Tracce di Peccato - Блейк Пирс 2 стр.


Decise che invece di cercare di trovare la cucina, dove dubitava ci fosse un telefono comunque, avrebbe puntato dritta all’uscita. Una volta fuori, avrebbe fatto l’autostop. Poi avrebbe chiamato il 911 per chiedere aiuto per Lanie.

“Lascia che ti dia un’occhiata migliore,” ordinò Chiqy con voce roca, ignorando quel che lei aveva detto. Sarah si voltò e vide che il grosso uomo la squadrava. Dopo un istante, si leccò le labbra. A Sarah venne da vomitare.

“Che ne pensi?” gli chiese Dean con impazienza.

“Credo che le mettiamo un prendisole con le codine e ne tiriamo fuori un buon reddito.”

“Adesso vado,” disse Sarah, e si precipitò alla porta. Con sua sorpresa, Dean si fece da parte, con aria divertita.

“Hai usato il jammer in modo che non potesse usare il telefono?” udì dire da Chiqy alle sue spalle.

“Sì,” rispose Dean. “L’ho guardata bene. Ci ha provato un sacco ma sembra non aver mai avuto ricezione. Vero, Sarah?”

Lei armeggiava con la catena della serratura, e l’aveva quasi aperta quando una grossa ombra le bloccò improvvisamente la luce. Fece per girarsi ma prima di riuscirci sentì una botta alla nuca e poi tutto diventò nero.

CAPITOLO UNO

La detective Keri Locke aveva il cuore che andava a mille. Anche se si trovava nel mezzo dell’enorme stazione di polizia, non prestava attenzione a nulla di ciò che la circondava. Riusciva a malapena a pensare razionalmente mentre fissava l’email sul telefonino, rifiutandosi di credere che fosse vera.

disponibile a incontrarti se segui le regole. mi farò sentire presto.

Le parole erano semplici ma il significato era colossale.

L’aveva aspettato per sei lunghe settimane, sperando contro ogni speranza che l’uomo che sospettava le avesse rapito la figlia cinque anni prima si mettesse in contatto con lei. E adesso l’aveva fatto.

Keri allontanò il telefono sulla scrivania e chiuse gli occhi, cercando di rimanere composta mentre tentava di cogliere appieno la situazione. Quando per la prima volta aveva scoperto il contatto dell’uomo conosciuto solo come il Collezionista, aveva organizzato un incontro. Ma lui non si era fatto vedere.

Gli aveva scritto per scoprire cosa fosse accaduto. Lui aveva detto che lei non aveva seguito le regole, ma aveva accennato che magari in futuro si sarebbe fatto risentire. Ci erano volute tutta la disciplina e la pazienza del mondo per non cercare di contattarlo di nuovo. Voleva farlo disperatamente, ma temeva che se ci fosse andata troppo pesante lui l’avrebbe presa male e avrebbe eliminato completamente l’indirizzo email, lasciandola senza modo di trovarlo – o di trovare Evie.

E ora, dopo le angoscianti settimane di silenzio, finalmente si era rimesso in contatto con lei. Certo, lui non lo sapeva che stava comunicando con la madre di Evie, e nemmeno che era una donna. Tutto ciò che sapeva lui era che si trattava di un potenziale cliente con cui stava discutendo di un lavoro di rapimento.

Questa volta Keri avrebbe preparato un piano migliore. L’ultima volta aveva avuto meno di un’ora per arrivare al luogo scelto da lui. Aveva cercato di mandare qualcun altro al posto suo per controllare la situazione da lontano. Ma lui comunque lo sapeva che il ragazzo che lei gli aveva mandato non era il suo cliente, e non si era fatto vedere. Keri non poteva permettere che accadesse ancora.

Resta calma. Sei arrivata fin qui e sta funzionando. Non rovinare tutto agendo d’impulso. Adesso non c’è niente che tu possa fare, comunque. Tocca a lui. Rispondigli con semplicità e aspetta che si faccia risentire.

Keri digitò una sola parola:

okay

Poi mise il telefono in borsa e si alzò dalla scrivania, troppo nervosa e agitata per restarsene seduta. Sapendo che non c’era altro che potesse fare, cercò di togliersi il Collezionista dalla testa.

