Ma i giornalisti le accorsero subito intorno.
“Avery Black,” disse uno, mettendole un microfono in faccia. “Ci può dire qualcosa sulla donna assassinata sulla marina?”
“Perché si sta occupando del caso, detective Black?” gridò un altro. “Questo è l’A7. È stata trasferita a un altro dipartimento?”
“Che cosa pensa della nuova campagna del sindaco, Fermiamo il Crimine?”
“Lei e Howard Randall state ancora insieme?”
Howard Randall, pensò. Nonostante il prepotente desiderio di tagliare tutti i ponti con Randall, Avery non era riuscita a toglierselo dalla mente. Ogni giorno dal loro ultimo incontro, l’assassino aveva trovato un modo per strisciare nei suoi pensieri. A volte un semplice profumo o un’immagine era tutto ciò che bastava per sentire le sue parole: “Ti fa venire in mente qualcosa della tua infanzia, Avery? Che cosa? Dimmi…” Altre volte, lavorando su diversi casi, aveva cercato di pensare come avrebbe fatto lui per trovare la soluzione.
“Fuori dai piedi!” gridò Ramirez. “Spostatevi! Fate spazio. Andiamo.”
Le appoggiò una mano sulla schiena e la sospinse nella stazione.
Il quartier generale dell’A7, un grande palazzo di mattoni e pietra, aveva recentemente subito una grossa modernizzazione degli interni. Le scrivanie di metallo e l’atmosfera cupa, tipica dell’organizzazione statale, erano svanite. Al loro posto c’erano eleganti tavoli argentati, sedie colorate e uno spazio aperto per le attese che sembrava più l’ingresso di un parco giochi.
Come l’A1, ma ben più moderna, la sala conferenze aveva le pareti di vetro così che la gente potesse guardare fuori su tutto il piano. Sul grande tavolo ovale di mogano c’erano microfoni davanti a ogni posto a sedere e campeggiava un grande televisore a schermo piatto per le teleconferenze.
O’Malley era già seduto al tavolo accanto a Holt. Ai loro lati c’erano il detective Simms e il suo partner, e due persone che Avery immaginò fossero l’addetto della scientifica e il coroner. Rimanevano due posti liberi in fondo al tavolo, vicino all’ingresso.
“Sedetevi,” fece loro cenno O’Malley. “Grazie per essere venuti. Non vi preoccupate, non vi starò con il fiato sul collo per tutto il tempo,” disse rivolto ai presenti, con particolare enfasi verso Avery e Ramirez. “Voglio solo essere sicuro che siamo tutti dalla stessa parte.”
“Sei sempre il benvenuto qui,” disse Holt con genuino affetto verso O’Malley.
“Grazie, Will. Comincia pure.”
Holt indicò il suo agente.
“Simms?” disse.
“Okay,” disse Simms, “credo che stia a me. Perché non cominciamo con la scientifica, passiamo al rapporto del coroner e poi vi dico del resto della nostra giornata,” disse in particolare al capitano Holt, prima di voltarsi verso l’esperto della Scientifica. “Che te ne pare, Sammy?”
Uno snello uomo indiano era a capo della loro squadra scientifica. Portava giacca e cravatta e sollevò i pollici quando venne fatto il suo nome.
“Sì, signore, Mark,” disse con entusiasmo. “Come abbiamo già detto, abbiamo molto poco su cui lavorare. L’appartamento era pulito. Niente sangue, nessun segno di lotta. Tutte le telecamere sono state bloccate con una resina epossidica trasparente che si può comprare in una qualsiasi ferramenta. Abbiamo trovato resti di fibre di guanti neri, ma anche quelli non ci danno alcun solido indizio.”
Il detective Simms continuava a lanciare sguardi verso Avery. Sammy stava facendo fatica a capire chi era al comando. Continuava a guardare Simms, Holt e tutti gli altri. Alla fine capì l’antifona e iniziò a rivolgersi ad Avery e a Ramirez.
