Prima Che Fugga - Блейк Пирс 5 стр.


“Ancora non lo sappiamo” disse Mackenzie. “Speravamo che potesse aiutarci con qualche pezzo mancante del puzzle. Ho visto sul sito dell’università che ci sono solo due consulenti assegnati al dipartimento di Scienze Politiche, e lei è uno dei due. Inoltre, so che Jo Haley e Christine Lynch avevano lo stesso consulente. Per caso si tratta di lei?”

McMahon fece una risatina nervosa. “No. E questo è uno dei motivi per cui ho così tanto lavoro in questo momento. L’altro consulente accademico del dipartimento, William Holland, si è licenziato tre giorni prima delle vacanze invernali. La maggior parte dei suoi studenti è passata a me… e probabilmente sarà così fino a che non sarà assunto qualcun’altro al suo posto. Ho un assistente che mi dà una mano, ma sono davvero sommerso di lavoro.”

“Per caso sa il motivo per cui Holland ha lasciato il posto?”

“Ecco, giravano voci che avesse una relazione con una studentessa. Per quel che ne so, non c’erano prove, così pensavo che fosse solo una diceria. Poi però si è licenziato all’improvviso, e questo mi dà da pensare.”

Già, anche a me, gli fece mentalmente eco Mackenzie.

“Per quel che ne sa, ha mai fatto altro che possa essere considerato ambiguo? Oppure questa notizia su di lui l’ha sorpresa?”

“Non posso darle una risposta certa. Insomma… lo conoscevo solamente perché lavoravamo insieme. Al di fuori del lavoro, però, non sapevo granché su di lui.”

“Perciò immagino che non abbia idea di dove abiti?”

“No, mi dispiace.”

“Già che ci siamo… signor McMahon, quando è stata l’ultima volta che ha parlato con Jo o con Christine?”

“Mai. Mi sono state entrambe assegnate insieme agli altri studenti di Holland, ma l’unica volta che le ho contattate è stato tramite un’e-mail di massa che ho inviato a tutti gli studenti per informarli.” Dopo una pausa, aggiunse: “Senta, visto quello che è successo, probabilmente riuscirei a farvi avere l’indirizzo di Holland. Devo solo fare un paio di telefonate.”

“Grazie, apprezzo il suo aiuto, ma non ce ne sarà bisogno. Anche io posso risalire a quell’informazione. Grazie per il suo tempo.”

Detto ciò, riattaccò. Ellington, seduto sul bordo del letto con ai piedi una sola scarpa, era rimasto in ascolto per tutta la conversazione.

“Chi è Holland?” chiese.

“William Holland.” Mackenzie lo aggiornò su quello che aveva appreso da McMahon. Anche lei si sedette sul letto e solo in quel momento si accorse di quanto fosse stanca.

“Ci penso io a chiedere il suo indirizzo” si offrì Ellington. “Se lavorava al campus, è probabile che viva nelle vicinanze.”

“Se è lui il nostro uomo, il mio messaggio sulla sua segreteria lo avrà probabilmente messo in allarme.”

“Allora dobbiamo agire in fretta.”

Mackenzie annuì e si accorse di essersi di nuovo posata la mano sul ventre. Adesso era quasi un’abitudine, come mangiucchiarsi le unghie o scrocchiarsi le dita.

C’è una vita, qui dentro, pensò. E se i libri hanno ragione, quella vita sta provando le mie stesse emozioni. La mia angoscia, la mia felicità, le mie paure…

Mentre ascoltava Ellington fare richiesta per ottenere l’indirizzo di William Holland, Mackenzie si domandò per la prima volta se avesse sbagliato a non dire a McGrath del bambino. Forse stava correndo un grosso rischio continuando a fare l’agente operativo.

Quando il caso sarà finito, glielo dirò, si ripromise. Mi concentrerò sul bambino e sulla mia nuova vita, e…

A quanto pareva si era persa nei suoi pensieri, perché Ellington la fissava come se aspettasse una sua risposta.

“Scusa, pensavo ad altro.”

Lui sorrise e disse. “Non fa niente. Ho l’indirizzo di William Holland. Abita qui in città, nel quartiere di Northwood. Te la senti di andare a fargli visita?”

