Non vi era certezza che lo avessero fatto. Ma, anche se fosse stato, come avrebbero potuto capire che si trattava proprio di un assassino. Probabilmente, tutti gli uomini che entravano in quei negozi, se ce n’erano, erano inquietanti.
Più probabile che Riley stesse provando a farlo entrare sempre di più nella mente dell'omicida, facendogli assimilare il suo modo di vedere il mondo. Se così era, Bill immaginava che la partner ne sarebbe stata delusa. Il fatto era che lui non aveva la sua intelligenza e neppure il talento per entrare facilmente nella mente degli assassini.
A lui sembrava che lei stesse davvero cercando delle informazioni. C'erano dozzine di negozi di bambine nel raggio della loro ricerca. Meglio, lui pensò, lasciare che la scientifica continuasse a ricercare gli autori delle bambole. Anche se, a dire il vero, finora non si era giunti a nulla.
“Chiederò di che caso si tratta” disse Ruth, “ma probabilmente non dovrei.”
“No” Bill disse, “non dovrebbe farlo probabilmente.”
Non che il caso fosse più segreto ormai, non dopo che l'entourage del Senatore Newbrough aveva indetto una conferenza stampa in merito. I media non facevano altro che trasmettere quelle notizie. Come sempre, il Bureau era sommerso da telefonate, i cui interlocutori comunicavano informazioni sbagliate, e la rete era intasata da bizzarre teorie. Un disastro totale.
Ma perché dirlo alla donna? Sembrava così gentile, e il suo negozio così accogliente e innocente, che Bill non intendeva intristirla con qualcosa di tanto orribile e scioccante, come un serial killer ossessionato dalle bambole.
E poi, c'era ancora una cosa che voleva sapere.
“Mi dica una cosa” Bill chiese. “Quanto incassa grazie agli adulti, voglio dire i grandi senza figli?”
“Oh, finora, costituiscono la maggior parte delle mie vendite. Ai collezionisti.”
Bill ne fu intrigato. Non avrebbe mai immaginato una cosa simile.
“Perché pensa che sia così?” le chiese.
La donna fece uno strano e distante sorriso, e parlò in un tono gentile.
“Perché le persone muoiono, Bill Jeffreys.”
Ora Bill era davvero sorpreso.
“Mi scusi?” lui disse.
“Mentre invecchiamo, perdiamo le persone. I nostri amici e i nostri cari muoiono. Entriamo in stato di lutto. Le bambole fermano il tempo per noi. Ci fanno dimenticare il nostro dolore. Ci confortano e ci consolano. Si guardi intorno. Qui ci sono bambole che hanno quasi un secolo, e altre che sono quasi nuove. Per alcune di loro, almeno, probabilmente non si riesce a stabilire la differenza. Non hanno età.”
Bill si guardò intorno, spaventato da tutti quegli occhi centenari che lo guardavano, chiedendosi a quante persone quelle bambole fossero sopravvissute. Si chiese di cosa fossero state testimoni, amore, rabbia, odio, tristezza, violenza. E restavano ancora lì con la stessa espressione vuota. Per lui non avevano alcun senso.
Le persone dovrebbero invecchiare, pensò. Avrebbero dovuto invecchiare e mostrare i segni del passare del tempo con le rughe, proprio come lui, a causa di tutta l'oscurità e l'orrore presenti nel mondo. Dato tutto quello che aveva visto, sarebbe stato un peccato, pensò, se avesse avuto ancora il medesimo aspetto. Le scene dei delitti gli erano entrate dentro come una cosa vivente, facendogli desiderare d'invecchiare.
“Anche loro non sono vive” Bill disse infine.
Il sorriso di Ruth divenne dolceamaro, quasi addolorato.
“E' proprio vero, Bill? La maggioranza dei miei clienti non ne è convinto. Anch'io la penso così.”
Cadde uno strano silenzio. La donna esplose in un sorriso sommesso. Offrì a Bill una piccola brochure colorata, che conteneva immagini di bambole.
“A dire il vero, sto per andare ad una convention imminente a Washington D.C.. Anche lei forse dovrebbe andarci. Forse potrebbe servirle a darle qualche idea per la sua ricerca.”