“Però abbiamo qualcosa dal cantiere navale,” continuò Sammy. “Ovviamente l’assassino ha disabilitato le telecamere anche lì, come nell’appartamento. Per arrivare al cantiere senza essere notato deve essersi mosso tra le undici di sera, quando l’ultimo operaio lascia la marina, e le sei del mattino, quando arriva il primo turno. Abbiamo trovato le stesse impronte di scarpe nel cantiere navale e sulla barca, prima che altri agenti di polizia arrivassero sulla scena. L’impronta è di uno stivale numero quarantatré, marca Redwings. Sembra che zoppichi per una possibile ferita alla gamba destra, dato che la scarpa sinistra lascia un calco più profondo dell’altra.”
“Eccellente,” commentò orgoglioso Simms.
“Abbiamo anche controllato quella stella disegnata sul ponte,” continuò Simms. “Non abbiamo trovato materiale genetico. Tuttavia abbiamo trovato una fibra nera simile a quelle del guanto nell’appartamento, quindi è un collegamento interessante, grazie, detective Avery.” Annuì verso la detective.
Aver annuì a sua volta.
Holt sbuffò.
“Infine,” concluse Sammy, “crediamo che il corpo sia stato portato al cantiere navale all’interno di un tappeto arrotolato, dato che su di esso c’erano molte fibre di tappeto e che ne mancava uno dalla casa.”
Annuì per indicare che aveva finito.
“Grazie, Sammy,” disse Simms. “Dana?”
Fu il turno di una donna in camice bianco da laboratorio, che sembrava avrebbe preferito essere ovunque tranne che in quella stanza. Era sulla mezza età, con lisci capelli castani che le arrivavano alle spalle e un costante cipiglio sul volto.
“La vittima è morta in seguito alla frattura del collo,” disse. “C’erano lividi sulle braccia e le gambe che indicano che è stata spinta a terra o contro una parete. La donna è morta da circa dodici ore. Non c’erano segni di penetrazione forzata.”
Si riappoggiò all’indietro con le braccia incrociate.
Simms sollevò le sopracciglia e si voltò verso Avery.
“Detective Black? Qualcosa sulla famiglia?”
“Un vicolo cieco,” disse Avery. “La vittima vedeva i genitori una volta alla settimana per portargli la spesa e preparargli la cena. Niente fidanzato. Nessun altro parente stretto a Boston. Ma aveva uno stretto gruppo di amiche con cui dovrò parlare. I genitori non sono sospetti, quasi non riuscivano ad alzarsi dal divano. Avremmo cominciato a fare ricerche sulle amiche, ma non ero sicura del protocollo,” disse, con uno sguardo a O’Malley.
“Grazie,” disse Simms. “Abbiamo capito. Credo che dopo questa riunione sarai tu al comando, detective Black, ma non sono io a decidere. Ecco cosa ha scoperto la mia squadra finora. Abbiamo controllato i suoi tabulati telefonici e gli indirizzi email. Lì niente di strano. Le telecamere del palazzo erano disattivate e l’edificio non appare in altre riprese. Però abbiamo trovato qualcosa alla libreria della Venemeer. Oggi era aperta. Ha due dipendenti a tempo pieno. Non sapevano della sua morte ed erano sinceramente sconvolti. Nessuno dei due sembra un possibile sospettato, ma entrambi hanno detto che di recente il negozio ha avuto dei problemi con una banda locale chiamata Chelsea Death Squad. Il nome viene dal loro punto di ritrovo principale, su Chelsea Street. Ho parlato con la nostra unità che si occupa di bande e ho saputo che sono una gang ispanica relativamente nuova, affiliata alla lontana con qualche cartello. Il loro capo è Juan Desoto.”
Avery aveva sentito parlare di Desoto ai tempi in cui lavorava sulle gang, durante i suoi primi anni in polizia. Era un pesce piccolo con una squadra appena formata, ma per anni aveva fatto il sicario per molte grosse bande in tutta Boston.
Perché un assassino della mafia con la propria banda avrebbe voluto uccidere la proprietaria di una piccola libreria e depositarne il corpo in bella vista su uno yacht? si chiese.
“Sembra che tu abbia trovato una buona pista,” esclamò Holt. “È seccante dover cedere le redini a un dipartimento dall’altra parte del canale. Purtroppo è la vita. Non è vero, capitano O’Malley? Un compromesso, giusto?” Sorrise.
“È giusto,” rispose con riluttanza O’Malley.
Simms si raddrizzò.
