“No” disse Kim. Dalla sua espressione era chiaro che non le facesse affatto piacere dover pensare alle figlie coinvolte in tutto quello.
“Ha detto che suo marito lavorava in un’azienda di marketing. Sa se potrebbero aver avuto dei clienti legati in qualche modo ai progetti umanitari?”
“Questo non lo so. Ma se anche fosse, sarebbe stato solo un piccolo progetto. Jimmy parlava con me solo di gradi progetti. Se volete comunque ho una copia di tutte le fatture. Mi è stato recapitato tutto alla sua morte. Vado a prenderle?”
“Sì, sarebbe molto utile” disse Mackenzie.
“Un momento, allora” disse Kim rientrando in casa e chiudendosi la porta alle spalle, ancora una volta senza invitarli ad entrare.
“Bella pensata quella dei clienti” disse Ellington. “Credi che troveremo qualcosa?”
Mackenzie fece spallucce. “Tentare non costa nulla.”
“Però potremmo dover indagare parecchio” le fece notare lui.
“Vero, ma così almeno avremo qualcosa da fare durante le sei ore di viaggio per arrivare alla contea di Morrill.”
“Che divertimento.”
Kim tornò sul portico con cinque grossi raccoglitori impilati e legati da un elastico. “Ad essere sincera sono contenta di disfarmene. Se non è chiedere troppo, potreste farmi sapere se trovate qualcosa? È vero che ho fatto di tutto per lasciarmi la morte di Jimmy alle spalle, ma questo non significa che il mistero di tutto ciò a volte non mi faccia impazzire.”
“Ma certo” disse Mackenzie. “Signora Scotts, grazie per la sua collaborazione.”
Kim rivolse loro un breve cenno del capo e rimase in piedi sul portico mentre Mackenzie ed Ellington scendevano i gradini per tornare alla macchina. Mackenzie sentiva su di sé lo sguardo della vedova, che faceva di tutto perché nessuna menzione del marito morto entrasse in casa. Kim sembrò rilassarsi soltanto una volta che Mackenzie ed Ellington furono nell’auto.
“Povera donna” disse Ellington. “Secondo te ha davvero voltato pagina?”
“Forse. Lei dice di sì, ma non ci ha fatti entrare. Non voleva che si parlasse della sua morte dentro casa,”
“Però allo stesso tempo” disse Ellington sollevando i raccoglitori, “sembrava contenta di liberarsi di questi.”
“Forse vuoi disfarsi anche di tutti gli oggetti dentro casa che le ricordano di lui” gli fece notare.
Si allontanarono dall’abitazione, diretti verso l’autostrada. Nessuno dei due proferì parola, quasi restando in un silenzio rispettoso per la vedova alla quale avevano appena parlato.
***
Erano le cinque del pomeriggio quando arrivarono all’ufficio operativo e gli impiegati stavano smontando dal lavoro. Mackenzie si chiese come sarebbe stato avere il proprio tempo comandato da un orologio, piuttosto che dalle pressanti preoccupazioni che spesso le procuravano gli squallidi casi. Pensò che non facesse per lei.
Lei ed Ellington incontrarono Penbrook nella stessa sala riunioni di quella mattina. La giornata era stata lunga, anche a causa del volo da Washington così mattiniero. Tuttavia, adesso che sapeva quale sarebbe stato il prossimo passo da compiere nell’indagine, Mackenzie si rese conto di avere nuove energie e di essere pronta a ripartire.
Aggiornarono Penbrook sulla chiacchierata che avevano avuto con Kim Scotts e si presero del tempo per sfogliare i raccoglitori che la donna gli aveva passato. Lo fecero rapidamente, quasi come se fosse un allenamento di routine.
“E qui ci sono stati sviluppi?” chiese Ellington.
“Nessuno” disse Penbrook. “Sinceramente, mi interessa parecchio sapere cos’avete voi. Mi pare di capire che questo caso le stia particolarmente a cuore, agente White. Qual è la nostra prossima mossa?”
“Voglio recarmi nella contea di Morrill. È là che mio padre e Jimmy Scotts sono stati uccisi. E dato che l’omicidio di mio padre sembra essere stato il primo della serie, credo che sia il luogo migliore da cui partire.”
