Una Ragione per Correre - Блейк Пирс 5 стр.


“Mettila giù,” disse.

In segno di buona fede, prese delicatamente la Glock con le punte delle dita e la mise sul tavolo tra i due uomini anziani.

“Fallo,” disse a Ramirez. “Lasciala sul tavolo.”

“Merda,” sussurrò il partner. “Non mi piace per niente. Neanche un po’.” E tuttavia obbedì; appoggiò la pistola sul tavolo. Solo allora l’altro uomo, Tito, mise giù la sua e sorrise.

“Grazie,” disse Desoto. “Non vi preoccupate. Nessuno vuole le vostre pistole da poliziotto. Lì saranno al sicuro. Venite. Parliamo.”

Svanì dalla vista.

Tito indicò una piccola porta rossa, praticamente impossibile da notare data la sua posizione dietro uno dei séparé.

“Prima tu,” disse Ramirez.

Tito fece un inchino ed entrò.

Ramirez fu il secondo e Avery li seguì.

La porta rossa si apriva sulla cucina. Un corridoio portava ancora più a fondo nel palazzo. Proprio davanti a loro c’era una scalinata che scendeva in cantina, ripida e buia. In fondo c’era un’altra porta.

“Ho un brutto presentimento,” sussurrò Ramirez.

“Buono,” sibilò Avery.

Nella stanza oltre la porta era in corso una partita di poker. Cinque uomini, tutti ispanici, ben vestiti e armati di pistole, si ammutolirono al loro arrivo. Il tavolo era coperto di denaro e gioielli e alle pareti dell’ampia stanza erano appoggiati dei divanetti. Su numerosi scaffali Avery notò mitra e machete. C’era anche un’altra porta. Una rapida occhiata ai loro piedi rivelò che nessuno di loro aveva scarpe grandi abbastanza da essere l’assassino.

Sul divano, con le braccia allargate e un enorme sorriso sul volto che rivelava la griglia di denti affilati, c’era Juan Desoto. Il suo fisico era più taurino che umano, pompato e scolpito da allenamenti quotidiani e, Avery immaginò, steroidi. Un gigante anche da seduto, era alto più di due metri. Anche i suoi piedi erano enormi. Almeno un quarantasei, pensò Avery.

“State calmi, tutti quanti, calmi,” ordinò Desoto. “Giocate, giocate,” sospinse i suoi uomini. “Tito, porta loro qualcosa da bere. Che cosa le piacerebbe, agente Black?” chiese con enfasi.

“Mi conosce?” domandò lei.

“Non la conosco,” rispose l’uomo. “Ma so chi è lei. Due anni fa ha arrestato il mio cuginetto Valdez e alcuni dei miei cari amici nei West Side Killers. Sì, ho molti amici in altre bande,” disse, davanti allo sguardo sorpreso di Avery. “Non tutte le gang lottano tra di loro come bestie. Io preferisco pensare più in grande. La prego. Che cosa posso portarle?”

“Per me niente,” rispose Ramirez.

“Sto bene così,” aggiunse lei.

Desoto annuì verso Tito, che uscì da dove era entrato. Tutti gli uomini al tavolo continuarono a giocare a carte, eccetto uno. L’altro uomo era la copia esatta di Desoto, solo molto più piccolo e più giovane. Borbottò qualcosa a Desoto e i due ebbero un’accesa conversazione.

“È il fratello minore di Desoto,” tradusse Ramirez. “Pensa che dovrebbero ucciderci entrambi e buttarci nel fiume. Desoto sta cercando di dirgli che è per questo che è sempre in prigione, perché pensa troppo quando invece dovrebbe tenere la bocca chiusa e ascoltare.”

“Sientate!” gridò alla fine Desoto.

Con riluttanza, il fratello minore si riaccomodò ma fissò Avery in cagnesco.

Desoto prese fiato.

“Le piace essere una poliziotta famosa?” chiese.

“Non proprio,” rispose Avery. “Dà agli uomini come te un bersaglio all’interno del dipartimento di polizia. Non mi piace essere un bersaglio.”

“Vero, vero,” confermò lui.

“Stiamo cercando informazioni,” aggiunse Avery. “Una donna di mezza età di nome Henrietta Venemeer ha una libreria sulla Summer. Libri spirituali, new age, psicologia, cose così. Si dice che non ti piaccia il suo negozio. Qualcuno le stava dando fastidio.”

“E sarei stato io?” esclamò lui sorpreso, indicandosi.

“Tu o i tuoi uomini. Non siamo sicuri. È per questo che siamo qui.”