Puntò alla stanza del personale per prendere qualcosa da mangiare. Erano passate le sedici e aveva lo stomaco che si lamentava, anche se non sapeva se fosse perché aveva saltato il pranzo o per l’ansia generale.

Quando arrivò vide il suo partner, Ray Sands, che frugava nel frigorifero. Era famoso perché acchiappava qualsiasi pietanza non etichettata con cura. Fortunatamente la sua insalata di pollo, con il nome “Keri” scritto a chiare lettere sul contenitore, era nascosta nell’angolo in fondo, in basso. Ray, un afroamericano di due metri e due per centoquattro chili con la testa pelata e la muscolatura grossa, avrebbe dovuto essere proprio disperato per andare a incastrarsi laggiù solo per un’insalata.

Keri era sulla soglia, a godersi silenziosamente la vista del fondoschiena di Ray che si dimenava mentre lui manovrava la sua massa. Oltre a essere il suo partner era anche il suo migliore amico, e di recente forse qualcosa di più. Entrambi sentivano una forte attrazione l’uno per l’altra, e se l’erano confessato meno di due mesi prima, mentre Ray si riprendeva da una ferita da arma da fuoco presa mentre fermavano un rapitore di minori.

Però, da allora, avevano fatto solo passettini. Flirtavano più apertamente quando erano soli, e c’erano stati molti mezzi appuntamenti in cui uno dei due andava nell’appartamento dell’altro per vedere un film.

Ma sembravano entrambi aver paura a fare la mossa successiva. Keri sapeva perché si sentiva così e sospettava che per Ray fosse lo stesso. Lei temeva che se avessero deciso di andare fino in fondo e non avesse funzionato, sia la collaborazione che l’amicizia potessero finir male. Era una preoccupazione legittima.

Nessuno dei due aveva un gran passato di romanticismi. Erano entrambi divorziati. Entrambi avevano tradito il rispettivo coniuge. Ray, un ex pugile professionista, era un noto dongiovanni. E Keri doveva ammettere che da quando Evie era stata rapita era stata un fascio di nervi, costantemente sul punto di perdere il controllo. Su Match.com non avrebbero avuto un gran successo.

Ray sentì di essere osservato e si voltò, con mezzo sandwich senza nome in mano. Vedendo che nella stanza c’era solo Keri, le chiese, “Ti piace quello che vedi?” e le fece l’occhiolino.

“Non essere vanitoso, incredibile Hulk,” lo ammonì. Adoravano prendersi in giro con nomignoli che sottolineavano la loro differenza di stazza.

“Chi gioca con i doppi sensi, adesso, Miss Bianca?” chiese, sorridendo.

Keri vide il suo viso oscurarsi e capì di non essere riuscita a nascondergli il nervosismo per il Collezionista. La conosceva troppo bene.

“Che c’è che non va?” le chiese immediatamente.

“Niente,” rispose superandolo e chinandosi per prendere l’insalata. A differenza di lui, lei non aveva problemi a infilarsi negli spazi stretti. Anche se non era piccola come il nomignolo della topolina del cartone animato poteva far pensare, in confronto a Ray, con il suo metro e sessantasette per cinquantanove chili era una lillipuziana.

Sentiva i suoi occhi addosso, ma finse di non accorgersene. Non voleva parlare di ciò che aveva per la testa per un paio di ragioni. Prima di tutto, se gli avesse detto dell’email del Collezionista lui avrebbe voluto discuterne i dettagli. E ciò avrebbe minato gli sforzi che stava facendo per rimanere in sé cercando di non pensarci.

Però c’era un’altra ragione. Keri era stata messa sotto sorveglianza da un losco avvocato che si chiamava Jackson Cave, che era famoso in quanto rappresentante di pedofili e rapitori di bambini. Per ottenere l’informazione che l’aveva condotta al Collezionista aveva commesso un’effrazione introducendosi nel suo ufficio e copiando un file nascosto.

L’ultima volta che si erano visti, Cave le aveva fatto capire che sapeva cosa aveva fatto e aveva detto chiaramente che la teneva d’occhio. Per Keri era chiaro che cosa intendesse dire. Da allora faceva perlustrazioni regolari in cerca di dispositivi di ascolto, e stava attenta a parlare del Collezionista solo in ambienti sicuri.