In realtà non se la sentiva. La giornata non era stata eccessivamente estenuante, ma col fatto che era stata proiettata in un’indagine direttamente dal viaggio in Islanda e che non aveva dormito granché nelle ultime trentasei ore, la stanchezza si faceva sentire. Inoltre, sapeva che il bambino dentro di lei si nutriva delle sue energie, e quel pensiero la fece sorridere.

Ad ogni modo, se anche avessero dovuto interrogare questo tizio e prenderlo in custodia, probabilmente non ci sarebbe voluto molto. Così fece del suo meglio per avere un’espressione da dura e si alzò.

“Certo, andiamo a trovarlo.”

Ellington si mise davanti a lei, fissandola negli occhi. “Sicura? Mi sembri stanca. E meno di mezz’ora fa l’hai detto tu stessa.”

“Non ti preoccupare. Ce la faccio.”

Ellington la baciò in fronte e annuì. “Allora d’accordo, ti credo sulla parola.” Con un altro sorriso, allungò una mano ad accarezzarle la pancia, prima di andare verso la porta.

Si preoccupa per me, pensò. Ed è incredibile quanto già ami questo bambino. Sarà davvero un bravo papà…

Prima ancora di finire quel pensiero, erano già fuori dalla porta, diretti alla macchina. Agivano con tale velocità e determinazione che Mackenzie si ricordò che non avrebbe avuto tempo di pensare al loro futuro insieme, almeno finché il caso non fosse risolto.

CAPITOLO SETTE

Erano da poco passate le sette di sera quando Ellington parcheggiò davanti alla casa di William Holland. Si trattava di un piccolo edificio nascosto ai margini di un bel quartiere, di quelli che sembravano più un cottage fuori posto che una casa. Nel vialetto asfaltato c’era una sola macchina, e le luci in casa erano accese.

Ellington bussò alla porta con fare risoluto. Non si stava comportando sgarbatamente, semplicemente stava facendo capire a Mackenzie che, poiché si preoccupava per la sua salute, durante le indagini avrebbe condotto lui i giochi, che si trattasse di guidare, bussare alla porta o altro.

Ad aprire la porta fu un uomo dall’aspetto curato che sembrava avere tra i quarantacinque e i cinquant’anni. Indossava un paio di occhiali alla moda, un blazer e dei pantaloni kaki. A giudicare dalle zaffate che provenivano dalla porta alle sue spalle, doveva aver ordinato del cibo cinese da asporto.

“William Holland?” domandò Ellington.

“Esatto. E voi chi siete?”

Mackenzie fece un passo avanti ed entrambi mostrarono il distintivo contemporaneamente. “Agenti White ed Ellington, FBI. Ci è stato riferito che di recente ha abbandonato il suo ruolo alla Queen Nash.”

“È vero” disse Holland un po’ incerto. “Ma sono confuso. Perché questo dovrebbe provocare una visita dell’FBI?”

“Possiamo entrare, signor Holland?” chiese Ellington.

Holland rifletté un momento, poi acconsentì. “Sì, certo, entrate, ma non… insomma, che succede?”

Entrarono in casa senza rispondere. Quando Holland chiuse l’uscio alle loro spalle, Mackenzie notò che l’aveva fatto lentamente ma con decisione. Forse era nervoso, oppure spaventato – o ancora, cosa più probabile, entrambe le cose.

“Siamo qui in città per indagare su due omicidi” rispose infine Ellington. “Entrambe le vittime erano studentesse della Queen Nash e, a quanto abbiamo scoperto oggi, entrambe erano seguite proprio da lei.”

Erano entrati nel soggiorno e Holland non perse tempo e si lasciò cadere su una poltroncina. Li fissava come se davvero non capisse quello che gli era appena stato detto.

“Un attimo… ha detto due?”

“Esatto” intervenne Mackenzie. “Non lo sapeva?”

“Sapevo di Jo Haley. E l’unica ragione per cui l’ho imparato è perché il rettore ci informa nel caso uno studente muoia. Chi è l’altra ragazza?”

“Christine Lynch” disse Mackenzie studiandolo in cerca di una qualche reazione. Sul suo viso si accese un barlume di riconoscimento, seppur debole. “Riconosce questo nome?”

“Sì, però non… non ricordo il suo viso. Sa com’è, avevo più di sessanta studenti.”

