“Il turno di Brenner termina alle sedici e trenta,” le disse Covey dopo le presentazioni. “Dato che sono già le sedici e quindici, ho chiamato il suo capo e gli ho detto di non lasciar andare i dipendenti in anticipo. Si sa che ogni tanto lo fa.”
“Lo apprezzo. Immagino che dovremmo partire subito. Voglio dare un’occhiata a quel tipo prima di interrogarlo.”
“Lo capisco. Se vuole, possiamo usare la sua auto per destare meno sospetti. Gli agenti Kuntsler e Rodriguez possono seguirci separatamente con l’auto della squadra. Teniamo sotto controllo i moli costantemente quindi il suo sospetto non troverà strano vederli in giro. Ma se vede una faccia sconosciuta uscire da un veicolo nostro, potrebbe insospettirsi.”
“Mi sembra ottimo,” disse Keri, apprezzando il fatto di non trovarsi in mezzo a una guerra per il territorio. Sapeva che probabilmente era così perché la polizia portuale odiava la cattiva pubblicità. Sarebbero stati felici di occuparsi della cosa in silenzio, anche se ciò significava cedere l’autorità a un’altra agenzia.
Keri seguì le indicazioni stradali del sergente Covey attraverso il ponte Vincent Thomas fino al parcheggio per visitatori del molo 400. Ci volle più di quanto Keri si aspettasse, e arrivarono alle sedici e ventotto. Covey parlò alla radio, dicendo al responsabile del molo che poteva lasciar andare i suoi uomini.
“Brenner dovrebbe attraversare il nostro campo visivo per raggiungere il parcheggio per dipendenti da un momento all’altro,” disse. Mentre parlava, la vettura della squadra li superò e cominciò a girare intorno al molo in modo lento e casuale. Sembrava del tutto ordinario.
Keri guardò gli scaricatori di porto uscire in fila indiana dal deposito del molo. Uno si accorse di aver ancora addosso l’elmetto protettivo e tornò indietro di corsa per restituirlo. Altri due percorsero veloci l’ampio tragitto, chiaramente diretti alle macchine. Il resto di loro camminava in un grande gruppo, apparentemente senza fretta.
“Quello è il suo uomo,” disse Covey facendo un cenno in direzione di un tizio che camminava solo. Coy Brenner condivideva solo un’effimera somiglianza con l’uomo della foto segnaletica che gli avevano scattato quando era stato arrestato in Arizona quattro anni prima. Quell’uomo aveva un’aria slanciata e affamata, con capelli castani lunghetti e ispidi e un accenno di barba.
Quello che adesso attraversava pesantemente il parcheggio aveva messo su una decina di chili, nel frattempo. Aveva i capelli tagliati corti e la barbetta era diventata una vera e propria barba. Indossava blue jeans e una camicia da tagliaboschi e camminava tenendo la testa bassa, con una smorfia sul viso. Coy Brenner non la faceva pensare a un uomo molto felice della sua vita.
“Può aspettare, sergente Covey? Voglio vedere come reagisce dovendosi confrontare solo con una poliziotta donna.”
“Certo. Per il momento vado al deposito. Dirò ai ragazzi di rimanere indietro anche loro. Faccia segno quando vuole che la raggiungiamo.”
“Okay.”
Keri uscì dall’auto, indossò una giacca per nascondere la pistola e seguì Brenner a distanza, non volendo ancora fargli sapere che si trovava lì. Le sembrava ignaro, perso nei suoi pensieri. Quando ebbe raggiunto il suo vecchio pick-up, lei gli era quasi addosso. Sentì il telefono vibrare per un messaggio e si irrigidì. Ma lui ovviamente non l’aveva sentito.
“Come va, Coy?” gli chiese in modo civettuolo.
Lui si voltò, chiaramente preso alla sprovvista. Keri tolse gli occhiali da sole, gli rivolse un ampio sorriso e si portò una mano al fianco con leggerezza.
“Ciao?” chiese, più che dire.
“Non dirmi che non ti ricordi di me! Sono passati solo quindici anni. Sei Coy Brenner di Phoenix, no?”
“Sì. Abbiamo fatto le scuole insieme?”
“No. Il tempo che abbiamo trascorso insieme è stato educativo, ma non in senso scolastico, se mi hai capito. Sto cominciando a offendermi un po’, sai?”
