E poi, in fondo al corridoio, ecco la camera dei suoi genitori, la camera che popolava i suoi incubi da troppo tempo ormai. La porta era aperta, come un invito ad entrare. Mackenzie però non lo fece; rimase invece sulla soglia, con le braccia conserte, e guardò dentro. Con la luce del sole che filtrava attraverso le finestre crepate e impolverate, la stanza aveva quasi un che di etereo. Sarebbe stato facile lasciarsi suggestionare e credere che quel luogo fosse infestato, oppure maledetto. Ma Mackenzie sapeva che nessuna delle due cose era vera. In quella stanza era morto un uomo e il suo sangue era ancora sulla moquette; ma lo stesso era vero per innumerevoli altre camere nel mondo. E quella non era più speciale delle altre, quindi perché doveva avere tutto quel potere su di lei?
Credi pure di essere dura e tenace, disse una parte più saggia di lei. Ma se non risolvi il caso stavolta, questa camera ti perseguiterà per sempre. Faresti prima a richiuderti qui dentro e buttare la chiave.
Mackenzie si allontanò dalla porta per uscire di casa. Raggiunse il retro della casa, dove si trovava l’unico ingresso per lo scantinato. La porta era imbarcata e fu semplice aprirla. Appena mise piede all’interno per poco non gridò alla vista di un serpente verde che strisciava in un angolo. Rise tra sé poi entrò nell’ambiente polveroso. C’era un tanfo di terra vecchia e decomposizione. Era un luogo dimenticato con polvere e ragnatele ovunque. Polvere, muffa e marciume. Era difficile immaginare che quello era il posto in cui un tempo era eccitata di avventurarsi quando era tempo di tirare fuori la sua bici in primavera per fare dei giri in cortile. Era lì che suo padre teneva il tosaerba e il decespugliatore e sua madre i barattoli di vetro vuoti per conserve e marmellate.
Sopraffatta dai ricordi e dall’odore rancido, Mackenzie tornò fuori. Andò alla macchina, ma non riuscì ancora ad andarsene. Come uno spettro annoiato, tornò ancora una volta dentro casa. Ancora una volta percorse il corridoio che portava alla camera dei suoi genitori.
Mentre osservava la stanza, lentamente iniziò a capire la strada che avrebbe dovuto intraprendere. La sera prima ci era andata vicina, mentre raggiungeva Belton. Non c’era niente per lei in quella vecchia stanza vuota, se non macabri ricordi. Se voleva fare progressi concreti col caso, avrebbe dovuto mettersi a scavare un po’.
Sarebbe dovuta tornare a girare le strade di cui, da ragazzina, temeva non si sarebbe mai liberata.
***
Dopo aver ottenuto un posto nella Polizia di Stato, a ventitré anni, si era distaccata così tanto da Belton che col passare degli anni non ricordava quasi nulla del paesino. Non aveva idea di quali attività fossero ancora aperte. E non aveva idea di chi fosse morto e chi invece avesse raggiunto la vecchiaia.
Certo, mancava da Belton solo da poco più di dieci anni, ma si sa che in una piccola cittadina come quella bastava anche soltanto un anno a causare cambiamenti drastici, che si trattasse dell’economia, delle case o dei decessi. D’altra parte sapeva anche che le piccole città tendevano a mantenere le proprie radici ben salde nelle tradizioni. Per questo motivo Mackenzie si diresse in un negozio di attrezzature agricole al confine orientale della città.
Il negozio si chiamava Atkins Farm and Tractor Supply e un tempo, molto prima che Mackenzie nascesse, era stato il principale centro d’affari della città. O almeno così le aveva raccontato il padre. Adesso invece era l’ombra di se stesso. Quando Mackenzie era piccola, era lì che gli agricoltori potevano trovare semi di ogni sorta; come la maggior parte dei negozi del Nebraska, era specializzato in granoturco. Vendeva anche piccoli attrezzi agricoli, accessori e oggetti per la casa.
