Era l’ultimo essere umano al mondo che Riley avrebbe voluto vedere.
“Papà” mormorò con disperazione.
L’uomo sorrise tristemente e disse:“Ehi, non dovresti sembrare così dannatamente triste. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere rivedere me, il tuo carne e il tuo sangue.”
“Sei morto” Riley sbottò.
Il genitore scrollò le spalle, replicando: “Beh, come già sai, questo non m’impedisce di farmi vedere di tanto in tanto.”
Riley era consapevole che c’era della verità in quelle parole.
Non era la prima volta che vedeva suo padre da quando era morto l’anno prima.
E non era neanche la prima volta che rimaneva disorientata dalla sua apparizione. Il poter parlare con un uomo morto proprio non aveva alcun senso per lei.
Ma di una cosa era sicura.
Non voleva avere niente a che fare con lui.
Voleva stare tra persone che non le facessero odiare se stessa.
Quindi, si voltò e cominciò a camminare verso Blaine e le ragazze, che stavano ancora giocando con il pallone da spiaggia.
Di nuovo, fu fermata da quell’invisibile barriera.
Il padre rise. “Quante volte devo dirtelo? Non hai niente a che fare con loro.”
Tutto il corpo di Riley tremò, per rabbia o dolore, non seppe stabilirlo.
Si voltò verso il padre, gridando …
“Lasciami in pace!”
“Sei sicura?” l’uomo ribatté. “Sono tutto ciò che hai. Sono tutto ciò che sei.”
Riley ringhiò: “Non sono affatto come te. So che cosa significa amare ed essere amata.”
Il padre scosse la testa e sprofondò con i piedi nella sabbia.
“Non che io non ti capisca” rispose. “E’ una dannata vita folle quella che hai, cerchi giustizia per gente che è già morta, quindi proprio chi non ha più bisogno di giustizia. Proprio com’è stato con me in Vietnam, una stupida guerra che non si poteva vincere in alcun modo. Sei una cacciatrice, come me. Ti ho cresciuta in quel modo. Non conosciamo altro, noi due.”
Rimasero immobili in una muta, reciproca sfida.
Qualche volta Riley riusciva a sconfiggerlo, facendogli battere le palpebre.
Ma questa non era una di quelle volte.
Batté dunque le palpebre e distolse lo sguardo.
Il padre sogghignò, congedandosi bruscamente: “Accidenti, se vuoi restare da sola, per me va bene. Neanch’io mi sto esattamente godendo la tua compagnia.”
Si voltò allontanandosi lungo la spiaggia.
Riley tornò a guardare i suoi familiari e vide che tutti si stavano allontanando: April e Jilly mano nella mano, Blaine e Crystal in altra direzione.
Mentre già stavano scomparendo nella prima luce del mattino, Riley batté le mani sulla barriera e provò a gridare …
“Tornate! Vi prego, tornate indietro! Vi amo tutti!”
Le labbra si mossero ma dalla bocca non uscì alcun suono.
*
Riley spalancò gli occhi e si trovò sdraiata nel letto.
Un sogno, pensò. Avrei dovuto sapere che si trattava di un sogno.
Talvolta il padre le appariva nei sogni.
Dopo tutto, in quale altro modo avrebbe potuto passare a trovarla, essendo morto?
Le ci volle un altro momento per rendersi conto di avere gli occhi bagnati di pianto.
L’opprimente solitudine, l’isolamento dalle persone che più amava al mondo, l’avvertimento ricevuto dal padre …
“Sei una cacciatrice, come me.”
C’era poco da meravigliarsi che si fosse svegliata angosciata.
Prese un fazzoletto e, a poco a poco, riuscì a calmarsi e smettere di singhiozzare. Ma, anche così, quel senso di solitudine non intendeva scomparire. Si ricordò che le ragazze dormivano in un’altra camera, e Blaine in una terza.
Ma le sembrava in qualche modo difficile crederlo.
Da sola al buio, si sentì come se tutti fossero molto distanti, dall’altro capo del mondo.
Pensò di alzarsi e camminare in punta di piedi per il corridoio, e di unirsi a Blaine nella sua camera, ma …
Le ragazze.
Dormivano in camera separate per via delle ragazze.
Sistemò il cuscino intorno alla testa e provò a riaddormentarsi, ma non riusciva a smettere di pensare …
Un martello.
