Blake Pierce
Prima Che Abbia Bisogno. Un Mistero di Mackenzie White 5
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di otto libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da cinque libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da quattro libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.
Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore.
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LIBRI DI BLAKE PIERCE
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
KILLER PER CASO (Libro #5)
CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)
MORTE AL COLLEGE (Libro #7)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)
PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)
PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)
PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Book #5)
PRIMA CHE SENTA (Book #6)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
UNA RAGIONE PER SALVARE (Libro #5)
I MISTERI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
PROLOGO
Joey Nestler sapeva che un giorno sarebbe stato un grande poliziotto. Suo padre era stato un agente, così come il padre di suo padre. Il nonno di Joey si era addirittura beccato una pallottola in petto nel 1968, andando in pensione in anticipo. Fare il poliziotto era nel sangue di Joey e anche se aveva solo ventotto anni e gli venivano assegnati soltanto incarichi del cavolo, sapeva che un giorno sarebbe arrivato molto in alto.
Non quel giorno, però. Gli era stato assegnato un altro stupido incarico in cui doveva fare da esca: una palla, insomma. Joey sapeva che avrebbe dovuto svolgere incarichi del genere almeno per altri sei mesi, ma gli stava bene. Girare lungo le coste di Miami su un’auto della polizia a primavera inoltrata era un bel compromesso. Le ragazze non vedevano l’ora di sfoggiare pantaloncini striminziti e bikini appena il tempo era bello, e poteva godersi meglio lo spettacolo quando doveva svolgere incarichi noiosi.
Una volta portato a termine il compito di quel giorno, sarebbe tornato a perlustrare le strade in cerca di bellezze al bagno. Parcheggiò davanti alle lussuose villette a schiera, ognuna delimitata da una serie di palme curate alla perfezione. Scese dalla volante senza troppa fretta, certo che si sarebbe rivelato un semplice caso di lite domestica. Eppure, doveva ammettere che i dettagli del suo incarico lo avevano incuriosito.
Quella mattina, una donna aveva chiamato il distretto sostenendo che la sorella non rispondeva né alle chiamate né alle email. Solitamente questo non avrebbe suscitato alcun interesse, ma verificando l’indirizzo della sorella, avevano scoperto che era proprio accanto alla villetta da cui la sera prima era partita una telefonata per rumori molesti. A quanto pareva, un cane aveva abbaiato furiosamente per tutta la notte, ma quando avevano provato a bussare o telefonare ai padroni, nessuno aveva risposto. La polizia aveva quindi richiamato la donna, che aveva confermato che la sorella aveva effettivamente un cane.
E ora eccomi qui, pensò Joey mentre saliva i gradini del portico.
Era già passato dal proprietario della casa a prendere le chiavi, e già quello rendeva il suo incarico leggermente più interessante del solito. Questo però non gli impedì di sentirsi sottoutilizzato e un po’ sciocco mentre bussava alla porta. Dato tutto quello che aveva sentito sul caso, non si aspettava nemmeno che aprisse qualcuno.
Bussò più volte, i capelli che iniziavano ad inumidirsi di sudore nel berretto sotto il sole.
Dopo due minuti, ancora niente. Non era sorpreso.
Joey prese la chiave e sbloccò la serratura. Socchiuse la porta e disse a voce alta:
“C’è nessuno? Sono l’agente Nestler, polizia di Miami. Adesso entro in casa e…”
Fu interrotto dall’abbaio di un piccolo cane, che arrivò di corsa. Era un Jack Russel terrier. Anche se la bestiola faceva del proprio meglio per intimidire quello sconosciuto alla porta, sembrava anche spaventato. Le zampe posteriori gli tremavano.
“Ehi, amico” disse Joey entrando. “Dove sono mamma e papà?”
Il cagnolino mugolò. Joey si fece avanti. Aveva fatto appena due passi nel piccolo ingresso, diretto al soggiorno, quando sentì un puzzo terribile. Abbassò lo sguardo sul cane e corrugò la fronte.
“È un po’ che nessuno ti porta fuori, eh?”
Il cane abbassò la testa, come se avesse capito perfettamente la domanda e si vergognasse.
Joey andò in soggiorno, riprovando a chiamare i padroni di casa.
“Salve? Cerco il signore o la signora Kurtz. Sono l’agente Nestler, polizia di Miami.”
Nemmeno stavolta ottenne risposta, ed era certo che non ne avrebbe ricevuta. Esaminò il soggiorno, constatando che era perfettamente pulito. Quindi entrò nella cucina adiacente e si portò una mano al viso per coprire naso e bocca. Il cane aveva scelto quella stanza come toilette; il pavimento era ricoperto di pipì e due mucchi di escrementi erano davanti al frigo.
