In Cerca di Vendetta - Блейк Пирс 6 стр.


Riley e Jenn lasciarono l’ufficio di Meredith. Riley andò dritta al suo ufficio, si sedette per un momento, guardandosi intorno senza scopo.

Des Moines, pensò.

Ci era stata soltanto qualche volta, ma era lì che sua sorella maggiore, Wendy, viveva. Le due sorelle, che si erano tenute lontane l’una dall’altra per anni, si erano rimesse in contatto il precedente autunno, quando il padre stava morendo. Era stata Wendy, e non Riley, ad essere accanto all’uomo quando era morto.

Pensare a Wendy fece riemergere in lei il senso di colpa, insieme ad altri brutti ricordi. Il padre era stato duro con Wendy, che era scappata di casa quando aveva solo quindici anni. Riley invece ne aveva cinque. Dopo la morte del padre, si erano promesse di tenersi in contatto, ma finora erano riuscite soltanto a videochattare.

Riley sapeva che avrebbe dovuto far visita alla sorella, quando le fosse stato possibile. Ma ovviamente, non subito. Meredith aveva detto che Angier distava un’ora da Des Moines, e che la polizia locale sarebbe andata a prenderle all’aeroporto.

Forse posso andare a trovare Wendy prima di tornare a Quantico, pensò.

Al momento, aveva un po’ di tempo da perdere prima che l’aereo del BAU decollasse.

E c’era un’altra persona che desiderava incontrare.

Era preoccupata per il suo partner storico, Bill Jeffreys. Viveva vicino alla base, ma erano diversi giorni che non lo vedeva. Bill soffriva della sindrome di PTSD, e Riley sapeva, per sua stessa esperienza, quanto era difficile riuscire a riprendersi.

Tirò dunque fuori il cellulare, e digitò un messaggio.


Pensavo di passare per qualche minuto. Sei a casa?


Attese per qualche minuto. Il messaggio risultava “spedito”, ma non era ancora stato letto.

Riley sospirò. Non aveva tempo di aspettare che Bill controllasse i suoi messaggi. Se lei voleva vederlo, prima di partire, doveva passare a casa sua subito, e sperare che ci fosse.

*

Il piccolo appartamento di Bill distava solo pochi minuti dall’edificio del BAU, nella città di Quantico. Quando, parcheggiata l’auto, si incamminò verso l’edificio, fu colpita ancora una volta da quanto quel posto fosse deprimente.

Non c’era nulla di particolarmente sbagliato nel condominio: era un ordinario edificio in mattoni rossi. Ma Riley non poteva fare a meno di ricordare quanto fosse bella la casa in periferia, dove Bill aveva vissuto prima del divorzio. Al confronto, quel posto non aveva alcun fascino, e ora lui ci viveva da solo. Non era una situazione felice per il suo migliore amico.

Riley entrò nell’edificio, e si diresse all’appartamento di Bill, posto al secondo piano. Bussò alla porta e aspettò.

Non ci fu alcuna risposta. Allora, bussò di nuovo e ancora nessuno rispose.

Tirò fuori il cellulare e constatò che il messaggio risultava ancora non letto.

Fu assalita da un senso di preoccupazione. Era successo qualcosa a Bill?

Mise la mano sulla maniglia della porta, e la girò.

Con suo grande sconcerto, la porta, che non era stata chiusa a chiave, si aprì.

CAPITOLO OTTO

Sembrava che l’appartamento di Bill fosse stato svaligiato. Riley restò immobile sulla porta per un istante, pronta ad impugnare la sua pistola per l’eventualità in cui un intruso fosse ancora all’interno.

Poi si rilassò. Ovunque erano sparsi cartoni vuoti di cibo, piatti e bicchieri sporchi. Quel posto era un porcile, é vero, ma si trattava di un porcile vissuto.

A quel punto si risolse a chiamare Bill.

Nessuno rispose.

Allora chiamò di nuovo.

Stavolta, le parve di aver sentito un lamento provenire da una stanza lì vicino.

Con il cuore in gola varcò la soglia della porta che conduceva nella camera da letto di Bill. La stanza era buia e le tende erano abbassate. Bill giaceva nel letto disfatto, con indosso vestiti sgualciti e lo sguardo verso il soffitto.

“Bill, perché non hai risposto quando ti ho chiamato?” chiese con ton irritato.

“Ti ho risposto” lui disse quasi sussurrando. “Non mi hai sentito. Potresti smettere di gridare?”