Qualcuno in Mississippi è stato ucciso con un martello.
Si disse che non era un suo caso, e che aveva detto di no a Brent Meredith.
Ma, anche quando finalmente riuscì a riaddormentarsi, quei pensieri non l’abbandonarono …
C’è un killer a piede libero.
C’è un caso da risolvere.
CAPITOLO CINQUE
Entrando nella stazione di polizia di Rushville, prima tappa del suo giro mattutino, Samantha avvertì la sensazione di essersi messa nei guai. Il giorno prima aveva fatto alcune telefonate, che probabilmente non avrebbe dovuto fare.
Forse dovrei imparare a farmi gli affari miei, pensò.
Ma, in qualche modo, farsi gli affari propri non le riusciva facilmente.
Provava sempre a sistemare le cose: talvolta quelle che non si potevano aggiustare, o quelle che altre persone non volevano che fossero aggiustate.
Come al solito, al suo arrivo, Sam non vide altri poliziotti ma soltanto la segretaria del capo, Mary Ruckle.
I colleghi agenti la prendevano molto in giro per questo …
“La buona vecchia affidabile Sam” dicevano. “Sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andarsene.”
In qualche modo, non sembrava che intendessero farle un complimento. Ma, ripensandoci, trovava naturale che la “buona vecchia affidabile Sam” fosse presa di mira: era la poliziotta più giovane e l’ultima arrivata nelle forze dell’ordine di Rushville. Non era di alcun aiuto il fatto che fosse anche l’unica donna.
Per un momento, Mary Ruckle non sembrò notare l’arrivo di Sam. Era profondamente impegnata a farsi le unghie, la sua abituale occupazione durante la maggior parte della giornata lavorativa. Sam non riusciva a comprendere il piacere di farsi le unghie. Lei teneva sempre le sue semplici e corte e forse questa era una delle varie ragioni per cui la gente la considerava, beh …
Poco femminile.
Non che Mary Ruckle fosse ciò che Sam considerava affascinante. Aveva il viso stretto e cattivo, come se fosse stato messo insieme da una molletta da bucato sulla punta del naso. Eppure, Mary era sposata e aveva tre figli, e pochi a Rushville prevedevano quel tipo di vita per Sam.
Sam non sapeva che cosa desiderava davvero. Provava a non pensare troppo al futuro. Forse era questo il motivo per cui si concentrava tanto su ogni cosa in cui si imbatteva, giorno dopo giorno. Non riusciva davvero ad immaginare un futuro per se stessa, almeno non tra le scelte che sembravano essere disponibili.
Mary soffiò sulle sue unghie, guardò Sam e disse …
“Il Capo Crane vuole parlarti.”
Sam annuì con un sospiro.
Proprio come mi aspettavo, pensò.
Entrò nell’ufficio e trovò il Capo Crane Carter intento a giocare a Tetris sul suo computer.
“Solo un minuto” balbettò, sentendo Sam entrare nella stanza.
Probabilmente distratto dall’ingresso, perse rapidamente la partita a cui stava giocando.
“Dannazione” esclamò, guardando lo schermo.
Sam si preparò. Probabilmente era già stufo di lei. Perdere una partita di Tetris non doveva aver migliorato il suo umore.
Il Capo si girò nella sua sedia girevole e disse …
“Kuehling, siediti.”
Sam si sedette obbediente di fronte alla sua scrivania.
Crane unì insieme le punte delle dita delle mani e la fissò per un momento, provando come al solito a sembrare il pezzo grosso che lui stesso immaginava d’essere. E, come al solito, Sam non ne rimase impressionata.
Crane aveva circa trent’anni, era bello ma non aveva nulla che colpisse l’immaginazione: piacente in un modo che nella mente di Sam si confaceva più ad un agente di assicurazione. Invece, era diventato il capo della polizia, profittando del vuoto di potere che il Capo Jason Swihart aveva lasciato, quando era improvvisamente andato via vent’anni prima.
Swihart era stato un buon capo e era sempre piaciuto a tutti, inclusa Sam. A Swihart era stato proposto un lavoro grandioso in una società del settore della sicurezza nella Silicon Valley, e l’uomo si era comprensibilmente spostato su pascoli più verdi.
Perciò, ora Sam e gli altri poliziotti dovevano rispondere al Capo Carter Crane. A Sam, l’uomo sembrava mediocre in un dipartimento pieno di mediocrità. Sam non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era certa di avere un cervello migliore di quello che possedevano Crane e tutti gli altri poliziotti del luogo messi insieme.
