Riley tornò alla realtà, mentre con Marie andavano in sala da pranzo. La stanza era immacolata e arredata con gusto. Normalmente, sarebbe stata una casa gioiosa per una donna single di successo. Ma Marie teneva tutte le tende abbassate, e le luci basse. L'atmosfera era stranamente oppressiva. Riley non intendeva ammetterlo, ma questo le fece pensare alla sua stessa casa.
Marie aveva un pranzo leggero pronto sul tavolo della sala da pranzo, e, insieme a Riley si sedettero a mangiare. Restarono lì in un impacciato silenzio. Riley stava sudando ma non ne conosceva il motivo. Vedere Marie le stava riportando tutto alla mente.
“Allora . . . come ci si sente?” Marie chiese con esitazione. “Uscire fuori nel mondo?”
Riley sorrise. Marie sapeva meglio di chiunque altro che cosa avesse significato il viaggio fin lì di quel giorno.
“Molto bene” Riley rispose. “A dire il vero, abbastanza bene. Ho avuto soltanto un brutto momento, dico davvero.”
Marie annuì, comprendendo chiaramente.
“Ecco, ce l'hai fatta” Marie disse. “E sei stata coraggiosa.”
Coraggiosa, Riley pensò. Non è così che avrebbe descritto se stessa. Una volta, forse, quando era un'agente attiva. Sarebbe mai riuscita a descriversi di nuovo in quel modo?
“E tu?” Riley le chiese. “Quanto esci?”
Marie piombò nel silenzio.
“Non esci affatto, vero?” Riley domandò.
Marie scosse la testa.
Riley si allungò e le strinse il polso in segno di compassione.
“Marie, devi tentare” lei la incoraggiò. “Se resti chiusa qui dentro in questo modo, è come se lui ti tenesse ancora prigioniera.”
Un singhiozzo strozzato uscì dalla gola di Marie.
“Mi dispiace” Riley disse.
“Va tutto bene. Hai ragione.”
Riley osservò Marie, mentre mangiavano entrambe per un momento, e ci fu un istante di lungo silenzio. Lei voleva credere che Marie stesse bene, ma dovette poi ammettere che appariva fragile in modo allarmante. Questo le fece temere anche per se stessa. Anche lei era messa così male?
Riley si chiese silenziosamente se fosse positivo per Marie vivere da sola. Sarebbe stata meglio con un marito o un fidanzato? si domandò. Poi, si pose lo stesso quesito su se stessa ma sapeva che la risposta per entrambe era: probabilmente no. Nessuna di loro era in uno stato emotivo tale da sostenere un rapporto solido. Sarebbe stato semplicemente una stampella.
“Ti ho mai ringraziato?” Marie chiese dopo un po', rompendo il silenzio.
Riley sorrise. Sapeva perfettamente bene che Marie si riferisse al fatto che lei l'avesse salvata.
“Molte volte” Riley rispose. “E non hai bisogno di farlo. Davvero.”
Marie raccolse il cibo con una forchetta.
“Ho mai detto che mi dispiace?”
Riley fu sorpresa. “Ti dispiace? E per che cosa?”
Marie parlò con difficoltà.
“Se non mi avessi tirata fuori di lì, non saresti stata catturata.”
Riley strinse gentilmente la mano di Marie.
“Marie, stavo solo facendo il mio lavoro. Non puoi sentirti in colpa per qualcosa di cui non sei responsabile. E' già dura per te così com'è.”
Marie annuì, in segno di comprensione.
“Il solo alzarsi dal letto al mattino è una sfida” lei ammise. “Immagino che hai notato quanto è buia questa casa. Qualsiasi luce forte mi ricorda quella torcia che usava lui. Non riesco neanche a guardare la televisione o ad ascoltare la musica. Ho paura che qualcuno possa entrare in casa e che io non me ne accorga. Qualsiasi rumore mi crea uno stato di panico.”
Marie cominciò a piangere silenziosamente.
“Non guarderò più il mondo nello stesso modo. Mai. C'è il male là fuori, tutto intorno a noi. Non ne avevo idea. Le persone sono capaci di commettere tali orribili cose. Non so se riuscirò mai a fidarmi di nuovo delle persone.”
Mentre Marie piangeva, Riley volle rassicurarla, dirle che si sbagliava. Ma una parte di Riley non era sicura che fosse proprio così.