Dall’altra parte della stanza c’erano la ciotola per il cibo e quella per l’acqua, entrambe vuote. Dispiacendosi per il cagnetto, Nestler riempì la ciotola di acqua del rubinetto. Il cane si mise subito a bere avidamente, mentre Nestler usciva dalla cucina. Arrivò alla rampa di scale che si trovava appena fuori dal soggiorno e si diresse al piano di sopra.
Appena giunto nel corridoio, Joey Nestler provò quello che suo padre chiamava l’istinto di un poliziotto per la prima volta nella sua carriera. Capì subito che c’era qualcosa che non andava. Sapeva che avrebbe scoperto qualcosa di brutto, qualcosa che non si sarebbe aspettato.
Estrasse la pistola dalla fondina, sentendosi un po’ sciocco mentre percorreva il corridoio. Superò un bagno (dove vide un’altra pozza di urina del cane) e un piccolo studio. Questo era leggermente in disordine, ma niente faceva pensare a qualcosa di allarmante.
In fondo al corridoio c’era una porta aperta, che rivelava la camera matrimoniale.
Nestler si immobilizzò sulla soglia, con il sangue che gli si gelava nelle vene.
Rimase a fissare la scena per cinque secondi prima di entrare.
Un uomo e una donna, con ogni probabilità il signore e la signora Kurtz, giacevano sul letto, morti. Sapeva che non stavano dormendo a causa della quantità di sangue che ricopriva lenzuola, pareti e moquette.
Joey fece due passi prima di fermarsi. Questa non era roba per lui. Doveva chiamare la centrale al più presto. Oltretutto aveva già visto abbastanza dal punto in cui si trovava. Il signor Kurtz era stato pugnalato al petto, mentre la signora Kurtz aveva la gola tagliata da un orecchio all’altro.
In vita sua Joey non aveva mai visto tanto sangue. A quella vista quasi prese a girargli la testa.
Uscì dalla camera da letto indietreggiando, senza pensare a suo padre o suo nonno, senza pensare al grande poliziotto che voleva diventare un giorno.
Si precipitò giù dalle scale, lottando contro una pesante ondata di nausea. Mentre tentava di prendere la trasmittente che aveva appuntata alla spalla dell’uniforme, vide il Jack Russel correre fuori dalla villetta, ma non gli importava.
Lui e il cagnolino erano davanti alla casa quando Nestler chiamò la centrale. Il cane guaiva al cielo come se quello avrebbe in qualche modo potuto cambiare l’orrore che era dentro casa.
CAPITOLO UNO
Mackenzie White era seduta alla sua postazione e faceva scorrere un dito lungo i bordi di un biglietto da visita. Era un biglietto da visita su cui si fissava da mesi ormai, un biglietto in qualche modo legato al suo passato, o meglio, all’assassino di suo padre.
Lo ritirava fuori ogni volta che chiudeva un caso, domandandosi quando si sarebbe concessa una pausa dal suo lavoro di agente per tornare in Nebraska e rivedere il luogo dov’era stato ucciso il padre con occhi diversi, senza essere condizionata dalla mentalità dell’FBI.
Ultimamente il lavoro la stava esaurendo e ogni caso che risolveva non faceva che alimentare la sua attrazione verso il mistero che circondava il padre. Ormai era così forte che non si sentiva più soddisfatta come un tempo quando chiudeva un caso. Quello più recente aveva portato all’arresto di due uomini che stavano progettando un traffico di cocaina in una scuola superiore di Baltimora. L’incarico era durato tre giorni e tutto era filato talmente liscio che non le era sembrato nemmeno lavoro.
Da quando si era trasferita a Quantico ne aveva avuti già abbastanza di grossi casi che l’avevano trascinata in un vortice di azione e loschi affari, scampandola per un pelo. Aveva perso un partner, era riuscita a far incazzare praticamente tutti i suoi superiori e si era fatta un nome.
L’unica cosa che non aveva era un amico. C’era sempre Ellington, ma l’intesa che c’era tra loro non somigliava affatto all’amicizia. E comunque ormai Mackenzie aveva rinunciato a lui. L’aveva respinta due volte, ogni volta per un motivo diverso, e lei non aveva intenzione di farsi prendere di nuovo in giro. Le stava bene che l’unico filo che li unisse fosse il loro rapporto di lavoro.
