“Qualcuno controlla il viaggio del dottore a San Diego?”
“Brody ci sta andando adesso.”
“Sei con Frank Brody su questo caso?” disse Ray cercando di non ridere. “Adesso capisco perché preferisci trascorrere il tuo tempo con un invalido. Come sta andando?”
“Perché pensi che non abbia obiettato quando si è offerto di andare a San Diego? Avrebbero potuto tranquillamente proseguire le indagini i colleghi di lì, ma lui ha insistito e ho pensato che la faccenda mi avrebbe tenuto lui e quella sua atrocità di macchina rosso granata lontani per un po’. E poi preferirei trascorrere il tempo in compagnia di un logoro, deboluccio sacco di tristezza costretto a letto come te che con Brody, sempre e comunque.”
Tutto lo scambio di battute aveva finito col mettere Keri a suo agio, e capì troppo tardi che l’ultimo commento li aveva riportati ai problemi di Ray. Lui se ne restò zitto un momento, poi aprì la bocca per parlare ma Keri lo anticipò.
“Comunque dovrei andare. Avrei dovuto vedermi con l’amica di Kendra proprio adesso. Torno da te più tardi. Prenditela comoda, okay?”
Uscì senza aspettare la risposta. Mentre percorreva veloce il corridoio per prendere l’ascensore, continuava a ripetersi una parola nella mente.
Idiota. Idiota. Idiota.
CAPITOLO SEI
Ancora rossa dall’imbarazzo, Keri percorse in auto il breve tragitto fino alla casa di Becky Sampson. Vide il suo viso paonazzo nello specchietto retrovisore e distolse in fretta lo sguardo, cercando di non pensare a qualsiasi cosa che non fosse il modo in cui aveva lasciato le cose con Ray. Le venne in mente che se n’era andata così di corsa da dimenticarsi di dirgli della telefonata anonima su Evie e del giro al deposito abbandonato.
Il caso, Keri. Tieni l’attenzione sul caso.
Considerò l’idea di chiamare il detective Kevin Edgerton, l’esperto informatico che stava tracciando l’ultima localizzazione nota dei GPS di Kendra, per vedere se aveva scoperto qualcosa.
Una parte di lei era infastidita dal fatto che Edgerton, lavorando al caso, fosse distratto dal tentativo di scoprire il codice del laptop di Alan Pachanga. Ancora una volta, la frustrazione la percorse quando si ricordò di come inizialmente avessero pensato di essere riusciti ad accedere a un intero network di rapitori, per poi finire solo con lo sbattere contro un muro dopo l’altro.
Keri era sicura che il codice di cui aveva bisogno si trovasse tra i documenti di Jackson Cave, l’avvocato di Pachanga. Decise che sarebbe andata a trovare Cave oggi, caso o non caso.
Mentre prendeva quell’impegno, parcheggiò alla casa di Becky Sampson.
È il momento di lasciare da parte Cave, per adesso. Kendra Burlingame ha bisogno del mio aiuto. Concentrati.
Uscì dalla macchina e studiò il vicinato mentre raggiungeva la porta principale del condominio. Becky Sampson viveva in un edificio a tre piani in stile Tudor. L’intera strada, la North Stanley Drive, era fiancheggiata da complessi simili decorati a imitazione dello stile.
Quella parte di Beverly Hills, appena a sud del Cedars-Sinai e della Burton Way e a ovest di Robertson Boulevard, tecnicamente si trovava all’interno dei confini della città. Ma dato che era circondata dai distretti commerciali e confinava con Los Angeles, l’affitto era molto più basso rispetto ad altre zone. Eppure l’indirizzo di posta diceva Beverly Hills, e quello contava.
Keri citofonò all’interno di Becky e venne fatta entrare subito. Una volta dentro, divenne chiaro che il codice postale era l’argomento di vendita più importante del posto. Certamente non lo era l’edificio stesso. Mentre percorreva il corridoio in direzione dell’ascensore, Keri osservò la tintura rosa chiaro che si scrostava dai muri e la spessa moquette chiazzata. Tutto puzzava di muffa.