Se Cave avesse saputo che dava la caccia al Collezionista, forse l’avrebbe avvisato. Così lui sarebbe scomparso, e lei non avrebbe mai più trovato Evie. Quindi non c’era verso che ne parlasse con Ray in quel luogo.

Però lui non sapeva nulla di tutto questo, quindi insistette.

“Vedo che c’è qualcosa che non va,” disse.

Ma prima che Keri potesse chiudere diplomaticamente la discussione, il loro capo entrò come una furia nella stanza. Il tenente Cole Hillman, il loro supervisore diretto, aveva cinquant’anni ma sembrava molto più vecchio, con il viso solcato dalle rughe, i capelli sale e pepe spettinati, e un pancione in crescita che non riusciva a nascondere sotto le camice oversize. Era in giacca e cravatta come sempre, ma la prima era della taglia sbagliata e la seconda ridicolamente allentata.

“Bene. Sono contento che siate tutti e due qui,” disse saltando i saluti. “Venite con me. Avete un caso.”

Lo seguirono nel suo ufficio e sedettero sul malconcio divano contro il muro. Sapendo che probabilmente non avrebbe avuto la possibilità di mangiare dopo, Keri divorò l’insalata mentre Hillman li aggiornava. Si accorse che Ray aveva finito il sandwich che aveva rubato prima ancora di sedersi. Hillman cominciò.

“La vostra possibile vittima è una ragazza di sedici anni di Westchester, Sarah Caldwell. Non si vede dall’ora di pranzo. I genitori l’hanno chiamata molte volte, e dicono di non essere riusciti a raggiungerla.”

“Danno i numeri perché la figlia teenager non li richiama?” chiese scettico Ray. “Sembra la tipica famiglia americana.”

Keri non replicò nonostante la sua inclinazione naturale a non essere d’accordo. Lei e Ray avevano litigato su questo punto molte volte. Pensava che lui fosse troppo lento ad accettare casi come questo. Lui riteneva che la sua esperienza personale facesse sì che si buttasse sul caso decisamente troppo prematuramente. Era una fonte costante di attrito e Keri adesso non aveva voglia di discutere. Ma ne aveva Hillman, apparentemente.

“Anch’io l’ho pensato all’inizio,” disse Hillman, “ma sono stati molto convincenti nel dire che la figlia non sparirebbe mai per così tanto senza farsi sentire. Hanno anche cercato di localizzarla tramite il GPS che ha sullo smartphone. Era spento.”

“Un po’ strano, ma comunque…” insistette Ray.

“Sentite, magari non è niente. Ma sono stati insistenti, persino terrorizzati. E hanno fatto notare che la politica di far aspettare ventiquattr’ore dalla sparizione prima di cominciare le ricerche non si applica ai minori. Voi due non avete casi pressanti al momento, quindi ho detto che sareste andati lì a sentire le loro dichiarazioni. Diavolo, la ragazzina potrebbe essere a casa per quando sarete arrivati. Ma la cosa non farà del male a nessuno. E così ci copriamo il culo nel caso in cui saltasse fuori qualcosa.”

“Mi sembra un buon piano,” disse Keri alzandosi in piedi per partire con la bocca piena dell’ultimo boccone di insalata.

“Ma certo che a te sembra un buon piano,” borbottò Ray segnandosi l’indirizzo che gli dava Hillman. “Un’altra ricerca vana in cui mi trascinerai.”

“Lo sai che le adori,” disse Keri uscendo dall’ufficio prima di lui.

“Potreste essere un po’ più professionali dai Caldwell?” urlò Hillman attraverso la porta aperta. “Vorrei che pensassero che stiamo almeno facendo finta di prenderli seriamente.”

Keri gettò il contenitore dell’insalata nella spazzatura e puntò al parcheggio. Ray dovette affrettarsi per starle dietro. Raggiungendo l’uscita, si sporse per sussurrarle qualcosa.

“Non credere di averla scampata col tuo segreto. Puoi dirmelo adesso o dopo. Ma so che qualcosa c’è.”