Sarebbe bello avere una possibilità di dimostrarlo, pensò.
Infine, Crane disse: “Ho ricevuto un’interessante telefonata ieri sera, da un certo Agente Speciale Brent Meredith di Quantico. Non crederai mai a ciò che mi ha detto. Oh, ma, d’altronde, forse lo farai.”
Sam si lamentò infastidita e disse: “Avanti, Capo. Andiamo dritti al punto. Ho chiamato l’FBI ieri pomeriggio. Ho parlato con alcune persone, prima di essere finalmente messa in contatto con Meredith. Pensavo che qualcuno dovesse chiamare l’FBI. Dovrebbero essere qui ad aiutarci.”
Crane fece un sorrisetto e disse: “Non dirmelo. E’ perché sei ancora convinta che l’omicidio di Gareth Ogden dell’altro ieri sia stato opera di un serial killer, che vive proprio qui a Rushville.”
Sam roteò gli occhi.
“Ho bisogno di rispiegarlo?” replicò. “L’intera famiglia Bonnett è stata uccisa una notte di dieci anni fa. Qualcuno ha spaccato loro la testa con un martello. Il caso non è mai stato risolto.”
Crane annuì e disse: “E pensi che lo stesso killer sia sbucato fuori dieci anni dopo.”
Sam scrollò le spalle e disse: “C’è un collegamento piuttosto ovvio. Il modus operandi è identico.”
Crane alzò improvvisamente un po’ la voce.
“Non c’è alcun collegamento. Lo abbiamo già deciso ieri. Il modus operandi è solo una coincidenza. Il meglio che possiamo dire è che Gareth Ogden è stato ucciso da un vagabondo che è passato per la città. Stiamo seguendo ogni pista possibile. Ma a meno che non ripeta lo stesso crimine altrove, è probabile che non riusciremo mai a prenderlo.”
Sam si sentì improvvisamente impaziente.
Replicò: “Se è stato soltanto un vagabondo, perché non c’era alcuna traccia di furto?”
Crane colpì la scrivania col palmo della sua mano.
“Dannazione, non cedi con nessuna delle tue teorie, vero? Non sappiamo se non c’è stato un furto. Ogden era abbastanza confuso da lasciare la porta di casa aperta. Forse lo era anche da lasciare tanti soldi sul suo tavolino da caffè. Il killer li ha visti e li ha presi, colpendo Ogden alla testa nel farlo.”
Riunendo di nuovo le punte delle dita, Crane aggiunse …
“Ora non ti sembra più plausibile come teoria piuttosto che quella di uno psicopatico che ha passato dieci lunghi anni … a fare cosa, esattamente? In ibernazione, forse?”
Sam fece un respiro lungo e profondo.
Non ricominciare, si disse.
Non poteva esporre di nuovo tutto soltanto perché la teoria di Crane la infastidiva. E poi, come si spiegava il martello? Lei stessa si era accorta che i martelli di Ogden erano tutti ancora ben stipati nella sua cassetta degli attrezzi. Perciò, il killer si era portato con sé un martello, mentre vagava di città in città?
Certo, era possibile.
Ma come teoria sembrava anche un po’ ridicola.
Crane brontolò ed aggiunse: “Ho detto a quel Meredith che eri annoiata e che hai un’enorme immaginazione, e di dimenticare il tutto. Ma, francamente, l’intera conversazione è stata imbarazzante. Non mi piace quando la gente mi scavalca. Non avevi alcun diritto di fare quelle telefonate. Chiedere aiuto all’FBI è il mio lavoro, non il tuo.”
Sam digrignò i denti, sforzandosi di tacere.
Riuscì a dire con voce tranquilla …
“Sì, Capo.”
Crane respirò, facendo quello che sembrò un sospiro di sollievo.
“Lascerò perdere tutto questo e non avvierò alcuna azione disciplinare stavolta” disse. “La verità è che sarei molto più felice se nessuno dei ragazzi venisse a sapere qualcosa. Hai detto a qualcun altro qui delle tue bravate?”
“No, Capo.”
“Allora, continua a far in modo che non si sappia” Crane sottolineò.