L’ascensore aveva un odore anche peggiore, come se avesse visto molti incidenti inerenti al vomito nel corso degli anni e non potesse più nasconderne il tanfo. Sobbalzò precariamente fino ad arrivare al terzo piano e le porte si aprirono sferragliando. Keri uscì, decidendo di prendere le scale poi per tornare giù, anche se le costole e la spalla l’avrebbero odiata per quello.
Bussò alla porta dell’interno 323, tolse la fibbia alla pistola, lasciò che la mano vi si posasse sopra discretamente, e aspettò. Il rumore di piatti che venivano gettati senza tante cerimonie in un lavandino era facile da identificare, così come il tonfo di qualcosa che si trovava sul pavimento e che veniva sbattuto in un armadio.
Adesso si controlla a uno specchio vicino alla porta. C’è un’ombra sullo spioncino mentre controlla me e dovrebbe aprire la porta fra tre, due…
Keri sentì una serratura e la porta si aprì per rivelare una donna magra dall’aria terrorizzata. Doveva avere la stessa età di Kendra se erano andate alla riunione scolastica insieme ma sembrava molto più vecchia, più vicina ai cinquanta che ai quaranta. Aveva i capelli castano chiaro, ovviamente tinti, e gli occhi marroni erano iniettati di sangue come un tempo erano quelli di Keri. La parola che le venne immediatamente alla mente per descriverla era nervosa.
“Becky Sampson?” chiese seguendo il protocollo, anche se la foto sulla patente di guida che le era stata inviata per strada chiaramente era la sua. Tenne la mano destra sul calcio della pistola.
“Sì. Detective Locke? Entri.”
Keri entrò, mantenendo una certa distanza tra lei e Becky. Persino le anoressiche con aspirazioni alla Beverly Hills potevano far danni se abbassavi la guardia. Cercò di non arricciare il naso all’aroma ammuffito che permeava l’appartamento.
“Posso offrirle qualcosa?” chiese Becky.
“Mi andrebbe un bicchiere d’acqua,” rispose Keri, non tanto perché ne volesse uno ma perché le avrebbe permesso di scrutare meglio l’appartamento mentre la sua ospite era in cucina.
Con le finestre chiuse e le imposte tirate, il posto era soffocante. Tutto sembrava essere cosparso da uno strato di polvere, dai tavolini da salotto alle librerie al divano. Keri entrò nel soggiorno e capì di essersi sbagliata.
Una parte del tavolo da caffè era splendente, come se venisse usata costantemente. Sul pavimento, di fronte a quel punto, Keri notò molte briciole di ciò che sembrava essere una polverina bianca. Si inginocchiò, ignorando le urla di dolore alle costole, e guardò sotto al tavolo. Riuscì a vedere una banconota da un dollaro parzialmente arrotolata, coperta da un residuo biancastro. Sentì il rubinetto chiudersi e si alzò in piedi prima che Becky rientrasse nella stanza con due bicchieri d’acqua.
Chiaramente sorpresa di vedere la sua ospite così lontana dall’ingresso, Becky le diede un’occhiata sospettosa prima di far andare lo sguardo involontariamente sul punto pulito del tavolino.
“Le spiace se mi siedo?” chiese Keri con nonchalance. “Ho una costola rotta e mi fa male se rimango in piedi troppo a lungo.”
“Certo,” disse Becky, apparentemente placata. “Com’è accaduto?”
“Un rapitore di bambini mi ha picchiata.”
Becky sgranò gli occhi dallo stupore.
“Oh, non si preoccupi,” la rassicurò Keri. “Gli ho sparato e l’ho ucciso subito dopo.”
Abbastanza sicura di aver fatto abbassare la guardia a Becky, si tuffò nella conversazione.
“Dunque, al telefono le ho detto che avevo bisogno di parlarle di Kendra Burlingame. È scomparsa. Ha idea di dove potrebbe essere?”
Se possibile, Becky sgranò gli occhi ancor più di prima.
“Cosa?”
“Non si hanno sue notizie da ieri mattina. Quando è stata l’ultima volta che le ha parlato?”
Becky cercò di rispondere ma d’un tratto si mise a tossire e rantolare. Dopo alcuni istanti, si riprese abbastanza da parlare.
