stavano seduti su quel divano e su sedie logore, su balle di fieno, tutti lì a bere, fumare e a non fare niente della propria vita. Erano liberi di non fare nulla della propria vita. Ma non erano liberi di trascinare anche Sam con loro. Lui era migliore di loro. Non aveva mai avuto una guida. Non aveva mai potuto contare su una figura paterna, non aveva mai ricevuto una forma di gentilezza da parte della loro madre. Era un figlio meraviglioso, e lei sapeva che avrebbe potuto essere il primo della classe ora, se avesse avuto una casa anche solo semi-stabile.

Ma ad un certo punto, era troppo tardi. Lui aveva appena smesso di preoccuparsi.

Fece diversi passi verso di lui. “Sam?” chiese.

Il ragazzo si limitò a fissarla, senza dire una sola parola.

Era difficile stabilire che cosa ci fosse in quello sguardo. Era causato dalle droghe? Stava fingendo che non gli importasse? O semplicemente non gli importava?

Il suo sguardo apatico le fece più male di ogni altra cosa. Lei credeva che sarebbe stato felice di vederla, alzandosi e abbracciandola. Ma non questo. Sembrava che proprio non gli importasse. Come se lei fosse una perfetta estranea. Si stava comportando in quel modo solo per compiacere gli amici? Oppure lei aveva rovinato tutto per sempre stavolta?

Trascorsero diversi secondi, e infine, il ragazzo rivolse altrove il suo sguardo, passando il bong ad uno degli amici. Continuò a guardare gli altri amici, ignorandola.

“Sam!” disse lei, alzando la voce, con il volto corrugato dalla rabbia. “Sto parlando con te!”

Lei ascoltò le risatine dei suoi amici sfigati, e sentì la rabbia salirle ad ondate nel suo corpo. Stava cominciando a provare qualcos'altro. Istinto animale. La rabbia dentro di lei stava raggiungendo dei livelli talmente alti, che difficilmente sarebbe riuscita a controllarla e iniziò a temere che presto sarebbe esplosa. Non era più umana. Stava diventando animale.

Questi ragazzi erano grossi, ma la forza che le stava aumentando nelle vene le suggerì che avrebbe potuto sbarazzarsi di ognuno di loro in un istante. Stava faticando a contenere la sua rabbia, e sperò di essere abbastanza forte da riuscirci.

Al contempo, il Rottweiler riprese a ringhiare, e si avvicinò a lei lentamente. Sembrava come se avvertisse l'arrivo di qualcosa.

Lei sentì una mano gentile posarsi sulla sua spalla. Caleb. Lui era sempre lì. Doveva aver sentito la rabbia crescerle dentro, l'istinto animale tra di loro. Stava cercando di calmarla, dicendole di controllarsi, di non esplodere. La sua presenza la rassicurò. Ma non era semplice.

Sam alla fine si voltò e la guardò. C'era disprezzo nei suoi occhi. Era ancora fuori di sè. Era ovvio.

“Che cosa vuoi?” le chiese di scatto.

“Perchè non sei a scuola?” fu la prima cosa che lei si sentì pronunciare. Non era proprio certa di averlo detto, specialmente data l'enorme portata delle cose che avrebbe voluto chiedergli. Ma l'istinto materno era emerso. Ed era stato quello che le era venuto fuori.

Altre risatine. La rabbia emerse.

“Che cosa te ne importa?” le disse. “Mi hai detto di andarmene.”

“Mi dispiace,” lei disse. “Non intendevo questo.”

Era contenta di aver avuto una possibilità di dirlo.

Ma non bastò a scuoterlo. Lui se ne stava semplicemete a guardarla.

“Sam, ho bisogno di parlarti. In privato,” gli disse.

Voleva che lui lasciasse quell'ambiente e uscisse all'aria fresca, da soli, dove avrebbero potuto parlare veramente. Lei non voleva soltanto sapere del loro padre; voleva anche solo parlare con lui, proprio come avevano sempre fatto. E voleva avere la possibilità di dirgli della mamma. Gentilmente.

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