Poi, Marie la guardò.
“Perché sei venuta qui oggi?” lei chiese di punto in bianco.
Riley fu colta di sorpresa dalla franchezza di Marie, e dal fatto che lei stessa non conoscesse la risposta.
“Non lo so” fu la risposta. “Volevo soltanto venire a trovarti. Assicurarmi di come stessi.”
“C'è dell'altro” Marie disse, rimpicciolendo gli occhi con una percezione inspiegabile.
Forse aveva ragione, pensò Riley. Pensò poi alla visita di Bill, e si rese conto di essere andata lì realmente a causa del nuovo caso. Che cosa voleva da Marie? Consiglio? Permesso? Incoraggiamento? Rassicurazione? Una parte di lei voleva che Marie le dicesse che era pazza, così che potesse riposarsi definitivamente e dimenticare Bill. Ma, forse, un'altra parte di lei desiderava che Marie la costringesse a farlo.
Infine, Riley sospirò.
“C'è un nuovo caso” lei disse. “Ecco, non un nuovo caso. Ma uno vecchio che non è mai stato risolto.”
L'espressione sul volto di Marie divenne tesa e severa.
Riley deglutì.
“E tu sei venuta a chiedere se dovresti farlo?” Marie chiese.
Riley sollevò le spalle. Ma guardò anche in alto, e cercò lo sguardo di Marie, affinché la rassicurasse, incoraggiasse. E, in quel momento, realizzò che era proprio quello che sperava di trovare lì.
Ma, con sua grande delusione, Marie abbassò gli occhi e scosse lentamente la testa. Riley continuò ad attendere una risposta, ma seguì un infinito silenzio. Riley sentiva che una sorta di timore particolare si stava insinuando in Marie.
Nel silenzio, Riley si guardò intorno nell'appartamento, e i suoi occhi si posarono sul telefono fisso di Marie. Notò con sorpresa che era scollegato.
“Che cosa non va con il tuo telefono?” Riley chiese.
Marie apparve positivamente colpita, e Riley si rese conto di aver toccato un nervo scoperto.
“Lui continua a chiamarmi” Marie disse, in un sussurro appena percepibile.
“Chi?”
“Peterson.”
Il cuore di Riley le uscì quasi fuori dal petto.
“Peterson è morto” Riley replicò, con voce tremante. “Io stessa ho dato fuoco al posto. Hanno trovato il suo corpo.”
Marie scosse la testa.
“Possono aver trovato chiunque. Non era lui.”
Riley fu colpita da un'ondata di panico. Le sue stesse paure stavano riemergendo.
“Tutti dicono che era lui” Riley disse.
“E tu lo credi davvero?”
Riley non seppe che cosa dire. Ora non era affatto il momento di confidarle le sue stesse paure. Dopotutto, Marie probabilmente stava delirando. Ma come poteva Riley convincerla di qualcosa a cui lei stessa proprio non credeva?
“Lui continua a chiamare” Maria disse di nuovo. “Chiama e respira, poi mette giù. So che è lui. E' vivo. Mi sta ancora perseguitando.”
Riley ebbe un pessimo presentimento.
“Probabilmente si tratta soltanto di un tizio osceno che telefona” ribatté, fingendosi calma. “Ma posso chiedere al Bureau di verificare comunque. Posso farti mandare un'auto di sorveglianza se hai paura. Rintracceranno le chiamate.”
“No!” Marie disse bruscamente. “No!”
Riley stette a guardare, con aria enigmatica.
“Perché no?” lei chiese.
“Non voglio farlo arrabbiare” Marie rispose, piagnucolando in modo patetico.
Riley, sopraffatta, percependo l'arrivo di un attacco di panico, improvvisamente si rese conto che era stata una terribile idea andare lì. Semmai, si sentiva peggio. Sapeva che non poteva restare seduta in quella sala da pranzo oppressiva un solo istante di più.
“Devo andare” Riley disse. “Mi dispiace tanto. Mia figlia mi sta aspettando.”
Marie improvvisamente afferrò il polso di Riley, con sorprendente forza, conficcandole le unghie nella pelle.
Lei restò a guardare, i gelidi occhi blu erano talmente intensi che terrorizzarono Riley. Quello sguardo inquietante le bruciò l'anima.
“Accetta il caso” Marie pressò.