“Perché sareste venuti fin qui, dentro la tana del lupo, per chiedere di una donna con una libreria? Vi prego, spiegatemi.”

Non sembrò aver riconosciuto né il nome di Henrietta né la sua libreria. A dire la verità, Avery ebbe l’impressione che si sentisse insultato da quell’accusa.

“È stata assassinata la notte scorsa,” disse Avery, facendo molta attenzione agli uomini nella stanza e alle loro reazioni. “Le hanno spezzato il collo e l’hanno legata a uno yacht nella marina su Marginal Street.”

“Perché avrei dovuto fare una cosa del genere?” domandò lui.

“È quello che vogliamo scoprire.”

Desoto iniziò a parlare ai suoi uomini in uno spagnolo rapido e agitato. Il fratello minore e un altro uomo sembravano irritati di essere accusati di qualcosa così chiaramente al di sotto di loro. Invece gli altri tre si fecero imbarazzati sotto quell’interrogatorio. Iniziò una discussione. A un certo punto, Desoto si alzò in preda alla rabbia e sfoggiò tutta la sua altezza e la sua stazza.

“Quei tre sono stati al negozio,” sussurrò Ramirez. “Lo hanno rapinato due volte. Desoto è incazzato perché è la prima volta che ne sente parlare, e non ha mai avuto la sua parte.”

Con un ruggito, Desoto sbatté il pugno sul tavolo e lo spaccò in due. Banconote, monete e gioielli volarono per aria. Una collana quasi frustò Avery al volto e lei fu costretta a spingersi contro la porta. Tutti e cinque gli uomini si alzarono dalle sedie. Il fratello di Desoto gridò per la frustrazione e alzò le braccia. Desoto concentrò tutta la sua furia su un uomo in particolare. Puntò un dito in volto al tizio e volarono minacce.

“È stato lui a portare gli altri al negozio,” bisbigliò Ramirez. “È nei guai.”

Desoto si voltò con le braccia spalancate.

“Vi devo delle scuse,” annunciò. “I miei uomini hanno veramente avvicinato questa donna nel suo negozio. Due volte. È la prima volta che ne sento parlare.”

Il cuore di Avery batteva forte. Erano in una stanza isolata piena di criminali arrabbiati e armati, e nonostante le parole e i gesti di Desoto, l’uomo era una presenza intimidatoria, e se le voci erano vere, un pluriomicida.

“Grazie,” rispose Avery. “Giusto per essere chiari, uno dei tuoi uomini potrebbe aver avuto un motivo per uccidere Henrietta Venemeer?”

“Nessuno uccide senza il mio permesso,” affermò lui categoricamente.

“La Venemeer è stata posizionata in modo strano sulla barca,” insisté Avery. “In bella vista di tutto il porto. Le hanno disegnato una stella sopra la sua testa. Significa qualcosa per te?”

“Ti ricordi mio cugino?” domandò Desoto. “Michael Cruz? Un piccoletto? Magrolino?”

“No.”

“Gli hai spezzato un braccio. Gli ho chiesto come avesse potuto farsi battere da una ragazzina, e lui ha detto che era molto veloce, e forte. Credi che potresti battere me, agente Black?”

Era iniziata una spirale discendente.

Avery riusciva a sentirlo. Desoto si annoiava. Aveva risposto alle loro domande, era seccato e arrabbiato, e aveva due poliziotti disarmati nella saletta privata sotto il suo negozio. Anche gli uomini che stavano giocando a poker ormai erano totalmente concentrati su di loro.

“No,” disse lei. “Secondo me in una lotta corpo a corpo mi ammazzeresti.”

“Credo nella legge del taglione,” disse Desoto. “Credo che quando vengono date informazioni, in cambio ne devono essere ricevute. L’equilibrio,” sottolineò, “è molto importante nella vita. Io ti ho dato delle informazioni. Tu hai arrestato mio cugino. Ora hai preso due volte qualcosa da me. Lo capisci, vero?” domandò. “Tu mi devi qualcosa.”

Avery indietreggiò e assunse la tipica posa da jujitsu, con le gambe piegate leggermente divaricate, le braccia alzate e le mani aperte sotto il mento.

“Che cosa ti devo?” chiese.

Con un grugnito, Desoto balzò in avanti, caricò il braccio destro e colpì.

CAPITOLO SETTE

Nella mente di Avery la stanza si svuotò; divenne nera e tutto ciò che riusciva a vedere erano i cinque uomini, Ramirez accanto a lei e il pugno di Desoto che le si avvicinava al volto. La chiamava la nebbia, una dimensione dove andava spesso ai tempi in cui correva. Un altro mondo, separato dalla sua esistenza fisica. Il suo istruttore di jujitsu la definiva la “consapevolezza definitiva”, uno spazio in cui la sua concentrazione si faceva selettiva, e quindi i sensi erano più amplificati attorno a determinati obiettivi.