“Esattamente cosa cerca?” volle sapere Penbrook.
“Ancora non lo so.”
“Non si lasci ingannare” lo rassicurò Ellington. “È proprio quando sembra non sapere quello che cerca che ottiene i risultati migliori.”
Mackenzie gli indirizzò un sorrisetto prima di riportare la propria attenzione su Penbrook. “Sono cresciuta in una città chiamata Belton. Partirò da lì e la mossa seguente si presenterà da sé.”
“Se è questo che intende fare, non ho intenzione di dissuaderla” disse Penbrook “ma la contea di Morrill... non si trova tipo a sei ore da qui?”
“Non mi dispiace guidare” replicò lei. “Non sarà un problema.”
“Quando partirete?”
“Presto, credo. Se partiamo per le sei, saremo a Belton entro mezzanotte.”
“Allora, buona caccia” commentò Penbrook. Sembrava deluso e un po’ irritato. Mackenzie immaginò che fosse perché aveva creduto che lei ed Ellington sarebbero rimasti a lavorare con lui gomito a gomito fino alla chiusura del caso.
Senza sforzarsi di mascherare la propria reazione, Penbrook si avviò alla porta. Voltando appena la testa per guardarli da sopra la spalla, fece loro un cenno di saluto. “Fateci sapere se vi serve qualcosa.”
Una volta che Penbrook si fu chiuso la porta alle spalle, Mackenzie fece un sospiro. “Wow, non l’ha presa affatto bene, eh?”
Dopo un momento di riflessione, Ellington rispose con voce calma e misurata: “Credo di capire il suo punto di vista.”
“Ovvero?” chiese Mackenzie.
“Gli omicidi più recenti sono avvenuti tutti vicino ad Omaha. Andare dall’altra parte del paese gli deve sembrare un’inutile perdita di tempo.”
“Ma tutto è cominciato lì” protestò Mackenzie. “Ha perfettamente senso andarci.”
Mackenzie intuì che Ellington si sarebbe voluto alzare per venire da lei, forse per abbracciarla o per stringerle le mani; ma si era impegnato molto a tenere separate la loro vita lavorativa da quella privata, così rimase seduto.
“Ascolta” disse “capisco quanto questo caso sia importante per te. E ti conosco abbastanza da sapere che non ti fermerai finché non sarà risolto. Se vuoi andare a Belton, credo che dovresti farlo, però... credo che sarebbe meglio se io restassi qui.”
Mackenzie non aveva mai nemmeno preso in considerazione l’idea di tornare nella sua città natale da sola. Poco più di un anno prima l’aveva fatto, ma allora le cose erano diverse; non aveva il supporto di Ellington su cui poter contare.
La sua delusione le si doveva leggere in volto, perché Ellington stavolta si alzò dalla sedia. Si avvicinò e si fermò proprio davanti a lei, prendendole delicatamente le mani.
“Vorrei venire anch’io. Sul serio. Ma abbiamo già commesso questo sbaglio. Ce ne andiamo in un posto lontano dal cuore dell’indagine solo per scoprire al nostro ritorno che è successo qualcosa di grosso. Stavolta non possiamo permetterci un errore di valutazione simile. Se senti di dover andare nella contea di Morrill, allora vai, ma è meglio che io resti qui alla centrale operativa. A costo di sembrarti uno stronzo... questo non è solo il caso di tuo padre. Ci sono molte vittime anche qui a Omaha. Vittime recenti.”
Naturalmente ha ragione, pensò Mackenzie. Ma allo stesso tempo... perché abbandonarmi quando ho più bisogno di lui?
Tuttavia annuì in silenzio. Non era quello il momento di fare scenate. Anzi, sperava di non doverne mai fare. Tra l’altro... perché avrebbe dovuto prendersela con lui per essere riuscito a separare il loro rapporto lavorativo da quello sentimentale? Lei sicuramente non ci stava riuscendo in quel momento.
“Sì, hai ragione” gli disse quindi. “Magari tu puoi iniziare a perlustrare le strade e parlare con qualche senzatetto.”
“Era quello che avevo in mente, però Mac... se vuoi che venga insieme a te...”
“No” disse lei “me la caverò. Facciamo come dici tu, è meglio.”