L’uomo si voltò e cominciò una nuova partita a Tetris, mentre Sam lasciava il suo ufficio. Tornata alla propria scrivania, si sedette e rimuginò silenziosamente.
Se non posso parlare con nessuno di questo, allora esploderò, pensò.
Ma aveva appena promesso di non riferire la questione agli altri poliziotti.
E allora con chi poteva parlare?
Riusciva a pensare solo ad una persona … quella che era la ragione per cui era lì, provando a svolgere il suo lavoro …
Mio padre.
Era stato un poliziotto in servizio lì, quando la famiglia Bonnett era stata uccisa.
Il fatto che il caso non fosse stato risolto aveva perseguitato l’uomo per anni.
Forse papà potrebbe dirmi qualcosa, pensò.
Forse potrebbe suggerirmi delle idee.
Ma Sam capì che non sarebbe affatto una buona idea. Il padre era in una casa di riposo, e soffriva di demenza senile. Aveva giorni buoni e giorni cattivi, ma menzionare un caso dal suo passato lo avrebbe certamente innervosito e confuso. Sam non voleva che succedesse.
Al momento, non aveva molto da fare, finché il suo partner, Dominic, non fosse arrivato per il loro turno mattutino. Sperava che arrivasse presto, così che potessero fare un giro dell’area, prima che il caldo divenisse troppo soffocante. Oggi ci si aspettava che superasse il record
Intanto, non poteva preoccuparsi di qualcosa che lei non poteva risolvere, nemmeno della possibilità che un serial killer potesse essere lì a Rushville, preparandosi a colpire ancora.
Prova a non pensarci, si disse.
Poi, sbuffò e mormorò ad alta voce …
“Come se questo fosse possibile.”
CAPITOLO SEI
Il cellulare di Riley vibrò, mentre Blaine guidava diretto a Fredericksburg. Fu sorpresa e turbata vedendo chi la stava chiamando.
Si tratta per caso di un’emergenza? si chiese.
Gabriela non la chiamava mai soltanto per chiacchierare, e non aveva telefonato durante le loro due settimane al mare. Aveva soltanto inviato qualche messaggio a Riley, ogni tanto, per informarla che tutto andava bene a casa.
L’ansia di Riley aumentò, quando, rispondendo, avvertì una nota di preoccupazione nella voce di Gabriela …
“Señora Riley, quando sarà a casa?”
“Tra circa mezz’ora” Riley rispose. “Perché?”
La governante sospirò, per poi aggiungere …
“Lui è qui.”
“Chi?” fu la domanda di Riley.
Gabriela non rispose e Riley capì …
“Oh mio Dio” disse. “Ryan è lì?”
“Sí” Gabriela rispose.
“Che cosa vuole?” fu la nuova domanda di Riley.
“Non lo ha detto. Ma ha accennato che si tratta di una cosa importante. La sta aspettando.”
Riley pensò per un attimo di farsi passare Ryan al telefono. Ma cambiò subito idea: qualunque cosa Ryan volesse, sicuramente non avrebbe potuto discuterne al telefono in quel momento. Non con tutti lì presenti in auto.
Così rispose: “Digli che arriverò presto a casa.”
“Va bene”.
Messo fine alla chiamata, Riley rimase a guardare fuori dal finestrino del SUV.
Dopo un momento, Blaine disse: “Ecco … ti ho sentito parlare di …?”
Riley annuì.
Sedute dietro, ed immerse nella musica, le ragazze non avevano ascoltato nulla di quanto fosse era detto fino ad allora.
“Cosa?” April chiese. “Che cosa c’è?”
Riley sospirò e disse: “E’ tuo padre. E’ a casa e ci sta aspettando.”
April e Jilly sbottarono.
Jilly si lamentò: “Non potevi dire a Gabriela semplicemente di mandarlo via?”
Riley fu tentata di dire che avrebbe voluto tanto farlo, ma non sarebbe stato giusto assegnare alla donna quel compito.
Così rispose …
“Sai che non posso farlo.”
April e Jilly gemettero entrambe con sgomento.
Riley comprendeva benissimo come si sentissero le sue due figlie. L’ultima visita inaspettata di Ryan a casa loro era stata sgradevole per tutti, Ryan incluso. Il suo tentativo di ammaliare le ragazze, affinché gli permettessero di tornare nelle loro vite si era rivelato disastroso. April era stata fredda con lui, e Jilly si era dimostrata addirittura molto sgradevole.