“Juan Desoto sarebbe sicuramente il mio sospettato numero uno. Se questo fosse il mio caso,” sottolineò, “cercherei di andare a trovare lui per primo.”
La frecciatina infastidì Avery.
Davvero mi serve tutto questo? pensò. Anche se era molto incuriosita dal caso, i confini confusi tra i responsabili la disturbavano. Devo seguire i suoi ordini? Ora è lui il mio supervisore? O posso fare quello che voglio?
O’Malley sembrò leggerle il pensiero.
“Credo che qui abbiamo finito. Giusto, Will?” disse, prima di rivolgersi esclusivamente ad Avery e a Ramirez. “Da adesso voi due siete i responsabili, a meno che non dobbiate consultarvi con il detective Simms a proposito delle informazioni di cui abbiamo appena parlato. Proprio ora stanno facendo delle copie dei file per voi. Verranno inviate all’A1. Dunque,” si alzò con un sospiro, “a meno che non ci siano altre domande, potete iniziare. Io ho un dipartimento da gestire.”
*
La tensione dentro l’A7 continuò a innervosire Avery fino a quando non si furono allontanati dall’edificio e dai giornalisti, e furono di nuovo in auto.
“È andata bene,” esultò Ramirez. “Ti rendi conto di cosa è appena successo là dentro?” chiese. “Ti hanno appena affidato il più grosso caso che l’A7 abbia avuto da anni, e solo perché sei Avery Black.”
Avery annuì silenziosamente.
Essere al comando aveva un alto costo. Poteva fare le cose a modo suo, ma se ci fossero stati dei problemi sarebbero stati solo una sua responsabilità. Oltretutto, aveva la sensazione che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto notizie dall’A7. Mi sembra di avere due capi adesso, gemette dentro di sé.
“Quale è la nostra prossima mossa?” chiese Ramirez.
“Ripartiamo da zero con l’A7 e andiamo a trovare Desoto. Non sono certa di che cosa troveremo, ma se la sua banda stava molestando la proprietaria di una libreria, vorrei sapere il perché.”
Ramirez fischiò.
“Come fai a sapere dove trovarlo?”
“Tutti sanno dove trovarlo. Ha un piccolo caffè su Chelsea Street, vicino alla tangenziale e al parco.”
“Credi che sia il nostro uomo?”
“Non sarebbe la prima volta che Desoto ammazza qualcuno.” Avery scrollò le spalle. “Non sono sicura che questa scena del crimine corrisponda al suo modus operandi, ma potrebbe saperne qualcosa. A Boston è una leggenda. Da quello che so, ha lavorato per i neri, gli irlandesi, gli italiani, gli ispanici, tutti. Quando ero una recluta lo chiamavano l’Assassino Fantasma. Per anni nessuno ha nemmeno creduto che esistesse. L’unità anti crimine organizzato gli ha affibbiato degli omicidi persino a New York, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare qualcosa. Ha sempre avuto quel caffè, da quando lo conosco.”
“Lo hai mai incontrato?”
“No.”
“Sai che faccia ha?”
“Sì,” disse lei. “Una volta ho visto una sua foto. Ha la pelle chiara ed è molto, molto grosso. Credo che si sia anche fatto affilare i denti.”
Ramirez si voltò verso di lei e sorrise, ma sotto quell’espressione Avery percepì lo stesso panico e la scarica di adrenalina che stava iniziando a provare lei. Stavano per entrare nella fossa dei leoni.
“Sarà interessante,” commentò lui.
CAPITOLO SEI
Il caffè si trovava sul lato nord del sottopassaggio per la tangenziale di East Boston. Era dentro un palazzo di mattoni a un piano con grandi vetrate e una semplice insegna, Caffè. I vetri erano oscurati.
Avery parcheggiò vicino all’ingresso e uscì dall’auto.
Il cielo si era rabbuiato. Verso sud-ovest, vedeva l’arancio, il rosso e il giallo del tramonto. Sul lato opposto c’era un negozio di alimentari e il resto della strada era occupato da case. La zona era tranquilla e modesta.
“Facciamolo,” disse Ramirez.
Dopo una lunga giornata passata a obbedire agli ordini e a partecipare a riunioni, Ramirez sembrava carico e pronto all’azione. La sua impazienza preoccupò Avery. Alle bande non piace che dei poliziotti nervosi invadano il loro territorio, pensò. Specialmente quelli senza mandato e che hanno solo delle chiacchiere su cui basarsi.