Riley vide una bottiglia semivuota di bourbon sul comodino. Improvvisamente, tutta la scena le si palesò davanti. Si sedette sul letto accanto a lui.

“Ho avuto una brutta nottata” Bill aggiunse, provando ad esibire un lieve sorriso forzato. “Tu sai com’è.”

“Sì, lo so” Riley rispose.

Dopotutto, la disperazione l’aveva indotta a ubriacarsi e conosceva bene i postumi delle sbornie.

Gli toccò la fronte sudata, immaginando quanto dovesse sentirsi male.

“Che cosa ti ha spinto a bere?” la partner gli domandò.

Bill gemette.

“Sono stati i miei ragazzi” l’altro rispose.

Poi, tornò silenzioso. Riley non vedeva da molto tempo i figli di Bill. Immaginava che ora avessero circa nove e undici anni.

“Che mi dici di loro?” Riley chiese.

“Ieri sono venuti a trovarmi. Non è andata bene. Questo posto era un porcile, e io ero così irascibile e nervoso. Non vedevano l’ora di andarsene. Riley, è stato terribile. Ancora una visita come questa, e Maggie non me li lascerà più vedere. Sta aspettando una scusa per tagliarli fuori dalla mia vita una volta per tutte.”

Bill emise un suono che sembrava quasi un singhiozzo. Ma sembrava che non avesse energia per piangere. Riley sospettava che avesse pianto a lungo da solo.

Bill disse: “Riley, se non sono un buon padre, allora a che cosa servo? Non sono buono come agente, non più. Che cosa resta?”

Nella gola di Riley, si formò un nodo di tristezza.

“Bill, non dire così” gli disse. “Sei un gran padre. E sei un grande agente. Forse non oggi, ma ogni altro giorno dell’anno.”

Bill scosse stancamente la testa.

“Senz’altro non mi sono sentito molto un papà ieri. E continuo a sentire quello sparo. Continuo a ricordare di essere entrato di corsa in quell’edificio e a vedere Lucy giacere in quella pozza di sangue.”

Riley sentì il suo stesso corpo tremare un po’.

Anche lei ricordava tutto anche troppo bene.

Lucy era entrata in un edificio abbandonato, inconsapevole del percolo ed era stata colpita da un proiettile esploso da un cecchino. Sopraggiunto dopo poco, Bill aveva erroneamente sparato ad un ragazzo che stava solo provando ad essere d’aiuto. Quando Riley era arrivata lì, Lucy aveva speso le sue ultime energie, per uccidere il tiratore con vari colpi.

Era morta pochi istanti dopo.

Era stata una scena tremenda.

Riley non riusciva a ricordare molte situazioni peggiori in tutta la sua carriera.

Osservò amaramente: “Sono arrivata persino dopo di te.”

“Sì, ma non hai sparato ad un ragazzo innocente.”

“Non è stata colpa tua. Era buio. Non potevi saperlo. Inoltre, quel ragazzo sta benissimo ora.”

Bill scosse la testa. Sollevò una mano tremante.

“Guardami. Sembro il tipo d’uomo che potrà mai tornare al lavoro?”

Riley era quasi arrabbiata ora. Lui aveva un aspetto davvero terribile, certamente non assomigliava al partner scaltro e coraggioso, di cui aveva imparato a fidarsi ciecamente, e non sembrava più il bell’uomo da cui si era sentita molto attratta di tanto in tanto. E tutta quella autocommiserazione non gli si confaceva.

Ma ricordò a se stessa severamente …

Io ci sono passata. So come ci si sente.

E, quando le era accaduto, Bill era sempre stato presente per aiutarla a superare la cosa.

Talvolta, lui era dovuto essere duro con lei.

Immaginava che l’uomo avesse bisogno di un po’ di quella durezza al momento.

“Hai un aspetto terribile” gli disse. “Ma la condizione in cui sei ora, ecco, ti ci sei messo da solo. E sei l’unico che possa tirarsene fuori.”

Bill la fissò negli occhi. La donna sentiva che ora le stava davvero prestando attenzione.

“Siediti” lei disse. “Rimettiti in sesto.”

Bill si tirò lentamente su, e si sedette sul bordo del letto accanto a Riley.

“L’agenzia ti ha assegnato uno psichiatra?” chiese.

Bill annuì.

“Di chi si tratta?” Riley chiese.

“Non importa” Bill rispose.

“Invece certo che importa” Riley insisté. “Chi è?”