Nelle ultime settimane aveva avuto modo di conoscere meglio il suo nuovo partner, un novellino impacciato ma zelante di nome Lee Harrison. Gli erano stati affibbiati incarichi di burocrazia e ricerca, ma stava facendo uno splendido lavoro. Mackenzie sapeva che il direttore McGrath voleva semplicemente vedere come se la cavasse sommerso di lavoro. Per il momento Harrison aveva convinto tutti.
Pensò a lui osservando il biglietto da visita. In un paio di occasioni gli aveva chiesto di indagare sull’esistenza di un negozio chiamato Antiquariato Barker. E anche se aveva ottenuto più risultati di chiunque altro negli ultimi mesi, non si era arrivati a nulla di concreto.
Stava pensando a questo quando sentì dei passi attutiti avvicinarsi alla sua postazione. Mackenzie fece scivolare il biglietto da visita sotto un plico di fogli di fianco al portatile, fingendo di controllare le email.
“Ehi, White” disse una voce maschile familiare.
È talmente bravo da sentire che stavo pensando a lui, pensò. Si girò sulla sedia e guardò Lee Harrison.
“Ti prego, non chiamarmi per cognome” gli disse. “Basta Mackenzie. O Mac, se ti senti coraggioso.”
Lui sorrise impacciato. Era chiaro che Harrison non aveva ancora capito come parlarle, né come comportarsi con lei. A lei andava bene così. A volte si chiedeva se McGrath glielo avesse assegnato come partner temporaneo solo per farlo abituare ai colleghi difficili. Se era così, pensò che fosse una mossa geniale.
“D’accordo, allora… Mackenzie” disse. “Volevo solo farti sapere che il processo ai trafficanti è appena terminato. Vogliono sapere se hai bisogno di altre informazioni da loro.”
“No, sono a posto così” disse.
Harrison annuì, ma prima di andarsene corrugò la fronte, un gesto che Mackenzie stava cominciando a considerare tipico di lui. “Posso farti una domanda?” le chiese.
“Certo.”
“Ti senti… insomma, ti senti bene? Mi sembri molto stanca. E anche rossa in viso.”
Mackenzie avrebbe potuto facilmente prenderlo in giro per quel commento e metterlo in imbarazzo, ma decise di non farlo. Era un buon agente e lei non voleva fare la parte della collega che molestava il nuovo arrivato (per quanto fosse relativamente nuova lei stessa). Perciò rispose invece: “Sì, sto bene. È solo che ultimamente non dormo molto.”
Harrison annuì. “Capisco” disse. “Be’… allora cerca di riposare un po’.” Poi corrugò di nuovo la fronte e se ne andò, probabilmente per affrontare la montagna di lavoro che McGrath aveva in serbo per lui.
Distratta dal biglietto da visita e dagli innumerevoli misteri irrisolti che questo presentava, Mackenzie si concesse di mettere tutto da parte. Si mise in pari con le email e risistemò i documenti che si stavano accumulando sulla sua scrivania. Non le capitavano molte occasioni di vivere momenti privi di gloria come quello, e ne era grata.
Quando ad un certo punto il telefono si mise a squillare, Mackenzie lo afferrò ansiosa. Qualunque cosa pur di allontanarmi da questa scrivania.
“Pronto, sono Mackenzie White” rispose.
“White, sono McGrath.”
Si concesse un brevissimo sorriso. Anche se McGrath non era assolutamente la sua persona preferita, sapeva che ogni volta che la chiamava o veniva nella sua postazione era solitamente per affidarle qualche incarico.
A quanto pareva, era proprio quello il motivo della telefonata. Mackenzie non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo che lui riprese a parlare a raffica, come suo solito.
“Ho bisogno che venga nel mio ufficio subito” le disse. “Porti anche Harrison.”
Ancora una volta, Mackenzie non ebbe modo di replicare. La linea si era interrotta prima che una singola parola potesse uscirle di bocca.
Ad ogni modo andava bene così. A quanto pareva, McGrath aveva un nuovo caso per lei. Forse sarebbe servito per stimolarle la mente e offrirle un ultimo momento di chiarezza prima di farsi da parte per concentrarsi sul caso di suo padre.
Spinta da una sorta di eccitazione spumeggiante, si alzò e andò a cercare Lee Harrison.
***
Osservare il comportamento di Harrison nell’ufficio di McGrath era un ottimo modo per Mackenzie di imparare qualcosa. Lo vide sedere impettito sul bordo della sedia mentre McGrath iniziava a parlare. Il giovane agente era chiaramente nervoso e impaziente di compiacere il capo. Mackenzie sapeva che era un perfezionista e che aveva una memoria quasi 0fotografica. Si chiese come funzionasse, se anche in quel momento stesse assorbendo ogni parola che usciva dalle labbra di McGrath come una spugna.