Quando entrò nel negozio, quindici minuti dopo essersi allontanata dalla porta della camera in cui era morto suo padre, Mackenzie si sentì quasi triste per i proprietari. L’intera parte posteriore del negozio, dove un tempo si trovavano le attrezzature e i semi, era stata smantellata. Adesso lì c’era solo un vecchio tavolo da biliardo. Il negozio offriva ancora semi, ma non c’era grande scelta. L’area più ampia del locale infatti era dedicata a fiori e semi di piante da appartamento. Un piccolo refrigeratore conteneva esche da pesca (pesciolini e lombrichi, stando al cartello scritto a mano), mentre dietro al bancone principale c’era un espositore molto impolverato con canne e valigette da pesca.
Dietro al bancone c’erano due uomini anziani. Uno stava girando il cucchiaino nella tazza del caffè, mentre l’altro sfogliava un catalogo cartaceo. Mackenzie si avvicinò al bancone, non sapendo bene quale approccio scegliere: la persona del posto che torna dopo una lunga assenza, oppure l’agente dell’FBI venuta a rivangare vecchi fatti per un caso.
Decise di improvvisare. Quando fu a pochi passi dal bancone, entrambi gli uomini sollevarono lo sguardo su di lei contemporaneamente. Mackenzie li riconobbe entrambi, ma conosceva solo il nome di quello che sfogliava il catalogo.
“Signor Atkins?” gli disse, pensando che forse sarebbe riuscita ad interpretare entrambi i ruoli e ottenere informazioni oneste, sempre ammesso che ce ne fossero.
Wendell Atkins era più vecchio di dodici anni dall’ultima volta che Mackenzie l’aveva visto, ma sembrava invecchiato almeno di venti. Mackenzie calcolò che dovesse avere più di settant’anni ormai.
L’uomo le sorrise inclinando la testa. “Hai un viso familiare, ma non so se ricordo il tuo nome. Sarà meglio che me lo dica tu, altrimenti potrei restare qui a pensarci tutto il giorno.”
“Sono Mackenzie White. Sono nata e cresciuta a Belton, fino all’età di diciotto anni.”
“White... tua mare era Patricia?”
“Esatto, signore, sono io.”
“Santo cielo, non ti vedo da un sacco di tempo. A quanto ho sentito lavori per la Polizia di Stato, vero?”
“Sì, sono stata una detective per un po’” disse Mackenzie. “Ma adesso lavoro a Washington DC. Sono nell’FBI.”
Sorrise tra se e se perché sapeva che nel giro di un’ora, Wendell Atkins avrebbe detto a tutti della visita di Mackenzie White, la ragazza del posto che se n’era andata a Washington ed era diventata una federale. E se si fosse sparsa la voce, Mackenzie immaginò che qualcuno avrebbe ricominciato a parlare di quello che era successo a suo padre. Era così che si spargevano le informazioni nelle piccole città.
“Ma davvero?” fece Atkins. Persino il suo amico sollevò lo sguardo dalla sua tazza di caffè, sembrando molto interessato.
“Esatto, signore. In realtà è proprio per lavoro che sono qui. Sono tornata a Belton per indagare su un vecchio caso. Il caso di mio padre.”
“Oh no” disse Atkins. “È vero... non hanno mai trovato l’assassino, vero?”
“Purtroppo no. Di recente ci sono stati alcuni omicidi a Omaha che riteniamo collegati a quello di mio padre. Sono venuta qui semplicemente perché ricordo che quando ero piccola mio padre ci veniva spesso. Era qui che gli uomini si trovavano per sedersi a bere un caffè e fare due chiacchiere, giusto?”
“Sì, è così... anche se non era sempre caffè quello che bevevamo” ammise Wendell con una rauca risata.
“Mi chiedevo se poteste dirmi qualunque cosa vi ricordate di aver sentito dopo l’uccisione di mio padre. Anche se pensate che siano solo voci, voglio sapere tutto.”
“Beh, agente White” disse l’uomo in tono scherzoso, “mi dispiace ma alcune cose non erano carine.”
“Non mi aspetto che lo siano.”
Atkins si schiarì la voce a disagio e si chinò in avanti, appoggiandosi al bancone. Percependo l’inizio di una conversazione imbarazzante, il suo amico prese la tazza di caffè e sparì dietro l’espositore di canne da pesca al di là del bancone.
“Alcuni dicono che sia stata tua madre” disse Atkins. “E te lo sto dicendo solo perché me l’hai chiesto. Non mi permetterei mai, altrimenti.”