“Siamo andate a fare shopping sabato pomeriggio. Cercava un vestito nuovo per il galà di beneficienza di stasera. È davvero sicura che sia scomparsa?”
“Ne siamo sicuri. Come si è comportata sabato? Le è sembrata ansiosa per qualcosa?”
“No,” rispose Becky tirando su col naso e prendendo un fazzoletto. “Voglio dire, c’erano piccoli intoppi con l’organizzatrice della raccolta fondi di cui si stava occupando, telefonate con il catering, e cose del genere. Ma non era niente di cui non si fosse occupata un milione di volte. Non sembrava tanto preoccupata.”
“E per lei, Becky, com’è stato stare ad ascoltare quelle telefonate su un elegante galà mentre comprava un vestito costoso?”
“Che cosa intende dire?”
“Intendo dire che lei è la sua migliore amica, giusto?”
Becky annuì. “Da quasi venticinque anni,” disse.
“E vive in questo appartamento con una sola camera da letto, mentre la sua migliore amica vive in una villa in collina. Non è mai gelosa?”
Guardò Becky con attenzione. L’altra donna bevette un sorso d’acqua, ma tossì come se le fosse andato di traverso. Dopo alcuni secondi, rispose.
“A volte sì, mi capita di essere gelosa. Lo ammetto. Ma non è colpa di Kendra se le cose a me non sono andate altrettanto bene. A dire la verità, è difficile arrabbiarsi con lei. È la persona più gentile che conosco. Ho dovuto affrontare… dei problemi, e lei è sempre stata presente per me quando le cose si sono fatte difficili.”
Keri sospettava di che tipo di “problemi” stesse parlando ma non disse nulla. Becky proseguì.
“E poi con me è molto generosa, ma non spadroneggia mai. È un equilibrio difficile da mantenere. In realtà mi ha comprato lei il vestito che indosserò al galà di stasera, presumendo che si svolga ancora. Lei lo sa?”
“No,” rispose Keri brusca. “Mi parli della sua relazione con Jeremy. Com’era il loro matrimonio?”
“Buono. Sono ottimi compagni, una vera e propria squadra.”
“Non suona molto romantico. È un matrimonio o una società?”
“Non penso che siano mai stati una coppia super-appassionata. Jeremy è molto conservatore, un tipo poco sentimentale. E Kendra ha superato la fase del tipo sexy e selvaggio sui vent’anni. Credo che fosse felice di avere un uomo stabile e dolce su cui contare. So che lo ama. Ma non stiamo parlando di Romeo e Giulietta, se è questo che intende dire.”
“Okay, perciò desiderava ardentemente quella passione? Magari l’aveva cercata, diciamo in occasione di un viaggetto per una riunione scolastica?” chiese Keri.
“Perché me lo chiede?”
“Jeremy ha detto che sembrava un po’ nervosa dopo essere tornata dalla vostra riunione.”
“Oh, quello,” disse Becky, tirando su col naso ancora prima di scoppiare in un altro breve attacco di tosse.
Mentre Becky cercava di riprendere il controllo, Keri notò uno scarafaggio attraversare veloce il pavimento e cercò di ignorarlo. Quando Becky si riprese, continuò.
“Mi creda, non ha combinato niente in quel viaggio. In effetti è stato il contrario. Un suo ex, uno che si chiama Coy Brenner, continuava a provarci con lei. È stata cortese ma lui era inarrestabile.”
“In che senso inarrestabile?”
“Cioè fino a diventare sgradevole. Era uno di quei tipi selvaggi di cui le parlavo. Comunque non avrebbe accettato un no come risposta. Alla fine della riunione, ha detto qualcosa sull’andarla a cercare in città. Credo che l’abbia davvero spaventata.”
“Vive qui?”
“Vive a Phoenix da molto tempo. È stata là la riunione. Siamo tutti cresciuti lì. Ma ha accennato a un recente trasferimento a San Pedro – ha detto che lavorava al porto.”
“Quanto tempo fa si è svolta questa riunione?”
“Due settimane fa,” disse Becky. “Crede davvero che lui abbia qualcosa a che fare con tutto questo?”