Bill la ringraziò e lasciò il negozio, grato per la dritta relativa alla convention. Sperava che Riley andasse con lui. Bill ricordò che, quel pomeriggio, la partner avrebbe dovuto interrogare il Senatore Newbrough e sua moglie. Era un appuntamento importante, non solo perché il senatore avrebbe potuto fornire delle buone informazioni, ma anche per ragioni diplomatiche. Newbrough stava davvero creando molti problemi al Bureau. Riley era proprio l'agente che avrebbe dovuto convincerlo che stavano facendo tutto ciò che potevano.
Ma si presenterà davvero? Bill si domandò.
Era proprio strano che non ne fosse certo. Fino a sei mesi prima, Riley era l'unica persona da cui dipendeva in vita sua. Aveva sempre avuto fiducia in lei. Ma la sua ovvia angoscia lo preoccupava.
Più di tutto, lei gli mancava. Benché talvolta si sentisse scoraggiato dalla sua mente brillante, aveva bisogno di lei per un lavoro del genere. Nelle ultime sei settimane, si era anche reso conto che aveva bisogno della sua amicizia.
O, nel profondo, era qualcosa di più?
Capitolo 8
Riley guidava lungo l'autostrada a doppia corsia, bevendo la sua bibita energetica. Era una calda mattina assolata, i finestrini erano abbassati, e il caldo odore di balle di fieno appena tagliate riempiva l'aria. I pascoli di modeste dimensioni erano affollati da bovini, ed i monti sfioravano entrambi i lati della valle. Le piaceva quel posto.
Ma ricordò a se stessa che non vi era andata per sentirsi bene. Aveva del lavoro da svolgere.
Riley si diresse verso una strada ghiaiosa e usurata, e dopo un minuto o due, raggiunse un incrocio. Svoltò in un parco nazionale, guidò per una breve distanza e fermò l'auto sul margine esterno della carreggiata.
Uscì dall'auto e percorse un'area aperta, giungendo ad una quercia alta e robusta, che si alzava sull'angolo nord-orientale.
Era arrivata. Lì era stato ritrovato il cadavere di Eileen Rogers, posizionato piuttosto goffamente contro quell'albero. Lei e Bill erano stati lì insieme, sei mesi prima. Riley cominciò a ricreare la scena nella sua mente.
La differenza più grande era il tempo. All'epoca, era metà dicembre, e faceva davvero freddo. Un sottile manto di neve copriva la terra.
Torna indietro, si disse. Torna indietro e sentilo.
Respirò profondamente, inspirò ed espirò, finché immaginò di sentire un freddo violento passare attraverso la sua trachea. Riuscì quasi a vedere le nuvolette formarsi ad ogni suo respiro.
Il corpo nudo era congelato. Non era facile affermare quale delle svariate lesioni fossero ferite da coltello, e quali spaccature e fessure dovute al freddo pungente.
Riley richiamò bene la scena nella sua mente, fino ad ogni singolo dettaglio. La parrucca. Il sorriso disegnato. Gli occhi spalancati e cuciti. La rosa sintetica che giaceva nella neve tra le gambe spalancate della vittima.
L'immagine nella sua mente ora era sufficientemente vivida. Ora doveva fare quel che aveva fatto il giorno precedente, assorbire l'esperienza dell'omicida.
Ancora una volta, chiuse gli occhi, si rilassò e si lasciò precipitare nell'abisso. Accolse quello stordimento e quella sensazione di straniamento, mentre scivolava nella mente dell'assassino. Ben presto, lei fu con lui, dentro di lui, vedendo esattamente quel che vedeva lui, provando le sue stesse sensazioni.
Lui la condusse lì di notte, in maniera insicura. L'uomo osservò la strada con ansia, preoccupato del ghiaccio sotto le ruote. Che cosa sarebbe successo se avesse perso il controllo, finendo in un fosso? Aveva un cadavere a bordo. Sarebbe stato preso senz'altro. Doveva guidare con prudenza. Aveva sperato che il suo secondo omicidio sarebbe stato più semplice del primo, ma provava ancora nervosismo.