Detestava non riuscire a nascondere il proprio disappunto. Sapeva che Ellington non metteva in dubbio il suo istinto e sapeva anche che dividersi era la tattica migliore in quel caso. Ma stava per tornare nella sua città natale per affrontare demoni che aveva finora ignorato. Quella era la prima vera occasione per Ellington di farsi avanti e dimostrarle l’uomo che poteva essere per lei.
Invece aveva deciso di comportarsi da bravo agente più che da bravo fidanzato.
Lei lo capiva e, Dio l’aiuti, questo la fece innamorare di lui ancora di più.
“Non sono uno stupido, Mac” disse. “Sei arrabbiata. Posso venire con te, non è una tragedia.”
“Non sono arrabbiata... non con te. È solo che odio come questo caso mi faccia sentire di essere due persone diverse. Ma hai ragione tu, devi restare qui.”
Lo baciò all’angolo della bocca e andò verso la porta.
“Quindi te ne vai così?”
“Sempre meglio che tirarla per le lunghe e arrabbiarsi ulteriormente, non credi? Ti chiamo appena trovo una stanza in albergo.”
“Sei sicura di voler fare così?” le chiese lui.
Non so cosa voglio, pensò lei. Ed è questo il problema. Ma quello che disse fu solo: “Sì. È la strategia migliore. Ci sentiamo verso mezzanotte.”
Quindi uscì dalla sala riunioni. Le ci volle tutta la propria determinazione per non voltarsi e spiegargli che non avesse idea del perché l’idea di separarsi la turbasse tanto. Così si obbligò a non fermarsi. Mentre andava a procurarsi una macchina, tenne gli occhi bassi e non parlò con nessuno.
CAPITOLO CINQUE
A ripensarci, Mackenzie si pentì di non essere rimasta ad Omaha quella notte, ad aspettare la luce del giorno per recarsi nella contea di Morrill. Attraversare Belton alle 0:05 si rivelò a dir poco inquietante. In giro per le strade non c’era praticamente nessuna auto e le uniche fonti di luce erano i lampioni sulla Main Street e alcune insegne al neon che segnalavano la presenza di bar e del posto che cercava Mackenzie, ovvero l’unico motel del paese.
La popolazione di Belton superava di poco le duemila unità. Gli abitanti erano per lo più agricoltori e operai dell’industria tessile. Il cuore del paese era costituito da piccole imprese, poiché quelle più grandi non si attentavano a tentare la fortuna in quella parte dello Stato. Quando era piccola, un McDonald’s, poi un Arby’s e quindi un Wendy’s avevano provato ad aprire su Main Street, ma tutte e tre le attività erano morte nel giro di tre anni.
Prese una stanza dopo aver ricevuto un’occhiata lasciva molto poco discreta dal vecchio e burbero impiegato dietro il bancone. Dopo aver disfatto l’unica valigia che aveva portato con sé e sentendosi esausta per quella lunga giornata, chiamò Ellington come ultima cosa prima di mettersi a dormire. Diligente come al solito, rispose al secondo squillo. Dalla voce sembrava esausto quanto lei.
“Ce l’ho fatta” esordì Mackenzie, senza sprecarsi in convenevoli.
“Bene” rispose Ellington. “Come va?”
“Mi ha messo i brividi. Immagino non sia il posto ideale da visitare col buio.”
“Sei ancora convinta che sia la mossa giusta?”
“Sì, e tu?”
“Non lo so. Ho avuto tempo per pensarci. Forse sarei dovuto venire con te. Per te non si tratta solo di risolvere un caso, ma anche di lasciarti il passato alle spalle. E una persona che ti ama, come ti amo io, dovrebbe essere lì con te.”
“Ma prima di tutto è un caso” disse Mackenzie. “La priorità per te è comportarti da bravo agente.”
“Già, cercherò di convincermi. Mi sembri stanca, Mac. Va’ a dormire. Sempre che tu riesca ancora a dormire da sola.”
Mackenzie sorrise. Erano quasi tre mesi che dormivano nello stesso letto. “Parla per te” gli disse di rimando. “Io ho un addetto alla reception particolarmente anziano che mi ha spogliata con gli occhi prima.”
“Usate delle precauzioni” scherzò Ellington ridendo. “Buonanotte.”