Keri cercò di non reagire visibilmente. C’era qualcosa. E aveva deciso di spiegargli tutto quando farlo non sarebbe stato rischioso. Ma doveva trovare un luogo più sicuro per dire al suo partner, migliore amico e potenziale fidanzato, che forse, finalmente, era sul punto di prendere il rapitore di sua figlia.

CAPITOLO DUE

Come ebbero parcheggiato di fronte alla casa dei Caldwell, lo stomaco di Keri si contrasse all’improvviso.

Non aveva importanza quanto spesso incontrasse la famiglia di un minore forse rapito; tornava sempre al momento in cui aveva visto la sua bambina, di appena otto anni, portata via attraverso l’erba verde brillante di un parco da un crudele sconosciuto con un cappellino da baseball a coprirgli il volto.

Sentiva lo stesso familiare panico risalirle la gola in quel momento, il panico che aveva provato inseguendo l’uomo attraverso il parcheggio di ghiaino e vedendolo gettare Evie nel suo furgone bianco come fosse stata una bambola di stracci. Riviveva l’orrore di vedere il giovane ragazzo che aveva cercato di fermare l’uomo finire pugnalato a morte.

Trasalì al ricordo del dolore che aveva provato correndo a piedi nudi sul ghiaino, ignorando i sassi taglienti che le si incastravano nei piedi mentre cercava di raggiungere il furgone che partiva sgommando. Richiamò alla memoria il senso di inutilità che l’aveva sopraffatta quando si era accorta che il mezzo non aveva targhe e che non aveva praticamente nessuna descrizione da rilasciare alla polizia.

Ray era abituato a quanto fosse sempre toccata da quel momento, e sedeva in silenzio al posto del conducente mentre lei attraversava il ciclo di emozioni e si preparava per ciò che sarebbe accaduto poi.

“Stai bene?” le chiese quando finalmente vide il suo corpo rilassarsi leggermente.

“Quasi,” rispose abbassando lo specchietto del parasole e dandosi un’ultima occhiata per assicurarsi di non essere un disastro totale.

La persona che a sua volta la fissava sembrava molto più in forma di quanto fosse stata pochi mesi prima. I cerchi neri che un tempo aveva sotto agli occhi nocciola non c’erano più, e gli occhi non erano iniettati di sangue. La pelle era meno chiazzata. I capelli biondo scuro, anche se erano comunque raccolti in una comoda coda di cavallo, non erano unti né sporchi.

Keri si avvicinava al suo trentaseiesimo compleanno ma aveva l’aspetto migliore di sempre dai tempi in cui Evie era stata rapita, cinque anni prima. Non sapeva se fosse per la speranza che provava da quando il Collezionista molte settimane prima aveva accennato che si sarebbe fatto sentire.

O forse era la vera possibilità di una relazione romantica con Ray all’orizzonte. Avrebbe potuto anche essere il recente trasferimento dalla sgangherata casa galleggiante che aveva chiamato casa per molti anni in un vero e proprio appartamento. Oppure poteva avere a che fare con la riduzione del consumo di grandi quantità di scotch single malt.

Qualunque cosa fosse, notava che più uomini del solito si voltavano a guardarla, di recente. A lei non importava, anche solo perché per la prima volta in assoluto sentiva di avere del potere sulla sua vita così spesso fuori controllo.

Rialzò il parasole e si voltò verso Ray.

“Pronta,” disse.

Avvicinandosi alla porta principale, Keri osservò bene il quartiere. Era l’estremo nord di Westchester, accanto alla freeway 405 e appena a sud dell’Howard Hughes Center, un grande complesso di negozi e uffici che dominava il cielo di quella parte della città.

Westchester aveva la reputazione di essere un quartiere operaio, e la maggior parte delle case era modesta, a un piano solo. Ma persino lì i costi erano esplosi nell’ultima mezza dozzina di anni. Di conseguenza la comunità era un misto di residenti che vivevano lì da sempre e di giovani famiglie di professionisti che non volevano vivere in aree di sviluppo urbano fatte con lo stampino, ma in un luogo che avesse una sua personalità. Keri immaginava che in questo caso si stesse parlando degli ultimi.

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