Volteggiò oltre il braccio di Desoto e gli strinse il polso. Nello stesso momento, raddrizzò un fianco per fare leva e usò lo slancio per scagliarlo sul pavimento dello scantinato. Il legno si incrinò e il grosso uomo si schiantò pesantemente.

Senza fermarsi, Avery si girò e colpì il suo assalitore allo stomaco. Dopo di che, tutto iniziò a muoversi al rallentatore. Prese di mira tutti e cinque gli uomini, per provocare il massimo dei danni con il minimo dello sforzo. Un colpo alla gola ne fece cadere uno a terra. Un calcio all’inguine seguito da un violento colpo all’indietro e un altro uomo si schiantò sul tavolo spaccato. Per un secondo perse di vista il fratello di Desoto. Si voltò per scoprire che stava per colpirla con un tirapugni; Ramirez si intromise con un balzo e lo sbatté a terra.

Desoto ruggì e la afferrò da dietro in una stretta micidiale.

L’enorme peso del suo corpo era come un blocco di cemento. Avery non riusciva a liberarsi dalla sua presa. Calciò per aria e lui la sollevò e la gettò contro un muro.

Avery volò contro una scaffalatura e l’intero mobile le precipitò addosso quando cadde a terra. Desoto le sferrò un calcio allo stomaco; il colpo fu così forte da sollevarla per aria. Un altro calcio e le scattò la testa all’indietro. Desoto si abbassò. Grosse braccia le strinsero il collo in una morsa pericolosa. Uno scatto rapido e lei tornò verticale, con i piedi ciondoloni.

“Potrei spezzarti il collo,” sussurrò lui, “come un ramoscello.”

Stordita.

La sua mente era stordita per i colpi. Era difficile prendere fiato.

Concentrati, ordinò a se stessa. O sei morta.

Cercò di farlo ribaltare, o di liberarsi dalla presa delle sue braccia. La morsa ferrea la tenne stretta. Qualcosa si abbatté sulla schiena di Desoto. L’uomo abbassò i piedi di Avery per terra e si guardò alle spalle per vedere Ramirez con una sedia.

“Non ti ha fatto male?” chiese Ramirez.

Desoto ringhiò.

Avery tornò in sé, sollevò una gamba e gli spinse il tallone sulle dita dei piedi.

“Uh!” ululò Desoto.

Indossava una maglietta bianca con i bottoni, pantaloni corti beige e infradito; il tallone di Avery gli aveva spaccato due ossa. Istintivamente la lasciò andare, e quando fu pronto a stringerla di nuovo, Avery era già in posizione. Un rapido pugno alla gola fu seguito da un colpo al plesso solare.

A terra c’era una mazza di ferro.

Lei la prese e lo colpì alla testa.

Desoto si accasciò immediatamente al suolo.

Due dei suoi uomini erano già a terra, incluso il fratello minore. Un terzo, che aveva osservato la lotta con Desoto, sgranò gli occhi per la sorpresa. Estrasse la pistola e Avery gli schiaffeggiò la mano con la mazza, volteggiò su se stessa per lo slancio e lo colpì in faccia. L’uomo volò contro una scaffalatura.

Nel frattempo gli ultimi due uomini avevano sopraffatto Ramirez.

Avery roteò la mazza contro l’interno delle ginocchia di un assalitore. Lui si ribaltò e lei gli abbatté il metallo sul petto, per poi calciarlo in faccia con violenza. L’altro uomo le sferrò un pugno su una guancia e la scagliò urlando sul tavolo da poker.

Si schiantarono insieme.

L’uomo era su di lei e continuava a colpirla. Alla fine Avery riuscì ad afferrargli un polso e si girò. Lui cadde e lei roteò per intrappolargli le braccia in una presa di sottomissione. Era perpendicolare al suo corpo. Aveva la gambe sopra la sua pancia e le braccia erano diritte e iper-estese.

“Lasciami andare! Lasciami andare!” gridò l’uomo.

Lei sollevò una gamba e lo calciò in faccia fino a quando non perse i sensi.

“Vaffanculo!” urlò.

Tutto cadde nel silenzio. Tutte e cinque gli uomini, Desoto incluso, erano svenuti.

Ramirez gemette e si alzò sulle mani e le ginocchia.

“Gesù…” sussurrò.