Bill non rispose. Ma Riley riuscì ad indovinare. Lo psichiatra assegnato a Bill era Leonard Roston, meglio conosciuto al pubblico come “Dottor Leo.” Si sentì ribollire dalla rabbia. Ma non era arrabbiata con Bill ora.

“Oh, mio Dio” esclamò la donna. “Ti hanno bloccato con il Dottor Leo. Di chi è stata l’idea? Scommetto che è stata di Walder.”

“Come ho detto, non importa.”

Riley intendeva scuoterlo.

“E’ un ciarlatano” lei disse. “Lo sai bene quanto me. Pratica l’ipnosi, resuscita i ricordi, ogni sorta di schifo di disastri. Non ricordi quando l’anno scorso ha persuaso un uomo innocente a professarsi colpevole di omicidio? A Walder piace il Dottor Leo, perché ha scritto dei libri e ha fatto molte presenze in TV.”

“Non gli farò incasinare la mia mente” Bill disse. “Non lascerò che m’ipnotizzi.”

Riley stava a tenere la propria voce sotto controllo.

“Non è questo il punto. Hai bisogno di qualcuno che possa aiutarti.”

“E chi potrebbe essere?” Bill chiese.

Riley non ebbe bisogno di pensarci più di pochi secondi.

“Vado a prepararti del caffè” esclamò. “Quando torno, mi aspetto di trovarti in piedi, pronto ad uscire da questo posto.”

Andando nella cucina di Bill, Riley diede un’occhiata al suo orologio. Aveva poco tempo ancora a disposizione, prima che l’aereo fosse pronto a decollare. Doveva agire in fretta.

Tirò fuori il cellulare, e cercò il numero personale di Mike Nevins, uno psichiatra forense di Washington DC, che, di tanto in tanto, lavorava per il Bureau. Riley lo considerava un caro amico, e l’aveva aiutata a superare diverse crisi, incluso un terribile caso di PTSD.

Quando il telefono di Mike cominciò a squillare, mise il cellulare in vivavoce, lo appoggiò sul piano di lavoro della cucina, e cominciò ad accendere la macchina del caffè di Bill. Fu sollevata, quando Mike rispose al telefono.

“Riley! E’ fantastico sentirti! Come vanno le cose? Come sta la tua famiglia in aumento?”

Il suono della voce dell’uomo le diede sollievo, e lei riuscì quasi a vedere l’uomo, pignolo e ben vestito, e la sua piacevole espressione. Avrebbe voluto chiacchierare con lui e aggiornarsi reciprocamente, ma non c’era il tempo.

“Sto bene, Mike. Ma vado di fretta. Devo prendere un aereo a breve. Mi serve un favore.”

“Dimmi” Mike rispose.

“Il mio partner, Bill Jeffreys sta passando un momento difficile dopo il nostro ultimo caso.”

Lei sentì una nota di reale preoccupazione nella voce di Mike.

“Oh accidenti, ne ho sentito parlare. Che cosa terribile, la morte di quella vostra giovane pupilla. E’ vero che il tuo partner è stato messo in licenza? Ha qualcosa a che fare con l’aver sparato all’uomo sbagliato?”

“Corretto. Ha bisogno del tuo aiuto. E ne ha bisogno subito. Si è messo a bere, Mike. Non l’avevo mai visto conciato in quel modo.”

Seguì un breve silenzio.

“Non sono sicuro di capire” Mike disse. “Non gli è stato assegnato uno psichiatra?”

“Sì, ma non farà alcun bene a Bill.”

Ora c’era una nota di cautela nella voce dello psichiatra.

“Non lo so, Riley. In genere, mi sento a disagio nel prendere pazienti che sono già stati assegnati alle cure altrui.”

Riley provò una certa preoccupazione. Non aveva tempo per affrontare gli scrupoli etici di Mike al momento.

“Mike, gli hanno assegnato il Dottor Leo.”

Seguì un altro silenzio.

Scommetto di avercela fatta, pensò Riley. Sapeva perfettamente quanto Mike disprezzasse il celebre psichiatra con tutto il cuore.

Infine, Mike disse: “Quando potrà venire Bill?”

“Che cosa stai facendo al momento?”

“Mi trovo nel mio ufficio. Sarò impegnato per un paio d’ore, ma dopo sarò libero.”

“Grandioso. Allora verrà per quando sarai libero. Ma ti prego, fammi sapere se non si presenterà.”

“Lo farò.”