Sto calcando un po’ la mano. Forse ho perso il mio tocco.
Ma il viso di Coy si fece più dolce e Keri capì di aver fatto centro.
“Scusami – è stata una giornata lunga, e sono passati un sacco di anni,” disse. “Sarei felice di familiarizzare di nuovo con te. Mi ripeti come ti chiami?” Sembrava sinceramente perplesso.
“Keri. Keri Locke.”
“Sono davvero sorpreso di non riuscire a inquadrarti, Keri. Sembri il tipo di ragazza che mi ricorderei. Come mai sei venuta fin qua?”
“Non sopporto il caldo dell’Arizona. Lavoro per la città, adesso. Nell’assistenza sociale – piuttosto noioso. E tu?”
“Quello che faccio ce l’hai sotto agli occhi.”
“Un ragazzo del deserto finito a lavorare sull’acqua. Com’è successo? Volevi entrare a Hollywood? Volevi imparare a fare surf? Seguivi una ragazza?”
Mantenne il tono leggero ma lo osservò attentamente in cerca di una reazione all’ultima domanda. La sua espressione confusa ma intrigata sparì all’istante, sostituita da una di diffidenza.
“Faccio davvero fatica a inquadrarti, Keri. Mi ricordi quando ci siamo frequentati?” C’era un tono tagliente che un attimo prima non esisteva.
Keri capì che la sua trovata si stava consumando e decise di farsi un po’ più aggressiva.
“Forse non ti ricordi di me perché non assomiglio a Kendra. Non è vero, Coy? Hai occhi solo per lei, no?”
Quegli occhi passarono subito dalla diffidenza alla rabbia e lui fece un passo avanti. Keri gli guardò i pugni contrarsi involontariamente. Lei non vacillò.
“Chi diavolo sei?” chiese. “Che cosa vuoi?”
“Sto solo facendo conversazione, Coy. Perché adesso sei così maleducato?”
“Io non ti conosco,” disse, ora apertamente ostile. “Chi ti ha mandata, suo marito? Sei una specie di investigatore privato?”
“E se lo fossi? Avrei qualcosa su cui indagare? Vuoi toglierti un peso dal petto, Coy?”
Fece un altro passo verso di lei. I loro visi erano a meno di trenta centimetri di distanza, adesso. Invece di ritirarsi, Keri raddrizzò le spalle e alzò il mento con gesto di sfida.
“Credo che tu abbia commesso un terribile errore a venire qui, signorina,” ringhiò Coy. Dava la schiena alla vettura della squadra, che gli si era avvicinata lentamente e ora viaggiava pianissimo a meno di sei metri di distanza.
Con la coda dell’occhio, Keri riuscì a vedere il sergente Covey che prudentemente si allontanava dal deposito, attento a rimanere anche lui dietro a Coy. Keri sentì l’impellente bisogno di fare un cenno nella loro direzione, ma si costrinse a ignorarlo.
Ora o mai più.
“Che cos’hai fatto a Kendra, Coy?” chiese, e ogni traccia di allegria le aveva lasciato la voce. Lo fissò severa, e la mano andò ad accarezzare ancora una volta il calcio della pistola, pronta a tutto.
Alla sua domanda, gli occhi di Coy passarono dalla rabbia alla sorpresa e lei capì che non aveva idea di quello che gli stava dicendo. Coy fece un passo indietro.
“Cosa?”
Immediatamente capì che quello non era il loro uomo, ma continuò a spingere per sicurezza.
“Kendra Burlingame è scomparsa e ho sentito che tu sei il suo stalker personale. Perciò, se le hai fatto qualcosa, questo è il momento giusto per confessare. Se cooperi, posso aiutarti. Se non lo fai, le cose potrebbero mettersi davvero male per te.”
Coy la fissava ma non sembrava capire del tutto quel che lei diceva. Era ignaro del fatto che il sergente Covey fosse ormai a pochi passi da lui. L’agente veterano teneva la mano sul fianco, sopra alla pistola. Non sembrava uno dal grilletto facile – sembrava solo preparato.
“Kendra è scomparsa?” chiese Coy, con l’aria di un bambino che aveva appena scoperto che il suo cane era stato appena soppresso.
“Quand’è stata l’ultima volta che l’hai vista, Coy?”