Fermò il veicolo proprio lì. Trasportò il corpo della donna, già nudo immaginò Riley, fuori all'aperto. Ma era già rigido a causa del rigor mortis. Non ci aveva affatto pensato. Questo lo fece sentire frustrato, mettendo in discussione la sua sicurezza. A peggiorare le cose, non riusciva a vedere molto bene quello che stava facendo, a causa della luce dei fari puntati direttamente verso l'albero. La notte era troppo buia. Mentalmente si disse che la prossima volta avrebbe agito alla luce del giorno.
Trascinò il corpo fino all'albero, e provò a metterla nella posa che aveva immaginato. Non era andata troppo bene. La testa della donna era inclinata verso la sinistra, ferma a causa del rigor mortis. Lui la strattonò e la girò. Persino dopo averle rotto il collo, non riusciva ancora a posizionare il corpo in modo eretto.
E come avrebbe dovuto divaricarle le gambe nel modo giusto? Una delle gambe era irrimediabilmente piegata. Non ebbe altra scelta che prendere una chiave per smontaggio da pneumatico nel suo furgone, e rompere la coscia e la rotula. Poi, girò anche la gamba nel miglior modo possibile, ma senza alcuna soddisfazione.
Infine, lasciò coscienziosamente il nastro intorno al collo, la parrucca sulla testa, e la rosa nella neve. Poi, tornò in auto e se ne andò. Si sentiva deluso e disorientato. Era anche spaventato. Con tutta la confusione che aveva fatto, aveva lasciato degli indizi fatali sulla scena? Rivisse ossessivamente ogni sua azione nella sua mente, ma non poteva esserne sicuro.
Riley aprì gli occhi. Lasciò svanire la presenza dell'assassino. Adesso era contenta di se stessa. Non era rimasta scossa e sopraffatta. E aveva compreso qualcosa d’importante, la prospettiva dell’assassino. Aveva avuto un’idea di come l'omicida stava apprendendo la sua arte.
Avrebbe soltanto voluto sapere qualcosa, qualunque cosa, del suo primo omicidio. Era più sicura che mai che avesse ucciso prima di allora. Quella era stata l'opera di un apprendista, ma non un mero esordiente.
Proprio quando Riley stava per voltarsi e tornare alla propria auto, qualcosa nell'albero catturò la sua attenzione. Si trattava di un minuscolo trattino giallo, che fuoriusciva da dove il tronco si divideva a metà al di sopra della sua testa.
Si diresse fino all'estremità dell'albero e guardò in alto.
“E' tornato qui!” Riley gridò. Brividi le percorsero il corpo, mentre si guardava intorno nervosamente. Nessuno sembrava essere nelle vicinanze ora.
Innestata nel ramo di un albero, con lo sguardo in basso verso Riley, c'era una bambola nuda dai capelli biondi, posizionata precisamente nel modo in cui l'assassino aveva inteso dovesse essere la vittima.
Non poteva essere accaduto da tanto, al massimo tre o quattro giorni. Non era stata spostata dal vento o sporcata dalla pioggia. L'assassino era tornato lì, quando si stava preparando per l'omicidio di Reba Frye. Proprio come Riley aveva fatto, lui era tornato lì per riflettere sul proprio operato, per esaminare criticamente i suoi errori.
La donna scattò delle fotografie col suo cellulare. Le avrebbe inviate immediatamente al Bureau.
Riley sapeva perché lui aveva lasciato la bambola.
E' una scusa per la negligenza passata, lei realizzò.
Era anche una promessa di un futuro lavoro migliore.
Capitolo 9
Riley guidò fino alla tenuta del Senatore Mitch Newbrough, e l’agitazione aumentò in lei man mano che le si palesava davanti. Situata alla fine di una lunga strada, caratterizzata da file di alberi, era enorme, formale e spaventosa. Lei trovava i ricchi e potenti sempre più difficili da gestire, rispetto alle persone comuni che appartenevano alle classi sociali meno elevate.
Accostò e parcheggiò in un cerchio ben tenuto di fronte alla tenuta in pietra. Sì, questa famiglia era davvero molto ricca.