Quando terminarono la chiamata, il caffè stava già sgocciolando nella caraffa. Riley ne versò un po’ in una tazza e tornò nella camera da letto di Bill. Ma lui non c’era; la porta che conduceva nel bagno adiacente era chiusa, e Riley sentì il rasoio elettrico del partner dall’altra parte.

Riley picchiò sulla porta.

“Sì, sono decente” Bill disse.

Riley aprì la porta, e vide che Bill si stava radendo. Poggiò la tazza di caffè sul bordo del lavandino.

“Ti ho preso un appuntamento con Mike Nevins” gli disse.

“Per quando?”

“Subito. Non appena riesci ad uscire di qui e guidare fin lì. Ti manderò il suo indirizzo via messaggio. Devo andare.”

Bill sembrò sorpreso. Naturalmente, Riley non gli aveva accennato al fatto che andasse di fretta.

“Ho un caso in Iowa” Riley spiegò. “L’aereo sta aspettando. Non mancare all’appuntamento con Mike Nevins. Se lo farai, la pagherai cara.”

Bill borbottò qualcosa ma rispose: “OK, ci andrò.”

Riley si voltò per andarsene. Poi, pensò a qualcosa che non era certa di dover dire ad alta voce.

Ma, alla fine, cedette: “Bill, Shane Hatcher è ancora a piede libero. Ci sono tre agenti appostati intorno a casa mia. Ma ho ricevuto un messaggio minaccioso da lui, e nessuno lo sa tranne te. Non penso che attaccherebbe la mia famiglia, ma non posso esserne certa. Mi chiedevo se forse …”

Bill annuì.

“Terrò un occhio sulla situazione” lui le disse. “Ho bisogno di fare qualcosa di utile.”

Riley gli diede un veloce abbraccio e lasciò l’appartamento.

Mentre si dirigeva verso l’auto, dette un’altra occhiata al proprio orologio.

Se non avesse trovato traffico, sarebbe arrivata in tempo per il decollo.

Ora doveva cominciare a pensare al nuovo caso, ma non ne era particolarmente preoccupata. Infatti, era probabile che non avrebbe richiesto molto tempo per essere risolto.

Dopotutto, come poteva un singolo omicidio in una piccola cittadina richiedere molto tempo e sforzo?

CAPITOLO NOVE

Mentre camminava sull’asfalto della pista, diretta all’aereo, Riley continuò a interrogarsi sul nuovo caso. Ma c’era una cosa che doveva fare prima di esserne troppo assorbita.

Inviò un messaggio a Mike Nevins.


Scrivimi se Bill si presenta. Scrivimi se non lo fa.


Emise un sospiro di sollievo, quando Mike rispose immediatamente.


Lo farò.


Riley si disse che aveva fatto tutto il possibile per Bill, e spettava a lui trarre il meglio dall’aiuto ricevuto. Se c’era qualcuno in grado di aiutarlo ad affrontare le cose che lo stavano tormentando, quello era certamente Mike.

Salì sulla scaletta ed entrò nella cabina, dove Jenn Roston era già seduta, intenta a lavorare al proprio computer portatile. La giovane sollevò lo sguardo e annuì a Riley, mentre quest’ultima si sedeva dall’altra parte del tavolino di fronte a lei.

Riley annuì in risposta.

Poi, guardò fuori dal finestrino durante il decollo, mentre l’aereo raggiungeva l’altitudine di crociera. Non le piaceva il gelido silenzio tra lei e Jenn. Si chiese se neanche alla giovane piacesse. Quei voli erano normalmente un buon momento per discutere sui dettagli di un caso. Ma non c’era ancora nulla da dire su questo caso. Il corpo era appena stato trovato quella mattina, dopotutto.

Riley prese una rivista dalla sua valigia, e provò a leggere, ma non riusciva a concentrarsi sulle parole. Avere Jenn seduta di fronte a sé, così silenziosa, la distraeva troppo. Alla fine, Riley si limitò a starsene seduta e fingere di leggere.

Questi giorni, è la storia della mia vita, pensò.

Fingere e stare seduta stava diventando una routine.

Infine, la giovane agente sollevò lo sguardo dal proprio computer.

“Agente Paige, quello che ho detto all’incontro con Meredith era vero” disse.

“Chiedo scusa?” Riley chiese, sollevando lo sguardo dalla rivista.

“Del fatto che mi sento onorata a lavorare con lei. Era un mio sogno. Seguo il suo lavoro sin da quando ho iniziato l’accademia.”

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