Riley vide nei suoi occhi, che Marie stava confondendo il nuovo caso e Peterson, fondendoli in uno solo.
“Trova quel figlio di puttana” lei aggiunse. “E uccidilo per me.”
Capitolo 5
L'uomo mantenne una breve ma discreta distanza dalla donna, lanciandole soltanto delle occhiate fugaci. Mise alcuni articoli a basso costo nel suo cestino, così da apparire come un altro cliente comune. Si congratulò con se stesso per quanto fosse stato in grado di dare poco nell'occhio. Nessuno avrebbe mai indovinato la sua vera natura.
Ma in realtà, non era mai stato il tipo d'uomo che attirava molta attenzione. Da bambino, si sentiva praticamente invisibile. Ora, finalmente, era in grado di volgere la sua stessa innocuità a proprio vantaggio.
Soltanto pochi istanti prima, si trovava accanto a lei, a poco meno di un metro di distanza. Assorta nella scelta dello shampoo, lei non lo aveva affatto notato.
Comunque, sapeva parecchie cose di lei. Che il suo nome era Cindy; che suo marito era proprietario di una galleria d'arte; che lei lavorava in uno studio medico gratuito. Quello era il suo giorno libero. In quel momento, era al cellulare intenta in una conversazione con qualcuno, sua sorella, apparentemente. Stava ridendo per qualcosa che l'interlocutore le stava dicendo. L'uomo bruciava dalla rabbia, chiedendosi se stesse ridendo proprio di lui, proprio come facevano sempre tutte le ragazze. La sua ira crebbe.
Cindy indossava un paio di pantaloncini, una canottiera e scarpe da tennis costose, almeno così sembrava. Lui l'aveva osservata dalla sua auto, mentre faceva jogging, e aveva atteso finché non avesse terminato la corsa e fosse entrata nel supermercato. Conosceva le sue abitudini, in un giorno di vacanza come quello. Avrebbe portato la spesa a casa, mettendo ogni articolo al proprio posto, avrebbe fatto una doccia, poi sarebbe andata a pranzo con suo marito.
Il suo bel fisico richiedeva molto esercizio fisico. Non aveva più di trent'anni, ma la pelle intorno alle cosce non era più tonica. Probabilmente, aveva perso molto peso una volta o l'altra, forse abbastanza di recente. Ne era indubbiamente fiera.
Improvvisamente, la donna si diresse verso la cassa più vicina. L'uomo fu colto di sorpresa. Cindy aveva finito di fare la spesa prima del solito. Lui si precipitò in coda dietro di lei, quasi spingendo un altro cliente, nel farlo. Si rimproverò silenziosamente per questo.
Mentre il cassiere passava alla cassa gli articoli della donna, lui avanzò e si avvicinò molto a lei, talmente vicino da sentire l'odore del suo corpo, ora sudato e pungente, dopo una vigorosa sessione di jogging. Era un odore che presto sarebbe diventato familiare, pensò. Ma l'odore si sarebbe presto mescolato con un altro, quello che lo affascinava a causa della sua stranezza e del suo mistero.
L'odore della paura e del terrore.
Per un momento, l'uomo si sentì euforico, persino piacevolmente stordito, quasi deliziato dall’aspettativa.
Dopo aver pagato la spesa, la donna spinse il carrello fuori, passando dalle porte di vetro automatiche, e raggiunse la sua auto al parcheggio.
Lui non aveva alcuna fretta ora di pagare la sua spesa. Non aveva alcun bisogno di seguirla fino a casa. Ci era già stato, era anche stato dentro casa sua. Aveva persino toccato i suoi vestiti. L'aveva osservata di nuovo quando era tornata dal lavoro.
Ora non ci vorrà molto, pensò. Non ci vorrà molto.
*
Quando Cindy MacKinnon entrò nella sua auto, restò seduta per un istante: si sentiva agitata e non ne capiva il motivo. Ricordò la strana sensazione che l'aveva colta al supermercato. Era una sensazione inspiegabile, irrazionale di essere osservata. Ma era anche qualcosa di più. Le occorsero alcuni momenti per raccogliere le idee.
Alla fine, si rese conto che si trattava della sensazione che qualcuno intendesse farle del male.
Rabbrividì bruscamente. In quegli ultimi anni, quella sensazione non aveva fatto altro che andare e venire. Si rimproverò, sicura che fosse del tutto immotivata.