“Non si preoccupi, signor Atkins.”
“Si racconta che abbia pianificato tutto per farlo sembrare un omicidio. Il fatto che... sì, insomma, il fatto che dopo abbia avuto quell’esaurimento nervoso ad alcuni è sembrato fin troppo comodo.”
Quelle accuse non turbarono Mackenzie minimamente. Lei stessa aveva preso in considerazione quell’ipotesi, ma le cose non tornavano. Questo avrebbe voluto dire che fosse responsabile anche delle morti dei senzatetto, di Gabriel Hambry e di Jimmy Scotts. Sua madre era molte cose, ma non una serial killer.
“Un’altra storia dice che tuo padre avesse legami con alcune brutte persone dal Messico. Che fosse coinvolto nel narcotraffico. Poi un affare è andato male, oppure tuo padre ha pestato i piedi a qualcuno, ed è finita così.”
Quella era un’altra teoria che era stata presa in considerazione molto tempo prima. Il fatto che anche Jimmy Scotts fosse sospettato di essere coinvolto in un giro di droga, lui nel New Mexico, aveva fornito un collegamento, ma come le lunghe indagini avevano provato, non sussisteva un legame. Poi c’era anche il fatto che il padre di Mackenzie era stato nelle forze dell’ordine ed era di dominio pubblico il fatto che avesse arrestato alcuni spacciatori locali, quindi era facile fare una supposizione del genere.
“C’è altro?” chiese.
“No. Che tu ci creda o meno, non mi impiccio molto. Odio i pettegolezzi. Vorrei davvero avere più informazioni da darti, ma non è così.”
“Non c’è problema. La ringrazio, signor Atkins.”
“C’è una persona con cui dovresti parlare. Amy Lucas. Te la ricordi?”
Mackenzie provò a frugare nei ricordi, ma non le sovvenne niente. “Il nome forse mi è familiare, però... non me la ricordo.”
“Vive sulla Dublin Road... nella casa bianca con una vecchia Cadillac posata su piloni di cemento nel vialetto. Quella dannata cosa è lì da sempre.”
Tristemente, quel promemoria bastò. Anche se non conosceva personalmente Amy Lucas, ricordava bene la casa. La Cadillac in questione era degli anni ’60. Era su quei pilastri da Dio sa quanto tempo. Mackenzie ricordava che ogni tanto ci passava davanti.
“Perché dovrebbe avere informazioni?” volle sapere Mackenzie.
“Lei e tua madre ad un certo punto erano diventate inseparabili. Amy ha perso suo marito per un cancro tre anni fa. Da allora non si è più vista in giro come prima. Però la ricordo sempre insieme a tua madre. Erano sempre al bar, oppure sul portico di Amy a giocare a carte.”
Come se il signor Atkins avesse premuto un interruttore, Mackenzie all’improvviso ricordò molti più dettagli di prima. Riusciva quasi a vedere il viso di Amy Lucas, illuminato dalla sigaretta che le spuntava tra le labbra. Lei è l’amica per cui mamma e papà litigavano così spesso, ricordò Mackenzie. Le notti in cui mamma rincasava ubriaca o quando era fuori il sabato, era insieme a Amy. Io ero troppo piccola per capire.
“Sa dove lavora?” chiese Mackenzie.
“Da nessuna parte. Scommetto quello che vuoi che in questo momento è in casa. Morendo, il marito le ha lasciato un bel gruzzoletto. Passa le sue giornate in casa a deprimersi. Però per favore... se vai a trovarla, per l’amor del cielo, non dirle che ti ho mandato io.”
“Non lo farò. Grazie ancora, signor Atkins.”
“Figurati. Spero che trovi quello che stai cercando.”
“Sì, anch’io.”
Mackenzie uscì dal negozio e andò alla macchina. Osservò la silenziosa Main Street e iniziò a chiedersi: Cos’è di preciso che sto cercando?
Entrò in macchina e si avviò verso Dublin Road, sperando di trovare una qualche risposta lì.
CAPITOLO SEI
Dublin Road era un tratto di asfalto a due corsie che si snodava nella foresta. Alberi torreggianti su entrambi i lati della strada scortarono Mackenzie fino alla residenza di Amy Lucas. Si sentì come trasportata indietro nel tempo, soprattutto quando raggiunse la casa e vide la vecchia Cadillac posata sui blocchi di cemento in fondo al vialetto di ghiaia.