Mackenzie chiuse la telefonata e si spogliò, restando in biancheria intima. Dormì sulle coperte, non fidandosi delle lenzuola di un motel di Belton. Credeva che le ci sarebbe voluta un’eternità a prendere sonno, ma prima che la solitudine e la tranquillità del paese fuori dalla finestra avessero modo di inquietarla, il sonno la agguantò, tirandola a sé.
***
Il suo orologio biologico la svegliò alle 5:45, ma lei lo ignorò e tornò a chiudere gli occhi. Non aveva un vero e proprio piano per quella giornata e comunque non ricordava l’ultima volta in cui si era concessa di indugiare a letto. Riuscì a riaddormentarsi e quando si destò nuovamente, erano le 7:28. Scese dal letto, si fece la doccia e si vestì. Alle otto era fuori dalla porta, in cerca di un caffè.
Si fermò in una piccola tavola calda, che era lì da che avesse memoria, e ordinò una tazza di caffè e dei salatini. Quando era alle superiori ci veniva con gli amici e rimanevano a sorseggiare frullati fino alla chiusura, alle nove di sera. Il locale adesso sembrava un tugurio, una macchia sui suoi ricordi dell’adolescenza.
Il caffè era buono e forte, proprio la carica che le serviva per avventurarsi lungo la Highway 6, diretta verso il luogo in cui aveva vissuto. Quando fu vicina, si accorse di ricordare senza difficoltà l’ultima volta che c’era stata. Era stato in compagnia di Kirk Peterson, l’investigatore privato e ora travagliato, che era incappato nel caso di suo padre quando Jimmy Scotts era stato ucciso.
Così, quando imboccò una laterale e iniziò a intravedersi la casa, non fu così sorpresa da quello che vide. Il tetto fatiscente sembrava sul punto di far crollare l’intera parete posteriore. Il giardino era invaso dalle erbacce e il porticato sembrava uscito dritto da un film horror.
Anche l’abitazione dei vicini era disabitata. Sembrava calzante che al di là delle case non ci fosse nulla tranne la foresta. Forse un giorno gli alberi sarebbero avanzati inghiottendo quelle vecchie abitazioni.
Non mi dispiacerebbe affatto, pensò Mackenzie.
Parcheggiò l’auto in quello che restava del vialetto d’ingresso e uscì. Con l’autostrada alle spalle e il bosco davanti a sé, quel luogo appariva silenzioso e sereno. Sentiva gli uccelli cinguettare tra gli alberi e il ticchettio del motore dell’auto che si raffreddava. Si incamminò fino alla porta d’ingresso. Nel vederla sfondata, sorrise. Ricordava di averla buttata giù quando era stata lì con Peterson. E ricordava anche il distorto senso di soddisfazione che ne aveva tratto.
All’interno tutto era esattamente come un anno prima. Non c’erano mobili, né oggetti personali. A parte le crepe nei muri, la muffa sulla moquette e l’odore di vecchio, non c’era niente lì per lei. Niente di nuovo.
Allora che accidenti ci faccio qui?
Conosceva la risposta. Era lì perché sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista. Dopo quel viaggio, non si sarebbe più concessa di farsi turbare da quella dannata casa. Né nei ricordi, né nei sogni e certamente non nel suo futuro.
Attraversò la casa lentamente, soffermandosi in ogni stanza. Il salotto dove lei e sua sorella Stephanie guardavano I Simpson e si erano appassionate quasi al limite della fissazione con X-Files. La cucina, dove la madre raramente aveva preparato piatti gustosi, se si escludevano le lasagne precotte di cui aveva trovato la ricetta su una confezione di pasta. La sua camera da letto, dove aveva baciato per la prima volta un ragazzo e dove per la prima volta si era lasciata spogliare da un ragazzo. Sulle pareti c’erano zone rettangolari dove la pittura non era scolorita come il resto del muro: era dove teneva i poster dei Nine Inch Nails, dei Nirvana e di PJ Harvey.
Il bagno, dove aveva pianto dopo aver avuto il suo primo ciclo. La piccola stanza adibita a lavanderia, dove aveva cercato di rimuovere l’odore di birra che si era rovesciata sulla camicetta dopo essere rincasata a tarda notte quando aveva quindici anni.