“Alla riunione – le ho detto che l’avrei cercata qui a Los Angeles. Ma ho capito che non era per niente interessata a me. Sembrava imbarazzata per me. Non volevo rivederle sul viso ancora quell’espressione, quindi ho lasciato perdere.”
“Non volevi punire la donna che ti aveva fatto sentire così?”
“Non mi aveva fatto sentire lei così. Mi vergogno di quello che sono diventato, senza bisogno di lei. È stato il fatto di aver visto quanto ero caduto in basso per lei – è stata una vera e propria rivelazione, sai? Ho mentito a me stesso dicendomi di essere un figo, un duro, per tanto tempo. Mi ci è voluta Kendra per vedermi come il fallito che sono davvero.”
La guardava disperato, sperando di creare una specie di legame. Ma a Keri non andava di esplorare i demoni interiori di quello lì. Si vergognava abbastanza di se stessa da non voler affrontare la vergogna di qualcun altro.
“Puoi dare spiegazioni sui tuoi spostamenti di ieri, Coy?” chiese, cambiando argomento. Capito che non avrebbe avuto nessuna compassione da lei, lui annuì.
“Sono stato qui tutto il giorno. Sono sicuro che il mio capo lo può confermare.”
“Possiamo fare delle verifiche,” disse il sergente Covey. Coy sobbalzò leggermente alla voce inaspettata alle sue spalle. Si voltò, sorpreso di vedere Covey a meno di un metro da lui e la macchina della squadra con Kuntsler e Rodriguez non molto più lontana.
“Perciò immagino che tu sia un poliziotto, vero?” disse Coy, abbattuto.
“Sì, dell’Unità persone scomparse del LAPD.”
“Spero che la troviate. Kendra è una ragazza fantastica. Il mondo è un posto migliore grazie a lei e merita di essere felice. Sono sempre stato innamorato di lei. Ma sapevo che era fuori dalla mia portata quindi non ci ho mai sperato. Se c’è altro che posso fare per aiutarvi, ditemelo.”
“Detective Locke,” intervenne il sergente Covey, “a meno che non abbia altre domande, sono felice di controllare il suo alibi. So che ci sono altre piste che vuole seguire. Inoltre dobbiamo occuparci di alcuni documenti relativi al signor Brenner. Ha mentito sulla sua domanda di impiego a proposito della libertà condizionale e ciò può portare alla sua interruzione.”
Keri vide il viso di Brenner crollare ancora di più. Faceva davvero pena. E adesso, per giunta, era disoccupato. Cercò di scacciare la sensazione di esserne in parte responsabile.
“Lo apprezzerei molto, sergente. Devo davvero andare e questo mi sembra un vicolo cieco. Grazie per tutto l’aiuto.”
Mentre Covey e gli agenti scortavano Coy Brenner di nuovo al deposito per interrogarlo, Keri salì in auto e controllò il messaggio che aveva ricevuto prima.
Era di Brody. Diceva:
IL GALÀ SI FA ANCORA. UN’OTTIMA OPPORTUNITÀ PER PARLARE CON QUALCUNO. CI VEDIAMO LÌ. METTITI QUALCOSA DI SEXY.
Brody continuava a impressionarla con la sua mancanza di intuizione e professionalità. Oltre a essere un incorreggibile sessista, non sembrava capire che una raccolta fondi la cui promotrice era scomparsa non era la sede d’incontro ideale per far sì che amici e colleghi svelassero la loro anima.
Inoltre, non ho neanche qualcosa da mettermi.
Certo, quella non era l’unica ragione. Se doveva essere onesta con se stessa, Keri doveva ammettere che parte del suo timore era dovuto al fatto che si trattava esattamente del tipo di eventi a cui andava sempre quando era una docente rispettabile, la moglie di un talent scout di successo, e la madre di un’adorabile bambina. Andare a questa cosa avrebbe voluto dire riportare alla memoria in modo intenso, splendente e doloroso la vita che conduceva prima della perdita di Evie.
A volte odiata il suo lavoro.
CAPITOLO OTTO
Keri aveva nello stomaco un vortice di ansia mentre sedeva nella sala d’attesa dello studio legale di Jackson Cave. L’aveva già fatta aspettare venti minuti, abbastanza per lei da chiedersi ripetutamente se avesse preso una decisione buona.