Parcheggiò dietro l'unica altra automobile nel vialetto, una Honda molto più recente, quindi scese. Mentre saliva sulla veranda, pensò al signor Atkins che le aveva raccontato di sua madre e di Amy che giocavano a carte proprio in quel punto. La consapevolezza che sua madre un tempo si trovasse su quel portico le fece procurò un piccolo brivido.
Mackenzie bussò alla porta e subito aprì una donna che era solo l’ombra del ricordo che Mackenzie aveva di lei. Amy Lucas sembrava essere sulla cinquantina e aveva lo sguardo tipico di una persona perennemente sospettosa degli altri. I capelli castani erano già diventati quasi completamente grigi. Li portava tirati indietro a rivelare una fronte piena di vecchie cicatrici da acne. Tra le dita della mano destra reggeva una sigaretta accesa, il fumo che rientrava dentro casa.
"Signora Lucas?" chiese Mackenzie. "Amy Lucas?"
"Sono io" disse quella. "Lei chi è?"
Mackenzie esibì il distintivo e ripeté la solita tiritera. "Mackenzie White, FBI. Speravo di poterle rivolgere..."
"Mac! Santo cielo! Che ci fai in città? "
Il fatto che la donna a quanto pare si ricordasse perfettamente di lei la disorientò un po’, ma ciononostante Mackenzie riuscì a mantenere la calma. "In realtà sto lavorando a un caso e speravo potesse essermi d’aiuto."
"Io?" Poi scoppiò a ridere e quella risata roca tradì le innumerevoli sigarette fumate negli anni, che ormai le stavano rovinando i polmoni.
"Ecco, riguarda il caso di mio padre. E francamente, mia madre e io non siamo più in buoni rapporti. Speravo che potesse aiutarmi a far luce su alcune cose."
Gli occhi sospettosi della donna si strinsero per un momento, poi Amy annuì facendosi da parte. "Entra" le disse.
Appena Mackenzie mise piede in casa, il tanfo del fumo di sigaretta la colpì in viso come uno schiaffo. Era quasi una nuvola visibile sospesa in casa. Amy le fece strada attraverso un piccolo atrio fino in soggiorno, dove si accomodò su una vecchia poltrona sgangherata.
Mentre Mackenzie si sedeva sul bordo di un divano sul muro opposto, dovette sforzarsi di non dare a vedere che stesse cercando di non tossire per tutto il fumo di sigaretta.
"Ho saputo di suo marito" disse Mackenzie. "Le mie condoglianze."
"Sì, è stato un giorno triste, ma sapevamo che sarebbe arrivato. Il cancro può essere uno stronzo. Però... lui era pronto ad andarsene. Il dolore era talmente intenso verso la fine."
Non c'era un modo facile per cambiare argomento e, dal momento che Mackenzie non aveva mai considerato l'arte della conversazione il suo punto di forza, fece del proprio meglio per arrivare al punto senza sembrare scortese.
"Dunque, sono tornata in città per cercare di trovare maggiori dettagli sull'omicidio di mio padre. Il caso è rimasto freddo per moltissimo tempo, ma un'altra serie di omicidi in altre parti dello stato ci ha fatto riaprire le indagini. Volevo venire da lei perché a quanto ne so è stata vicina a mia madre. Mi chiedevo se potesse dirmi qualcosa sullo stato in cui si trovava nei giorni immediatamente prima e subito dopo la morte di mio padre."
Amy tirò una boccata dalla sigaretta e si appoggiò allo schienale della sedia. Non sembrava più sospettosa, adesso era piuttosto triste.
"Cavolo, mi manca tua madre. Come sta?"
"Non lo so" replicò Mackenzie. "Non ci parliamo da più di un anno. Come può ben immaginare, tra noi ci sono questioni irrisolte. "
Amy annuì. "È mai riuscita a uscire da quella... casa?"
Intende il reparto psichiatrico, pensò Mackenzie. "Sì. Poi si è trovata un appartamento da qualche parte e ha vissuto la sua vita. Lasciandosi me e Stephanie alle spalle."