“Ecco un altro punto interessante” disse Ellington. “Il verbo avevo, al passato. Abbiamo saputo che si è licenziato poco prima delle vacanze invernali. Questo ha forse qualcosa a che fare con le voci che avesse una relazione con una studentessa?”

“Oh, Gesù” esclamò Holland. Si accasciò allo schienale della poltrona e si sfilò gli occhiali, massaggiandosi gli occhi e sospirando. “Sì, è vero, sto frequentando una studentessa della Queen Nash. Sapevo che avevano iniziato a circolare voci su noi due e, prima che questo danneggiasse la mia carriera lavorativa o la sua carriera scolastica, mi sono licenziato.”

“Così, semplicemente?” domandò Mackenzie.

“No, non semplicemente” scattò Holland. “Erano mesi che ci vedevamo in segreto e io ne sono innamorato. Anche lei di me. Ne abbiamo discusso a lungo, tentando di decidere il da farsi. Solo che, nel frattempo, la nostra storia stava diventando di dominio pubblico, così non abbiamo avuto scelta. Ad ogni modo… cosa c’entra tutto questo con gli omicidi?”

“Niente, si spera” disse Ellington. “Ma si sforzi di vederla dal nostro punto di vista, per un istante. Abbiamo due studentesse uccise e l’unico solido collegamento tra le due è che avevano lo stesso consulente accademico, cioè lei. Se aggiunge che ha una relazione con una studentessa…”

“Perciò credete che io sia un sospetto? Che abbia ucciso io quelle ragazze?”

Mettere in parole quel pensiero sembrò provocargli la nausea. Si rimise gli occhiali sul naso e si tirò su a sedere, chinandosi in avanti.

“Non sappiamo ancora cosa pensare” disse Mackenzie. “Per questo siamo venuti a parlarle.”

“Signor Holland” riprese Ellington, “ha detto di non ricordare il viso di Christine Lynch. E cosa ci dice di Jo Haley?”

“Lei sì… a dire il vero, la conoscevo piuttosto bene. Era un’amica della ragazza che sto frequentando.”

“Quindi Jo Haley sapeva della vostra relazione?”

“Non saprei. Non credo che Melissa – la mia ragazza – glielo abbia detto. Abbiamo fatto di tutto per mantenere il segreto.”

Mackenzie si prese un momento per riflettere. Il fatto che la sua ragazza conoscesse una delle vittime – e che la vittima forse sapesse di quella relazione proibita – sicuramente non faceva che mettere Holland ancora più in cattiva luce. Mackenzie si chiese come mai avesse rivelato loro tutto questo di sua spontanea volontà e senza alcuna reticenza.

“Scusi se glielo chiedo” disse Mackenzie, “ma la sua ragazza, Melissa, è la prima studentessa con la quale ha mai avuto una relazione?”

Il volto di Holland si contrasse in un’espressione frustrata e all’improvviso scattò in piedi. “Ehi, ‘fanculo! Non potete…”

“Torni immediatamente a sedersi” intimò Ellington piazzandosi davanti a lui.

Holland parve accorgersi del proprio errore, e la sua espressione oscillava tra la rabbia e il pentimento, come se non sapesse bene cosa provare.

“Sentite, mi dispiace. Il fatto è che sono arcistufo di sentirmi giudicato per questo e non mi va di essere accusato di farmela con tutte le studentesse solo perché ho una storia con una di loro, che, tra parentesi, è maggiorenne.”

“Quanti anni ha, signor Holland?” volle sapere Mackenzie.

“Quarantacinque.”

“E Melissa?”

“Ventuno.”

“È mai stato sposato?” chiese Ellington, facendo un passo indietro e rilassando la propria postura.

“Una volta. È durata otto anni e, se proprio volete saperlo, è stato terribile.”

“Come mai il matrimonio è finito?”

Holland scosse il capo e raggiunse il piccolo disimpegno che separava il soggiorno dall’ingresso. “Direi che questa conversazione è terminata. A meno che non abbiate intenzione di accusarmi di qualcosa, potete sparire da qui. Sono sicuro che ci saranno altre persone al campus che potranno rispondere alle vostre domande.”

Mackenzie si avviò lentamente verso l’uscita, seguita da Ellington. Si voltò verso di lui, perché il suo istinto le diceva che c’era qualcos’altro.