“Vacci piano,” disse. “Faccio io le domande. Niente mosse improvvise. Non atteggiarti in alcun modo, okay? Siamo qui solo per fare domande e per vedere se possono aiutarci.”
“Certo.” Ma Ramirez si incupì e il suo linguaggio del corpo disse tutt’altro.
Quando entrarono nel locale risuonò il tintinnio di una campanella.
Il minuscolo spazio ospitava quattro séparé con dei divanetti rossi e un unico bancone al quale si potevano ordinare il caffè e altre portate da colazione durante la giornata. Sul menù c’erano meno di quindici piatti e nel locale ancora meno clienti.
Due uomini ispanici anziani e magri che avrebbero potuto essere dei senzatetto bevevano caffè seduti in uno dei séparé sulla sinistra. In un altro era accomodato scompostamente un giovane gentiluomo con gli occhiali da sole e un borsalino nero, che si voltò verso la porta. Indossava una canottiera nera e in una fondina da spalla aveva una pistola in bella mostra. Avery lanciò un’occhiata alle sue scarpe. Quarantadue, pensò. Al massimo un quarantadue e mezzo.
“Puta,” sussurrò l’uomo alla vista di Avery.
Gli uomini anziani non sembrarono accorgersi di nulla.
Dietro al bancone non c’era lo chef né il commesso addetto all’asporto.
“Salve,” salutò Avery. “Vorremmo parlare con Juan Desoto, se è dentro?”
Il giovane uomo scoppiò a ridere.
Pronunciò rapidamente qualche parola in spagnolo.
“Dice: ‘vai a farti fottere, poliziotta puttana con il tuo cagnolino,’” tradusse Ramirez.
“Adorabile,” commentò Avery. “Senti, non vogliamo problemi,” aggiunse e sollevò entrambi i palmi in segno di sottomissione. “Vogliamo solo fare qualche domanda a Desoto su una libreria su Summer Street che sembra non piacergli.”
L’uomo si raddrizzò e indicò la porta.
“Fuori dai piedi, polizia!”
C’erano molti modi in cui Avery avrebbe potuto gestire la situazione. L’uomo aveva un pistola e lei supponeva che fosse carica e senza licenza. Sembrava pronto ad attaccarla senza alcuna ragione. Quello, insieme al bancone vuoto, la portò a pensare che stesse succedendo qualcosa in una stanza sul retro. Droga, immaginò, oppure là dietro hanno uno sventurato negoziante e lo stanno massacrando di botte.
“Vogliamo solo qualche minuto con Desoto,” ripeté.
“Troia!” esclamò l’uomo, alzandosi e prendendo la pistola.
Ramirez estrasse immediatamente la sua.
I due uomini anziani continuarono a bere il loro caffè e a sedere in silenzio.
Ramirez gridò da sopra la canna della pistola.
“Avery?”
“Tutti quanti, calmatevi,” ordinò lei.
Un uomo apparve da un’apertura sulla cucina dietro al bancone, un individuo corpulento a giudicare dal collo e dalle guance rotonde. Sembrava essersi chinato per farsi vedere, il che riduceva la sua altezza. Il volto era parzialmente nascosto nell’ombra; era un ispanico calvo e dalla pelle chiara con una luce divertita negli occhi. Sulle labbra aveva un sorriso e nella bocca portava una griglia che faceva sembrare i suoi denti dei diamanti affilati. Non sembrava avere cattive intenzioni, ma era tanto tranquillo e calmo in quella situazione tesa che Avery fu costretta a interrogarsi sul motivo.
“Desoto,” disse.
“Niente armi, niente armi,” Desoto fece cenno dal riquadro della finestra. “Tito,” chiamò, “appoggia la pistola sul tavolo. Agenti. Mettete le pistole sul tavolo. Niente armi qui.”
“Assolutamente no,” disse Ramirez tenendo l’arma puntata sull’altro uomo.
Avery riusciva a sentire il corto pugnale che teneva legato alla caviglia, nel caso fosse finita nei guai. E oltretutto tutti sapevano che loro due erano diretti al locale di Desoto. Andrà tutto bene, pensò. Spero.