Scosse la testa, liberandosi da ogni traccia di tale sensazione. Quando mise in moto l'auto, si obbligò a pensare ad altro, e sorrise al pensiero della conversazione al cellulare avuta con sua sorella Becky. In seguito, quel pomeriggio, Cindy l'avrebbe aiutata a dare una grande festa di compleanno per la sua bambina di tre anni, inclusi torta e palloncini.
Pensò che sarebbe stata una bella giornata.
Capitolo 6
Riley era seduta nel SUV accanto a Bill, mentre quest'ultimo scalava le marce, spingendo il veicolo 4X4 del Bureau più in alto sulle colline, e lei si asciugava i palmi sui suoi pantaloni. Non sapeva come risolvere il problema del sudore, e non sapeva come comportarsi in tale circostanza. Dopo sei settimane lontana dal lavoro, aveva difficoltà a decifrare il linguaggio del proprio corpo. Essere tornata sembrava surreale.
Riley fu disturbata da quell'imbarazzante tensione. Lei e Bill si erano parlati a malapena durante il loro viaggio di più di un'ora. Il loro vecchio cameratismo, la loro giocosità, il loro rapporto inusuale, era tutto svanito ora. Riley era sicura di sapere per quale motivo Bill fosse così distante. Non era diventato scostante, era molto preoccupato. Anche lui sembrava nutrire dubbi sul suo ritorno in campo.
Arrivarono al Mosby State Park, dove Bill le disse di aver visto la vittima dell'omicidio più recente. Mentre proseguivano, Riley assimilò tutta la geografia intorno a lei e, lentamente, il suo vecchio senso di professionalità emerse. Sapeva di doversi riprendere.
Trova quel figlio di puttana e uccidilo per me.
Le parole di Marie la perseguitavano, la guidavano affinché andasse avanti, rendendo semplice la scelta.
Ma niente ora appariva così semplice. Perché, da un lato, lei non poteva fare a meno di preoccuparsi per April. Mandarla a vivere da suo padre non era l'ideale per chiunque fosse coinvolto. Ma quel giorno era sabato, e Riley non intendeva aspettare fino a lunedì per vedere la scena del crimine.
Il silenzio profondo cominciò ad aggiungersi alla sua ansia, e sentì il desiderio disperato di parlare. Si stava massacrando il cervello alla ricerca di qualcosa da dire e alla fine se ne uscì:
“Allora vuoi dirmi che cosa succede tra te e Maggie?”
Bill si voltò verso di lei, uno sguardo sorpreso dipinto sul suo volto, e lei non riuscì a dire se fosse dovuto al fatto che avesse rotto il silenzio o alla sua domanda tagliente. Qualunque cosa fosse, lei se ne pentì subito. La sua schiettezza, come in molti le avevano detto, poteva risultare sgradevole. Non intendeva mai essere schietta, soltanto non aveva tempo da perdere.
Bill espirò.
“Lei crede che io abbia una relazione.”
Riley fu colta da uno scatto di sorpresa.
“Come?”
“Con il mio lavoro” Bill disse, ridendo un po' aspramente. “Pensa che abbia una relazione con il mio lavoro. Pensa che io ami tutto questo invece di amare lei. Continuo a ripeterle che è sciocca. In ogni caso, non posso esattamente porvi fine, non al mio lavoro”.
Riley scosse la testa.
“Sembra proprio come Ryan. Era sempre geloso da morire, quando stavamo ancora insieme.”
Si astenne dal raccontare a Bill tutta la verità. Il suo ex-marito non era geloso del lavoro di Riley. Ma di Bill. Lei si era spesso chiesta se Ryan avesse avuto una buona ragione. Nonostante la stranezza di quella giornata, si sentì davvero bene a stare vicino a Bill. Quel sentimento era unicamente di natura professionale?
“Spero che questo non si riveli un viaggio inutile” Bill disse. “La scena del crimine è stata tutta ripulita, lo sai.”
“Lo so. Voglio soltanto vedere il posto per me stessa. Foto e rapporti non vanno bene per me.”
Riley stava cominciando a sentirsi un po' frastornata ora. Era abbastanza sicura che fosse dovuto all'altitudine, mentre salivano più in alto. Anche l'aspettativa aveva qualcosa a che fare con ciò. I palmi le stavano ancora sudando.