“Non lo so. Ma lo verificheremo. Dove posso trovarla se ho bisogno di contattarla ancora?”
“Lavoro a un’agenzia di casting sulla Robertson, di fronte al ristorante The Ivy. Si trova a circa dieci minuti a piedi da qui. Ma tengo sempre il cellulare con me. La prego di non esitare a chiamarmi. Mi chieda pure tutto quello che posso fare per aiutare. È come una sorella, per me.”
Keri guardò attenta Becky Sampson, tentando di decidere se si trattava dell’elefante nella stanza. Il tirare su col naso e il tossire continui, la totale noncuranza per il mantenimento di una casa vivibile, i residui bianchi e la banconota arrotolata sul pavimento – tutto suggeriva che la donna soffriva di una grave dipendenza da cocaina.
“Grazie di avermi concesso il suo tempo,” disse alla fine, decidendo di lasciar perdere per il momento.
La situazione di Becky avrebbe potuto rivelarsi utile in futuro. Ma non c’era bisogno di usarla ora, quando non costituiva un vantaggio strategico. Keri lasciò l’appartamento e prese le scale per scendere, nonostante le fortissime fitte alla spalla e alle costole.
Si sentiva un po’ in colpa a tenere il problema di coca di Becky come una carta potenziale da giocarsi durante le indagini. Ma la colpa svanì rapida non appena lasciò l’edificio e respirò l’aria fresca. Era una detective della polizia, non una consulente sulle droghe. Tutto ciò che poteva aiutarla a risolvere il caso era giustificabile.
Mentre si immetteva nel traffico e puntava alla freeway, chiamò l’ufficio. Aveva bisogno di tutto ciò che sapevano sull’ex fidanzato aggressivamente interessato a Kendra, Coy Brenner. Aveva intenzione di fargli una visita a sorpresa.
CAPITOLO SETTE
Keri cercò di mantenersi calma anche se sentiva salire la pressione del sangue. Il traffico dell’ora di punta si stava facendo più fitto mentre procedeva verso sud sulla 110 in direzione del porto di Los Angeles a San Pedro. Erano passate le sedici, e pur usando la corsia preferenziale e la sirena, procedeva lentamente.
Finalmente uscì dalla freeway e proseguì nel complicato bacino di strade fino all’edificio amministrativo sulla Palos Verdes Street. Lì doveva incontrare il suo contatto con la polizia portuale, che le avrebbe assegnato due agenti come rinforzo durante l’interrogatorio di Brenner. La partecipazione della portuale era richiesta, dato che la giurisdizione era la loro.
Normalmente Keri era irritata da quel tipo di esigenze burocratiche, ma per una volta non le dispiaceva l’idea di avere dei rinforzi. Di solito era piuttosto sicura di sé nel confrontarsi con ogni possibile sospettato, dato era aveva imparato il Krav Maga e che aveva anche preso qualche lezione di boxe da Ray. Ma con la spalla messa male e le costole malconce, non era sicura di se stessa come il solito. E Brenner non sembrava una passeggiata.
Stando al detective Manny Suarez, che al distretto aveva fatto delle ricerche per Keri mentre lei era per strada, Coy Brenner era un bell’elemento. Era stato arrestato una mezza dozzina di volte nel corso degli anni, due per guida in stato di ebbrezza, una per furto, due per aggressione, e più straordinariamente per frode, con la quale si era guadagnato il periodo di detenzione più lungo, sei mesi. Era stato quattro anni prima, e dato che non gli era permesso lasciare lo Stato per altri cinque, tecnicamente stava violando la libertà condizionale.
Adesso era uno scaricatore di porto al molo 400. Anche se a Becky e a Kendra aveva accennato di essersi trasferito a San Pedro solo nelle ultime settimane, la documentazione mostrava che viveva in un appartamento di Long Beach da più di tre mesi.
Il contatto della polizia portuale, il sergente Mike Covey, e i suoi due agenti la stavano aspettando quando arrivò. Covey era un uomo dall’aria seria sul finire dei quarant’anni, alto e con una calvizie incipiente. Lei lo aveva aggiornato brevemente al telefono e ovviamente lui aveva fatto lo stesso con i suoi uomini.