“Signor Holland, lei capisce che rifiutandosi di collaborare non fa che peggiorare la propria situazione, vero?”

“Non fa che peggiorare da un mese a questa parte.”

“Dove si trova Melissa, al momento?” volle sapere Ellington. “Vorremmo parlare anche con lei.”

“Lei…” Holland si interruppe, scuotendo di nuovo la testa. “Anche lei è stata trascinata nel fango. Non voglio che la disturbiate per questo.”

“In altre parole” disse Ellington, “non ha intenzione di rispondere ad altre domande e si rifiuta di dirci dove si trova la prossima persona con cui dobbiamo parlare. È corretto?”

Assolutamente sì.”

Mackenzie aveva intuito che Ellington si stava spazientendo. Aveva notato la tensione nelle sue spalle e la postura più rigida. Allungò una mano e gli accarezzò il braccio, per calmarlo.

“Lo terremo presente” disse Mackenzie. “Se avremo nuovamente bisogno di parlare con lei riguardo il caso e non la troveremo in casa, la considereremo a tutti gli effetti un sospettato e la arresteremo. Ha capito?”

“Sicuro” replicò Holland.

Li fece avanzare verso l’ingresso e aprì la porta. Nell’istante in cui varcarono la soglia e furono sul portico, Holland sbatté l’uscio.

Mackenzie si avviò verso le scale del portico, ma Ellington era immobile. “Non credi che dovremmo insistere?”

“Forse. Però non credo che se fosse colpevole ci avrebbe rivelato tanti particolari di sua spontanea volontà. Inoltre… conosciamo il nome della sua fidanzata. Se necessario, non dovremmo avere problemi a scoprire anche il suo cognome. Invece, l’ultima cosa che ci serve è arrestare un consulente accademico che si trova già in una situazione precaria ed è al centro dei pettegolezzi.”

Ellington sorrise e la raggiunse alle scale. “Visto? Sono cose come questa che faranno di te una moglie magnifica. Mi impedisci sempre di fare qualche stupidaggine.”

“Immagino di poter dire che ho fatto parecchia esperienza negli ultimi anni.”

Salirono in macchina e, una volta seduta, Mackenzie si ricordò di quanto fosse stanca. Non lo avrebbe mai ammesso con Ellington, ma forse avrebbe davvero dovuto rallentare un po’.

Aspetta solo un giorno o due, piccolo, pensò rivolgendosi alla creatura che cresceva dentro di lei. Ancora qualche giorno, poi io e te potremo riposarci finché vogliamo.

CAPITOLO OTTO

Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma era difficile resistere. Inoltre… era il modo ideale di dare il via al nuovo semestre che era alle porte. Un’ultima avventura. Un’ultima notte di assoluta pazzia. E, se le cose fossero andate come al solito, se ne sarebbe andata sentendosi più potente – così potente da accantonare facilmente i brevi sprazzi di rimorso.

Sarebbe stato un ottimo modo per iniziare il semestre.

Marie non aveva nemmeno cercato di convincersi a non farlo. Nel momento in cui aveva fermato la macchina nel parcheggio, sapeva che sarebbe finita lì quella notte. Tutto ciò che doveva fare era chiamarlo per dirgli che era tornata in città e voleva vederlo. Non l’aveva mai respinta finora e dubitava che l’avrebbe fatto adesso, dopo tre settimane che non si vedevano.

E infatti ebbe ragione.

Erano le 23:05 quando raggiunse a piedi il retro dell’edificio. Era una zona poco raccomandabile della città, ma non così malfamata da far sentire Marie in pericolo a camminare per le strade da sola. Inoltre, era a soli dodici chilometri dal campus e sapeva che il tasso di criminalità lì intorno era davvero basso. Ad ogni modo, era così eccitata per quello che l’aspettava nelle ore successive, che il suo senso del pericolo era come disattivato.

Quando raggiunse il portone sul retro dell’edificio, Marie non si stupì di trovarlo chiuso. Suonò il campanello dell’appartamento e subito sentì la serratura che veniva sbloccata. Non aveva risposto al citofono, si era limitato ad aprire. Questo la fece sorridere; probabilmente era di umore molto serio quella sera. Forse persino dominante.

Che carino, pensò. Ma sappiamo chi è tra noi due che finisce sempre per dominare…

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