Stava tornando da San Pedro, calcolando quando le ci sarebbe voluto per arrivare alla casa galleggiante per indossare un abito da sera e poi andare a Beverly Hills per la raccolta fondi dell’associazione Solo Sorrisi. Ma mentre puntava a nord, aveva visto in lontananza i grattacieli del centro di Los Angeles ed era stata colta da un’urgente necessità. Si era ritrovata a guidare verso l’ufficio di Cave, senza un piano su cui fare affidamento.
Per strada aveva chiamato Brody in modo che potessero aggiornarsi. Dopo avergli detto del vicolo cieco che si era rivelato essere Coy Brenner, lui le aveva detto di San Diego.
“L’alibi di Jeremy Burlingame è verificato. È stato in sala operatoria tutto il giorno di ieri. Apparentemente stava supervisionando alcuni dottori di laggiù, gli stava insegnando una nuova procedura per la ricostruzione facciale.”
“Okay, senti, il traffico è davvero uno schifo, qui,” disse Keri. In parte era vero, ma era anche una scusa per fermarsi da Cave. “Perciò se arrivi al galà prima di me, limitati a perlustrare il posto, per favore. Non metterti a parlare con la gente.”
“Mi stai dicendo come fare il mio lavoro, Locke?”
“No, Brody. Sto solo suggerendo che muoversi lì dentro come un elefante in una cristalleria potrebbe essere controproducente. Alcune di quelle donne di mondo probabilmente si apriranno di più con un’altra ragazza vestita bene che con un tizio che la più relazione più duratura l’ha avuta con la sua automobile.”
“Fanculo, Locke. Parlerò con chi mi pare,” disse Brody sdegnato. Ma lei nella voce riuscì a sentirgli nella voce che aveva dei dubbi su quanto buona fosse l’idea.
“Fa’ come ti pare,” rispose Keri. “Ci vediamo lì.”
Ora, una buona mezz’ora dopo, non era ancora riuscita a vedere Cave. Erano quasi le diciassette e trenta. Decise di approfittare della quiete per dare un’occhiata in giro. Andò alla reception.
“Sa quanto ci vorrà ancora al signor Cave?” chiese alla segretaria, che scosse la testa per scusarsi. “Allora mi può dire dov’è il bagno, per favore?”
“In fondo al corridoio a sinistra.”
Keri puntò in quella direzione, con gli occhi attenti verso qualsiasi dettaglio che potesse darle un qualche vantaggio. Proprio davanti al bagno delle donne c’era una porta con su scritto Uscita. La aprì e vide che si apriva sullo stesso corridoio che aveva percorso per raggiungere l’ingresso dello studio.
Dopo essersi guardata in giro per verificare che nel corridoio non ci fosse nessuno, prese un fazzoletto dalla borsa e lo inserì nel buco del chiavistello in modo che non si chiudesse automaticamente. Poi entrò un attimo nel bagno per salvare le apparenze.
Quando tornò nell’atrio, una donna attraente con un impeccabile abito d’affari la stava aspettando per accompagnarla nell’ufficio di Jackson Cave. Mentre seguiva la donna, cercò di evitare che il cuore le saltasse fuori dal petto. Stava per incontrare l’uomo che forse possedeva la chiave per ottenere delle informazioni cruciali sul luogo in cui si trovava Evie, e non aveva un piano di azione.
L’unica altra volta in cui aveva incontrato Jackson Cave era stata alla stazione di polizia di una cittadina di montagna. Ci era venuto per salvare il suo cliente, Payton Penn, il fratello del senatore della California Stafford Penn. In sostanza aveva scoperto che Penn aveva assunto Alan Pachanga per rapire sua nipote, Ashley. Le cose le erano andate bene in quella cittadina di montagna, ma adesso si trovava in territorio nemico, e la cosa si percepiva chiaramente.
Jackson Cave era conosciuto praticamente in tutta la città per la sua reputazione come rappresentante delle maggiori aziende. Ma per le forze dell’ordine il suo lavoro pro-bono come difensore di stupratori, pedofili e rapitori di bambini era una chiara indicazione d’infamia.
Keri era stata immediatamente sospettosa di un uomo del genere. Una cosa era difendere un presunto assassino in un caso da braccio della morte o un disperato che aveva rapinato una banca per mantenere la famiglia. Ma rappresentare esclusivamente e con entusiasmo i peggiori perpetratori di violenze sessuali che la città aveva da offrire, gratis, le sembrava una scelta strana.