Avery notò una pistola sul pavimento. La prese e la puntò alla porta dello scantinato. Non appena ebbe preso la mira, Tito apparve.

“Non alzare la pistola!” strillò Avery. “Mi hai sentita? Non farlo!”

Tito gettò un’occhiata all’arma che stringeva in mano.

“Alza la pistola e ti sparo.”

La scena nella stanza era impossibile da credere per Tito; quando vide Desoto, rimase praticamente a bocca spalancata.

“L’hai fatto tu questo?” domandò seriamente.

“Lascia a terra la pistola!”

Tito prese la mira.

Avery fece fuoco due volte nel suo petto e lo spedì a gambe all’aria sulle scale.

CAPITOLO OTTO

Fuori dal caffè, Avery si teneva una borsa di ghiaccio sull’occhio. Sotto pulsavano due brutti lividi e tutta la guancia era gonfia. Respirare era difficile, che le fece temere di essersi rotta una costola, e aveva il collo dolorante e arrossato per la stretta violenta di Desoto.

Nonostante le violenze, Avery si sentiva bene. Meglio che bene. Era riuscita a difendersi contro un killer gigantesco e altri cinque uomini.

Ce l’hai fatta, pensò.

Aveva passato anni a imparare a combattere, innumerevoli anni e ore da sola nel dojo, facendo sparring contro se stessa. Aveva già partecipato ad altri combattimenti, ma nessuno contro cinque uomini, e di certo nessuno contro qualcuno di forte quanto Desoto.

Ramirez era seduto sul marciapiede. Uscito dallo scantinato era stato sul punto di collassare. In confronto ad Avery era messo molto male: il suo volto era tumefatto e coperto di tagli, e aveva costantemente le vertigini.

“Sei stata una bestia laggiù,” borbottò, “un vero animale…”

“Grazie?” rispose lei.

Il locale di Desoto era nel cuore dell’A7, quindi Avery si era sentita obbligata a chiamare Simms per i rinforzi. Un’ambulanza era sulla scena, insieme a diversi agenti dell’A7 arrivati per portare dentro Desoto e i suoi uomini con le accuse di aggressione, possesso d’armi e altre piccole infrazioni. Il corpo di Tito, avvolto in un sacco nero, venne riportato su e caricato nel retro del veicolo per le emergenze.

Simms apparve e scosse la testa.

“Laggiù è un casino,” disse. “Grazie per tutte le scartoffie extra.”

“Preferivi che chiamassi i miei?”

“No,” ammise lui, “immagino di no. Abbiamo tre diversi dipartimenti che stanno cercando di incastrare Desoto, così almeno possiamo metterlo sotto torchio. Non so cosa avessi in mente, a venire qui senza rinforzi, ma bel lavoro. Come hai fatto ad affrontarli tutti e sei da sola?”

“Sono stata aiutata,” rispose Avery con un cenno verso Ramirez.

Ramirez alzò una mano in segno di riconoscimento.

“E che mi dici dell’assassino dello yacht?” chiese Simms. “Qualche collegamento?”

“Non credo,” rispose lei. “Due dei suoi uomini hanno rapinato il negozio un paio di volte. Desoto era sorpreso e incazzato. Se i commessi confermano la storia, credo che non ci siano dubbi. Volevano i soldi, non una proprietaria del negozio morta.”

Un altro agente apparve e fece cenno a Simms.

Simms diede un colpetto sulla spalla di Avery.

“Forse è meglio se te ne vai,” disse. “Ora li portano su.”

“No,” disse Avery. “Vorrei vederlo.”

Desoto era così grosso che dovette chinarsi per uscire dalla porta d’ingresso. Era affiancato da due agenti e ce n’era un altro alle sue spalle. In confronto a tutti gli altri, sembrava un gigante. I suoi uomini vennero accompagnati di sopra dopo di lui. Tutti furono sospinti verso un furgone della polizia. Mente si avvicinava ad Avery, Desoto si fermò e si voltò; nessuno dei poliziotti riuscì a farlo smuovere.

“Black,” la chiamò.

“Sì?” disse lei.

“Sai quel bersaglio di cui parlavi?”

“Sì?”

“Click, click, boom,” disse lui con un occhiolino.

La fissò per un altro istante prima di lasciare che la polizia lo facesse salire sul furgone.

Le minacce a vuoto facevano parte del lavoro. Avery lo aveva imparato molto tempo prima, ma un uomo come Desoto non parlava a vanvera. Vista da fuori, rimase immobile e lo fissò fino a quando non se ne fu andato, ma dentro di sé riuscì a malapena a mantenere la calma.

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