Uscì dall'auto, e si diresse a piedi verso le enormi porte d'ingresso. Dopo aver suonato il campanello, fu accolta da un uomo dall'aspetto curato di circa trent'anni.
“Sono Robert” questo disse. “Il figlio del Senatore. E lei dev'essere l'Agente Speciale Riley. Prego, entri. Mamma e papà la stanno aspettando.”
Robert Newbrough condusse Riley in casa, che immediatamente le ricordò quanto disprezzasse le case vistose. La casa dei Newbrough era davvero enorme, e il percorso che l'avrebbe condotta dal Senatore e sua moglie era esageratamente lungo. Riley era certa che far camminare gli ospiti così a lungo era una sorta di tentativo di intimidazione, un modo di comunicare che gli abitanti di quella casa erano troppo potenti per essere attaccati. Riley notò anche che l'onnipresente mobilio coloniale e i decori erano molto brutti.
Più di ogni altra cosa, lei temeva quel che sarebbe seguito. Per lei, parlare con le famiglie delle vittime era semplicemente orribile, molto peggio persino delle scene dei crimini o dei cadaveri. Trovava fin troppo facile lasciarsi assorbire da dolore, rabbia e confusione delle persone. Tali intense emozioni minavano la sua concentrazione, e la distraevano dal proprio lavoro.
Mentre camminavano, Robert Newbrough disse: “Papà è a casa da Richmond sin da quando …”
L'uomo si fermò a metà frase. Riley riuscì a percepire l'intensità della sua perdita.
“Sin da quando abbiamo saputo di Reba” proseguì. “E' stato terribile. Specialmente la mamma è rimasta scossa. Provi a non sconvolgerla troppo.”
“Mi dispiace così tanto per la vostra perdita” Riley disse.
Robert la ignorò, e lasciò Riley all'interno di un soggiorno spazioso. Il Senatore Mitch Newbrough e sua moglie erano seduti entrambi su un grosso divano, tenendosi per mano.
“Agente Paige” Robert disse, presentandola. “Agente Paige, lasci che le presenti i miei genitori, il Senatore e sua moglie Annabeth.”
Robert fece accomodare Reba, poi si sedette anche lui.
“Innanzitutto” Riley disse tranquillamente, “vi faccio le mie più sentite condoglianze per la vostra perdita.”
Annabeth Newbrough replicò con un silenzioso cenno in segno di comprensione. Il Senatore si limitò a guardare davanti a sé.
Nel breve silenzio che seguì, Riley fece una rapida valutazione dei loro volti. Aveva visto Newbrough molte volte in televisione, dove sfoggiava sempre un sorriso compiacente, tipico di un uomo politico. Ora non stava sorridendo. Riley non aveva visto molto della donna, che sembrava possedere la tipica docilità della moglie di un politico.
Entrambi avevano poco più di sessant'anni. Riley si rese conto che si erano entrambi sottoposti a costosi trattamenti per apparire più giovani: impianti e tintura ai capelli, lifting facciale, trucco. Per quanto Riley poteva vedere, i loro sforzi avevano lasciato su di loro un aspetto vagamente artificiale.
Come bambole, pensò Riley.
“Devo porvi alcune domande su vostra figlia” Riley disse, estraendo il suo taccuino. “Eravate in contatto con Reba di recente?”
“Oh, sì” disse la Signora Newbrough. “Siamo una famiglia molto unita.”
Riley notò una lieve durezza nella voce della donna. Sembrava proprio qualcosa che ripeteva un po' troppo spesso, un po' troppo di frequente. Riley ebba la sensazione netta che la vita a casa dei Newbrough non fosse per niente ideale.
“Recentemente Reba aveva detto di essere stata minacciata?” Riley chiese.
“No” la Signora Newbrough disse. “Non una parola.”
Riley notò che il Senatore non aveva ancora parlato. Si chiese perché fosse così silenzioso. Aveva bisogno di stanarlo, ma come?
Poi Robert intervenne.
“Di recente, ha attraversato un divorzio difficile. Le cose si sono messe male tra lei e Paul, riguardo alla custodia dei loro due figli.”